
IF YOU SMELL, WHAT THE ROCK… IS COOKING. Fate risuonare queste parole nel corso di un qualsiasi evento targato WWE e la reazione del pubblico sarà sempre la stessa. Migliaia di tifosi esplodono in un boato di gioia per poi abbracciarsi l’uno con l’altro, increduli di fronte all’entrata in scena del più grande wrestler dell’era moderna. Se poi l’arrivo sul ring di Dwayne The Rock Johnson è inaspettato come la sera del 25 gennaio 2015 al Wells Fargo Center Philadelphia, allora dovete moltiplicare all’infinito quell’emozione.
Siamo alle battute finali della Royal Rumble. Sul ring si sta consumando uno degli angle più utilizzati nella storia del wrestling: due heel stanno riempendo di botte il face di turno dopo che lui è riuscito ad ottenere la vittoria nonostante i soprusi con cui hanno tentato di impedirglielo. È un trucchetto vecchio come il mondo ma è il miglior strumento a disposizione degli sceneggiatori per creare empatia tra il pubblico e l’eroe. Soffriamo con lui, speriamo che qualcuno lo salvi da quell’inutile crudeltà, preghiamo che i cattivi si prendano la lezione che meritano e quando questo accade siamo portati a festeggiare con ancora più passione il successo finale. D’altronde, come scriveva Roland Barthes, il wrestling non è una competizione sportiva ma uno spettacolo sulla moralità.
In questo caso The Rock veste i panni del salvatore e la sua entrata in scena, accompagnata dall’immortale “WHAT?” di Jerry The King Lawler, ha l’obiettivo di scaldare il pubblico a casa e sugli spalti in vista del gran finale. L’uomo che sta salvando dovrebbe essere il vincitore della rissa reale, ma nessuno lo ha ancora proclamato tale. Questo perché Rusev, un bulgaro di 140 chili che ha la fama di spezzare i propri avversari e che tecnicamente non è stato ancora eliminato, approfitta dell’uscita di scena di The Rock per rientrare sul ring e cogliere di sorpresa il nostro eroe. Ovviamente è un tentativo destinato a fallire. Il suo volo oltre la terza corda è l’epilogo che, almeno nei piani, tutti quanti speravamo: il bene ha vinto sul male, la festa può cominciare.
The Rock torna sul ring, applaude il vincitore, lo abbraccia, gli dice qualcosa all’orecchio e poi gli prende il braccio per alzarlo in segno di vittoria. A questo punto, però, la storia ha un cortocircuito. Il pubblico dovrebbe esplodere di gioia di fronte al gesto di The Rock, una sorta di passaggio di consegne verso la nuova stella dell’olimpo del wrestling, invece il silenzio è rotto solamente dai boati di disapprovazione.

Nemmeno The Rock capisce cosa sta succedendo e guardando esterrefatto i fans cerca di creare una connessione con loro. Il pubblico però non ne vuole sapere. Si sente preso in giro. È stato un finale troppo sceneggiato per non pensare che sia stata una messa in scena. Lottatori decisamente più acclamati del vincitore sono stati trasformati in meri sparring partner per poter ingrassare la sua immagine di eroe imbattibile. Un’immagine che nessuno è disposto ad accettare, perché nessuno è disposto ad amare Roman Reigns.
The big dog
La carriera di Roman Reigns nel mondo del wrestling comincia nello stesso punto in cui si spezza il suo sogno di diventare un giocatore professionista di football. Snobbato da tutte le squadre NFL al Draft del 2007, nel 2010, dopo una stagione passata agli Edmonton Eskimos nella Canadian Football League, Leati Joseph Anoa’i - questo il suo vero nome - entra a far parte della Florida Championship Wrestling, una federazione satellite della WWE che qualche anno dopo verrà incorporata alla società della famiglia McMahon per dare vita a NXT, lo show settimanale che la federazione utilizza come laboratorio per i propri talenti.
Reigns nel 2012 fa parte del primo storico roster del programma ma dopo qualche settimana viene lanciato sul palcoscenico principale del Monday Night Raw insieme ad altri due ex lottatori della FCW: Dean Ambrose e Seth Rollins. I tre danno vita a The Shield, la stable più acclamata dal pubblico dai tempi della D-Generation X, un distillato di Attitude Era trapiantato ai giorni nostri. Ma per quanto Ambrose e Rollins fossero i più amati dal pubblico, era impossibile non identificare il gruppo con il volto di Reigns.
