Rodri è alto e lento, lentissimo anzi. Lentissimo in allungo, ma anche pachidermico nei primi passi, rispetto agli standard del calcio contemporaneo si intende. In un gioco fatto sempre più di reattività e istinto negli spazi ristretti, Rodri può unicamente arrivare prima e prevedere quello che succederà. È così che ha percorso i 12 chilometri a partita che lo rendono uno dei centrocampisti migliori di questo Europeo. Se sbaglia anche solo leggermente la valutazione dell'intervento il pallone è perso, il fallo è commesso o l'avversario è andato. Rodri ha anche una struttura del corpo pesante, senza quell’elasticità che permetteva ad esempio al suo illustre predecessore Busquets di strappare via il pallone o proteggerlo con azioni al limite della fisica tra i corpi. Negli spazi stretti non è naturalmente a suo agio come lui.
Ogni partita Rodri deve riscrivere un trattato di trigonometria. In altre parole, deve inventarsi ogni volta un nuovo modo per sfuggire alla pressione avversaria sfruttando gli angoli che disegna col pallone tra i piedi o per servire al momento giusto al compagno meglio posizionato. Per dirla alla Guardiola: per far funzionare al massimo, il suo calcio deve continuamente pensare per sé stesso e per i compagni.
Minuto 92 della semifinale contro la Francia, Theo Hernandez riesce ad involarsi sulla fascia ma Rodri aveva già previsto tutto e si muove per sbarrargli la strada.
«L'ho detto molte volte. La mia prospettiva di gioco è puramente collettiva, al di là del lavoro individuale», ha detto Rodri. «La vittoria è collettiva. Gioco sempre il mio calcio in modo che il resto della squadra ne possa beneficiare. La mia posizione è la mia preferita e la più bella per giocare a calcio». Sembra di sentir parlare Sergi Busquets, ma se per il catalano l’interpretazione del ruolo lo vedeva sparire all’interno del sistema, la presenza di Rodri invece è più tangibile.
L'interpretazione di Rodri è fatta di maggiore protagonismo all'interno della manovra, dove non serve solo a facilitare una squadra che gioca a memoria, ma a guidarla, indirizzarla dove vuole lui. "Sergio è sempre stato il migliore al mondo nel giocare in spazi stretti, il più abile nell'eludere la pressione con una finta o un dribbling, senza muoversi", ha scritto Albert Blaya su El Relevo, "In mezzo metro, la sua era una magia. Ma se allarghiamo il campo, se tracciamo un livello di dominio in un raggio più ampio, Busquets non raggiunge la brillantezza di Rodri. I suoi domini possono essere più belli, ma non altrettanto vasti". Il raggio d’azione di Rodri è talmente ampio da coprire funzioni anche di altri giocatori. In questo senso, non è uno specialista, ma un centrocampista completo per una squadra che fa gioco di posizione. Non a caso Guardiola l’ha definito il miglior centrocampista al mondo per distacco.
Contro la Germania si muove dove vede che si libererà lo spazio, si gira col controllo orientato e serve Nico Williams sulla corsa.
Il CT della Spagna, Luis de la Fuente, l’ha definito un computer perfetto. «Uno che amministra tutto, le emozioni, tutti i momenti in modo magistrale; questo è un grande aiuto per tutti», ha detto, «È importante che padroneggi il gioco, che faccia le giuste correzioni tattiche e che distribuisca la palla. È in grado anche di generare occasioni da gol, è l'asse della transizione della squadra».
L'Europeo di Rodri ha un valore anche storico, se vogliamo. Il centrocampista del City ha dimostrato di essere il giocatore cardine della squadra che ha giocato il miglior calcio della competizione e, cosa forse ancora più importante, della Spagna per la prima volta finalista di un grande torneo dai tempi della cosiddetta "generazione d'oro". «La nostra forza è il gruppo. Siamo un gruppo molto competitivo, con energia e voglia di fare cose importanti. Quello che cerco di trasmettere è che dobbiamo correre come una piccola squadra e giocare molto bene a calcio», ha detto prima dell’Europeo.
