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La Roma ha pagato ogni piccolo errore
05 apr 2018
La squadra di Di Francesco ha giocato una grande partita, ma ha finito per pagare cara la diversa qualità in campo.
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11 min
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Sembrava impossibile, ma era solo molto difficile. C’è un motivo se questo Barcellona non perde in Champions League al Camp Nou da 26 partite. L’esperienza europea della squadra catalana rende tutto più complicato per l’avversario: non basta avere un piano ben pensati se è realizzato anche solo con leggere sbavature. A questo livello le buone intenzioni non bastano, ma è anche vero che bisogna giocarci a questo livello per far sì che la prossima volta le buone intenzioni non restino tali. E la Roma, oltre alle buone intenzioni, stavolta ha anche mostrato un piano gara all’altezza, che fa pensare che la squadra di Di Francesco sia sulla strada giusta.

Il risultato è quello che forse ci si poteva aspettare, ma quello che conta è la prestazione di gruppo. Sarebbe comunque sbagliato leggere il 4-1 finale come frutto soltanto dei singoli episodi, perché dentro c’è il cinismo di un Barcellona che è ha mostrato tutta la sua esperienza europea, piegando gli episodi a proprio favore, certo, ma facendo in modo che questi arrivassero. Ad un brutto Barcellona, appesantito dalla condizione precaria di Iniesta e Luis Suárez, e da una ricerca della solidità tattica che ha però fatto perdere imprevedibilità, è bastato il cinismo. Lo stesso che aveva punito il Chelsea e che gli sta permettendo di dominare in campionato. Una squadra aggrappata alla capacità di far fruttare le occasioni che gli si presentano, oltre che al talento di Messi: in ogni caso abbastanza per battere un avversario preparato ma con meno qualità a disposizione.

Alla Roma sono mancati due giocatori fondamentali come Nainggolan e Ünder, che hanno tolto atletismo e ricerca della profondità alle spalle di Jordi Alba. Però i giallorossi hanno interpretato bene la gara, con un piano che ha saputo sfruttare i problemi strutturali del Barcellona: hanno pressato bene l’uscita del pallone e difeso con diligenza gli attacchi posizionali, ma sono stati puniti da errori individuali. La Roma ha attaccato in modo puntuale, ma ha creato troppo poco nel momento in cui la partita era ancora in bilico.

Alla fine per la Roma i tiri nello specchio sono stati solo 3 e sono tutti arrivati con il risultato già deciso di 3-0. Tra questi c'è anche il gol di Dzeko. Lo stesso Dzeko ha toccato solo 3 palloni in area di rigore (tra cui quello del gol e quello dell’episodio del rigore non fischiato).

Entrambi gli allenatori hanno scelto una formazione a sorpresa, cambiando entrambi la propria catena di destra: Bruno Peres terzino ha permesso di avanzare Florenzi nella Roma; mentre Semedo terzino ha permesso di avanzare Sergi Roberto. La scelta viene probabilmente dettata dalla voglia di entrambi gli allenatori di attaccare in modo asimmetrico, sbilanciando l’importanza nel gioco con la palla di Kolarov a sinistra per la Roma e nelle ricezioni alte per Jordi Alba nel Barça. Alla fine, però, entrambi gli allenatori sono stati premiati nella loro scelta dalle prestazioni dei rispettivi terzini, mentre sia Sergi Roberto che Florenzi hanno giocato una partita diligente ma povera dal punto di vista offensivo.

L’anima verticale di Bruno Peres è risultata utilissima alla Roma per risalire il campo, sulla fascia lasciata scoperta da Iniesta che come sempre si accentra. Una volta avanzato, però, non aveva profondità e il più delle volte è stato costretto a cambiare gioco su Perotti o Kolarov. Un dato su Bruno Peres: ha tentato più cambi di gioco (4) che cross (2). Oltre a tenere dal punto di vista atletico la corsa di Jordi Alba, non ha sbagliato neanche uno dei dribbling tentati (le stelline nel grafico sotto) e recuperato dieci palloni (le crocette). Bruno Peres si è rivelato molto di più del meme del salvataggio sulla riga con lo Shakhtar, è stato capace anzi di giocare la propria migliore partita stagionale al Camp Nou.

Due tra i migliori in campo sono proprio le sorprese dell’undici iniziale.

Il Barcellona si è limitato a controllare i ritmi, consapevole forse dello scarso stato di forma dei suoi interpreti migliori. I blaugrana sono stati attenti solo a caricare la fascia centrale del campo, una disposizione che di certo non ha facilitato il controllo. Sono sembrati lenti nell’esecuzione anche dei passaggi più elementari e in questo contesto Semedo sembrava andare al doppio della velocità: le sue conduzioni hanno spezzato la monotonia di una squadra che occupa male il campo, faticando ad avere una circolazione del pallone che porti vantaggi.

