«Ricordo il 5 maggio solo per la morte di Napoleone Bonaparte», ha detto José Mourinho alla vigilia della finale di Coppa Italia con la Roma, per scacciare il ricordo del 2002 e forse anche per dare una portata storica al momento che stava per vivere l’Inter. Tre giorni prima la sua squadra aveva battuto la Lazio in un Olimpico che faceva il tifo contro la propria squadra ma di fatto lo Scudetto lo aveva buttato al vento la Roma la settimana ancora precedente, perdendo in casa con la Sampdoria di Pazzini e Cassano, dopo una rimonta pazzesca in cui a gennaio non avrebbe creduto nessuno (alla fine del girone di andata le due squadre erano separate da 13 punti). Una settimana prima, invece, aveva compiuto l’impresa del Camp Nou, perdendo 1-0 con un uomo in meno ed eliminando il Barcellona di Guardiola in virtù del 3-1 della partita di andata.
Insomma, a due giornate dalla fine il campionato poteva essere considerato vinto e anche per la finale di Champions League con il Bayern di Monaco l’Inter poteva essere considerata favorita. Nelle pagelle del «Corriere della Sera», dopo la partita con la Lazio Mourinho aveva preso 7: «Il fatto che superare la Roma sia molto semplice non mina la grandezza dell’Inter e del suo allenatore sempre più in corsa per la tripletta».
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Vincere la finale di Coppa Italia, però, non era così scontato. Anzitutto perché si giocava all’Olimpico, cosa che Mourinho non aveva mancato di sottolineare. Non parlava alla stampa, se non per la Champions League, da fine febbraio, da quando cioè aveva mostrato i propri pugni ammanettati nel momento della stagione in cui l’Inter aveva iniziato a perdere punti. In occasione della sua prima vera finale però aveva risposto a Rosella Sensi, che aveva detto che si sarebbero dovuti «vergognare» dopo la partita con la Lazio. Non solo l’Inter non aveva rubato niente - aveva detto Mourinho - ma nessuno le aveva regalato niente. I portieri avversari, anche Muslera della Lazio, facevano sempre i fenomeni contro di lei, così come gli ex di turno, come Burdisso, davano tutto quando ci giocavano contro. Infine, ha detto Mourinho: «Noi giochiamo ogni tre giorni, gli altri in settimana prendono il sole».
Prima che la partita inizi dalle casse dello stadio, per errore, parte l’inno della Roma, subito fermato. Mourinho «furibondo» - racconta il bordocampista della «Rai» Thomas Villa - protesta già: «Allora se facciamo 1-1 vinciamo noi perché siamo in trasferta?».
Gianni Cerqueti, introducendo la finale su «Rai Uno» ricorda che quello è «il primo momento della verità dell’Inter», che vuole vincere «il triplo» che non era riuscito a nessuna squadra italiana prima (ed è buffo che ancora nessuno lo chiami con confidenza triplete). È la ventiquattresima volta che Roma e Inter si incontrano nelle ultime sei stagioni, ed è la quinta finale di Coppa Italia dal 2005: nelle occasioni precedenti hanno vinto due volte per una. Negli scontri diretti in campionato aveva fatto più punti la Roma: pareggiando a San Siro – grandissimo gol di Vucinic, di testa dal limite dell’area, staccando in terzo tempo su Lucio e mettendola sotto l’incrocio; gol altrettanto straordinario di Sanuel Eto’o che aveva controllato un passaggio in area con le spalle alla porta e si era girato trovando l’angolino in un solo respiro – e poi aveva vinto 2-1 all’Olimpico con il gol di Toni e il palo colpito da Milito da pochi metri giusto prima del fischio finale.
Per forza di cose sarebbe stata una partita ad alta tensione: la Roma non aveva quasi niente da perdere ma molto da guadagnare (la famigerata stella d’argento della decima Coppa Italia da cucire sulla maglia per sempre), l’Inter doveva mantenere intatto il sogno del triplete e, soprattutto, non doveva compromettere la fiducia che aveva costruito in se stessa. Claudio Ranieri aveva avvertito i suoi: «Se la mettiamo sulla rissa, perdiamo. Loro sono degli armadi».
E invece dopo neanche trenta secondi, su una palla alta di Pizarro a metà strada tra Burdisso e Sneijder, è l’interista, arrivato in anticipo, ad avere la peggio.
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C’è una strana atmosfera che, in realtà, sembra andare oltre i giocatori in campo. Sui giornali nei giorni precedenti alla partita si parlava di un Olimpico «blindato», con duemila agenti e la Digos che aveva paura si infiltrassero le «frange estreme» del tifo laziale. Quando dopo pochi minuti viene inquadrato Mourinho con la macchia aliena di un laser verde che qualcuno gli punta in faccia Cerqueti si innervosisce subito e dice che è «qualche imbecille». Burdisso viene ammonito e si scusa con Sneijder, che torna in campo con uno strano bozzo viola sulla coscia e chiede il cambio quasi subito. Entra Mario Balotelli, che si mette a sinistra.