I tre, ad esempio, avevano la peculiarità di entrare in scena passando attraverso il pubblico. L’ultimo ad entrare sul ring o ad arrivare in solitaria quando i tre scendevano da scalinate differenti era lui come molto spesso a lui erano dedicate le inquadrature più significative. Sua era anche la battuta più efficace ed era sempre lui a chiamare la triple power bomb, la signature move con cui i tre si sono ritagliati un posto speciale nel cuore di migliaia e migliaia di tifosi.
Il dominio dello Shield sulla WWE dura circa due anni, fino alla sera del 2 giugno 2014 quando Rollins ‘tradisce’ i suoi fratelli e li colpisce ripetutamente con una sedia. Una delle tante scene del wrestling trasformatesi subito in meme.
Dopo la separazione Roman Reigns diventa l’uomo copertina della federazione, ma da subito la sua carriera da solista incontra il disappunto dei fans. A dispetto di Rollins e Ambrose, per esempio, la cui immagine (costume, musica d’ingresso ed entrata) venne totalmente modificata una volta usciti dalla stable, Reigns continuò ad utilizzare i simboli dello Shield, solo con qualche rivisitazione, una scelta mai totalmente accettata da uno zoccolo di appassionati convinti che non toccasse a lui farsi carico di questa eredità.
La sua ascesa è stata senza precedenti. I primi segnali erano già arrivati ad inizio anno quando stabilì il nuovo record di eliminazioni alla Royal Rumble (12) dopo di che, senza particolari storyline, partecipa al main event dei suoi primi PPV in solitaria. Sempre nel 2014 vince il titolo di wrestler dell’anno agli Slammy Awards, gli oscar della WWE, una vittoria che secondo i fans è stata truccata dalla stessa federazione così che l’attenzione nei confronti di Reigns, in quel momento infortunato, non scemasse. Nel 2015, oltre alla già citata vittoria alla Royal Rumble, comincia la sua incetta di cinture che in meno di tre anni gli permetterà di chiudere il Grand Slam Champion, ovvero la vittoria di tutti i titoli attualmente in auge in WWE. Il suo nome non esce mai dalla card dei Pay Per View, se non per infortunio o squalifica. Diventa lo Showstopper per definizione della WWE: Reigns è stato il main eventer delle ultime quattro edizioni di WrestleMania, compresa quella andata in scena lo scorso 8 aprile a New Orleans dove ha affrontato Brock Lesnar per il WWE Universal Championship.
Steroidi
Quella con Brock Lesnar è stata una storyline a cui la WWE ha lavorato sotto traccia per mesi. Dal giorno in cui ha segnato il ritiro di The Undertaker, Reigns, pur combattendo in tutti i main event possibili, è rimasto sempre ai margini dei feud riguardanti la cintura più importante e ha partecipato a un solo match valevole per il titolo. Eppure, nei giorni precedenti a Elimination Chamber, il PPV in cui Reigns ha formalmente conquistato l’opportunità di affrontare “The reigning, defending, undisputed Universal Heavyweight Champion”. Il piano della federazione sembrava sul punto di implodere.
Lo scorso gennaio il suo nome, insieme a quello di numerosi bodybuilders e attori del calibro di Mark Wahlberg, è stato tirato in ballo da Richard Rodriguez, ex proprietario della Wellness Fitness Nutrition e della Iron Addicts Gym, aziende finite nel mirino della DEA per produzione e distribuzione illecita di steroidi. Nel corso di alcune interviste con il regista Jon Bravo, Rodriguez, condannato ad un anno di prigione, ha affermato che fra i suoi clienti c’era anche Roman Reigns.
«È una persona molto umile» ha affermato Rodriguez in una delle sue interviste telefoniche dal penitenziario di Brooklyn, «ma in una situazione come questa, in cui rischiavo di andare a processo, ho deciso che fosse meglio patteggiare. Parte di questo accordo è che gli investigatori avessero accesso a tutte le persone con cui avevo parlato ed è per questo che ho fatto il suo nome».
