Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
I surreali 14 mesi di Roberto Mancini in Arabia Saudita
12 nov 2024
Un'esperienza difficile.
(articolo)
15 min
(copertina)
IMAGO / VCG
(copertina) IMAGO / VCG
Dark mode
(ON)

“Vado via per una scelta personale”, aveva scritto Roberto Mancini su Instagram per giustificare la sua decisione di accettare la proposta dell'Arabia Saudita di sedersi sulla sua panchina come nuovo commissario tecnico. Era il 27 agosto 2023 e la cosiddetta luna di miele con il pubblico italiano era già finita da un pezzo. Di lì a poco Maurizio Crozza avrebbe preparato preparava la sua ennesima maschera che traduceva il sentimento nazional-popolare: il tecnico si faceva infilare dollari in tasca da due sceicchi in piena conferenza stampa.

Fin da quando era giocatore, Roberto Mancini ha avuto un rapporto difficile con il pubblico italiano, fatto di alti scintillanti ma anche di bassi molto profondi, in cui si andava a scontrare con i suoi spigoli caratteriali. Personalmente ho un ricordo molto specifico di questo suo aspetto.

IL MANCINI DIFFICILE
Era il 7 gennaio 1996 ed era passato un giorno dal mio dodicesimo compleanno. A San Siro Weah ha da poco alzato il Pallone d'oro e il Milan ha battuto 3-0 la Sampdoria con una prestazione super di Baggio e Savicevic, entrambi a segno. Una domenica perfetta. A Milano è caduta molta pioggia, ma il pantano a San Siro non ha ostacolato troppo i tanti campioni in campo. L'unico che non ha reso all'altezza delle sue qualità è il sampdoriano Roberto Mancini, che tra una protesta e l'altra è finito all'ospedale. “Sospetta frattura del pavimento dell'orbita sinistra e della parete laterale, più cinque punti all'arcata sopraccigliare e un taglio alla bocca”, riportano i giornali. Un bollettino medico più adatto a un match di pugilato che a una partita di calcio. Prognosi di un mese.

Mancini aveva litigato con gli arbitri per un rigore, con Maldini per un falletto e quindi, sbracciando come un tarantolato, era andato a sbattere di faccia contro “il gigantesco Weah”, talmente inconsapevole di ciò che stava accadendo da essere sollevato da ogni responsabilità pure da Eriksson. Per dirla come il Gabibbo, Roberto si era “spaccato la faccia” ed era uscito in barella con le mani incrociate sul petto. Dario Ceccarelli raccontando la partita su l'Unità aveva colto alla perfezione il momento del capitano blucerchiato, con modalità che si sono presentate spesso nella sua carriera di giocatore e poi di allenatore: “Gioca ormai contro tutto il mondo per dimostrare il suo talento incompreso”.

Mancini si è tolto grandissime soddisfazioni, spesso andando oltre ogni sogno più spericolato dei suoi tifosi – dallo Scudetto alla Sampdoria all'Europeo con l'Italia – ma altrettanto spesso è stato percepito, suo malgrado, un gradino o forse addirittura due sotto i migliori. E all'apice della popolarità ha finito molte volte per scivolare su un carattere pieno di spigoli.

Negli ultimi anni il suo difficile rapporto con la maglia azzurra da giocatore è stato analizzato in ogni suo aspetto e l'Europeo vinto sembrava il giusto risarcimento. Poi, dopo i trentasette risultati utili consecutivi e il trionfo di Londra è arrivata purtroppo la Macedonia del Nord, e, messo alle strette, Mancini ha reagito a suo modo, come in quel pomeriggio milanese: si è agitato scomposto ed è andato a sbattere contro una montagna. In questo caso non Weah ma l'Arabia Saudita.

Dopo l'esclusione dal Mondiale in Qatar, in tanti avevano già chiesto la testa del CT, ma il presidente Figc Gravina gli aveva sempre dato fiducia. A inizio agosto 2023 sui giornali si parlava di un Mancini a capo dell'intero sistema calcistico italiano, con il pieno controllo delle giovanili azzurre, e forse oggi è difficile ricordarsi la sorpresa generale quando il 14 di quello stesso mese sono arrivate le sue dimissioni.