Nelson Semedo appena vede campo davanti a sé lo aggredisce, provando a forzare la manovra, appoggiandosi al compagno della catena di destra, Sergi Roberto, o provando direttamente a superare l’avversario diretto in velocità. Semedo era l’unico a non rimanere imbottigliato nel centro del campo protetto dalla Roma. Il Barcellona imbottigliato al centro è stato il tema tattico della partita: era una scelta di Valverde, ma è stata neutralizzata bene dalla Roma.

Il dominio del centro del campo

Iniesta e Sergi Roberto sono partiti larghi ma quando si accentravano non riuscivano ad associarsi con Messi per via dei tanti avversari attorno. Il Barcellona non ha trovato l’ampiezza per aprire gli avversari e non è riuscita a creare triangoli naturali per disordinarli. Non ha cercato neanche la superiorità numerica dietro la linea di pressione avversaria, ma si è accontentata di sperare che la superiorità tecnica di Messi bastasse per generare occasioni da gol.

In una fascia di campo così ristretta la limitata reattività di Strootman e De Rossi ha smesso di essere un problema. La mezzala olandese, insieme a Pellegrini, è sempre stata puntuale nel capire quando alzarsi per andare in pressione e quando abbassarsi per rimanere vicino a De Rossi. La pressione alta non è scattata sempre e comunque, era legata alla circolazione bassa del Barcellona: quando i due centrali si scambiavano il pallone allora la Roma saliva in pressione, alzando molto anche la linea difensiva; altrimenti si limitava ad occupare il campo con una linea che in ogni caso era piuttosto alta per evitare di sfilacciare il centrocampo, mantenendo sempre le distanze sotto controllo. La scelta di Di Francesco ha permesso alla Roma sia di dare fastidio all’uscita del Barça che di difendere quando la palla arrivava a centrocampo.

Il Barcellona ha tentato di sfruttare la linea alta per rendersi pericolosa, cercando lo scatto di Suárez, Messi o Jordi Alba, ma la linea della Roma ha tenuto benissimo, tanto da portare a due fuorigiochi forzati nei primi 7 minuti. Da questo punto di vista la Roma vista al Camp Nou nel 2015, quella di Rudi Garcia, incapace di scegliere come difendere contro il Barça, è davvero solo un lontano ricordo.

Anche Messi è stato affrontato bene, senza cercare l’anticipo (una condanna) ma utilizzando la pazienza e i raddoppi. Serve sempre l’uomo davanti per sporcargli la linea di passaggio in ricezione, e e quello dietro a coprirgli la visuale della porta se dovesse girarsi. Serve poi un giocatore accanto per raddoppiarlo dopo che ha saltato il primo uomo. Messi non è al 100% e si vede, centellina gli scatti e la maggior parte del tempo la passa fermo ad attendere il pallone sui piedi. Spesso si prende lunghe pause col pallone prima di tentare il dribbling. Ieri però la Roma ha fatto tutto ciò che è umanamente possibile per rendergli la vita complicata, prima che riceva la palla e dopo.

Messi ha tentato 9 dribbling di cui 8 a ridosso dell’area della Roma perché sempre circondato (gliene sono riusciti 6 degli 8 tentati dal limite ma questo è un altro discorso).

Iniesta rimane una sicurezza quando si tratta di utilizzare la pausa per aiutare la squadra o il dribbling per superare l’avversario diretto (4 dribbling riusciti), ma la mancanza di cambio di passo successiva lo rende innocuo se non c’è spazio per giocare il pallone dopo. Il fatto che i suoi dribbling lo portino all’interno del campo non fa altro che peggiorare la situazione: Iniesta si avvicina di più a Messi, e quindi a tutti gli avversari che lo circondano di continuo.

Dalla parte opposta Sergi Roberto ricicla il possesso, stringendo a sua volta la posizione, e allora il Barcellona manca del tutto di ampiezza quando attacca in modo posizionale. Un problema che si era già visto bene contro il Chelsea.

Il Barcellona ha bisogno di profondità e la cerca attraverso Jordi Alba a sinistra ma non la trova a destra. Ousmane Dembélé non da sicurezze dal punto di vista difensivo a Valverde quanto Sergi Roberto, però il Barça avrebbe bisogno della sua imprevedibilità sull’esterno destro più che un accompagnante della manovra. Come già visto contro il Chelsea nella differenza tra andata e ritorno.

Paradossalmente per la propria storia il Barcellona nel primo tempo ha creato pericolo più dalla riaggressione che dalla propria manovra con la palla. Il rovescio positivo della medaglia di tutta quella densità centrale. Anche il gol del vantaggio nasce da una palla recuperata da Rakitic che segue Busquets nella riaggressione. L’intercetto arriva su di un passaggio di prima di Pellegrini, che aveva provato a verticalizzare subito per Dzeko. Rakitic si è trovato quindi a poter giocare il pallone con Messi e Iniesta liberi e la Roma non ancora schierata in formazione. Dal tentativo di triangolo per entrare in area di Messi con Iniesta arriva l’autogol di De Rossi. Basta la sola presenza di Messi in area, la sua ombra vicino al pallone, per portare De Rossi a un intervento goffo che eviti la chiusura del triangolo.