Rodriguez è stato arrestato nel febbraio 2017 con l’accusa di produrre illegalmente steroidi in Arizona per poi ridistribuirli nell’area di Miami, sede della Iron Addicts Gym. I fatti a cui le indagini e le dichiarazioni di Rodriguez fanno riferimento risalgono al 2016 e proprio a giugno di quell’anno Reigns venne sospeso per 30 giorni dalla WWE per aver fallito un test antidoping a causa di una sostanza mai specificata. È molto probabile, quindi, che le due cose siano collegate.
«Non ho mai sentito parlare di Richard Rodriguez o della Wellness Fitness Nutrition» ha dichiarato Reigns in risposta alle accuse. «Ho imparato dall’errore che ho commesso due anni fa e ho già pagato le conseguenze. Da quel giorno ho passato undici esami».
In quegli undici esami, presumibilmente, è racchiusa tutta la linea difensiva della WWE dato che al momento la federazione non ha preso una posizione ufficiale. Una decisione condivisibile dato che quanto riportato da Bravo riguarda ancora il campo delle supposizioni (o addirittura delle illazioni) e che nel suo ultimo video il regista ha potuto verificare con certezza il coinvolgimento di alcuni personaggi di spicco di questa vicenda, come l’attore Josh Duhamel o Tony Morris, il personal trainer di decine di stelle di Hollywood, ma non quello dello stesso Roman Reigns.
Reigns è stato punito con una sospensione, con le scuse a tutto lo spogliatoio e il pubblico ludibrio diretto da John Cena. L’impressione che è rimasta, comunque, è che la WWE tratti Reigns un po’ meglio degli altri. A differenza di altri atleti tagliati senza troppe remore al primo sentore di guai mediatici/giudiziari, la WWE con Reigns ha fatto spallucce, non prendendo nemmeno in considerazione l’idea che la sua stella più luminosa, insieme a Brock Lesnar, The Rock, John Cena, sia legata ad uno dei più grandi mercati neri di steroidi che sia mai stato smascherato. Certificando agli occhi dei complottisti la teoria per cui Roman non sia altro che il figlioccio prediletto di Vince McMahon, uno a cui tutto viene perdonato solamente perché è il cugino di The Rock.
Haters
In ogni caso, questa vicenda è stata solo l’ultima goccia nell’oceano di critiche che da sempre accompagna la carriera di Reigns. Una delle più comuni, ad esempio, è che non sappia lottare. E guardando tutti i suoi incontri si può intuire quali siano i punti su cui posa questa tesi. Oggettivamente, i match di Reigns sono poco spettacolari, nel senso che non stiamo parlando di un wrestler che fa della velocità o dei voli dalla terza corda il suo marchio di fabbrica. I suoi incontri hanno altri segni distintivi. Il primo è la forza. Reigns sembra dotato di una potenza sovraumana, che cerca sempre di sottolineare con un particolare espressivo, che siano gli occhi spalancati oppure un urlo liberatorio. Anche la decisione di ribattezzare una delle sue finisher Superman Punch riflette questa sua peculiarità. Questo lato cartoonesco però può risultare fastidioso, soprattutto perché in conflitto con una certa grammatica del wrestling.
L’attributo della forza è comune a moltissimi wrestler ma di solito appartiene alla sfera dei giganti, ovvero ad atleti alti 2,20 per oltre 160/170 chili che attraverso questo particolare ribadiscono la propria superiorità sugli avversari. Difficilmente atleti delle sue dimensioni (1,90 per 120 chili) hanno avuto questa peculiarità. Eppure tutta la gimmick di Reigns è un richiamo a questa potenza sovrannaturale, come ad esempio il gesto di caricare il proprio pugno come se fosse un fucile a pompa oppure l’ululato con cui chiama la sua finisher. Ma se per i giganti c’è un elemento di naturalità con Reigns rimaniamo delusi, quasi offesi da una forza che sembra in realtà artefatta, costruita a tavolino. Se è accettato che il wrestling sia una farsa, nessuno può tollerare una violazione così chiara del tentativo di simulazione.
