È una questione che continua a tenere banco dentro la comunità dei tifosi bianconeri e di chi segue la Serie A in generale: la crisi della Juventus è dovuta all'inadeguatezza della rosa o alle responsabilità del suo allenatore? Siamo ancora in una fase acerba della stagione, ed è quindi difficile dare risposte definitive, ma, appurato che non è possibile paragonare questo inizio scioccante con quello solo per certi versi simile della stagione 2015/16 (nemmeno da un punto di vista statistico), il tema ormai è sul tavolo. Fabio Barcellona e Alfredo Giacobbe hanno risposto a questa domanda a modo loro, partendo da punti di vista molto diversi.
Allegri non sta riuscendo a creare il giusto contesto
di Fabio Barcellona
La domanda è più scivolosa di quanto non sembri. I piani di lettura, infatti, possono essere diversi: sono forti i singoli giocatori, presi ad uno ad uno? O è forte la rosa nel suo complesso, considerando quindi le possibili interazioni ed idiosincrasie tecnico-tattiche tra i giocatori? E ancora: dobbiamo solo fermarci al campo o dobbiamo mettere in conto anche i rapporti di spogliatoio, e tra la squadra e l'allenatore? Perché anche questo sembra aver influito nelle prestazioni della Juventus negli ultimi anni, come si è capito dalle dichiarazioni di Sarri una volta uscito dall'universo bianconero, o quelle di Chiellini e di altri suoi compagni di squadra sulla fine dell’avventura di Cristiano Ronaldo a Torino.
Partiamo dalla prima domanda, quella a cui è più facile rispondere. Molti per confutare la teoria secondo cui i giocatori della Juventus, presi singolarmente, siano scarsi (utilizzeremo questo termine volgare per riferirci all'ipotesi che non siano al livello delle squadre che in Italia competono per lo Scudetto) dicono che quasi tutti giocano nelle migliori Nazionali del mondo. Come può essere scarsa una difesa che può scegliere tra i due centrali dell’Italia campione d’Europa e un nazionale olandese, e che schiera i due terzini della nazionale brasiliana? Questa domanda già contiene una buona parte di verità, che secondo altri è confermata dal fatto che il costo degli ingaggi della rosa della Juventus è molto alto. E quindi, forti della correlazione tra il valore di un calciatore e il suo stipendio, concludono che i giocatori a disposizione di Allegri sono forti.
A mio parere è davvero difficile sostenere che la Juventus non abbia giocatori di valore assoluto. E, sgombrando subito il campo dalle ambiguità e rimanendo nel campo delle opinioni personali, per me la rosa della Juventus è per qualità e profondità la migliore della Serie A. Ovviamente siamo nel campo delle opinioni e non dei fatti, anche perché non è per nulla chiaro cosa si possa intendere valore di un calciatore e nemmeno cosa bisogna considerare per quantificare il valore di un insieme di calciatori.
Appurato che il valore dei singoli calciatori della Juventus per me non può essere messo in discussione, rimane aperta la questione delle possibili idiosincrasie tecnico-tattiche tra i giocatori - la famosa disfunzionalità della rosa bianconera. Qualcuno dice che a questa squadra per giocare bene manchi un regista, altri che serva una mezzala, altri ancora che ci sia bisogno di un giocatore capace di fare filtro a centrocampo o di un terzino sinistro; c’è chi dice pure che la Juve dovrebbe comprare un centravanti, quando in rosa ce ne sono tre più almeno un altro paio di giocatori capaci di coprire il ruolo. E poi: troppi giocatori offensivi che amano giocare sul centro-destra – Dybala, Cuadrado, Kulusevski, forse lo stesso Chiesa -, troppo scoperta la fascia sinistra, troppi giocatori che amano difendere bassi e altrettanti che darebbero il meglio facendo più pressing. Tra problemi reali, mezze verità e complete falsità a essere chiamata in causa è comunque la definizione del progetto tecnico-tattico della squadra nel suo complesso.
C'è da dire che negli ultimi anni nelle campagne acquisti della Juventus il parere di campo dell’allenatore è rimasto marginale rispetto alle valutazioni generali della dirigenza. Nel frattempo, nella frattura tattica tra Sarri e i giocatori maggiormente carismatici della rosa la società ha chiaramente preso le parti dei calciatori, e allo stesso modo non è stato protetto un allenatore esordiente come Andrea Pirlo, annunciato in pompa magna come un “predestinato” dallo stesso Andrea Agnelli. La Juve in soli 24 mesi è così tornata dall’esonerato Allegri passando per due allenatori completamente diversi. Non certo la situazione ideale per la costruzione di un insieme tecnico-tattico coerente ed omogeneo. Per far funzionare una rosa serve tempo e lavoro, e nella Juventus questa banale verità non è sembrata fare breccia nella dirigenza.
