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Le partite sono ancora tante e i giocatori del Napoli sono pochi
03 feb 2025
Il pareggio con la Roma ha mostrato possibili problemi futuri.
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IMAGO / ABACAPRESS
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Per buona parte della serata di ieri il Napoli è stato in vantaggio di cinque punti sull’Inter seconda. Certo, la squadra di Inzaghi aveva una partita in meno, ma all’Olimpico si aveva la sensazione di essere di fronte a un tornante decisivo di questo duello. Battere la Roma avrebbe voluto dire uscire con 9 punti dal trittico di sfide con Atalanta, Juventus e Roma; avrebbe voluto dire poter affrontare lo scontro diretto in programma tra un mese con la tranquillità di poter persino perdere.

Il Napoli però, forse, ha iniziato troppo presto il suo conto alla rovescia.

Mancano quindici partite alla fine, mancavano due minuti al fischio finale quando McTominay non è riuscito a fare l’ultimo scatto della sua partita. Stava seguendo Dybala, che però si è andato a infilare in area; a quel punto si è staccato per prendere Saelemaekers. Il belga ha prima rallentato, fintando di voler rimanere più basso, e poi ha accelerato, e a quel punto le gambe di McTominay - tra le gambe migliori del campionato - hanno ceduto. Saelemaekers ha completato la sovrapposizione sul passaggio di Soulé e a quel punto in area di rigore c’erano un paio di giocatori molto liberi e un altro paio in posizione interessante. Il Napoli era mal messo, troppo schiacciato verso la porta. Angeliño ha fatto due passi indietro ancor prima che Saelemaekers crossasse e quando la palla gli è arrivata si è coordinato come altre decine di volte aveva fatto in questa stagione, senza mai riuscire a segnare. La palla è entrata e il vantaggio del Napoli è sceso a +3, che sarebbe pari punti se l’Inter riuscisse a battere la Fiorentina nel proprio recupero.

Se la partita fosse finita prima, se Mazzocchi avesse fatto due passi più indietro, se McTominay non si fosse fermato, il Napoli ora avrebbe oggi una classifica da sogno. Tutti questi 'se' - che avrebbero potuto essere molti di più - ronzavano nella testa di Antonio Conte dopo la partita, quando si è presentato amaro e nervoso ai microfoni: «Hanno fatto una fotocopia uguale con l’Eintracht e avevamo mostrato la situazione 10-12 volte in video. Ci sono tante cose che potevano essere fatte meglio».

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Si può sempre migliorare, si può sempre fare di più; si sogna una perfezione difensiva ai limiti dell’umano, in cui una squadra può difendersi nei pressi dell’area per 90, 180, 270 minuti senza subire gol e nemmeno tiri, senza commettere errori, senza fare una piega. Sventare cross in area e ribattere tiri da fuori senza il minimo sforzo, assecondando una seconda natura.

Quando difende il risultato il Napoli ti dà sempre la sensazione di potercela fare. È andata in vantaggio per 19 volte in Serie A e per 17 volte ha vinto la partita. A volte, però, è una strategia che sembra puramente teorica, una sopravvalutazione della volontà. Basta essere concentrati, non farsi sfuggire nulla, e se non si vuole subire gol allora non si subisce gol.

È stata una partita dominata dalla paura, o comunque da uno scrupolo ossessivo nel controllo. Una partita, dobbiamo dirlo, molto italiana. Il Napoli manteneva la palla tra i centrali difensivi, la Roma li guardava palleggiare. Nessuno voleva prendersi i rischi. La Roma concedendo spazi centrali troppo ampi, il Napoli affrettando la verticalizzazione e regalando comode transizioni. E così abbiamo visto questo esercizio meditativo di palleggio e controllo del Napoli, e lo spirito di sacrificio della Roma, che con le sue riserve cercava di coprire il campo di qua e di là, scivolando lateralmente per ricucire le distanze. Per quanto si sarebbe potuto proseguire così?

Da manuale di una squadra italiana, il Napoli aveva preparato una specifica strategia per fare gol. Antonio Conte l’aveva pensata in settimana, l’aveva visualizzata per filo e per segno, e questa poi si è verificata. Juan Jesus lancia per David Neres in profondità; è scappato alla marcatura di Rensch. Il brasiliano mette in mezzo, Lukaku ripulisce per McTominay che calcia da buona posizione in modo moscio. Una classica azione di questa versione recente del Napoli, in cui si crea gioco per gli inserimenti delle mezzali.

