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Dario Saltari

La lezione del Bayer Leverkusen

Per la Roma una sconfitta netta, non solo nel risultato.

La lettura della formazione ufficiale del Bayer Leverkusen è stato il primo momento di straniamento della serata romanista. La distinta ufficiale non presentava il nome né di Victor Boniface, attaccante da 18 gol e 10 assist in stagione, né tanto meno quello di Patrick Schick, con tutti i fantasmi che si portava dietro. Al loro posto Amine Adli, nome che in Italia non dice niente a nessuno e che tecnicamente non è nemmeno una prima punta. 

 

È stata la prima frattura tra due modi di concepire il calcio. Da una parte una squadra che ha passato un’intera settimana a pregare che alcuni dei suoi uomini migliori (Smalling e Lukaku) ritornassero in tempo dai loro infortuni, e che addirittura continuava a farne giocare uno nonostante fosse fuori condizione da settimane (Mancini). Dall’altra una che alcuni dei suoi uomini migliori li ha messi scientemente in panchina, nonostante fossero in perfette condizioni fisiche. Che cos’è più importante, quindi: gli uomini o le idee? Questo sembrava chiedersi la partita prima che l’arbitro fischiasse il suo inizio. 

 

Messa così sembra più manichea di quanto in realtà non sia stata, me ne rendo conto, ma il fondo di verità lo si può vedere nel paradosso che è stata l’unica squadra ancora imbattuta in Europa ad adeguarsi all’avversario e non il contrario. De Rossi dopo la partita ha detto di non essere rimasto sorpreso dalla formazione iniziale di Xabi Alonso ma più che altro dalla «bravura che hanno nell’attuare il loro gioco» e dal «loro momento di forma unito alle loro qualità fisiche e tecniche». Effettivamente la partita ha dimostrato quanta distanza ci sia tra scegliere undici giocatori e fare un piano gara che riesca a funzionare. Non a caso si dice leggere una partita: c’è differenza tra pronunciare una lettera dietro l’altra e capire il significato di una parola.

 

Amine Adli non era stato mandato in campo per sostituire Boniface, insomma, ma per colpire una specifica debolezza della Roma. L’esterno marocchino si è messo sulla corsia destra della squadra giallorossa, dove De Rossi non solo aveva il dubbio di come sostituire Celik (a proposito di uomini che contano più delle idee) ma dall’inizio della sua gestione continua anche a riproporre un ruolo ambiguo per Paulo Dybala, che teoricamente sarebbe proprio l’ala destra di un 4-3-3. In realtà, lo sappiamo, l’argentino è di fatto esonerato da compiti difensivi di ripiegamento sull’esterno, raddoppiando il lavoro da quella parte per Cristante e il centrale di difesa da quel lato (ieri Mancini). 

 

Non stupisce insomma che Xabi Alonso abbia pensato di intervenire proprio lì, con un’ala sinistra propensa ad allargarsi per ricevere con i piedi quasi sulla linea del fallo laterale. Con un uomo a fissare l’ampiezza da quel lato, Grimaldo – uno dei due cervelli del Bayer Leverkusen – era più libero di venire dentro al campo a cercare le ricezioni alle spalle di Cristante, e anche il centrale da quel lato (Hincapié) poteva permettersi delle conduzioni in avanti quando ce ne fosse stata la possibilità. Il triangolo Adli-Grimaldo-Hincapié, come si dice, ruotava, e la Roma non sembrava aver studiato come fermarlo. La squadra di De Rossi adottava un rigido orientamento sull’uomo nelle marcature ma non fino al punto di snaturare completamente la propria struttura posizionale. E quindi Cristante, che continuava a uscire in ritardo su Hincapié, cosa doveva fare se Grimaldo gli si metteva alle spalle? E Karsdorp, che teoricamente doveva prendere Grimaldo, cosa doveva fare se l’esterno spagnolo si accentrava per ricevere tra le linee? 

 

Un esempio della rotazione del triangolo di sinistra del Bayer Leverkusen. Hincapié è salito da terzino “di fatto”, liberato dal movimento verso il centro di Adli, che si è portato dietro Karsdorp. Il terzino olandese a quel punto esce verso l’esterno in ritardo, lasciando Mancini e Smalling in un potenziale due contro due con Adli e Grimaldo. Solo una scivolata miracolosa di Paredes impedirà pericoli più grandi.