Da eroe nazionale, che aveva commosso stretto in quell'abbraccio fraterno con l'amico di sempre Vialli, Mancini si è trasformato sostanzialmente in un mercenario. I giornali lo hanno preso di mira fin da subito, forse imbeccate anche dalle istituzioni, scottate dalla sua scelta. “Vedrai che il primo settembre Roberto sarà CT dell'Arabia, fidati di me”, pare abbia detto in confidenza Gravina a Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, a cui pure Mancini aveva detto di non aver firmato nulla. La Gazzetta dello Sport, che aveva parlato di accordi in essere con i sauditi sin da giugno, era arrivata addirittura a sperare che la Federazione si rivalesse economicamente sul tecnico: “Una somma simbolica, un piccolo risarcimento all’enorme danno procurato”.

Quando hanno iniziato a circolare le voci sul suo possibile ingaggio le cose inevitabilmente sono peggiorate. Nello studio della Domenica Sportiva, Alberto Rimedio lo aveva biasimato in toto, Adani criticato la “tempistica” e Panatta, più concreto, si domandava: “Ma perché deve rinunciare?”. Come in tutti i momenti peggiori di un uomo, aveva provato a difenderlo la mamma, Marianna Puolo, intervenendo al programma radiofonico della Rai Un Giorno da Pecora: «Mio figlio non è il tipo che butta per aria tutto e va via, sono successe parecchie cose, non è questione di soldi, lui è un signore».

«Mi hanno trattato come il mostro di Firenze, sì, Pacciani...», aveva detto Mancini al telefono con Italo Cucci, direttore editoriale dell'Agenzia Italpress, mentre volava verso Riyad. Era il 27 agosto e alle lamentele era seguito il primo dei molti momenti cringe della sua esperienza in Arabia: il video di presentazione.

View post on Instagram
 

Panoramica di Roma al sorgere del sole. Un auto si muove rapida tra i busti del Gianicolo. Con movenze da stilista, Mancini seleziona tra le sue moltissime cravatte, illuminate da una luce patinata, quella verde Green Eagles, colore della Nazionale saudita. Quindi, primo piano sulla radio di legno stile Mondiali del 1934 che spara a tutto volume la telecronaca al termine della finale di Londra di Francesco Repice, close up sull'immancabile tazzina di caffè, poi Mancini assorto e altra panoramica monumentale dell'Olimpico e di Roma. Il CT, in scarpe eleganti e caviglia scoperta, cammina su una sorta di passerella di vetro in una casa museo da cui fanno capolino quadri astratti, una riproduzione della coppa Henri Delaunay e poi due statuine del presepe che lo ritraggono con il trofeo tra le mani. In sottofondo sono partite le note composte di Con te partirò di Bocelli, una scelta che ricorda i Soprano. Mancini, bronzeo, tornito e dalla camicia bianchissima, da una terrazza neoclassica scruta l'infinito e pronuncia con un inglese un po' incerto: «I made the history in Europe, now is time to make a history with Saudi».


L'ARRIVO IN ARABIA SAUDITA
Arrivato a Riyad, i media italiani continuano a seguirlo. Il Rompipallone cerca di verificare quanto il suo nome sia davvero conosciuto. Manda un inviato nella capitale saudita a scoprire se qualcuno conosce il nuovo tecnico, ma a parte un ragazzo coi baffi, che lo definisce “very good” senza ulteriori commenti, tutti sembrano ignorane l'esistenza.

Mancini arriva per sostituire il francese Hervé Renard. Il tecnico francese aveva dichiarato che in Arabia Saudita «in certe partite si percepisce la tensione dei dirigenti», facendo capire che l'incarico di Mancini non sarà una passeggiata. Renard ha saputo battere l'Argentina ai Mondiali 2022, ma pare abbia scelto di svincolarsi pagando di tasca propria la clausola rescissoria, rinunciando a un contratto da trecentomila euro al mese.

Nella conferenza stampa di presentazione, Mancini non fa però accenno al suo lavoro e, sfoderando il plurale maiestatis al fianco deò capo della federazione saudita Yasser Al Misehal, dichiara: «Non sono un mago ma vogliamo vincere qualcosa di importante anche con l'Arabia Saudita». Che cosa però? Mancini suggerisce la Coppa d'Asia, «dopo trentacinque anni». «Ventisette!» lo corregge in corsa il dirigente.