Sei minuti più tardi l’azione si ripete. Juan Jesus lancia in profondità davanti a sé, stavolta per Spinazzola, che ha fatto un movimento prima a venire incontro e poi uno scatto per lanciarsi nello spazio. Mancini legge in ritardo la situazione, tiene in gioco l’ex compagno di squadra; Svilar sbaglia la previsione ed esce troppo tardi, Spinazzola lo scavalca con un pallonetto.

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Conte aveva preparato questa verticalizzazione sul lato destro della difesa della Roma, e questa ha puntualmente fruttato il gol. Risolto l’impaccio dell’andare in vantaggio, a quel punto il Napoli poteva concentrarsi sulla cosa che le riesce meglio: difendersi. Tutto sembrava andare secondo i piani. Nessuno subisce meno occasioni del Napoli in Serie A.

La Roma del resto non sembrava avere molte armi contro la migliore difesa del campionato. A parte una breve sfuriata nei minuti finali del primo tempo aveva combinato poco. Stretto tra due partite di coppa ritenute più importanti, Ranieri ha schierato una squadra strana. Non c’era nessuno dei tre giocatori che rappresentano l’ossatura della Roma attuale: Hummels, Paredes e Dybala; non c’era nemmeno il secondo giocatore più creativo della squadra, Alexis Saelemaekers. L’undici era uno strano miscuglio di riserve, giocatori in difficoltà, rientrati dagli infortuni in condizioni fisiche incerte. In attacco c’era Eldor Shomurodov, il cui principale compito era rincorrere tutti, spendersi in un pressing sterile e solitario.

Insomma, quel gol del Napoli sembrava davvero sufficiente. La squadra palleggiava dietro e dopo un paio di verticalizzazioni un po’ affrettate di Juan Jesus - il giocatore più pericoloso in impostazione fino a quel momento - Conte lo ha richiamato: «Juan, non facciamo cazzate». Rrahmani, Juan Jesus e Di Lorenzo hanno completato insieme 216 passaggi: la metà di quelli dell’intera squadra. I due centrali si sono scambiati il pallone 50 volte tra loro due.

I secondi tempi sono stati il territorio del Napoli in questa stagione. Abbiamo ancora tutti negli occhi l’intensità folle, esaltante, con cui la squadra di Conte ha ribaltato la partita contro la Juventus. Col passare dei minuti la freschezza e la potenza fisica del Napoli sembra aumentare - specie quella di McTominay e Anguissa, i panzer di questa squadra con un’idea a volte un po’ elementare del calcio, ma che ha la bellezza delle cose semplici. Ieri sera però il Napoli è sembrato stanco per la prima volta: si sono visti i segni delle partite e degli sforzi ripetuti, della concentrazione tesa con cui gioca la squadra.

Ieri sera abbiamo visto una versione meno divertente del Napoli. Non una squadra che lascia andare la propria potenza fisica, ma una che cerca di abbattere i rischi, attenta fino alla paranoia. E così quando Ranieri ha tirato fuori dalla panchina i suoi giocatori di talento, il Napoli ha iniziato ad abbassarsi un poco alla volta. Mentre la Roma schierava Dybala, Baldanzi, Dovbyk, Paredes, Saelemaekers, il Napoli rispondeva con i soli Simeone, Mazzocchi e Raspadori. A un certo punto la qualità della Roma è sembrata semplicemente troppa: eccessive le sollecitazioni su una linea difensiva sempre più stanca. Una casa che non cade tutta insieme ma solo un poco alla volta, a forza di ricezioni di Dybala nei mezzi spazi, giocate nello stretto di Soulè, corse in profondità di Dovbyk, sovrapposizioni di Angelino, verticalizzazioni di Paredes.

Quella mancanza d’attenzione sull’ultima occasione è il prodotto di tutti questi piccoli stress su una squadra sempre più stanca, e con in campo giocatori forse non all’altezza dei propri obiettivi. È lecito chiedere a Mazzocchi la lucidità per seguire Angelino in una situazione difensiva così difficile? Come è possibile che una squadra di mezza classifica come la Roma appaia più lunga e attrezzata di quella che lotta per lo Scudetto?