 

Il trionfo della strategia scelta da Xabi Alonso da quel lato è stata l’azione che ha portato al gol dello 0-2. Il Bayer Leverkusen ha fatto circolare il pallone lungamente tra difesa a centrocampo, utilizzando i giocatori della Roma come birilli. Quando è andato a destra, Cristante automaticamente si è alzato su Hincapié, liberando alle sue spalle Xhaka. Il centrocampista svizzero ha potuto ricevere libero sulla propria trequarti e giocare in avanti senza pressione. Pellegrini, infatti, era stato portato fuori posizione dal movimento incontro di Wirtz, mentre Paredes teoricamente era su Andrich.

 

 

Le marcature a uomo della Roma sono andate ancora più in tilt sulla propria trequarti. Adli, che era partito dal centro, ha tagliato verso l’esterno portandosi dietro Smalling, e a quel punto Grimaldo, che invece non era stato seguito da Mancini (forse condizionato proprio dai suoi problemi fisici), si è trovato la strada libera per andare in porta. Pochi tocchi di palla dopo è arrivato il gran tiro da fuori area di Andrich che di fatto ha chiuso la partita e forse anche la qualificazione alla finale di Dublino. 

 

 

Anche dall’altro lato del campo, comunque, la Roma aveva poche certezze. Certo, Stanisic ha osato di meno nei movimenti senza palla rispetto a Grimaldo, che è un genio nel capire quali spazi occupare e quando, ma la squadra di De Rossi andava comunque in difficoltà. È stata particolarmente inspiegabile da questo punto di vista la scelta di non far uscire aggressivo Pellegrini su Tapsoba (come faceva Cristante su Hincapié dall’altra parte, per intenderci), nonostante il centrale burkinabé fosse perfettamente a suo agio con la palla tra i piedi. 

 

Proprio dai piedi di Tapsoba sono nate due tra le principali occasioni da gol del Bayer nel primo tempo: il tiro di Frimpong mandato sull’esterno della rete a tu per tu con Svilar, e ancora prima il doppio tiro ribattuto pochi minuti dopo il fischio d’inizio, prima di Adli e poi di Xhaka. Proprio l’incipit di questa azione mostra ancora una volta come l’orientamento sull’uomo del pressing della Roma abbia creato più confusione che opportunità contro la fluidità del Bayer Leverkusen. In questo caso, infatti, Pellegrini prende in consegna Xhaka, spingendo El Shaarawy a salire (in ritardo) su Tapsoba, e di conseguenza Paredes su Stanisic, largo a destra. Una serie di decisioni sfortunate che hanno aperto lo spazio per la traccia centrale, nemmeno così difficile, verso Wirtz e quindi per la transizione della squadra di Xabi Alonso. Ma è stata davvero una scelta, quella di non far uscire Pellegrini forte su Tapsoba, oppure i giocatori effettivamente non sapevano cosa fare? Anche in questo caso, come dall’altra parte, tutto sembra nascere dalla domanda: cosa doveva fare Pellegrini se Xhaka o Andrich gli si muovevano alle spalle?

 

 

Sono domande a cui la Roma non aveva risposta e viene da chiedersi quanto il nervosismo che hanno generato abbia inciso sugli errori che poi abbiamo visto in campo. Non è per tracciare una linea diretta tra la confusione tattica a destra e l’errore elementare di Karsdorp che ha mandato in vantaggio il Leverkusen, per esempio, ma è per cercare una risposta dell’inspiegabile burnout mentale che ha colpito la Roma dopo un gol subito al 27esimo di una partita di cui si doveva ancora giocare il ritorno. C’era tutto il tempo e invece la squadra di De Rossi è sembrata subito sull’orlo della disperazione. I segnali sono stati diversi. Karsdorp che risponde sarcasticamente ai fischi che gli arrivavano dagli spalti, gettando inquietanti ombre da fine impero sulla sua esperienza a Roma; soprattutto il continuo rimproverarsi dei giocatori della Roma nei momenti di difficoltà. È stata un’immagine ricorrente della partita giallorossa: le braccia larghe rivolte verso un compagno mentre gli avversari risalgono il campo velocemente, come a dire: e tu dov’eri? 