Il nuovo corso parte l'8 settembre con un'amichevole al St James' Park di Newcastle, da poco acquistato dal fondo d'investimento saudita PIF, contro il Costarica. Il Corriere della Sera manda un inviato, Carlos Passerini, che restituisce nel suo commento il carattere dimesso dell'evento, nonostante i proclami del nuovo tecnico: «Porterò con orgoglio la nostra italianità nel mondo».

I biglietti costano appena cinque sterline, ma lo stadio è vuoto e nei pub dei dintorni sembra che nessuno sappia dell'imminente esordio del CT più pagato del mondo o della squadra dei futuri campioni d'Asia. Alle bancarelle vendono solo qualche maglia bianconera di Tonali. Finisce con un netto 3-1 per la squadra inglese. Come fa notare il Corriere, Mancini si ritrova in Arabia Saudita il problema che l'aveva già tormentato in Italia: manca un centravanti capace di buttarla dentro.

La partita è difficile anche per questioni politiche. Un'ora prima del fischio d'inizio si è radunato intorno allo stadio un gruppo di attivisti dell'associazione Newcastle Fans Against Sportswashing, che accusa il governo di Riyad di usare il calcio per mettere in ombra le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla monarchia del Golfo. Le ricorda Gian Antonio Stella in un suo commento sulla scelta dell'ex Ct dell'Italia: Amnesty International ha contato 196 impiccati in Arabia nel solo 2022 e il Paese è al “170º posto (su 180!) nella classifica di Reporters Sans Frontières sulla libertà di stampa”.

Poco dopo, fuori da San Siro, compaiono dei murales di aleXandro Palombo che ritraggono Mancini, Benzema, Neymar e lo sceicco Mohammad bin Salman Al Saud che tengono tra le mani un pallone insanguinato. Vengono rimossi in poche ore.

Ancora a Newcastle, di nuovo in amichevole e di nuovo davanti a uno stadio “mestamente semivuoto”, il 12 settembre l'Arabia Saudita perde pure contro la Corea del Sud, una delle potenziali rivali per la vittoria della Coppa d'Asia che si disputerà nel gennaio 2024 in Qatar. Come nella prima gara, Mancini schiera il 4-3-3 che tante gioie gli ha dato nella prima parte della sua esperienza azzurra, ma la magia non si ripete.

Il risultato finale non è più severo per una serie di prodezze del nuovo portiere Mohammed Al Owais – promosso da Mancini dopo le incertezze del precedente titolare – e per un'enorme svista dell'arbitro inglese che non concede “il rigore più solare di sempre” ai coreani, che pure non avevano mai vinto nelle prime cinque partite della gestione Klinsmann. Per il Corriere dello Sport è già "un disastro”.

Il 13 ottobre, all'Estádio Municipal de Portimão, in Portogallo, arriva il primo pareggio contro la Nigeria di Osimhen, un 2-2 raggiunto su punizione al decimo minuto di recupero ma tutto sommato prestigioso. Le immagini sono sempre desolanti: piccoli spalti vuoti e grossi palazzoni bianchi tutt'intorno, il cronista che esulta con toni brasiliani al gol del pareggio di Kanno.

Dopo quattro giorni altro giro e altra amichevole, sulla carta la più facile del mazzo, contro il Mali. L'Arabia, però, perde di nuovo: 3-1. Mancini si infuria per una rimessa laterale maldestra di un suo giocatore, Al Dawsar, con il pallone che rotola comicamente alle sue spalle, mentre il tecnico avversario, Hedi Taboubi, al gol dell'1-2 dei sauditi, viene espulso per proteste ed esce dal campo facendo con le dita il gesto dei soldi. Per scrivere la storia, dopotutto, bisogna pur iniziare da qualche parte.

