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Non ci dimenticheremo delle notti di coppa di Paulo Dybala
21 feb 2025
Contro il Porto un'altra serata indimenticabile per il fuoriclasse argentino.
(articolo)
6 min
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IMAGO / ABACAPRESS
(copertina) IMAGO / ABACAPRESS
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Sono anni in cui è sempre più difficile trovare spazio per giocatori come Paulo Dybala. Spazio salariale, per giustificare un fisico che non può reggere le 60 partite l’anno richieste ormai ai migliori giocatori del mondo. Ma anche spazio reale, geografico, spazio di campo: quella zona che più che un mezzo spazio è una tasca sulla trequarti, leggermente spostata sulla destra, che gli permette di ricevere abbastanza lontano dal centrale di riferimento, e alle spalle della mezzala che copre quel lato. Una specie di zona d’ombra che gli garantisce anche di lavorare un po’ meno con la palla, rimanere lucido, e che va ricamata come un buco su un maglione attraverso il lavoro dell’allenatore e degli altri nove giocatori di movimento. Una difesa a cinque dietro, due mezzali dai polmoni profondi che compensino con scalate sempre in orario.

Qualche giorno fa abbiamo intervistato Giuseppe Rossi e, alla domanda su quale fosse il suo ruolo, ha fatto fatica a rispondere con le coordinate che abbiamo oggi, in cui lo spazio per giocatori come lui, e quindi anche i giocatori che prendono la forma di quello spazio, sembrano non poter esistere più. In che ruolo giocheresti oggi? Gli ha chiesto Marco D’Ottavi: ala? «No, ala no, perché bisogna correre troppo». Centravanti? «No, perché oggi si gioca con un centravanti bello tosto, bello grande, che deve difendere il pallone, buttarsi in area di rigore, trovare lo spazio per fare gol. Però nello sviluppo di gioco non è molto presente. Come giocavo io… ti dico la verità? Quanti ci sono che la giocano oggi? C’è solo Messi, e ok, forse Dybala…».

Ieri, commentando una partita in cui è stato demiurgo di quasi tutte le occasioni pericolose create dalla Roma, Dybala ha detto che le due azioni dei suoi gol sono arrivate «dalla mia parte», come se fosse un caso, e la mia idea è che si riferisse anche a quello spazio. Uno spazio che ha a che fare anche con la dimensione temporale. Nella fase ad eliminazione diretta delle coppe, quando il calcio si distilla in singoli palloni che pesano come intere stagioni, Dybala sembra coincidere con l’idea platonica che abbiamo di lui. Non un giocatore che deve garantire continuità nell’arco di decine di partite, ma uno a cui basta un singolo pallone per cambiare le cose. E che a volte può utilizzarne davvero solo uno. «È la miccia e la bomba», ha detto Claudio Ranieri ieri, dopo la vittoria contro il Porto, sintetizzando.

Per quest'ultima rinascita, si parla molto dell’importanza dell’allenatore romano («È nato praticamente dentro Trigoria», ha detto ieri Dybala) e poco della dimensione dell’Europa League, del fatto cioè che per una strana concatenazione degli eventi l’ultima strada rimasta alla Roma in questa stagione sia quella di arrivare in fondo alla fase ad eliminazione diretta di questa coppa - un’altra volta. E che, in questa dimensione, a Dybala è ancora concesso di avere il suo spazio.

È facile dimenticarsi come si è arrivati a oggi. Arrivato per realizzare i sogni di José Mourinho in una fase storica che oggi ci sembra il Pleistocene, e proprio perché nessuno tra i principali club italiani ed europei pensava di poterselo permettere, un giocatore così, persino a Roma quello spazio per Dybala sembrava essersi ormai chiuso. Scaricato dal suo stesso allenatore o forse dalla società, non lo sapremo mai, tagliato per fare spazio a un giocatore più giovane, più adattabile, più economico, Dybala sembrava destinato a trasformarsi in un lavoratore altamente qualificato del Golfo Persico, come quei vostri amici che decidono di farsi la pensione a quarant’anni abbandonando tutto per un paio di anni. Poi le cose sono andate come sono andate. Quella possibilità è tramontata, gli allenatori sono cambiati e Dybala è sembrato per mesi quello che sembra fuori da quello spazio: un lusso insostenibile, a volte sembrando anche cosciente di esserlo.

