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Roma-Barcellona: il contrario del romanismo
31 dic 2018
Il 2018 è stato anche l'anno in cui abbiamo visto una delle rimonte più incredibili degli ultimi tempi.
(articolo)
6 min
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Da qualche anno a questa parte passo il tempo che dedico alla mia squadra del cuore in un locale romano di San Lorenzo, in cui sono stati talmente pazzi da darmi un microfono per farmi commentare le partite insieme ad altri amici de l’Ultimo Uomo. Da circa quattro anni è lì che ho visto quasi tutte le partite della Roma, se si escludono quelle poche che ho deciso di guardare allo stadio o a casa di mio padre. Ero nello stesso posto, quindi, per il derby per il secondo posto con Rudi Garcia, per Roma-Spezia, per l’eliminazione dai playoff della Champions League da parte del Porto, per le ultime partite di Totti con la maglia giallorossa, per la grande cavalcata in Champions League della scorsa stagione. Ero lì per le due grandi partite contro il Chelsea ai gironi e per le due insapori contro il Qarabag, per la doppia sfida agli ottavi contro lo Shakhtar, e per l’andata dei drammatici quarti contro il Barcellona.

Se dovessi trovare un denominatore comune a tutte queste serate, a tutto questo tempo, è un certo senso di insoddisfazione, di pessimismo nei confronti del gioco, e quindi delle prospettive della mia squadra. Dopo le risate e le battute, al fischio finale la sensazione era quasi sempre quella che la Roma avesse giocato peggio di quanto non potesse, una sensazione a volte anche eccessiva, che mi ha portato a pensare che magari ci fosse una distorsione nella mia percezione lì dentro. Ma alla fine mi ricordavo che se esiste davvero quella cosa che viene comunemente chiamata romanismo, ha a che fare esattamente col pessimismo, con l’aspettarsi che le cose andranno peggio se potranno, che l’ex di turno ti segnerà, che il tuo portiere farà una papera clamorosa nel momento peggiore possibile, che il grande momento di forma finirà sul più bello. Chiunque abbia tifato questa squadra o si sia avvicinato all’universo culturale che la circonda sa perfettamente di cosa sto parlando.

Penso comprenderete, quindi, perché cercherò di dare una spiegazione metafisica della serata in cui si è giocata Roma-Barcellona all’Olimpico, in cui tutto non solo è andato all’opposto di come era ragionevole attendersi ma anche di come ogni romanista si sarebbe aspettato.

All’andata la Roma aveva giocato benino a tratti, ma il Barcellona sembrava troppo superiore e aveva vinto nettamente per 4-1. Nella successiva partita di campionato la squadra di Di Francesco perse per 2-0 in casa contro la Fiorentina tra i fischi dell’Olimpico, arrivando a sfiorare il record di sconfitte casalinghe raggiunto dal club giallorosso nella stagione 1947-48 (otto). In quella partita la Roma ebbe un possesso palla di circa il 70% e prese tre legni, mentre la Fiorentina si salvò ripetutamente con diversi interventi prodigiosi di Sportiello e chiudendo la partita con un gol bellissimo di Simeone, che superò Manolas in velocità.

Forse basterebbe questa sintetica ricostruzione del contesto per accorgersi che c’è qualcosa che non torna in Roma-Barcellona, ma voglio fornire anche le mie prove personali. All’arrivo al solito locale ho scoperto che quella sera non avremmo visto e commentato la partita lì per la prima volta perché ci sarebbe stato un concorso letterario programmato da mesi (anche i proprietari sono romanisti, e di conseguenza non avevano nemmeno preso in considerazione la possibilità che la Roma potesse arrivare fino a quel punto). Questo è uno di quei dettagli apparentemente irrilevanti che viene utilizzato nei romanzi o nei film per far capire a chi guarda che c’è qualcosa che non torna nella realtà, come la seconda luna in 1Q84 o il gatto nero in Matrix quando Neo crede di avere un dejavu.

Foto di Isabella Bonotto / Getty Images.

In quel momento avrei dovuto sapere che il mondo si stava ribaltando, e invece come se nulla fosse mi sono diretto al locale dietro l’angolo, dove ci eravamo accordati all’ultimo momento per commentare la partita.

Quando dico che è successo qualcosa non intendo dire solo che inspiegabilmente la Roma ha fatto una partita straordinaria, anche se si potrebbe gridare al miracolo anche solo per questo, perché ci sono talmente tanti dettagli assurdi in quella partita da far impazzire anche il più razionale dei tifosi. Notate, ad esempio, la parte del piede con cui Dzeko sul primo gol colpisce il pallone ingannando Ter Stegen; o la distanza tra il pallone calciato da De Rossi su rigore e le mani del portiere tedesco; o, ancora, la prestazione sovrannaturale di Juan Jesus in marcatura su Messi. Ma, ripeto, non è questo ciò di cui sto parlando.

Quando dico che quella sera è successo qualcosa intendo dire che tra chi guardava la partita, gradualmente, si è diffuso non il sospetto, ma la certezza che lo straordinario sarebbe accaduto. Poco prima del celebre 3-0 di Manolas, ad esempio, la Roma ha preso un palo clamoroso su un tiro in allungo di El Shaarawy ma mi ricordo che la reazione della platea non fu di depressione per “la solita partita maledetta” (una frase che avrete sentito spesso se siete tifosi di questa squadra) ma di speranza perché il gol decisivo stava arrivando. E nei minuti finali, quando il Barça ha provato il tutto per tutto, non c’era fatalismo, nemmeno quando Messi dopo un paio di rimpalli fortunati si è ritrovato da solo davanti ad Alisson ma inspiegabilmente ha colpito male il pallone, o quando Dembélé ha provato un pallonetto a porta vuota dalla trequarti dopo l’uscita disperata del portiere della Roma su Piqué. C’era paura, ma per qualche strana ragione nessuno credeva veramente che quel pallone sarebbe entrato.

I romanisti vengono spesso presi in giro per essere troppo emotivi, di festeggiare troppo per delle vittorie irrilevanti. C’è chi starà leggendo questo articolo col ghigno cinico di chi sa che di lì a poco le cose sono tornate alla normalità: in semifinale la Roma è stata eliminata dal Liverpool nonostante un’altra grande rimonta, per via anche di un errore ingenuo di Nainggolan nei primi minuti, che aveva permesso alla squadra di Klopp di andare in vantaggio. In quel caso, le cose sono andate esattamente come ci saremmo aspettati, se in mezzo non ci fosse stata Roma-Barcellona. Perché per un po’ non ci è sembrato assurdo pensare di poter ribaltare un 5-2 contro una delle squadre più forti al mondo.

Quella vittoria non è stata eccezionale in sé (per quanto può sembrare incredibile, la Roma aveva già battuto il Barcellona per 3-0 una volta), ma per aver ribaltato, anche se solo per un momento, tutti i paradigmi con cui guardavamo il calcio. Ed è stata una sensazione indimenticabile proprio perché non l’avevamo mai provata.

Subito dopo la fine di Roma-Barcellona, Manolas viene intervistato a bordo campo mentre è ancora in lacrime e lo stadio canta in sottofondo, con le luci dei telefonini che sembrano stelle accese sugli spalti. La giornalista di Mediaset gli chiede come si dice “provvidenza” in greco. Lui risponde: «Neanche in italiano so come si chiama».

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