 

Nel momento in cui ha capito di non avere risposte dal gioco collettivo, la Roma ha allargato le braccia verso i propri giocatori chiedendogli di risolverla loro. Il Bayer, invece, è stato ancora una volta più lucido. Attendendosi (e temendo) un secondo tempo arrembante da parte degli avversari, la squadra di Xabi Alonso ha progressivamente lasciato il pallone e abbassato il baricentro, con l’obiettivo di compattarsi centralmente e impedire le ricezioni tra le linee. Da una parte, quindi, i tre giocatori più tecnici della Roma (Pellegrini, Dybala e Paredes), che venivano in difesa per farsi dare palla e trovare la giocata risolutiva; dall’altra il Bayer Leverkusen che si compattava sotto la linea della palla, occupando il centro. La somma delle due cose ha prodotto lo svuotamento totale del centrocampo della Roma, che a quel punto non aveva più alcun mezzo per risalire il campo, che non fossero le conduzioni individuali (soprattutto di Spinazzola) o i lanci lunghi verso Lukaku, ieri praticamente impalpabile. È stato abbastanza impressionante vedere quanto i giocatori del Bayer erano vicini quando dovevano giocare il pallone, pronti a fornirsi una linea di passaggio, rispetto a una Roma a cui dovevano riuscire passaggi di decine di metri, o dribbling tra tre giocatori avversari, o conduzioni uno contro tutti. 

 

Anche questo confronto diretto deve aver prodotto qualcosa nelle teste dei giocatori di De Rossi, che ha visto i propri difensori andare in crisi anche senza un accenno di pressione, oltre a una miriade di scelte individuali sbagliate. Non è la prima volta che la Roma dimostra di non essere più lucida quando viene dominata dall’avversario con il gioco (era successo qualcosa di molto simile già contro il Bologna in campionato), come se stesse abbandonando quella parte di sé consapevole che le partite possono cambiare anche con gol sporchi, momenti estemporanei. Che non bisogna essere necessariamente migliori per vincere una partita di calcio, figuriamoci un doppio confronto. Le due occasioni d’oro uscite fuori dal nulla e sprecate prima da Azmoun e poi da Abraham nel finale raccontano anche di questo.

 

Il risultato, insomma, sarebbe potuto essere differente. La partita, però, no. Quella, come detto, è stato il frutto di una confusione tattica e di un nervosismo mentale che non si può banalizzare dicendosi che è stata solo una serata storta. Se da una parte i centrali laterali, Hincapié e Tapsoba, si muovevano con l’idea di scombinare le linee avversarie, dall’altra Smalling, pur lasciato libero di avanzare nel secondo tempo, sembrava non avere la minima idea di cosa stesse facendo. 

 

Smalling è solo un esempio, come lo dovrebbe essere anche Karsdorp: la partita di ieri dovrebbe avercelo insegnato. Il calcio si gioca con la testa almeno tanto quanto si gioca con i piedi, se non di più, e forse nulla ieri ce lo ha ricordato quanto il confronto a distanza tra Wirtz e Dybala. I due erano investiti di ruoli e compiti simili – essere il faro tecnico della squadra, occupare zone centrali di campo per dare linee di passaggio ai compagni e permettere alla squadra di risalire il campo – eppure il confronto è stato impietoso. Il talento di appena 21 anni alle sue prime esperienze internazionali sembrava stare sempre al posto giusto al momento giusto. Il trequartista sublime con più di 120 gol in Serie A e un Mondiale vinto alle spalle è parso invece svuotato del suo talento. 

 

Alla fine di questi novanta minuti si può quindi guardare al ritorno dicendosi che Wirtz è più forte di Dybala, qualsiasi cosa significhi, e sprofondare nella rassegnazione. Oppure provare a capire da dove viene questa consapevolezza in campo, inserirla nel percorso più grande del Bayer Leverkusen di Xabi Alonso, accettare che questa serata di grazia non è certo frutto del caso. In un certo senso, sarebbe anche rassicurante: non solo in vista del ritorno, ma anche del percorso più lungo che la Roma ha detto di voler intraprendere con Daniele De Rossi. Insomma: se ce l’ha fatta una società relativamente piccola come il Bayer Leverkusen prendendo un allenatore giovane con la squadra al penultimo posto, perché non ce la può fare anche la Roma?

 

Si dice che nello sport o si vince o si impara. Visto che la Roma ieri ha perso, nel risultato e ancora di più nella prestazione, sarebbe importante che imparasse le lezioni giuste.

 

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Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.