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Perché la Roma va male con le grandi?
26 feb 2021
Le ragioni dietro alle difficoltà dei giallorossi contro le prime sei squadre in classifica.
(articolo)
16 min
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Con una media punti di 0,43 con le prime sei della classifica e una di 2,56 con le ultime tredici è giusto chiederselo: perché la Roma va così male con le “grandi”? Ovviamente affrontare avversari di livello più alto porta inevitabilmente a un peggioramento dei risultati ma nessuna tra le grandi squadre di Serie A va così male negli scontri diretti come fa la squadra di Paulo Fonseca. La differenza è nettissima non solo con le squadre costruite con l’intento di vincere il campionato, come la Juventus (che ha una media punti con le prime sei di 1,28) o l’Inter (1,88), o con squadre che hanno vissuto una grande annata, come il Milan (1,43), ma anche con quelle che dovrebbero essere le teoriche avversarie dei giallorossi per una qualificazione alla prossima Champions League, come la Lazio (1,38), l’Atalanta (1,75) e il Napoli (1,28). Un problema che diventa ancora più evidente se si confronta questa stagione con la scorsa, quando alla 23esima giornata la media punti con le prime sei era di 1,18 ma i punti complessivamente raccolti erano 4 in meno (e potrebbero essere 5, nel caso in cui la Roma vincesse il ricorso ancora in ballo per la partita persa a tavolino a Verona a inizio stagione).

È un elefante talmente grande, quello del rendimento con le prime sei della classifica, che nemmeno Paulo Fonseca si è sognato di negarlo. Prima dell’ultima partita contro il Benevento, l’allenatore portoghese lo ha citato come punto da migliorare nella seconda parte di stagione, e dopo l’ultima sconfitta con la Juventus per 2-0 ha cercato anche di dare una spiegazione a queste difficoltà, e cioè la diversa efficacia tra la sua squadra e quella di Pirlo nel convertire le occasioni in gol.

Effettivamente all’Allianz Stadium c’era stato un problema d’efficacia. La Roma aveva tirato 14 volte, di cui solo 3 in porta, creando 1.1 xG senza mai segnare, al contrario della squadra di Pirlo che era riuscita a portare a casa due gol con appena due tiri in porta e 0.3 xG. Se è vero che il conteggio degli Expected Goals della Juventus non tiene conto dell’autogol di Ibanez che ha decretato il 2-0, è anche vero che anche alla Roma manca a sua volta l’occasione più limpida di tutta la sua partita, quella capitata all’81esimo sui piedi di Dzeko. O quasi, dato che l’attaccante bosniaco, dopo essersi liberato alle spalle di Bonucci, è arrivato con una frazione di secondo di ritardo sul bel cross di Bruno Peres, che con un pizzico di reattività in più si sarebbe potuto trasformare in un tiro praticamente a porta vuota.

Quello dell’efficacia nel trasformare le occasioni in gol nelle partite che contano è un problema strutturale della squadra giallorossa, ed è legato a doppio filo proprio alle fortune del suo numero 9. Alla fine della stagione 2017/18, per dire, proprio qui sull’Ultimo Uomo avevo risposto a un lettore che ci chiedeva perché la Roma segnava così poco - una domanda che non è invecchiata di un giorno, nonostante da quel momento siano passati quasi tre anni. Quest’anno il brillante gioco offensivo dell’allenatore portoghese in campionato ha in parte compensato la mancanza di lucidità degli attaccanti giallorossi sotto porta. La Roma è la quarta squadra del campionato per Expected Goals Prodotti (2.1 a partita, dietro Inter, Atalanta e Juventus) ma prima per xG per tiro prodotto (0.16), e anche se è il terzo attacco del campionato (lontano proprio da Inter e Atalanta, che hanno segnato rispettivamente 10 e 6 gol in più) non ha nessun giocatore in doppia cifra, almeno in Serie A (i capocannonieri al momento sono Mkhitaryan e Veretout, entrambi a 9 gol).