Dopo due occasioni che avrebbero potuto portare a un rigore per la Roma, la squadra di Di Francesco è andata vicinissima a pareggiare subito nel secondo tempo ma Perotti ha sbagliato un gol facile, di testa su cross di Florenzi. La differenza tra le due squadre sta anche in questo: poco dopo il Barcellona forza l’autogol di Manolas. Non passano neanche cinque minuti e il Barcellona segna il 3-0.

La Roma manca di profondità e di capacità di attraversare il campo in velocità, e questo la porta a dover attaccare con molti uomini una volta che si assesta nella metà campo del Barcellona.

Da questa coperta troppo corta nasce il terzo gol del Barcellona: da un tiro di Dzeko dopo un’azione manovrata della Roma arriva la respinta di Piqué che finisce sui piedi di Busquets, che può far partire la transizione offensiva. Dalle conduzioni di Sergi Roberto prima e Messi successivamente il Barcellona fa arrivare il pallone in area a Luis Suárez in una situazione praticamente di 4 contro 4 al centro dell’area tra i difensori della Roma e chi ha seguito la ripartenza del Barça: appunto Sergi Roberto, Messi, Luis Suárez e, a sorpresa, proprio Piqué, che ha poi messo la palla in porta dall’errata respinta di Alisson. Ancora una volta è bastato un attimo al Barcellona per arrivare al gol bruciando quanto di buono fatto dal laborioso piano gara della Roma.

In questo grafico di posizioni medie e di passaggi della Roma fino al 3-0, si vede la differenza di interpretazione tra Kolarov regista occulto della manovra e Bruno Peres vero e proprio esterno a tutta fascia. La mancanza di profondità centrale fa sì che il giocatore che viene trovato più alto è Perotti sulla fascia.

I cambi di Di Francesco

Per quanto sia giusto lodare il lavoro di preparazione di Di Francesco va rimarcato il fatto che il Barcellona ha saputo approfittare delle poche volte in cui l’avversario ha esposto il fianco, chiudendo la gara già all’ora di gioco. La Roma ha visto concretizzarsi le fragilità che pensava di avere già dalla vigilia, ma anche dopo aver subito due gol in 5 minuti si è rialzata, e questo è un segnale fondamentale per il prosieguo del progetto. In passato era successo il contrario: tra i cambi di Di Francesco e la resilienza di chi era in campo, i minuti migliori dal punto di vista offensivo arrivano proprio quando la squadra sembrava mentalmente bollita.

Con il risultato ormai deciso, e l’uscita obbligata di Busquets, Di Francesco inserisce Gonalons per Pellegrini e passa a due giocatori in linea davanti alla difesa (4-2-3-1). Il cambio tattico ha spezzato in due la Roma, una cosa sfruttata da Di Francesco con i due cambi successivi. Con El Shaarawy e Defrel, la Roma (passata al 4-2-4) attacca finalmente la profondità con continuità ed è una minaccia reale in transizione. L’allungarsi delle due squadre ha favorito la Roma, che a quel punto non aveva più bisogno di salire compatta.

Il gol che poteva regalare un minimo di speranze per il ritorno è arrivato dopo tre minuti in cui la Roma ha sfruttato il campo più aperto per tirare due volte nello specchio della porta, prima con Defrel e poi con Perotti. Poco dopo è arrivata la rimessa laterale da cui Perotti ha inventato la giocata per Dzeko. I cambi di Di Francesco hanno rotto la Roma tatticamente, ma hanno permesso alla squadra di ricaricare la squadra di un’inerzia positiva.

Il quarto gol del Barcellona, nato da un banale errore di Gonalons, ha confermato la narrazione di una partita in cui la Roma ha pagato ogni minimo errore. Due autogol e un gol arrivato da errore non forzato sono la differenza che c’è tra chi è abituato a giocare sempre a questi livelli, mantenendo la mente fredda, e chi invece sta giocando oltre il proprio limite e fa la fine di una pentola a pressione lasciata sul fuoco.

La Roma deve però sforzarsi di guardare il bicchiere mezzo pieno. Partite di questo tipo possono essere un punto di partenza e non necessariamente di arrivo. L’età media in campo della Roma non era bassa, e magari ci sarà bisogno di ripartire da uomini diversi, ma la partita di ieri - nonostante il risultato - ha dimostrato che la Roma era all’altezza dei quarti di finale di Champions League: una cosa non scontata, sia per la storia recente del club, che per i pronostici della vigilia.

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