Sono passati tredici anni dall’ultima rimonta della Roma in Europa, 2-0 al Gaziantepspor (Europa League 2004). Esiste, quindi, tutta una generazione di tifosi che è stata costretta a vivere il più classico circolo di speranza che si trasforma in delusione. Eppure questa volta, come del resto in tutte le altre, l’impresa sembrava alla portata di questa squadra: perché quella attuale è una Roma tra le più solide degli ultimi anni e si trovava di fronte un avversario davvero poco solido.
La partita d’andata però ha costretto Spalletti a ideare un piano gara estremo: il 4-2 da ribaltare costringeva la Roma a una partita arrembante contro una delle migliori squadre a giocare in transizione negli spazi. Il Lione di Génésio, invece, ha fatto due piccole correzioni conservative rispetto all'andata: ha inserito un esterno puro e veloce come Cornet e un terzino attento difensivamente come Jallet. L’idea di Génésio era probabilmente quella di mettere in campo una squadra fisica, in grado di portare pressione sul primo possesso della Roma prima di muoversi verso una difesa posizionale dal baricentro basso. Mantenere il ritmo basso e risalire il campo passando dagli esterni.
La Roma all’arrembaggio
Tutti i piani del Lione sono stati spazzati via dall’intensità fisica e mentale della Roma, che ha imposto il proprio ritmo da subito, senza così concedersi la possibilità di ricadere nella propria fragilità psicologica.
Spalletti vuole generare fiducia e occasioni caricando da subito di uomini l’area di rigore avversaria in fase di attacco posizionale con la presenza fissa di uno tra Strootman e Nainggolan.
Dall'inizio la Roma riesce a muovere la palla in modo fluido lungo tutto il campo e viene recuperata con facilità in caso di perdita. Le uniche due valvole di sfogo per il Lione sono le verticalizzazioni per Cornet a destra e i (rari) momenti in cui Valbuena dà la pausa alla squadra concedendo un po’ di respiro. Ma sono davvero poche boccate d’ossigeno tra un attacco della Roma e l’altro.
Dopo 5 minuti di offensive la Roma prende la traversa e fa capire a Lopes che non sarà una partita semplice.
Spalletti vuole controllare il centro del campo con Strootman e Nainggolan, per contrastare da subito ogni transizione, e attaccare invece su due meccanismi precisi: le verticalizzazioni centrali dalla difesa per Dzeko e quelli laterali sull’esterno destro passando per Bruno Peres. Dzeko risponde a metà alle richieste da Spalletti, risultando più utile in fase di rifinitura che in quella di conclusione. A destra invece il meccanismo sembra funzionare meglio: Salah gioca molto vicino a Dzeko, verso il centro, aprendo tanto spazio da attaccare a Bruno Peres. Semmai il problema è cosa fare con tutto quello spazio, di cui il brasiliano non ha saputo approfittare abbastanza spesso.
La Roma attacca con Dzeko come sponda per le verticalizzazioni dei centrali e Salah come bersaglio di quelle dall’esterno destro, con movimenti in verticale continui per andare a giocare alle spalle del più lento Diakhaby.
Neanche il gol estemporaneo del Lione ha cambiato la situazione: appena un minuto dopo la Roma è ancora in area di rigore a caricare la porta di Lopes, sfondata finalmente da una deviazione sbilenca - e a suo modo brillante - di Strootman.
A quel punto la Roma deve mantenere il possesso a ritmo sostenuto per aumentare il volume offensivo. In questo senso Strootman diventa il migliore in campo: arriva su ogni pallone conteso, si muove a tutto campo e gestisce anche la fase di finalizzazione.
Una difesa fragile con però un guardiano più che all’altezza della situazione, perché pur arrivando alla conclusione la Roma trova in Lopes l’avversario più tosto da battere.
Troppa fretta
Il centrocampo della Roma guidato da Strootman, e i movimenti in profondità di Salah, garantiscono un vantaggio tattico che la Roma non riesce a sfruttare fino in fondo. Si siede troppo sul dominio territoriale, accontentandosi di inondare l’area del Lione di cross. Una produzione, quindi, più quantitativa che qualitativa.Dopo mezz’ora Spalletti è costretto a gridare ai suoi giocatori: “Veloci ma non frettolosi”, perché si accorge di come il cronometro che scorre abbia portato la Roma ad affrettare troppo le scelte.
Ma non era una situazione semplice. Nonostante il Lione opponesse poca resistenza, l’idea di dover recuperare due gol fa diventare lo scorrere del tempo una specie di rumore di fondo difficile da cacciare dalla testa dei giocatori.