Cuore di questo problema, come detto, è Edin Dzeko, quest’anno anche in rotta con società e allenatore, che gli ha tolto la fascia di capitano e il posto da titolare in favore di Borja Mayoral. L’attaccante bosniaco ha segnato solo 7 gol in campionato da 10.4 Expected Goals avuti a disposizione - una cifra eccezionalmente alta se si parametrano i dati sui 90 minuti (0.73, il dato più alto del campionato ad esclusione dei soli Ibrahimovic e Lukaku). Dzeko è stato un fattore anche e soprattutto nei big match (che ha giocato tutti da titolare ad esclusione dell’ultima partita contro la Juventus), dove la Roma ha inanellato una serie di errori incredibili sotto porta in momenti decisivi che hanno finito per pesare come macigni sull’andamento di quelle partite.

Cinque occasioni in cinque diverse partite in cui è difficile capire come la Roma sia riuscita a non segnare.

Dzeko, per la Roma, è un problema paradossale: perché se da una parte è innegabile la sua mancanza di freddezza sotto porta, dall’altra la squadra sembra non poter fare a meno della sua presenza, anche fisica, in avanti. Nonostante Borja Mayoral sembri più funzionale ai movimenti richiesti da Fonseca e stia dimostrando di avere un maggiore cinismo (per adesso 6 non-penalty goals da 4.7 xG in campionato), non sembra essere sufficientemente incisivo quando le difese si chiudono e il livello delle partite si alza. Lo si è visto ad esempio proprio nella sfida di ritorno contro la Juventus, dove l’attaccante spagnolo non ha mai tirato ed è riuscito a toccare il pallone appena 16 volte (nessuno peggio di lui in quella partita).

Per quanto importante, però, quello dell’efficacia sotto porta non è né l’unico né il più importante dei problemi della squadra di Fonseca. La Roma, sorprendentemente, ha infatti un tasso di conversione dei tiri in gol piuttosto alto (12,5%, meno solo di Inter, Atalanta e Genoa) - più alto anche di squadre generalmente considerate più ciniche come la Lazio (12,1%) o il Milan (10,1%) - un dato probabilmente dovuto proprio dalla qualità delle occasioni che produce. Anche il calo che subisce questa statistica nelle partite contro le prime sei squadre del campionato (8,8%) rispetto a quelle contro le ultime tredici (13,5%) sembra fisiologico e simile a quello delle altre grandi (l’Inter, una squadra che prenderò a confronto perché la migliore per rendimento contro le prime sei squadre del campionato, passa per esempio da 11,4% a 15,6%). Insomma, per quanto la Roma non sia di certo la squadra più feroce nello sfruttare le occasioni da gol, la mancanza di freddezza sotto porta non spiega del tutto il pessimo rendimento della squadra di Fonseca contro le prime sei del campionato.

Il discorso cambia invece se prendiamo in considerazione i problemi in difesa. Per quanto possa sembrare strano, la Roma è una delle squadre che subisce meno occasioni, e di minor qualità, di tutto il campionato: è la squadra che subisce meno tiri su azione ed è penultima sia per numero di xG subiti che per xG per tiro concesso (in entrambe le statistiche solo dietro alla Juventus). Nonostante questo, la squadra di Fonseca è di gran lunga la peggiore difesa per gol subiti tra le prime sette del campionato (35), e in Serie A ha subito meno gol solo di Cagliari, Torino, Spezia, Benevento, Parma e Crotone. Tra questo incredibile scarto tra gol attesi e gol effettivamente subiti c’è un’altra statistica, quella del tasso di conversione dei tiri subiti, che vede la Roma terzultima in campionato con il 15,5%, davanti solo a Crotone e Spezia. A restringere ulteriormente lo sguardo, ci si rende conto che questo dato catastrofico deriva proprio dalle prestazioni dei giallorossi contro le prime sei del campionato, che contro di loro hanno trasformato in gol addirittura il 22,7% dei tiri realizzati - cioè quasi un tiro su quattro. Un’enormità, soprattutto alla luce del fatto che contro le restanti 13 squadre del campionato la Roma ha invece un 8% che la piazzerebbe ai primi posti della classifica. Per fare un confronto, basti pensare che l’Inter, contro le prime sei squadre del campionato, è riuscita addirittura a migliorare questa statistica, concedendo un tasso di conversione agli avversari del 7% contro il 10,9% che di solito concede alle restanti tredici squadre del campionato.