Ma non è solo questo aspetto a stancare il pubblico, c’è anche la ripetitività dei suoi colpi, una condizione che deriva dalla povertà del suo bagaglio tecnico. Una scarsità tutto sommato giustificabile: stiamo pur sempre parlando di un giocatore di football che si è dovuto adattare ad una professione che, a differenza della gran parte degli atleti oggi sotto contratto con la WWE, non pratica da quando era adolescente. Per coprire queste lacune, quindi, i booker utilizzano uno stratagemma semplicissimo, ovvero tendono a lasciare al suo avversario di turno la guida del match. In questo modo Reigns subisce l’iniziativa, lo spettatore soffre con lui e aspetta il momento in cui la forza gli permetta di capovolgere le sorti del match. Uno scenario che ci conduce a un altro aspetto che infastidisce parecchio gli spettatori, ovvero la sua resistenza.
Reigns, come ogni baby face che si rispetti, è indistruttibile e sembra che non provi mai dolore. Non importa quanto grosso, brutto e cattivo il suo avversario sia; per quante botte possa prendere nel corso di un match, Reigns è sempre in grado di rialzarsi e mandare al tappeto il proprio nemico. Un aspetto esaltante. È innegabile lo stupore ogni volta che Reigns solleva di peso energumeni come Braun Strowman, oppure quando chiude con facilità disarmante un Samoan Drop. L’arco narrativo degli incontri di Reigns è però troppo prevedibile.
Sappiamo già che a un certo punto, come se nulla fosse accaduto nei minuti precedenti, Reigns sarà in grado di recuperare le forze e fresco come una rosa manderà al tappeto il suo avversario. Reigns non è il solo ad avere questi momenti di rinascita: ogni grande wrestler, passato e presente, ha una frase, un gesto, una mossa che segna l’inizio della sua riscossa, ma se con loro proviamo un senso di liberazione, di estasi, con lui restiamo interdetti, come se questa capacità di ribaltare a proprio favore le sorti del match sia posticcia.
L’esempio più lampante è la sconfitta con Brock Lesnar a WrestleMania XXXVI. Nelle settimane precedenti all’incontro, tutti gli indizi portavano alla conclusione che Reigns avrebbe messo le mani sulla cintura: il contratto in scadenza con la WWE di Lesnar, la sua foto con Dana White, le dichiarazioni dello stesso boss della UFC a proposito di un suo possibile ritorno in gabbia. Invece c’è stato un finale a sorpresa: Reigns esanime al centro del ring, sconfitto e con la faccia ricoperta di sangue. Eppure tutto è sembrato far parte di un piano più grande, quello di fargli vincere il titolo nel rematch previsto a WWE Greatest Royal Rumble, un evento speciale organizzato dalla federazione in Arabia Saudita per rafforzare la sua immagine in Asia e in Medio Oriente.
Per l’occasione si terrà anche la prima Royal Rumble a 50 uomini.
C’è poi un’altra critica che viene spesso lanciata nei confronti di Reigns, forse la più feroce, ovvero che è un pessimo attore. Un giudizio, che al netto dei vistosi miglioramenti mostrati nel corso delle sue ultime apparizioni, è difficile da smentire. Reigns ha sempre avuto un rapporto controverso con il microfono. Al contrario di Cena, ad esempio, non è un trascinatore, non è in grado di lanciarsi in monologhi complessi come Triple H, non è nemmeno un trash talker in grado di giocare a proprio piacimento con il pubblico, una skill fondamentale per qualsiasi intrattenitore e che, ad esempio, nelle ultime settimane ha permesso ad Elias di scalare in fretta le gerarchie della federazione.
Reigns non riesce a restituire allo spettatore la passione del momento, le emozioni che lui stesso sta provando nell’istante in cui prende in mano il microfono. Addirittura, sembra non conoscere il significato delle pause sceniche. Recita a memoria un copione senza creare silenzi in cui il pubblico possa prendere il sopravvento. Più in generale, che sia un monologo o un acceso diverbio, sono stati rarissimi i casi in cui è riuscito a offrire un’esibizione perfetta. «Si chiama promo, ragazzino, e se vuoi diventare un pezzo grosso devi imparare come si fa» gli ha addirittura rinfacciato John Cena, con grande senso scenico, in un feud che la WWE ha costruito ad arte per rafforzare l’immagine da top dog di Reigns, mettendolo uno contro l’altro con la superstar che prima di lui è stato il volto della federazione per almeno dieci anni, ma che proprio per le sue difficoltà al microfono per poco non si è trasformato nella storia in grado di redimere la figura del wrestler di Boston ai nostri occhi.