Dentro quello spazio, lo spazio concesso dalla fase ad eliminazione diretta dell'Europa League, le cose invece sembrano poter non cambiare. Sembrava, cioè, che la Roma fosse destinata a un’altra grande cavalcata europea. Lo stadio pieno, le sciarpe tese, i cori cantati all’unisono. Soprattutto Paulo Dybala che splende quando più ce n’è bisogno. La squadra giallorossa aveva cominciato in maniera contratta, sembrava soffrire l’aggressione sulla palla di una squadra che sembra fatta per far giocare male l’avversario. L’incredibile gol del vantaggio del Porto - una rovesciata arrivata dopo un passaggio in impostazione troppo lungo, un giocatore scivolato sull’erba, due tiri ribattuti a porta sguarnita e una rovesciata - aveva agitato i fantasmi che avevamo visto mercoledì e martedì. Una partita che pensavamo fosse semplice si è rivelata essere una trappola.

La differenza sostanziale, tra le brutte eliminazioni di Atalanta, Juventus e Milan, e la notte della Roma, è stato Paulo Dybala. Come ha detto l'allenatore del Porto, Martín Anselmi: «Partite contro questo tipo di squadre le le decidono i dettagli. E uno di questi dettagli è che possa comparire un giocatore come Dybala che se ne esce con un colpo di genio».

Anselmi si riferisce alla doppietta segnata tra il 35' e il 39'. Lo stop di esterno con cui è entrato in area tenendo vicino il pallone servitogli da Shomurodov (di nuovo in veste di creatore di gioco, dopo il pallone quasi identico servito a Soulé nella partita di campionato contro il Parma) e per tenere alle spalle il ritorno del difensore. Il piccolo pallonetto, di nuovo d’esterno, con cui ha eluso l’uscita di Diogo Costa. E poi il tiro fatto passare tra le gambe di Otávio, inaspettatamente sul primo palo dove non siamo abituati vederlo mirare, Diogo Costa ingannato un’altra volta per inclinare la partita dalla parte della Roma.

Ma ci sono altri dettagli. L’occasione regalata al 54’ a Shomurodov, forse per sbaglio. Quella mandata alta al 63’, dopo un bell’inserimento in area. L’apertura di prima per la sovrapposizione di Angeliño che ha permesso alla squadra di Ranieri finalmente di mettere il risultato in sicurezza. Un’azione che è testimonianza della sua creatività, ma anche di una mobilità senza palla finalmente ritrovata. Guardate infatti il movimento che fa incontro all’esterno spagnolo giallorosso, apparentemente controintuitivo, il modo in cui apre lo spazio per il tiro di Pisilli alle sue spalle. Guardate la sua esultanza subito dopo, per un gol di cui teoricamente non ha fatto nemmeno l'assist.

Inevitabilmente questa è un’opera di riduzione. Il risultato della Roma è frutto anche della furbizia del maestro di provocazioni Leandro Paredes, dell'intelligenza di Ndicka nello sbilanciare Omorodion da solo davanti a Svilar dopo aver sbagliato un passaggio mortale quando il risultato era ancora in bilico, della solita grande prestazione di Angeliño. Di chissà quante altre cose che nemmeno sappiamo.

Tutte queste cose sono sostanziali e necessarie a un risultato come quello di ieri. Ma ciò che rimane una volta che scorrono i titoli di coda, ciò che rimarrà quando questa partita sarà solo un ricordo, è la sensazione di gratitudine per aver avuto il privilegio di assistere a un'altra grande notte di Paulo Dybala.

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