Il percorso per arrivare a questo risultato non è stato semplice. Prima di arrivare a Manchester, per dire, faceva un altro stile di gioco al Villarreal e poi all’Atlético di Simeone. «Abbiamo cercato di aiutarlo con Juanma Lillo a capire il gioco, soprattutto quello che deve fare il mediano», ha raccontato Guardiola nella sua seconda stagione a Manchester. «La scorsa stagione si muoveva troppo. Il centrocampista centrale deve stare lì, non muoversi, stare lì. Come se si guidasse un'auto e ci si spostasse sul sedile posteriore, ci si potrebbe schiantare. Il conducente deve essere lì davanti». L'allenatore catalano è entrato nello specifico di una cosa che Busquets sapeva a memoria e che invece Rodri ha dovuto fare sua quando è arrivato a Manchester. «Con la palla, sa esattamente dove sono gli spazi da attaccare e il ritmo che dobbiamo tenere. Il mediano a volte ha bisogno di cinque tocchi, a volte di uno, a volte di tre. Ora gioca con questo ritmo che aiuta il nostro gioco». In altre parole, in una squadra che pratica il gioco di posizione il ruolo del mediano non può essere interpretato col pilota automatico, non può giocare sempre a due tocchi. Come abbiamo detto, è il ruolo cardine nello sviluppo della manovra e per questa ragione deve saper modulare il ritmo della squadra.
Nella visione del gioco di Rodri non c'è divisione tra la gestione della manovra e il recupero del possesso. Di questo ne ha parlato lui stesso durante l’Europeo al Guardian: «Cerco di dare movimento al gioco, un dinamismo, un ritmo. Connettersi ai giocatori davanti a te il prima possibile, aiutare il gioco a "maturare", interpretarlo, portarlo dove vuoi tu. È questo che definisce maggiormente il ruolo del pivot: quando accelerare, quando frenare, quando premere più in alto, quando muoversi più in profondità. Questi pensieri passano sempre per la mente. Quando la palla mi arriva e dobbiamo fare una pausa, non ho intenzione di accelerare il gioco».
Rodri dice che dietro c'è uno studio continuo del gioco: «Guardo sempre le partite a posteriori, intere. Soprattutto se penso che ci siano cose che possono essere fatte meglio. Le guardo da solo. Si vedono molte cose che non hai visto in campo». Un atteggiamento ormai sempre più comune, che spesso i giocatori fanno accompagnati proprio da uno staff privato che li aiuta a comprendere meglio il gioco. A Rodri invece viene naturale lo studio autodidatta: «Mi è sempre piaciuto guardare il calcio ed è vero che lo trovavo facile da capire, da leggere; quando una squadra aveva successo, riuscivo a capirne il motivo». Ha raccontato il suo ex compagno di squadra Gündogan di come i primi tempi lo vedeva fermarsi ben oltre gli allenamenti, non per fare lavoro extra sul campo in termini di tecnica o di lavoro fisico o in palestra, ma per parlare con lo staff di Guardiola o con l’allenatore stesso: «Pep ti fornisce una cassetta degli attrezzi da utilizzare in campo». Sta però poi al giocatore scegliere come utilizzarli. «Quello che manca è il "dove va il passaggio". La decisione». Da questo punto di vista, Rodri ha una conoscenza del calcio quasi enciclopedica.