Un esempio di tanta foga è la partita di Bruno Peres, tanto preciso nelle verticalizzazioni quanto confuso nelle letture in fase di attacco posizionale. Un giocatore che sembra sabotarsi da solo, imponendosi una pressione psicologica che lo spinge a cercare sempre la giocata decisiva, finendo per commettere molti errori o, in alternativa, giocate del tutto inutili. Le sue letture errate sono ormai una costante e un vero problema per una squadra che non può permettersi di sprecare occasioni in una partita in cui è obbligata a segnare due gol. Non è quindi un caso se il primo cambio di Spalletti è stato proprio la sostituzione di Bruno Peres, che paradossalmente ha giocato una delle partite con più influenza della sua stagione (con 2 passaggi chiave e 2 dribbling riusciti, con 8 cross tentati di cui nessuno andato a buon fine).
Questo cross fiacco dalle ambizioni esagerate incarna i problemi di Bruno Peres anche più dell’improbabile tiro a giro da libero di cinque minuti prima.
Spalletti è stato più volte criticato per la lentezza con cui legge le partite e risponde con i cambi. Eppure stavolta l’ingresso di El Shaarawy a destra arriva con le tempistiche giuste (l’ora di gioco) e aiuta la Roma a dare un’ulteriore spinta offensiva in area di rigore.
Il gol del 2-1 arriva proprio da una sua giocata intraprendente ed è lui stesso si crea e sciupa l’occasione del 3-1 poco dopo in un perfetto attacco in velocità nato dai piedi di Nainggolan.
Qui sembrava solo il preludio del 3 a 1.
Quella di El Shaarawy è l’azione più chiara della Roma per chiudere la rimonta. Ed è anche però quella che fa realizzare ai giocatori del Lione che il dominio territoriale della Roma al centro deve essere arginato in favore di uno sfogo laterale, proprio ora che il cronometro segna solo mezzora di resistenza.
Gonalons alza i giri e dopo l’occasione di El Shaarawy si prende la scena con e senza palla, sbagliando pochissimo e senza rischiare più del necessario riordina la sua squadra, facendo passare il momento di fuoco della Roma post gol.
Grazie al gioco di Gonalons la Roma a trazione anteriore fatica a recuperare velocemente il pallone come prima. I tempi tra una sortita offensiva e l’altra si allungano. Spalletti spinge ancora di più sull’acceleratore e inserisce Perotti per Mario Rui. Il cambio è tattico, ma dà anche un messaggio che più chiaro non si può alla sua squadra: si accetta che il Lione possa creare reali pericoli in transizione e con spazio, pur di avere tutto il fronte d’attacco coperto e più giocatori possibili sulla trequarti. La Roma a quel punto deve correre senza guardarsi più indietro.
Un messaggio ribadito con l’ultimo cambio di Totti per De Rossi e che assume i connotati dell’all-in.
Strootman si mette alla base del centrocampo e davanti a lui si dispongono i giocatori a coprire tutti i corridoi offensivi. Una situazione che toglie ogni possibilità alla Roma di fronteggiare le transizioni del Lione se non con un fallo (solo un’incredibile parata di Alisson salva il risultato su Cornet lanciato da solo, inseguito addirittura da Totti) ma che concede anche l’ultima reale carta a disposizione di Spalletti per mettere in condizione la squadra di arrivare in porta. La Roma, forse ormai stanca, non crea una reale occasione da gol oltre un colpo di testa di Dzeko in pieno recupero. In una partita giocata con il giusto piglio psicologico e tattico la rimonta non si è conclusa. Non mancano i rimpianti, la traversa e altre occasioni sfiorate, ma l'impressione è che ieri sera la Roma davvero non potesse fare più di così.
In definitiva Spalletti ha preparato bene la gara e ha messo i suoi giocatori nelle condizioni di poter passare il turno, ma nelle rimonte c’è bisogno anche di fortuna, e questa è senz’altro mancata. Al contempo la Roma può incolpare solo se stessa, la propria scarsa precisione nella rifinitura e nella finalizzazione, ma soprattutto il secondo tempo di Lione e l’incredibile disattenzione nei minuti di recupero, quando Lacazette ha potuto tirare indisturbato sotto l’incrocio dei pali. Quel tiro, di fatto, ha condannato i giallorossi.
Così, ancora una volta, la Roma ha mancato l’occasione di spezzare l’incantesimo, generando un’epica positiva da partite emotivamente molto dure. E per il calcio italiano sarà un altro anno senza vittoria in Europa League. Per trovare un’italiana che alza la seconda competizione europea bisogna ancora tornare al Parma del 1999. Il ventennale è sempre più vicino.