C'è un video realizzato da CGTN che racconta la sua routine nella monarchia del Golfo. In Arabia Saudita ci si allena la sera perché di giorno il sole picchia troppo forte, ma la Nazionale si ritrova su verdissimi campi in erba circondati da palmeti e da una fitta vegetazione tropicale, coltivati grazie a chissà quali sforzi. Alle luci dei lampioni, le splendide e rifinite acconciature dei calciatori arabi risplendono degli infiniti bagliori creati da mousse e brillantine, le divise sono immacolate, le strutture perfette e piene di piccoli dettagli esotici, come le nappine dorate sulle tende che riparano chi si allena in palestra. Yaya Touré, assunto come vice a novembre, urla qualcosa dall'alto del suo metro e novantuno, ma Mancini appare provato. Il capello è più bianco del solito, più rado e meno vigoroso. Il vento lo spettina e gli occhi appaiono più stanchi, le rughe più evidenti e profonde.

I giocatori si radunano in circolo intorno a lui, ma la sua retorica non trasmette grinta, quanto una punta di amarezza. Pure Lombardo, uno dei pochi presenti del suo “mega staff di fedelissimi” che doveva seguirlo dappertutto, sembra un po' stanco.

Più l'esperienza procede e più Mancini appare consumato. Prima del tracollo in novembre arrivano le prime due vittorie in concomitanza con l'esordio ufficiale nelle qualificazioni mondiali: un 4-0 sotto un imprevedibile diluvio a Al-Hofuf, nello stadiolo da ventimila posti praticamente vuoto dell'oasi di Al-Ahsa, contro il morbido Pakistan, e un 2-0 ad Amman con la Giordania. Gli avversari sono poca cosa, ma in vista dell'inizio della Coppa d'Asia per Mancini è una boccata d'aria fresca.

IL TRACOLLO
Nonostante questo, intervistato dalle Iene a dicembre, Mancini aveva già fatto trapelare una certa sofferenza, un po' di malinconia: «Come sto ora? È un po' faticoso, è un po' diverso». Sui social qualcuno lo prende in giro per la sua abitudine a gesticolare in panchina, mettendolo a confronto con i più posati allenatori avversari, e quando dirama le convocazioni per il torneo continentale esplodono critiche pesantissime.

«Nessuno può decidere chi gioca o meno. Scelgo io», si fa scudo con il suo ruolo di selezionatore Mancini nella conferenza stampa del 15 gennaio di quest'anno, vigilia dell'esordio in Coppa d'Asia. Le assenze di veterani come Al-Faraj, Al-Ghanam e Al-Aqidi fanno rumore: «Non volevano venire in Nazionale, hanno deciso loro, non io».

«Al-Faraj non voleva giocare le amichevoli. Con Al-Ghanam e Al-Aqidi ci ho parlato prima di fare le liste, chiedendogli se fossero pronti. Il primo mi ha detto: "O gioco, o non vengo". Il secondo era convinto di esserci, ma tre giorni fa ha comunicato al nostro preparatore dei portieri che non aveva voglia di stare in Nazionale se neanche lui avesse giocato». Nonostante le sue spiegazioni, Mancini è accusato di “seguire un altro campionato”, critica classica a tutti i selezionatori che fanno scelte controtendenza. In maniera non troppo diversa da quello che succede in Europa, insomma, fa scalpore la sua scelta di chiamare gente che gioca poco pure nel suo club.

Per i bookmaker la squadra di Mancini è la terza forza della Coppa d'Asia dietro Giappone e Corea del Sud, ma nel girone a quattro che permette alle prime due classificate di accedere agli ottavi l'Arabia Saudita fa una gran fatica contro Oman, battuto in rimonta 2-1 al 96esimo, Kirghizistan (2-0) e Thailandia, partita conclusa con uno scialbo 0-0.

Il primo posto gli mette un po' di buonumore, così Mancini compare finalmente sorridente nei video ufficiali della Federazione mentre gioca a Morra cinese. Più stanco che nervoso, dirige un allenamento a due giorni dagli ottavi, quando i suoi sfideranno ancora la Corea del Sud. Forse è il momento più paradossale dell'esperienza di saudita di Mancini, perché la partita finisce malissimo dopo una prestazione discreta. L'Arabia gioca bene e conduce 1-0 fino al 99esimo, ma la Corea pareggia all'ultimo attacco con Cho Gue-Sung e riesce a portarla sino ai rigori. I coreani sono perfetti, mentre tra gli arabi sbagliano prima Ghareeb e poi Al Najei, ma il tiro sarebbe da ripetere perché il portiere si è mosso in anticipo staccando entrambi i piedi dalla linea.