La spiegazione più evidente per una distanza così ampia tra aspettative e realtà è nel rendimento dei due portieri, Pau Lopez e Mirante. Dopo la disastrosa seconda parte della scorsa da parte del portiere spagnolo, la Roma aveva deciso di rimettere nell’undici titolare Mirante, che però quest’anno sta avendo numerosi problemi fisici. Entrambi, in ogni caso, stanno vivendo una stagione molto difficile, come certificato anche dai numeri. I due portieri giallorossi hanno subito 14 gol da 16.3 xG* (la statistica che adatta il modello degli Expected Goals ai tiri subiti dai portieri) - un rendimento statistico piuttosto mediocre che li pone al di sopra di pochi altri portieri in Serie A (cioè Sirigu, Sepe e Cordaz) e che è stato suggellato da alcuni errori piuttosto gravi negli scontri diretti (come quelli commessi da Mirante contro il Napoli, sul risultato di 2-0, e soprattutto contro l’Atalanta, con il risultato ancora sull’1-1). Addossare l’intera responsabilità sui portieri sarebbero però ingeneroso e soprattutto fuori fuoco.

Spesso alla Roma è mancata innanzitutto quella gestione dei momenti che negli scontri diretti diventa decisiva, regalando alcuni gol in maniera grottesca in situazioni di assoluto controllo. È successo, per esempio, nel derby contro la Lazio (in cui Ibañez ha di fatto servito a Immobile l’1-0 scivolando sul pallone) o nella partita contro l’Atalanta (in cui invece è stato Veretout a mandare Muriel in profondità per il gol del 3-1), ma è un limite che la squadra di Fonseca ripropone periodicamente - basti vedere i gol subiti in campionato contro Spezia, Torino e Bologna, solo per fare gli esempi più recenti, arrivati su errori individuali che raramente si vedono a questo livello.

A volte, però, è l’intera struttura difensiva della Roma ad apparire inadeguata ad affrontare squadre di alto livello, in partite in cui il dominio dagli avversari non viene del tutto colto dai numeri com’è successo per esempio nel derby di ritorno (in cui la Lazio ha segnato 3 gol pur producendo solo 1.1 xG) o nella partita contro il Napoli (che invece segnò 4 gol da 1.3 xG). In questo senso, c’è da dire che la squadra di Fonseca con le prime sei del campionato subisce comunque molto di più del normale, quasi il doppio: di media 1,49 xG a partita, contro lo 0,78 che subisce contro le restanti tredici del campionato (l’Inter, per fare il solito confronto, subisce 1,33 xG contro le grandi rispetto all’1,07 che normalmente subisce contro tutte le altre). E questo è dovuto a limiti più strutturali degli errori individuali dei portieri e dei difensori.

Il primo di questi è il modo in cui la Roma gestisce strategicamente le partite. La squadra di Fonseca è abituata a iniziare le partite alzando immediatamente i ritmi, con un pressing orientato sull’uomo molto aggressivo, in modo da cercare di orientare immediatamente la partita dalla sua parte, per poi lasciare il pallone all’avversario e giocare in transizione - cioè lo spartito offensivo che, alla luce delle caratteristiche dei suoi giocatori, interpreta meglio. Non è un caso, in questo senso, che i giallorossi siano di gran lunga la squadra che segna più gol nei primi tempi (ben 29 se consideriamo anche i minuti di recupero, a 5 lunghezze dal secondo posto occupato dall’Atalanta), e che scendano invece al nono posto quando si tratta di gol nei secondi tempi (18). Negli scontri diretti, forse per la diversa prontezza mentale di avversari di alto livello, questa strategia però non ha quasi mai funzionato, se si escludono la partita d’andata contro la Juventus e quella contro l’Atalanta - non a caso i due scontri diretti in cui la Roma è sembrata più vicina a vincere, se non fosse stato per gli errori offensivi e difensivi di cui abbiamo già parlato e di alcune grandi prestazioni individuali avversarie (Ronaldo nel primo caso, Ilicic nel secondo).