L’Inter gioca a specchio del 4-2-3-1 della Roma, con Cambiasso davanti alla difesa sul trequartista giallorosso mentre Thiago Motta e Zanetti portano la loro pressione rispettivamente su Pizarro e De Rossi. Quando De Rossi si alza lasciando a Pizarro l’incombenza della costruzione, l’Inter gioca con Zanetti e Cambiasso vicini e Thiago Motta su una linea più avanzata.
È chiaro che l’Inter vuole rubare palla e ripartire velocemente, bloccando il centro all’altezza della metà campo e accettando che i difensori della Roma gestiscano la palla. Una strategia che Ranieri aveva involontariamente agevolato, rinunciando a sorpresa a Totti, mettendo Perrotta dietro a Toni, con Vucinic e Taddei ai lati. È una Roma dinamica e fisica ma prevedibile e imprecisa in avanti, che fatica a salire con molti uomini oltre la metà campo e si rifugia spesso nel cross dalla trequarti per la testa di Toni, non trovandolo mai. Già dopo dieci minuti Cambiasso ruba palla a Vucinic e sullo sviluppo dell’azione Maicon arriva al tiro da dentro l’area, deviato in angolo da Julio Sergio.
Dopo un quarto d’ora Rizzoli annulla un gol a Milito, partito in fuorigioco di qualche centimetro e Mourinho si avvicina allo schermo del quarto uomo per verificare. Subito dopo Vucinic si procura una punizione da venticinque metri, Materazzi pensa che si sia buttato e gli mette una mano al collo. Calcia Riise, la barriera respinge e la palla torna a Vucinic che calcia al volo: sullo slancio, nel tentativo di murargli il tiro, gli finisce addosso Eto’o, che poi gli dice qualcosa con il dito puntato. Vucinic resta tranquillo ma la partita ha iniziato a innervosirsi. Fulvio Collovati, la seconda voce al commento, dice: «Sta succedendo qualcosa».
L’aggressività della difesa dell’Inter, che anticipa quasi sempre Toni, non permette alla Roma di alzare il baricentro. Senza Lucio, infortunato, al centro gioca Cordoba e Materazzi, con Chivu nominalmente in posizione di terzino sinistro ma che, in fase di possesso, fa da terzo centrale di difesa (mentre Maicon dall’altra parte sale fino a centrocampo). La difesa nerazzurra non imposta: Cordoba dà palla a Materazzi che alza la testa e cerca alternativamente Balotelli sulla linea laterale a sinistra o il movimento a smarcarsi di Milito, sempre abilissimo a fare la sponda.
Dalla parte opposta ci sono i migliori portatori di palla nerazzurri: Eto’o, Maicon e Zanetti resistono individualmente alla pressione e con scambi fluidi risalgono facilmente il campo. Da quella parte l’Inter è in superiorità, perché Vucinic non rientra, e riesce ad approfittare del tempo necessario a De Rossi per scalare sulla fascia per riuscire a far girare la palla. La Roma invece ha un vantaggio al centro, quando Riise sale impegnando Maicon e Vucinic stringe la posizione al lato di Cambiasso, costringendolo a scegliere tra lui e Perrotta. È da queste due situazioni tattiche che si generano le occasioni del primo tempo.
Al ventesimo Eto’o pesca con il sinistro Balotelli in area di rigore: Burdisso salva un gol quasi fatto con una scivolata a mezza altezza che mura il tiro dell'attaccante nerazzurro. Cinque minuti dopo Vucinic riceve un bel filtrante di Pizarro e aggira Materazzi che era uscito dalla linea difensiva, poi la passa a Taddei che taglia alle spalle di Chivu: Cordoba stringe e lascia solo Toni in area, Taddei prova a raggiungerlo con un passaggio in scivolata ma Julio Cesar esce basso e respinge con una mano.
Poco dopo, su un fallo a metà campo guadagnato da Thiago Motta protestano sia i giocatori della Roma che Eto’o. De Rossi si mette l’indice sulle labbra e Rizzoli, prima di far battere la punizione chiama i due capitani per dirgli di far star calmi i loro compagni.
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L’Inter non ha grandi idee, ma è la squadra con i giocatori migliori e offensivamente basta uno scambio veloce e improvvisato per creare superiorità. Il fatto che la Roma non abbia una strategia per pressarla, ma si posizioni con due linee da 4 ad aspettare che perda palla, facilita la vita dei portatori nerazzurri e nella seconda metà del primo tempo si gioca quasi solo nella metà campo romanista. Per dire: l’occasione migliore della Roma è un colpo di testa di Perrotta dal limite dell’area, colpito in corsa, senza neanche saltare. Al trentaquattresimo, in realtà, alla Roma riesce bene l’unica ripartenza di tutta la partita, con Vucinic che triangola con Toni e poi se va a Materazzi che lo stende. Ammonito.
Poi c’è il gol di Milito. In una delle poche situazioni in cui la Roma porta la propria linea difensiva vicina a quella di metà campo e prova a forzare il blocco interista. Juan porta palla oltre la pressione di Milito e scarica, la palla arriva a Vucinic che prova a girarla al centro a Perrotta ma sbaglia il passaggio: Thiago Motta di prima, di esterno, manda Milito in campo aperto contro Mexes, che temporeggia fin dentro la propria area di rigore, Perrotta recupera da dietro ma Milito appena entrato in area incrocia di destro sotto l’incrocio. Un gol che per Collovati è «da iscrivere negli annali».