Reigns subisce spesso bordate di fischi e cori poco simpatici, ma non sembra interessarlo più di tanto. È concentrato sull’affermazione del suo status all’interno del roster e a ribadire che è pronto a combattere contro qualsiasi avversario, non importa contro chi, come e quando. Anche in questo caso stiamo parlando di caratteristiche che in passato hanno fatto la fortuna di moltissimi wrestler ma mai di un baby face, ovvero della faccia d’angelo che deve conquistare i cuori degli spettatori. Reigns è il prototipo del perfetto heel e se interpretasse per davvero il ruolo del cattivo sarebbe amato.
Quello che i fans provano per Roman Reigns non è odio, è più insofferenza. Personaggi divisi sono sempre esistiti ma nessuno ha mai avuto un appoggio così palese da parte della federazione. Nessun lottatore è stato portato ai vertici senza prima aver ricevuto una clamorosa ondata di affetto da parte dei tifosi, nemmeno John Cena.
Il wrestling è un’infinita serie televisiva il cui episodio finale non verrà mai scritto. Una storia in continua evoluzione, un susseguirsi di eventi di cui cerchiamo di immaginare possibili scenari per i nostri personaggi preferiti, eventi che non accadranno mai perché quello che poi succede nel ring è di gran lunga più bello e incredibile di quanto avessimo immaginato. La passione per il wrestling sta tutta nella fantasia e Roman Reigns incarna la sua kryptonite. Ogni volta che sale sul ring sentiamo una sensazione di impotenza.
Ma allora perché Vince McMahon ha voluto costruire il suo personaggio come un buono? Ma, ancora di più, perché pur di fronte a tutte queste considerazioni ha deciso di trasformarlo nell’immagine della sua azienda? La risposta è semplicissima. Perché oggi quando parliamo di wrestling, ed in particolare degli show targati WWE, stiamo parlando di spettacoli pensati per le famiglie, come il simbolo PG (Parental Guidance) ricorda a tutti gli spettatori all’inizio di ogni trasmissione. Reigns, con questa sua caratura da supereroe, è una vera calamita per i bambini, una fascia di pubblico fra le più ampie e sicuramente la più remunerativa in termini di gadget venduti.
Oggi più che mai la WWE è entertainment a tutto tondo. I propri atleti devono coltivare la propria immagine mediatica 365 giorni l’anno, a prescindere dal fatto che debbano rilasciare un’intervista con ESPN al termine di WrestleMania, che debbano fare una comparsata su Nickelodeon o che siano ospiti a USA Today.
In questo senso Reigns, quando può essere sé stesso e non un attore, dà il meglio di sé. È rilassato, pesa le parole, scherza con i giornalisti, sembra fatto apposta per il ruolo di superstar. La sua immagine è fatta su misura per la televisione. Non ha lo sguardo da assassino ma due occhi azzurri in grado di far sciogliere anche il più duro dei cuori. Non ha cicatrici in volto, ha un tono di voce profondo, sensuale, una chioma selvaggia che riesce a tenere sempre in ordine. Può permettersi di sorridere a 32 denti perché li possiede ancora tutti (sembra una sciocchezza… non lo è). La sua unica pecca mediatica è di non essere molto attivo sui social, ma è comunque attento a capire quando è il momento di parlare e quando è meglio rimanere in silenzio.
Reigns, insomma, è il miglior ambasciatore possibile per la WWE in questo momento. Il prototipo del wrestler contemporaneo: un personaggio mediatico che può permettersi di non essere eccezionale sul ring. Vince McMahon troverà sempre un modo per far felici i tifosi, offrendo un giro sulla giostra della gloria ai vari Ambrose, Nakamura, Rollins, Balor, Rhodes, Corbin, Owens. Atleti straordinari, che hanno il talento necessario per diventare campioni ma non la stoffa per caricarsi la federazione sulle proprie spalle. E nonostante tutto l’affetto che continueremo a dimostrare nei loro confronti, dobbiamo rassegnarci: loro non diventeranno mai Roman Reigns. La WWE non sarà mai il loro cortile.