Dopo una stagione 2022/23 da record in cui ha vinto tutto col Manchester City, la scorsa stagione ha dovuto aumentare il proprio peso nella manovra per sopperire alla partenza di Gündogan, e quindi all'assenza del suo lavoro in zona di rifinitura. Gli è stato richiesto quindi di aggiungere varianti al suo gioco per incedere di più nella manovra della squadra anche oltre la propria metà campo. Rispetto alla scorsa stagione, sono aumentati il numero di passaggi riusciti da 84.3 a 103.1 per 90 minuti, di passaggi che fanno progredire la manovra da 8.05 a 11.53 per 90 minuti, di occasioni create da 1.24 a 1.5 per 90 minuti (dati Fbref). È passato dai 4 gol e 7 assist in tutte le competizioni, a 9 gol e 14 assist. Ma è soprattutto diventato ormai la proiezione in campo di Guardiola e il punto di riferimento anche mentale dei compagni in campo: «Sono molto orgoglioso del giocatore che sono diventato e non solo in campo. Mi piace quello che rappresento agli occhi dei miei compagni di squadra. Che mi ascoltino nello spogliatoio, in allenamento». Ha raccontato a L’Equipe: «Mi piace perché è stato un viaggio, dal mio arrivo a oggi, in cui ogni anno mi sono imposto sempre di più, guadagnando la fiducia del gruppo. Sento questo rispetto, questa fiducia. Quando i miei compagni mi vedono dicono: "Ok, seguiamo questo tizio"».
Nella Spagna ha preso il posto che Sergi Busquets ha finalmente lasciato dopo il Mondiale 2022. Ma anche prima del leggendario regista del Barcellona, Rodri era già percepito come il suo erede e, pur di averlo in campo, Luis Enrique l’aveva messo difensore centrale adattato nei Mondiali in Qatar: «Per me è stata una grande opportunità partecipare a una Coppa del Mondo. Ma anche una grande responsabilità. [Quella da difensore centrale] È una posizione in cui posso giocare, ma non molto. Ho giocato abbastanza bene, ma bisogna vedere cosa è meglio per la squadra. Ovviamente preferisco giocare come pivot». Ora che può giocare nel suo ruolo naturale è stato investito dalla stampa spagnola nel ruolo di leader: "Sono passati sei anni e tre mesi da quando l'ex giocatore del Villarreal e dell'Atletico Madrid ha fatto il suo debutto internazionale, ma questo Europeo deve essere la sua consacrazione con la Nazionale spagnola. È il leader, il punto di riferimento, l'uomo che detta il ritmo della partita" ha scritto Marca prima dell’Europeo.
Quello della leadership è un tema sfuggente da fuori, ma a cui i calciatori danno grande peso. «Il ruolo di un centrocampista è molto importante in termini di leadership: concettualmente, tatticamente. Per un'ala o un terzino è difficile dare istruzioni dalla sua posizione, perché non ha la prospettiva. Mi piace questo ruolo ed è quello che devi avere se vuoi che la squadra funzioni», ha detto al Guardian. La fascia da capitano che ha lasciato Busquets dopo il Mondiale è passata ad Alvaro Morata per via dell’anzianità nella squadra, ma tutti sanno, dentro e fuori lo spogliatoio, chi sia il capitano in pectore. D'altra parte, basta vederlo in campo. Lo si vede gesticolare continuamente in modo anche plateale o chiamare in modo a raccolta un compagno per parlargli nei momenti morti. Quando esce Morata e a lui passa la fascia da capitano al braccio, lo si vede subito muoversi alla prima occasione utile a parlare con l’arbitro, ora che non può più essere ammonito per farlo.
La sua influenza sembra aver reso la Spagna tutta più matura, più in grado cioè di gestire i momenti delle partite in cui il gioco non ingrana. «La psicologia è probabilmente la parte più importante dello sport. La testa fa, per me, la differenza», ha detto ad AS «Perché la fatica, in termini di preparazione fisica, può essere maggiore o minore, ma la testa sposta le montagne. E questo può significare che, quando si è stanchi, si può dare quel qualcosa in più». La Spagna è passata in svantaggio due volte nel torneo, contro la Georgia agli ottavi e nella semifinale contro la Francia, sempre ad inizio partita e sempre riuscendo a pareggiare qualche minuto dopo un piccolo periodo di sbandamento. L’ha fatto perché aveva il talento offensivo delle due ali in grado di sbloccare le cose, come Lamine Yamal contro la Francia ha mostrato in tutto il suo splendore, ma anche perché c'è Rodri a tenere il timone quando arriva la tempesta. Il centrocampista ci ha già abituato ai gol da fuori area per sbloccare le partite complicate del City e il suo gol contro la Georgia nell’economia dell’Europeo della Spagna è stato uno dei più pesanti.