Foto di Daniele Badolato - Juventus FC/Juventus FC via Getty Images
Anche prendendo in considerazione tutte queste variabili, comunque, la Juventus potrebbe giocare meglio già da subito, per il valore dei giocatori che può mettere in campo. D’altronde, quale è il compito di un allenatore, se non quello di far rendere al meglio e tutti assieme i giocatori che ha? A maggior ragione se l’allenatore è qualcuno che ha costruito le sue fortune sul rifiuto di formule di gioco precostituite a favore di un approccio che plasma la squadra sulle qualità dei singoli giocatori. Ecco, il problema della Juventus non è certo nella qualità, a mio parere molto elevata, dei suoi calciatori, ma nell’assenza di un contesto tattico che li valorizzi, una condizione necessaria per potere esprimere al meglio le proprie doti.
Il ritorno di Allegri sembra proprio essere stato motivato dalla convinzione che il tecnico livornese potesse ricreare le condizioni di contorno che potessero far rendere al massimo i giocatori a disposizione, che si erano dimostrati allergici prima a un allenatore troppo “ideologico”, com'è stato definito (Sarri), e poi a un altro la cui miscela tra ambizione e inesperienza è stata precocemente bocciata (Pirlo). In questo senso, la più grave responsabilità di Allegri fino ad adesso sembra proprio quella di non essere riuscito ancora a creare il contesto migliore per i suoi giocatori e, in un sorprendente dogmatismo nell’approccio alla costruzione della squadra, nel cercare di adattare i suoi giocatori alla squadra che ha nella sua testa. Quello che sino ad oggi si è vista è una Juventus che, come è abitudine di Allegri, ha una tessitura di gioco solamente abbozzata e che lascia grandi margini di responsabilità ai calciatori all’interno di una struttura generale che pare però non ideale per molti interpreti e che ne marginalizza altri. La risultante è un calcio “complicato” da giocare, in cui l’assenza di una trama di gioco più definita sta mettendo in difficoltà molti calciatori che in questo modo sembrano meno forti di quanto in realtà siano.
Certo, anche i giocatori - almeno alcuni di essi, di sicuro i più influenti - hanno le loro responsabilità. Sarri è dovuto scendere a compromessi con una parte della squadra che non gradiva alcune scelte strategiche e lo stesso Pirlo, che era stato preso pure per risultare più vicino allo spogliatoio, è sembrato dover correggere in corsa il suo progetto in reazione alla volontà dei giocatori più influenti nello spogliatoio. Se c'è un limite di questo gruppo - un gruppo vincente e di grande qualità, va ricordato - è sicuramente questa indisponibilità ad adattarsi a un progetto tattico diverso a quello a cui era stato abituato. Indisponibilità che non ha permesso alla rosa di evolversi una volta che si era lasciata alle spalle Allegri e che le ha impedito di assumersi le giuste responsabilità di fronte ai due anni di insuccessi che sono seguiti.
Troppi errori nella costruzione della rosa
di Alfredo Giacobbe
Come ha già detto Fabio, è difficile mettere in dubbio il valore di ogni calciatore della Juventus preso singolarmente. In un dibattito così polarizzante – tra “pippa” e “fenomeno” non ci sono sfumature che tengano – è inevitabile che chi sceglie di entrare in una discussione del genere ne esca con la stessa posizione con cui ci è entrato. È una perdita di tempo, ognuno sarebbe capace di portare esempi opposti a rinforzo delle proprie opinioni. I sostenitori di una delle due tesi direbbero: negli ultimi anni, quando in campo c’è la Juve, abbiamo assistito troppe volte a calciatori incapaci di resistere alla pressione degli avversari con un dribbling, una protezione del corpo o un passaggio; o a errori marchiani soprattutto in fase di rifinitura dell’ultimo passaggio prima del gol. Oppure, al contrario: dei venticinque giocatori aggregati alla prima squadra, diciassette sono stati convocati in nazionale per un turno decisivo in vista delle qualificazioni al prossimo Mondiale. Sono tutti incompetenti i CT delle nazionali di Italia, Svezia, Spagna, Polonia, Francia, Olanda, Galles, Brasile, Colombia, Uruguay e Stati Uniti? Via, non esageriamo.
Per me, il problema della Juventus non è tanto nel valore dei singoli giocatori, ma nel modo in cui la sua rosa è stata assemblata. Ogni calciatore offre un rendimento differente a seconda del contesto tattico in cui agisce: si adatta più o meno bene ai compiti che gli vengono assegnati in base alle sue caratteristiche tecniche o fisiche; reagisce agli stimoli che riceve basandosi sul suo bagaglio di esperienze, incamerato nella sua memoria cognitiva. Se un giocatore in campo non è tranquillo - ovvero se non è circondato da un contesto che lo aiuta nell’esecuzione dei compiti che gli sono richiesti - questo giocatore commetterà degli errori, è inevitabile. Persino quelli che chiamiamo fuoriclasse o campioni, se il contesto è completamente compromesso, faticano a trovare soluzioni a problemi troppo complessi. L’ultimo Barcellona di Messi ne è l’esempio più lampante.