Quando la squadra di Fonseca non riesce a inclinare subito la partita dalla sua parte sembra andare automaticamente in difficoltà, soprattutto con squadre che non hanno problemi a lasciarle il pallone e che sanno difendersi bene in area (com’è successo nel derby contro la Lazio e soprattutto contro la Juventus). In questi casi, i trequartisti della Roma sembrano non avere sufficiente qualità tecnica né per quegli scambi veloci nello stretto che l’allenatore portoghese chiede per arrivare in porta passando per vie centrali né per spaccare la partita con una grande giocata.

Nell’occasione di Dzeko contro la Juventus, ad esempio, Carles Perez riceve per due volte tra le linee avversarie (la seconda volta addirittura in area) ma per due volte, per via prima di un primo controllo non perfetto e poi di una sbagliata postura del corpo, non riuscirà a girarsi fronte alla porta. Nella prima occasione il trequartista spagnolo tornerà indietro da Veretout, nel secondo scaricherà sull’esterno verso Bruno Peres, che proverà a servire Dzeko con il cross basso.

Il secondo riguarda invece il modo in cui i giallorossi difendono. Quando non pressa alto a uomo - cosa che succede soprattutto sulle situazioni statiche, come le rimesse dal fondo, o nei casi in cui il possesso basso avversario è difficoltoso - la squadra di Fonseca adotta uno stile molto peculiare, che abbina la difesa posizionale del centro con un baricentro molto alto, anche a palla scoperta. La Roma è una squadra che punta molto sulla sua identità e che non cambia modo di giocare contro le prime sei del campionato, al contrario dell’Inter, tanto per fare il solito esempio, che invece con le grandi si abbassa molto e accetta di difendersi spesso in area. Lo si vede per esempio dal dato sull’altezza media del baricentro: se quello della squadra di Fonseca rimane praticamente invariato tra le partite contro le prime sei squadre del campionato (46,1 metri) e le partite contro tutte le altre (47,1), quello della squadra di Conte invece ha una variazione molto più ampia (44,5 contro 49). È un modo molto ambizioso e quindi rischioso di difendere, che cerca di costringere gli avversari ad andare sugli esterni (dove il recupero palla, per via dell’ostacolo naturale della linea del fallo laterale, è più semplice) o a lanciare direttamente in profondità dalla difesa, in modo da mettere gli attaccanti in fuorigioco o di coprire lo spazio alle spalle della difesa con le uscite del portiere.

Questo sistema difensivo si regge su un equilibrio molto sottile che dipende innanzitutto da un grande sforzo mentale dei difensori. I tre centrali, infatti, in ogni situazione devono capire quando staccarsi dalla linea per andare a prendere l’uomo tra le linee, quando invece agire da reparto per far salire la linea del fuorigioco e quando scappare in profondità per recuperare l’uomo alle spalle. È un esercizio di concentrazione estrema che l’anno scorso si è retta soprattutto sulle grandi qualità difensive di un giocatore esperto come Smalling (quest’anno martoriato dai problemi fisici), e che invece richiede un necessario periodo di apprendimento a difensori più istintivi e acerbi come Ibañez, Mancini (forse il più maturato in questi due anni con Fonseca) e Kumbulla. Soprattutto il centrale albanese, dopo appena una stagione in Serie A in una squadra che difendeva a uomo, è sembrato piuttosto in difficoltà nell’inserirsi in un sistema così complesso e i suoi errori di valutazione sono costati gol pesanti o occasioni pericolose nelle partite contro il Milan e, al ritorno, la Juventus.

Tre casi in cui l’inesperienza dei difensori della Roma ha pesato in maniera più o meno decisiva. Nel caso dell’1-0 del Milan, Kumbulla decide di seguire in profondità Ibrahimovic invece di provare a metterlo in fuorigioco non riuscendo poi a intercettare l’assist di Leao. Nel secondo caso, il centrale albanese farà la stessa cosa con Ronaldo facendosi questa volta sfilare il pallone alle spalle (qui CR7 prenderà la traversa). L’ultima immagine invece riguarda il 2-0 della Juventus: qui è Ibañez che si rende troppo tardi di dover coprire alle spalle Kumbulla, uscito a uomo su Rabiot, per assorbire l’inserimento di Kulusevski.