«Il Napoli si abbassato troppo?», avevano chiesto a Di Lorenzo a fine primo tempo, commentando gli ultimi cinque minuti della frazione. Il capitano aveva risposto di sì, che la Roma ha giocatori di qualità e non conveniva portarli troppo vicini alla porta; che il Napoli allora avrebbe dovuto ricominciare a pressare forte. Allora perché non è successo, perché il Napoli non ha continuato a prendere la Roma alta, o a palleggiare per rallentare i ritmi ulteriormente e placare la furia della Roma?

Come sottolineato anche da Conte, la Roma in casa è difficile da battere. Nelle ultime cinque stagioni è la squadra che ha vinto più partite casalinghe in Europa nei cinque maggiori campionati, insieme al Manchester City. Prima di questa partita veniva da sette vittorie consecutive all'Olimpico.

È inutile negare, però, che questa partita ha evidenziato anche i limiti del Napoli, una squadra che è il prodotto brillante ma anche la vittima della propria narrazione. Quella di una squadra ridotta ai minimi termini, stanca, ma capace di lottare ben oltre i propri limiti. «Siamo pochi ma siamo giusti e affamati», ha sintetizzato Conte un paio di settimane fa.

La forza del Napoli è la sua coesione: tattica, fisica, mentale. Una squadra che prepara scrupolosamente una partita a settimana, e la prepara davvero - senza retorica - come fosse una finale. Questo la porta a essere ossessionata dal controllo delle variabili, e a fidarsi a volte eccessivamente del controllo degli spazi difensivi. Così quando si è trovata stanca e in difficoltà nel secondo tempo, è tornata nella propria comfort zone: la difesa dell’area di rigore.

Per essere ancora più lineare e organizzata, il Napoli ha rinunciato a ogni stravaganza. Kvaratskhelia sembrava fare un gioco diverso dai compagni, nel bene e nel male. Aveva una libertà che a nessuno era concessa, e ha risolto qualche partita con invenzioni individuali. Il suo sacrificio, però, ha permesso al Napoli di essere ancora più ordinato - anche qui: nel bene e nel male. È diventata una squadra ancora più lineare, fisica e controllata. Kvara è andato via per l’offerta da 70 milioni, è chiaro, ma Conte aveva già iniziato a tenerlo più defilato nel progetto, e lui sembrava sempre più involuto e in difficoltà dentro questa squadra così diversa dal suo modo di intendere il calcio.

Tutta questa coerenza ha il suo risvolto negativo. Il Napoli è corto, contato e se non è in perfette condizioni psico-fisiche va in difficoltà. Dalla panchina Conte non ha più risorse a cui affidarsi. Se prima Neres era un cambio in corsa in grado di avere un impatto offensivo, e poteva anche esserlo Spinazzola, ora non ci sono neanche quelli, visto che per mercato e infortuni sono diventati titolari. Il rientro di Buongiorno sistemerà qualcosa dietro, ma non è quello il problema.

C’è un limite oltre il quale questa compattezza del Napoli diventa povertà e l’organizzazione diventa una gabbia. C'è un limite oltre il quale anche l'avere una competizione sola non può nascondere i problemi della rosa.

Non voglio essere troppo severo: un pareggio all’Olimpico, arrivato per di più all’ultimo minuto, non cambia nulla del percorso del Napoli. Parlo soprattutto dei rischi che questa squadra potrebbe affrontare nelle prossime settimane, le conseguenze di una una rosa non all’altezza di una lotta scudetto ancora lunga. Il Napoli sembra giocare col fuoco sacro delle ultime partite, degli ultimi minuti, ma forse ha iniziato troppo presto a farlo.

Quindici partite sono tante e i giocatori del Napoli pochi. C’è un momento in cui Mazzocchi, Simeone e Raspadori dalla panchina non possono bastare, e contro la Roma non sono bastati. Sono trascorse più di due settimane dalla cessione di Kvaratskhelia al PSG ed è piuttosto incredibile che con i soldi di quella cessione il Napoli non sia riuscito a prendere un suo sostituto, magari anche investendone solo una parte. Si è parlato a lungo di Garnacho, poi di Noa Lang, poi di Saint Maximin e oggi - in un declino progressivo di spessore - si sta parlando di un prestito di Noah Okafor dal Milan.

Il Napoli sta sottovalutando il momento? Non ci sarebbe bisogno di consolidare le proprie ambizioni sul mercato?

Conte sta veramente facendo un miracolo ed è difficile chiedere di più a questa squadra. L’aiuto dovrebbe arrivare da fuori e a questo punto della stagione, con uno Scudetto davvero alla portata, sarebbe un crimine non darglielo.

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