Negli ultimi anni la stella polare della costruzione della rosa è stata l’opportunità economica, che nella volontà della dirigenza è venuta prima anche della necessità tattica. Il risultato è un gruppo di calciatori diversi per età, per esperienza, per capacità, in definitiva per adattamento ai diversi sistemi di gioco. Ma cogliere le opportunità che il mercato offre senza perdere del tutto di vista l'esigenza del campo è un'operazione difficile come camminare su una sottilissima lastra di ghiaccio senza romperla. Dopo anni in cui questo miracolo sembrava potersi ripetere per sempre, facile come sbrigare una commissione qualsiasi, alla fine questa lastra evidentemente si è rotta.
Il sintomo più evidente è stata la cosiddetta inallenabilità della rosa, che secondo alcuni rumor Maurizio Sarri avrebbe decretato dopo i pochi mesi passati alla Juventus. Ma la patologia era per l'appunto la disomogeneità dei profili tecnici portati in squadra, esasperata dalle esigenze economiche al punto che è diventata un'impresa impossibile per chiunque trovarle un senso.
Foto di Stefano Guidi/Getty Images
Tre anni fa, Massimiliano Allegri è stato esonerato dalla Juventus, dopo uno dei cicli più vincenti di sempre, probabilmente perché il prodotto che vendeva è stato ritenuto obsoleto. Sul mercato doveva arrivare una nuova versione della Juventus, aggiornata come uno smartphone, con un calcio più europeo, più divertente, vincente allo stesso modo. Vincente almeno allo stesso modo, perché il cambio di paradigma sembrava necessario per avere maggiori chance di vittoria in Champions League. Un anno prima, era stato premuto il grilletto sull’operazione Cristiano Ronaldo, una vera e propria fusione tra due aziende, una sportiva e l’altra individuale, che, oltre a dover portare benefici economici per i rispettivi marchi, doveva dare alla Juventus un boost per raggiungere la coppa più inseguita. Chi meglio di CR7, che di Champions League ne aveva portate a casa cinque, sapeva come si vince?
Consegnarsi ai feticci sembra essere un’abitudine della dirigenza juventina. Ci si è illusi che un cambio della guida tecnica potesse bastare per stravolgere il modo di intendere il calcio di una squadra, di una società. Un’illusione molto italiana, diciamocelo chiaramente. Falliti gli esperimenti guidati da Sarri e da Pirlo, una vera riorganizzazione, già rimandata di due anni, è stata ancora posticipata. Ci si è affidati ancora una volta al demiurgo, all’allenatore artigiano che passa la prima parte della stagione ad accostare i pezzi che ha, finché non trova gli incastri giusti. Un’operazione che quest’anno si sta rivelando difficoltosa, e forse lo sarà ogni anno di più se la Juventus continuerà a consegnare al proprio allenatore, chiunque esso sia, una rosa fatta di sedimentazioni successive di sessioni di mercato sbagliate. Non perché un giocatore non abbia rispettato le aspettative, ma perché prive di un principio guida, di una visione.
In un’intervista rilasciata all’edizione cartacea di Tuttosport lo scorso 10 settembre, il direttore sportivo Cherubini ha detto che la Juventus ora punterà ad assicurarsi i migliori giovani. Alla luce di questa netta virata strategica, mi chiedo allora perché la Juventus abbia pensato ad Allegri per un progetto fatto di calciatori che devono ancora sviluppare a pieno il proprio potenziale. Allegri stesso, ormai da alcuni anni, dice che l’unica azione concreta che può fare un allenatore è riconoscere le caratteristiche di un calciatore e integrarle al meglio insieme a quelle degli altri. Le caratteristiche, cioè, che il calciatore possiede già, senza che l’allenatore abbia la possibilità — né la voglia, né il tempo — di svilupparne di nuove. C’è una contraddizione persino troppo evidente, viene da chiedersi se la Juventus dei giovani sia una necessità guidata da un principio o solo un altro claim. Qual è la visione che la Juventus ha di se stessa da qui a uno, cinque, dieci anni?
Un cambiamento profondo e convincente la Juventus avrebbe potuto davvero recepirlo solo cambiando la propria cultura, ovvero il modo in cui il club è percepito dai tifosi, dai media, dagli sponsor. Dopo aver riconsiderato il proprio sistema di valori — chi vogliamo essere — a quel punto sarebbe diventata necessaria una profonda ristrutturazione aziendale — come vogliamo farlo. Dai quadri dirigenziali fino alla gestione tecnica, passando per gli aspetti economici e logistici; dalla prima squadra fino alla didattica di base, tutto doveva diventare oggetto di un profondo ripensamento. Con in mente un solo obiettivo: programmare il futuro, arrivare a fare calcio, tutti insieme, nel modo in cui si è stabilito di farlo. È un’operazione costosa, persino sanguinosa, con risultati dilazionati nel tempo rispetto agli sforzi richiesti oggi.
La Juventus ha scelto invece la via più semplice: restare se stessa. Essere la squadra che vuole la vittoria, subito e con ogni mezzo. Quella che mette davanti il petto, o il muso, sul filo di lana anche speculando in campo, se serve. Perché “vincere è l’unica cosa che conta” è il DNA della Juventus. E finché lo sarà probabilmente non ci sarà nessun’altra Juventus possibile.