La Georgia era passata in vantaggio al minuto 18, al primo contropiede della sua partita, con un autogol di Le Normand che aveva provato a evitare che il cross raggiungesse Kvaratskhelia. È stata la prima volta in cui la partita si è messa veramente in salita, un gol sotto e davanti una squadra pronta a difendersi con un baricentro bassissimo: «Sapevamo che il modo in cui avrebbero difeso - stretti in area, con gli attaccanti che non tornavano indietro ma aspettavano per il contropiede - avrebbe significato che ci sarebbe stato uno spazio vuoto sul limite dell'area per i centrocampisti, in particolare per il numero sei, cioè io». Del gol alla Georgia ne ha parlato come un’azione normalissima, parte integrante delle possibilità nella sua testa: «È più facile segnare con gli attaccanti, ma sapevamo che lo spazio ci sarebbe stato quando la squadra avversaria si abbassa. Era una buona palla di Nico e ho pensato che se avessi controllato con il destro avrei perso tempo, quindi ho cambiato gamba per il sinistro, verso la porta... Fortunatamente il gol è arrivato ed è stato un bel momento per la squadra. Bisogna avere il sangue freddo».
Proprio per questa sua capacità di incidere sul risultato, Jorge Valdano in autunno l’aveva candidato come Pallone d’Oro alternativo a Leo Messi. "È un trofeo che è diventato sempre più glamour, e per questo ha bisogno della forza d'urto che deriva dalla fama. Da questo punto di vista, Mbappé o Haaland, grandi nomi per qualsiasi palcoscenico, sono in vantaggio. Le loro credenziali includono la forza d'urto dei gol, con il loro innegabile valore e il loro fascino», ha scritto su El País in un pezzo intitolato semplicemente Il mio candidato è Rodri: "Ma quest'anno è emersa una figura che ci ha costretto a guardare indietro. È Rodri e la sua influenza si nota quando gioca e anche quando non gioca. Fin dalla sua comparsa è stato un giocatore di sostanza, ma ora ha raggiunto il livello di determinante".
Valdano ha portato a sostegno della sua tesi l’ormai celebre statistica delle partite consecutive con Rodri in campo in cui il City non ha perso (statistica che è continuata tutta la stagione e si è fermata a 74 partite nella Finale di FA Cup persa col Manchester United), sottolineando l’importanza dei suoi gol nei momenti decisivi della stagione. Valdano ricorda anche il valore simbolico che una sua vittoria porterebbe: "Nel pieno della sua carriera, la Spagna dispone di un talento superiore in grado di far girare un'intera squadra. Certo, i gol sono impressionanti, ma le partite hanno un inizio, una parte centrale e una fine, e nessuno ne sa più di Rodri. Forse, per una volta, l'intelligenza vincerà sull'emozione e vedremo Rodri vincere il Pallone d'Oro con piena giustizia. Il calcio ne beneficerebbe".
Durante l’Europeo, con l’andare avanti della Spagna nella competizione è tornato d’attualità il discorso. Con il finale di stagione e l’Europeo mediocre di Mbappé, quello non entusiasmante di Bellingham (tolto ovviamente la rovesciata decisiva contro la Slovacchia) e la Copa América finita prestissimo per Vinicius col Brasile, i tre candidati più quotati non sono usciti rafforzati dai due tornei estivi per Nazionali. Per Rodri invece il discorso è diverso. E se dovesse vincere la Spagna allora perché non premiarlo quest’anno in cui è stato il miglior centrocampista al mondo? «Forse la gente vorrebbe che fossi più spettacolare», ha detto al Guardian «Ma io ragiono in modo diverso. So come funziona il calcio, quindi non mi sento frustrato se vengo trascurato. Se un giorno qualcuno vorrà premiare il mio lavoro ben venga, ma se non succede non mi disturba affatto».