Non è solo colpa dei difensori, però. Il sistema difensivo di Fonseca, come detto, si basa sulla schermatura del centro del campo, e in questo compito è fondamentale l’apporto difensivo sia dei due trequartisti, che devono rientrare velocemente sulla linea di centrocampo per coprire le diagonali dall’esterno all’interno, sia dei due mediani, che devono cercare di impedire le ricezioni sulla trequarti. In questo compito si sono rivelati piuttosto carenti soprattutto Lorenzo Pellegrini, che negli scontri diretti è stato spesso schierato da mediano (per esempio nelle partite contro Atalanta e soprattutto Napoli, in cui i suoi errori in uscita dalla linea si sono rivelati decisivi), e Pedro, la cui pigrizia in fase di non possesso è pesata nelle partite contro Atalanta e Milan.

Nella prima immagine, contro il Napoli, Pellegrini sbaglia il tempismo con cui uscire in pressione dalla linea, liberando alle sue spalle Zielinski e Insigne che prenderanno in due contro uno Ibañez (arriverà al tiro Mertens). Nella seconda, contro l’Atalanta, Pedro si fa superare troppo facilmente da Freuler mentre Pellegrini si fa attirare fuori posizione da Gosens sull’esterno. L’Atalanta arriverà facilmente sulla trequarti, dove segnerà Zapata. Nell’ultima immagine infine, in occasione del 2-1 del Milan, Leao riuscirà a ricevere centralmente, complice il ritardo in ripiegamento di Pedro, girando intorno a Pellegrini e puntando l’intera difesa giallorossa (segnerà Saelemaekers su suo assist).

I problemi difensivi del centrocampo hanno reso la Roma molto fragile anche in transizione difensiva, con i trequartisti che hanno spesso lasciato i mediani da soli a coprire l’intera ampiezza del campo. Questo ha pesato soprattutto contro le squadre più letali nel risalire il campo velocemente, come la Lazio e l’Inter, che hanno sfruttato la lentezza della squadra di Fonseca nel tornare sotto la linea della palla una volta andate a vuoto le marcature preventive.

Forse non è un caso che dopo la partita contro l’Atalanta proprio Pellegrini non sia stato più schierato da mediano negli scontri diretti, che non hanno nemmeno più visto la presenza di Pedro dal primo minuto. Contro la Juventus, Fonseca ha addirittura riproposto Cristante sulla linea di trequarti, forse proprio per aggiungere spessore difensivo al suo centrocampo, una mossa che però ha pagato solo in parte. Il primo gol della Juventus, infatti, viene proprio da un’azione individuale di Alex Sandro che aggira troppo facilmente il centrocampista giallorosso sull’esterno di sinistra, in una partita in cui però la Roma non ha mai sofferto in transizione difensiva nonostante la squadra di Pirlo abbia difeso molto basso. A questo proposito è necessario anche sottolineare il contributo difensivo di Gonzalo Villar, finora giustamente celebrato solo per le sue qualità con il pallone e in dribbling. In breve tempo il centrocampista spagnolo è diventato il migliore della Roma sia per tackle riusciti aggiustati in base al possesso (1,4 per 90 minuti) che per recuperi palla offensivi (2,7 per 90 minuti).

L’ambizione dell’identità tattica di Fonseca, insomma, si è scontrata negli scontri diretti con l’incapacità della sua rosa di alzare il livello tecnico e atletico nelle partite in cui gli avversari la mettono più a dura prova. E questo sia nella trequarti offensiva, quando c’era da affrontare difese chiuse e trasformare in gol occasioni difficili, ma soprattutto nella propria metà campo, nel leggere il gioco in fase di transizione difensiva e difesa posizionale.

In parte questa è inevitabilmente responsabilità anche dell’allenatore portoghese, che finora si è dimostrato poco capace di adattare i propri principi agli avversari e di leggere le partite con i cambi - qualità determinanti quando non è possibile imporre il contesto con la semplice superiorità tecnica. Come avrete sentito dire stancamente alla fine di ogni partita: si vince e si perde tutti insieme, soprattutto nelle partite più importanti.

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