A quel punto, con la Roma sotto di un gol e francamente poche speranze di recuperarlo, il nervosismo della partita sale di livello. Prima Burdisso rischia l’espulsione perché arriva in ritardo su Balotelli tamponandolo. Poi, sempre Balotelli, conquista un fallo sulla trequarti e provoca Mexes, che finge di dargli una capocciata. Balotelli ride come un pazzo. Su quella stessa punizione, Mexes colpisce con un pugno sul costato Materazzi, in area di rigore. Già qualche minuto prima Mexes e Materazzi erano entrati in contatto su un calcio piazzato e Materazzi era rotolato a terra. L’arbitro, forse per dare un segnale ma senza aver visto il pugno, ammonisce Mexes.
Cerqueti dice: «Non è una partita tranquilla per Rizzoli alla sua prima finale di Coppa Italia». Il giorno dopo, sul «Corriere della Sera», Sconcerti scriverà che l’arbitraggio è stato «scellerato» e ha giustificato il clima di «bolgia» in cui si giocava.
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Nel secondo tempo entra Francesco Totti, al posto di Pizzarro. Perrotta scala al centro del centrocampo e la Roma adesso riesce a risalire il campo con maggiore fluidità. Dopo otto minuti proprio Totti calcia una punizione da quasi trenta metri, il tiro è centrale ma rimbalza proprio davanti a Julio Cesar, che respinge sulla testa di Juan a pochi passi. Il difensore brasiliano, però, manda alto a porta vuota.
L’Inter gestisce il vantaggio con un possesso palla conservativo che in alcuni momenti somiglia a un torello e va vicina al gol solo con una ripartenza di Milito e Eto’o, la cui rapidità contrasta con la flemma di Balotelli a cui arriva la palla in area di rigore, che per controllare e tirare ci mette così tanto che alla fine ha mezza squadra avversaria davanti e comunque riesce a costringere Julio Sergio alla parata.
Ranieri mette dentro anche Menez al posto di Toni e a quel punto la Roma ha abbastanza giocatori di qualità per tenere palla nella metà campo interista e fargli abbassare il baricentro. L’Inter di Mourinho, però, è perfettamente a proprio agio e in controllo – la Roma riesce a calciare solo con punizioni da trenta metri – e da qui in avanti restano da segnalare solo punizioni e le piccole e grandi rosicate della Roma. Totti se la prende con Milito, che gli toglie palla con una spallata e si prende un pestone; e quando manca più o meno mezz’ora dà un calcetto in testa a Thiago Motta, che aveva preso un fallo a centrocampo.
A dieci minuti della fine la Roma chiede un rigore per un tocco di Chivu su Menez che cade all’ingresso in area di rigore, poi Vucinic ha l’ultima vera occasione della partita, forse la più limpida della Roma: Marco Motta (entrato al posto di Burdisso a inizio secondo tempo) vince un rimpallo con Cambiasso, la palla si impenna e arriva a Vucinic in area, il suo diagonale però è sciatto. Poco dopo Taddei scivola con entrambe le gambe tese alle spalle di Thiago Motta, in zona c’è Balotelli che rompe talmente le palle che Rizzoli lo ammonisce. Totti inizia a minacciarlo. L’Inter batte la punizione e ne conquista un’altra perché Totti e Taddei riescono a fare due falli a distanza di pochissimi secondi. È lì che Balotelli dice qualcosa che, stando alla versione di Totti, è diretto «infangare una città e un intero popolo». Totti decide che vale la pena inseguirlo e dargli il famoso calcio da dietro che gli costa il cartellino rosso.
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La partita finisce su un altro fallo plateale di Taddei, che appoggia i tacchetti sulla coscia di Sulley Muntari, che lo trascina a terra scatenando l’ennesima discussione. L’arbitro fischia la fine e un tifoso fa invasione e cerca di arrivare su Cambiasso ma viene prima messo a terra.
Per Sconcerti è stata «Una partita di botte, di calci cattivi, di errori arbitrali profondi». Ranieri alla fine parla dell’occasione del gol di Milito: «Ci ha puniti un episodio» e del fatto che la sua squadra non ha giocato come al solito: «Siamo caduti nella trappola dell’Inter». Milito si complimenta con gli avversari: «Una grandissima squadra che ci ha contrastato in tutti i modi, l’avversario migliore».
Mourinho si complimenta con i suoi ragazzi: «Sono stati fantastici» e chiede ai tifosi di non venire a Malpensa per lasciar riposare la squadra. Mancano tre partite alla fine di quella stagione storica e l’Inter ha dimostrato una maturità e una consapevolezza da grande squadra, mostrandosi comunque superiore all’unica avversaria capace di darle del filo da torcere. Si parla già di un possibile passaggio di Mourinho al Real Madrid. Quella sera, il tecnico portoghese sente di voler restare, ma dice anche che non sarebbe grave per l’Inter perderlo, perché «ormai ha fatto il salto di qualità».