Mancini, prima dell'ultimo, decisivo rigore coreano, viene filmato mentre si allontana dalla panchina diretto verso gli spogliatoi. Mi scuso, pensavo fosse finita. Non volevo mancare di rispetto a nessuno», prova ad abbozzare ai microfoni quando lo sbugiardano, ma il presidente federale, lo stesso Yasser Al Misehal che gli sedeva accanto allegro solo pochi mesi prima, è furioso: «L’uscita dell’allenatore è del tutto inaccettabile. Discuteremo con lui su quanto è accaduto. Ha il diritto di spiegare il suo punto di vista, poi decideremo l’azione appropriata». Sembra già una condanna, ma i timidi progressi nel gioco riescono a salvarlo.

Nel frattempo, però, in Italia risale la marea delle polemiche. "È pagato milioni e non si sforza nemmeno di consolare i propri giocatori. Non è il tipo di uomo che vorrei alla guida del mio paese", scrive un commentatore anonimo che potrebbe essere Gravina. Se ad agosto c'era chi chiedeva che il suo contratto come testimonial delle Marche venisse stracciato, ora è l'Arabia a volersene liberare. La pagina Instagram ufficiale di Mancini comincia a riempirsi di post nostalgici – la Sampdoria, Vialli, l'Europeo vinto – mentre le collaborazioni istituzionali con l'Arabia Saudita si fanno sempre più sporadiche, le visite promozionali del Paese sempre più rare, i capelli più bianchi e spettinati, la barba incolta.

A marzo l'Arabia Saudita batte il Tagikistan 1-0 in casa poi pareggia 0-0 in trasferta. Quindi batte di nuovo il Pakistan e perde 2-1 in casa contro la Giordania, lasciandosi sfuggire la possibilità del primo posto nella seconda fase di qualificazione. La sua esperienza sulla panchina saudita sembra già agli sgoccioli e le sue conferenze stampa frettolose sono il ritratto del suo momento grigio.

Dopo un 1-1 con l'Indonesia il 5 settembre, perde di nuovo le staffe. «Nel calcio bisogna segnare e i nostri attaccanti non lo fanno. Il problema è questo», dice Mancini «Penso che a volte siano i giocatori a doversi prendere le responsabilità».

Il pubblico nelle partite di casa inizia a contestarlo. Dopo lo 0-2 contro il Giappone del 10 ottobre lui tenta un altro dei suoi colpi a effetto per recuperare qualche punto, distribuendo ai giornalisti in sala stampa una serie di fogli con le statistiche della gara. Vuole dimostrare che l'Arabia Saudita ha giocato meglio degli avversari, ma un cronista giapponese lo incalza, tutto sommato con educazione: «Ricevi uno stipendio molto alto e la tua squadra non si comporta bene in campo». E lui se la prende di nuovo: «Vuoi vedere il mio conto in banca?».

Cinque giorni dopo, il 15 ottobre, l'Arabia pareggia 0-0 contro il Bahrain e Mancini, rivolto verso il pubblico che gli ulula contro di tutto (mi spiace ma non saprei tradurre), manda tutti platealmente a quel Paese. Al Misehal già prima di quella partita aveva messo una pietra tombale sul suo operato: «Mai vista la nazionale così male, interverremo».

La risoluzione contrattuale arriva il 24 ottobre. “Mancio”, come era chiamato da giocatore, viene dimesso con una ricchissima buonuscita, che i giornali italiani quantificano in venti/venticinque milioni, ma che lui smentisce a Striscia la notizia mentre riceve il Tapiro d'oro: «Sono solamente tutte bugie, ai giornalisti piace scrivere cose assurde».

Dopo quattordici mesi arabi intensi e pieni d'amarezza, il suo nome è subito riapparso nella stampa sportiva come possibile successore di Juric sulla panchina di Roma. Insomma, non proprio una passeggiata di salute. Nel frattempo l'Arabia Saudita ha provato a risolvere le cose con un ritorno al passato. A Riyad alla fine è tornato Hervé Renard, più bello e sorridente che mai.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura