Rudolf "Rudi" Voller nasce ad Hanau, vicino Francoforte. Il padre, Kurt, è operaio tornitore e nel tempo libero allena la squadra giovanile della locale TSV 1860 Hanau. Rudolf comincia ad accarezzare l’idea di diventare calciatore dopo aver siglato dieci reti (tutte quelle della sua squadra) in un importante torneo Under-16. Quando compie quindici anni gli osservatori dei Kickers Offenbach, la squadra più nota della zona, cominciano a lavorare ai fianchi la sua famiglia per metterlo sotto contratto. È un compito meno agevole del previsto. La società ottiene il permesso dei scrupolosi genitori solo quando a Rudi viene garantito anche un lavoro da commesso in società e successivamente un impiego presso la fabbrica della Loehr & Bromkamp. Sono ottime condizioni per un’epoca in cui il calcio tedesco non garantisce ancora grandi compensi fuori dal contesto della Bundesliga.
Cresce ammirando i poster di Günter Netzer, al tempo celebre per la sua aria da “Beatles mancato” e il fascino maledetto tipico dei grandi talenti ribelli. Gli piace il Monchengladbach e il suo gioco offensivo. È forse in questo periodo che forma il suo carattere autoironico e anticonformista.
Si affaccia in prima squadra a 17 anni e nel giro di tre stagioni diventa uno dei giocatori più interessanti dell’intera serie cadetta. Segna 19 gol in 73 presenze. Va al Monaco 1860, una nobile decaduta in un periodo nero. Segna comunque 9 gol. Lo chiamano “Il grissino. Lavora sui limiti del suo piede sinistro; si irrobustisce. La stagione successiva resta nella società nonostante la retrocessione ed esplode definitivamente: 37 gol in 37 presenze. Il rendimento stratosferico e selezione Under-21 (10 gol in 19 apparizioni) lo porta allo stage di selezione per i mondiali del 1982. Come prevedibile, non fa parte della rosa finale dei convocati per la Spagna ma è uno dei nomi nuovi del calcio tedesco. Il Monaco 1860 lo deve vendere e c’è grande interesse attorno a lui: Rudi fa vendere giornali e francobolli ufficiali.
Attira simpatie in modo trasversale, un fenomeno raro per un paese che calcisticamente parlando si è sempre dimostrato federalista, a disagio con lo strapotere del Bayern e intimamente legato ai club locali. I motivi della sua popolarità sono diversi: rifiuta dal principio le prime attenzioni dei bavaresi e il suo calcio estroso e dinamico spicca per qualità e modernità nel momento più basso della storia della Bundesliga. I giocatori di riferimento della nazionale si trasferiscono all’estero, attratti principalmente dai miliardi dei club Italiani e l’intera lega si trasforma in una sorta di vivaio. I prospetti più interessanti finiscono per orbitare nella galassia del Monaco che a sua volta valorizza e rivende i migliori. Un circolo vizioso che ha garantito i favori del pubblico a Voller, alfiere ideale di una via alternativa al percorso di Lothar Matthäus o Andy Brehme. È la nuova speranza di un futuro competitivo e avvincenti del campionato.
La clamorosa esclusione ai mondiali del 1978 di Franz Beckenbauer aveva già fotografato le prime avvisaglie di crisi del movimento e rappresentato un regolamento dei conti nei confronti di un'icona abituata a imporre leadership e compagni di riferimento. Privo della rete di supporto del club, appena sbarcato in America il kaiser era stato immediatamente pugnalato alle spalle. Privi di stelle di prima grandezza a portata di stadio, molti appassionati si lasciano sedurre dal fascino del tennis che arriva a minacciare il primato di sport nazionale al calcio, specie dopo i successi di Boris Becker e Steffi Graff.
Quando approda al Werder Brema, nel 1982, Rudi è pronto per il primo salto di qualità della carriera. Corre con la freschezza di un maratoneta pressando senza sosta, ma riesce a restare cinico vicino la porta; svaria su tutto il fronte offensivo e si muove tra le linee con letture tattiche sconosciute agli altri attaccanti.
Il suo talento tecnico è di primo livello, certo, ma è l’abnegazione e la grinta che riesce a esprimere che fanno innamorare il pubblico. Con la Nazionale maggiore al principio si muove quasi da trequartista per sfruttare la profondità garantita da "Kalle" Rummenigge; nel Werder, invece, gode di libertà totale. Gioca con la generosità di un mediano ma illumina con i colpi di un fuoriclasse. Il suo repertorio sterminato di pallonetti e colpi di estrazione sudamericana ne sottolineano la diversità in un contesto che mancava un po’ di fantasia come la Bundesliga di quegli anni.
Nel 1982/1983 è capocannoniere: considerando le coppe mette assieme 36 reti in quaranta presenze, a cui vanno aggiunte le sette marcature in Nazionale maggiore in 10 apparizioni. In breve tempo comincia a essere coccolato in tutti gli stadi del paese, che spesso si abbandonano al coro di «Rudi…Rudi». È un’icona generazionale, come lo era stato la leggenda dell’Amburgo anni ‘60 Uwe Seeler, passato alla storia anche per la sua capacità di aggregare le differenti anime del tifo.
La stagione buona sembra la 1985/86. Il 23 novembre del 1985 va in scena una partita di importanza capitale per gli equilibri del torneo e lo snodo principale della nuova rivalità tra Bayern Monaco e Werder Brema. Le due contendenti si sfidano in un infuocato scontro diretto e la squadra di Rehhagel si presenta al cospetto dei rivali con tre punti di vantaggio e in uno stato di forma brillante. Al minuto diciassette si consuma uno degli episodi più famigerati della storia del campionato: Rudi conquista il pallone a metà campo e scatta in contropiede, solo il capitano Klaus Augenthaler si trova di fronte tra lui e la porta. Il capitano del Monaco si fa scavalcare e affonda un tackle durissimo nei confronti del “golden boy” del calcio tedesco con il chiaro intento di colpire le gambe più che il pallone.
L’intervento disgusta i media e mette fuori causa il centravanti della Nazionale che si lacera gli adduttori della coscia sinistra proprio nella stagione che precede il mondiale in Messico e deve restare lontano cinque mesi dal calcio. Augenthaler viene solo ammonito e finirà al centro di una lunga e violenta contestazione. Le polemiche si trascinano per molto tempo e il difensore si trasforma nel bersaglio degli insulti di ogni stadio sparso per il paese.
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Voller da ormai diverse stagioni è oggetto delle attenzioni dei difensori più ruvidi del continente e l’intervento rovina la corsa al titolo. Tornerà in campo solo ad aprile e in pessima forma. Il momento che poteva essere quello della sua definitiva consacrazione si trasforma in un calvario dal punto di vista fisico e compromette i rapporti con i vertici del club, che da tempo respingono i ripetuti assalti di mercato delle squadre italiane e le sirene dello stesso Bayern che non riesce a sostituire degnamente Rummenigge - nel frattempo finito all'Inter nel 1984.
Il talento più amato della Nazionale tedesca si presenta ai mondiali in Messico a mezzo servizio e le voci su un suo eventuale trasferimento si fanno più insistenti. Come previsto, perde il posto da titolare anche perché è in grado di garantire solo un basso minutaggio. Si alterna con Klaus Allofs e fa in tempo a segnare un meraviglioso gol in semifinale con la Francia di Michel Platini con un magistrale pallonetto ai danni del portiere in uscita e un impeccabile controllo di palla a seguire.
Riesce anche a confezionare un prezioso assist a Rumenigge e a siglare un gol di rapina nella finale mondiale 1986 che vale il pareggio tedesco prima del definitivo 3-2 degli argentini con il solito ingresso a partita in corso. Nel 1986/1987 torna in discreta forma, come attestano le 22 reti in 30 presenze e la Roma lo inserisce nella lista dei suoi obiettivi di mercato grazie alla segnalazione di Sven-Göran Eriksson, che intende modificare l’asse dello scouting giallorosso dal Brasile al nord Europa. Lo svedese lo sceglie come pietra angolare del nuovo corso romanista a dispetto delle voci maligne sullo stato fisico che circolano da tempo.
Dopo l’incessante opera di mediazione di Ettore Viola, che dura diversi mesi, e il parziale ridimensionamento delle pretese del Brema (pronta a sostituirlo con Karl-Heinz Riedle, poi alla Lazio) va in porto una trattativa molto complessa.
I capitolini sfruttano il blasone conquistato di recente con l’epopea del brasiliano Paulo Roberto Falcão e versano circa 6 miliardi di lire. Con questo trasferimento scorrono i titoli di coda su un corteggiamento che in Italia era andato avanti per quasi quattro anni. Lo avevano cercato il Milan, il Torino, il Napoli, prima di virare su Careca. Persino il Barcellona orfano di Diego Armando Maradona. Ora il grande talento del calcio tedesco doveva confrontarsi col campionato più difficile al mondo.
Il mito non si costruisce in un giorno
Uno degli acquisti più importanti della presidenza Viola sbarca nella capitale nel mezzo di un conflitto societario. Sven-Göran Eriksson era stato allontanato in modo clamoroso, aprendo alla restaurazione voluta da Luciano Gaucci e al ritorno del barone Nils Liedholm.
Il calcio verticale voluto da Eriksson, ma soprattutto il suo atteggiamento intransigente, col tempo gli hanno alienato le simpatie dei veterani e provocato diversi problemi in spogliatoio. Il ritorno dell’allenatore dello scudetto blocca la partenza di Roberto Pruzzo, chiamato a giocarsi il posto con Rudi. In un ambiente spaccato i giornali ricamano tutta l’estate sulla possibilità di far giocare assieme le due punte con Zibi Boniek rifinitore ideale. Finirà per non funzionare.
La rosa è frutto di una lunga e macchinosa serie di compromessi e segna la triste fine dell’epoca d’oro legata a questa gestione. Il barone firma l’ultima impresa della carriera e traghetta la truppa a un illusorio terzo posto, ma la spirale degli eventi indica un evidente ridimensionamento tecnico. Il Napoli è destinato a prendere il posto dei giallorossi nella sfida alle grandi del nord.
Voller fatica ad ambientarsi e, a dispetto di un discreto ritiro estivo dove conquista la fiducia dei compagni, si blocca quasi subito per una serie di malanni che scatenano un anno di passione nella stampa romana. Spuntano indiscrezioni a getto continuo, si passano al setaccio tutte le informazioni delle vecchie cartelle cliniche e in breve tempo scatta una una sorta di guerra fredda tra i giornalisti e la società accusata di aver acquistato un giocatore “rotto”.
Le infiltrazioni somministrate dai medici della Nazionale in autunno sfociano in un ascesso che rende indispensabile una operazione e il vero Völler sparisce completamente dai radar. Nel mercato di gennaio rischia seriamente di fare le valigie.
Per sincerarsi delle sue condizioni fa spesso capolino a Trigoria anche Franz Beckenbauer che è in apprensione per le sorti del centravanti della Nazionale. I dirigenti litigano riguardo la gestione del caso e il giocatore a febbraio si dirige in Germania per una visita da specialisti di fiducia scatenando nuove polemiche e una multa da 20 milioni di lire. Sono mesi burrascosi, il frutto di una società in piena confusione, che non riesce a stabilire un canale di comunicazione efficace con un giocatore sempre più isolato. Viola tiene duro e resiste alle prime offerte.
Si rifugia in casa per lunghi periodi e alla fine del tunnel confessa il suo disagio quando ormai la riabilitazione è alle spalle. «Mi ero ridotto a correre dietro al mio cane per capire se ce la facevo ancora. Avevo paura anche a calciare. Da quando sono in Italia ho visto pochissimo Viola. Un saluto e via, ognuno con i suoi problemi». La situazione migliora progressivamente sul finire della stagione ma il bilancio complessivo di 21 presenze e 3 reti lo espone a un nuovo ciclo di polemiche estive e quando si comincia a disegnare la rosa dell’anno successivo il suo nome è già passato di moda.
Nils Liedholm avalla l’ingaggio di Ruggero Rizzitelli per quasi dieci miliardi e gli acquisti dei brasiliani Andrade e Renato che porta a tre il numero degli attaccanti potenzialmente titolari. Il pacchetto avanzato è affollato e la stagione 1988/89 si apre con Rudi in panchina.
A settembre circolano nuove voci su una possibile risoluzione del contratto mentre la Roma affonda in una crisi di risultati e di gioco. Per fortuna il decollo del tedesco volante arriva provvidenziale e inaspettato nel novembre del 1988. Stende il Partizan in Coppa Uefa grazie a una prestazione che lo restituisce alla sua giusta dimensione e gli permette di cominciarsi a caricare la squadra sulle spalle.
Nel giro di poche partite nasce un grande amore da parte dei tifosi, che nonostante la numerosa presenza di romani e romanisti in squadra lo elegge all’unanimità simbolo e trascinatore. Voller è introverso, ha i capelli prematuramente ingrigiti e dei grandi, malinconici occhi chiari. La sua caratteristica corsa barcollante suggerisce fragilità ma nasconde una grande forza. Ricorda l’andatura sofferente del primo Roberto Baggio alla Fiorentina. Dispensa con grande disinvoltura razioni di doppio passo ogni domenica e, suo malgrado, si trova a tenere a galla un allenatore poco convinto della suo contributo, inchiodato a uno schieramento che non esalta le sue caratteristiche. Sopporta e in qualche modo corregge gli equivoci tattici generati da un mercato fallimentare e privo di raziocinio correndo anche per buona parte di quei compagni che dovrebbero servirlo e aiutarlo a finalizzare. Il Werder era costruito in modo certosino intorno alle sue qualità mentre nella sua avventura romana succede regolarmente l’opposto.
Rudiland
La capacità del tedesco di cucirsi addosso la squadra e trascinarla gettando il cuore oltre l’ostacolo diventa un balsamo per una tifoseria disorientata. La curva confeziona un coro che celebra alla perfezione la sua condizione lapalissiana: «Sta a giocà, sta a giocà, sta a giocà da solo, er tedesco sta a gioca da solo!». Si scopre leader anche all’estero e ormai in perfetta sintonia con un pubblico che cerca sempre nuovi centri di gravità.
La stagione si chiude con una severa contestazione e il leggendario striscione «Andrade tutti a fan…» che campeggia malinconico dagli spalti come riassunto ideale di un anno tragicomico.
Arriva una razione nutrita di fischi per tutti, tranne ovviamente per Rudi che nel giro di pochi mesi è passato da oggetto misterioso a giocatore di riferimento. I numerosi tentativi di golpe che hanno attraversato lo spogliatoio hanno fatto emergere anche le sue caratteristiche di mediatore. A quel punto è un senatore. Trascina i compagni in allenamento, decide di prendersi cura dell’inserimento dei nuovi stranieri e, ristabilita la condizione, diventa celebre la sua elevata soglia del dolore. Lo storico Dottor Alicicco in una recente intervista ne ha lodato le grandi qualità di agonista: «In ritiro una volta prese una “stecca” con tanto di taglio sulla gamba. Gli dissi, fermati. E lui con quella cadenza tedesca mi rispose "dottore, se ci fermiamo per cose di questo genere, non giochiamo più". E tornò tranquillamente in campo».
Ha la singolare capacità di comparire in ogni zona del campo. Detta il passaggio al povero Giuseppe Giannini - sempre più isolato a centrocampo in fase di costruzione del gioco - orchestra un pressing furibondo e in qualche occasione si lancia da solo negli spazi. Svaria principalmente sulla fascia sinistra per rifinire l’eventuale ultimo passaggio. È l'unica vera attrazione di una rosa costretta in un limbo vista la grande differenza qualitativa con le migliori squadre di quel periodo.
Archiviata una stagione che si chiude con un settimo posto e lo spareggio per la Coppa Uefa perso con la Fiorentina per un gol dell’ex Roberto Pruzzo, la società deve fare i conti con la chiusura dello stadio Olimpico causa i lavori di ristrutturazione per l'imminente Mondiale di casa. Un fattore destinato a diminuire le entrate in un momento in cui la situazione finanziaria non è florida. Vengono rispediti al mittente Andrade e Renato mentre in panchina si accomoda Gigi Radice come “traghettatore di lusso”, in attesa che Ferlaino liberi dal vincolo contrattuale Ottavio Bianchi.
La società cerca un difensore a prezzi modici e si lascia convincere da Rudi ad acquistare e recuperare il compagno di Nazionale Thomas Berthold con una trattativa lampo, secondo varie voci di corridoio la dirigenza valuta con attenzione persino l'ingaggio di Otto Rehhagel. Il nuovo leader viene blindato con un ricco rinnovo contrattuale per altre due stagioni sportive e progressivamente migliora l’italiano e il suo rapporto con i media.
Con il ritorno a grandi livelli torna a mostrare la versatilità tattica messa in mostra in Germania. Tira con precisione con entrambi i piedi, quando serve si avventura in dribbling vicino e lontano la porta. La generosità lo contraddistingue, unico fra i giocatori di quella caratura. Ma è il connubio fra questa generosità e le sue illuminazioni a renderlo speciale. Il suo calcio costellato di invenzioni estemporanee, pallonetti liftati e passaggi ricchi di effetto di ispirazione tennistica. Quando è davanti la porta finalizza con classe o con astuzia. È la gioia dei tifosi. In un infuocato derby tira e realizza con freddezza un rigore con il cucchiaio dopo una rincorsa infinita che parte quasi dalla metà campo, come a imitare una gara di schiacciate in NBA. Abbinava il gusto per la praticità con un certo esibizionismo.
La Roma quell’anno diverte più del previsto e vince più partite del solito in trasferta. Si spinge in zone della classifica a cui non è abituata. L’intesa tra Voller e Rizzitelli mostra progressi e lo schieramento a due punte permette al tedesco di spaziare sul fronte offensivo in modo imprevedibile. Segna 14 reti. Alle sue spalle si muove una sontuosa versione di Giuseppe Giannini. Alto, bello, elegante, ha 26 anni e sarà una delle attrazioni del mondiale casalingo. Si gioca al Flaminio, che amplifica ogni emozione. Gli ultimi sprazzi di Bruno Conti, già a quel punto un calciatore del decennio precedente, sono nostalgici. Poi le parate di Giovanni Cervone, la grinta di Sebino Nela e di Stefano Desideri. È una Roma minore e non così competitiva, eppure una delle più amate e oggi rimpiante. Il tifo non si alimenta di vittorie ma soprattutto di valori, e di quella strana capacità di una squadra di creare senso di immedesimazione. Quella Roma ci riusciva.
In Germania si torna a dedicare le copertine a Voller, Beckenbauer in Nazionale gli affianca Klinsmann. In un calcio contraddistinto dai grandi spazi e dai molti duelli rusticani, si esalta. A Roma siamo al culto della personalità mentre nel resto del paese le maggiori attenzioni finiscono per raggiungere i compagni di nazionale che giocano per gli squadroni del nord.
La doppia finale
Il Mondiale di Italia 90 ha lasciato in dote un Olimpico rinnovato e pronto a rafforzare un momento magico della tifoseria che ha trovato nuovo entusiasmo dopo il felice esilio al Flaminio. Rudi ha conquistato la coppa del mondo con la sua Nazionale e tanto per cambiare è risultato decisivo, procurandosi in finale il discusso rigore che ha permesso alla squadra di salire ancora una volta sul tetto del mondo calcistico. La panchina passa a Ottavio Bianchi, anche se pubblico e società hanno ormai stretto un legame fortissimo con Gigi Radice e qualche giornalista non nasconde perplessità. Sognando di tornare a competere per lo scudetto, Dino Viola è ambizioso: acquista il giovane Aldair dal Benfica per la ragguardevole cifra di sei miliardi, richiama dal prestito Angelo Peruzzi, strappa Amedeo Carboni dalla corte della Sampdoria e rinforza centrocampo e attacco con Fausto Salsano e soprattutto con Andrea Carnevale.
Il nuovo allenatore porta un nuovo approccio tattico e una disciplina ferrea indispensabili a una squadra ricca di ambizione. Non c’è materialmente il tempo di preoccuparsi di questioni di chimica di spogliatoio: a inizio ottobre viene riscontrata la presenza della Fentermina, una sostanza stimolante e proibita, nelle analisi di due dei nuovi arrivati: Andrea Carnevale e il giovane portiere del vivaio Peruzzi. Il presidente Viola, forse in accordo con i vertici della federazione, abbozza una linea di difesa che vede “responsabile” il medicinale Lipopill assunto dai due per risolvere problemi di peso: la pillola avrebbe consentito di superare agevolmente la classica operazione di controllo della bilancia a dispetto di una cena abbondante. I giocatori subiscono una pesantissima squalifica di un anno e un processo penale.
La vicenda alimenta mesi di sospetti e veleni. Dino Viola muore solo pochi mesi dopo, nel gennaio del 1991, a causa di un tumore asintomatico all'intestino lasciando la società alla moglie Flora. Nella primavera si perfeziona il passaggio della proprietà a Giuseppe Ciarrapico. In questo scenario incerto il rendimento in campionato è sotto le aspettative e i deludenti risultati sportivi alimentano un corto circuito mediatico che finisce per indebolire la squadra. La Roma si concentra sulle coppe, con un successo sorprendente: elimina il Benfica, il Valencia e agli ottavi travolge il Bordeaux con un clamoroso 5-0 in casa, tripletta di Rudi. I due gol su azione sono da opportunista puro che per una serata si concentra meno sul lavoro di squadra e ne sfrutta al meglio gli assist sotto porta. In semifinale spuntano i solidi e iper-fisici danesi del Brondby.
In una stagione disgraziata sotto molti punti di vista, matura uno dei capitoli più emblematici della storia del club. Il pareggio a reti bianche della gara di andata viene accolto con tiepido entusiasmo ma la gara di ritorno si rivela memorabile, uno di quei momenti che cristallizzano il tempo e che misurano l’attaccamento dei tifosi. Buona parte dei sostenitori della Roma infatti ricorda alla perfezione quella partita e cosa stava facendo in quel momento se costretto lontano dallo stadio.
La straordinaria, forse irripetibile, cornice di pubblico rende giustizia al nuovo Olimpico, l’andamento della gara è un riassunto dell’era Viola. La partita è tesa e molto rude con il risultato che si trascina per minuti interminabili sul risultato di 1-1 che sarebbe favorevole per gli avversari. La squadra combatte e crea buone occasioni grazie a un tasso tecnico di maggiore spessore ma la difesa degli avversari è un ostacolo più impervio del previsto. A tre minuti dalla fine, quando si affacciano i fantasmi delle gare con il Liverpool e del Lecce e comincia a serpeggiare un pericoloso fatalismo, arriva come acqua fresca il gol di Rudi che anticipa di un soffio il compagno Rizzitelli pronto a spingere la palla in rete su una respinta del portiere. Una dinamica da manga giapponese. La Roma è in finale di Coppa Uefa per onorare il vecchio Dino.
La Roma è in un momento magico ed espugna il campo della Juve con una vittoria per 0-2 qualificandosi alla finale di Coppa Italia con la Sampdoria scudettata. I Giallorossi riescono a conquistare il trofeo nazionale grazie a due partite di ottimo livello ma si arrendono nel capitolo conclusivo della Coppa Uefa in una sfida molto tirata con l’Inter di Ernesto Pellegrini.
Völler chiude la stagione con 52 presenze, 25 reti di cui 10 in Europa. È uno dei pochi punti fermi in un momento di complessa transizione societaria e di ricambio generazionale. Per le strade riecheggia a ogni occasione il coro ricavato dal celebre singolo di Lorella Cuccarini: «Vola tedesco...Vola» si trasforma in un tormentone di grande fortuna e longevità. In estate contribuisce all’ingaggio di Thomas Häßler in uscita dalla Juventus, il centrocampista era già stato corteggiato a lungo dai romani tempo prima e raggiunge finalmente la capitale anche grazie alla sua mediazione.
Il primo anno di Giuseppe Ciarrapico conferma le brutte avvisaglie del campionato precedente e si conclude con amare eliminazioni nelle coppe. Dopo una serie di cavalcate esaltanti Rudi non riesce a trascinare la squadra come al solito e mostra qualche segnale di involuzione tecnica e fisica. La nuova società perde incredibilmente fiducia nei confronti della sua icona e medita l’ennesimo colpo di mano senza concedere sconti a nessuno. Nel giro di sei mesi passa da “intoccabile” a “sopportato”. Solo in società, perché i tifosi non ha nessuna voglia di metterlo in discussione. Rudi prova in tutti i modi a cambiare le sorti di un destino che sembra già scritto. Il suo diventa una sorta di amore non corrisposto e anche la stampa, che aveva contribuito alla sua mistica, lo abbandona al suo destino desiderosa di voltare pagina e tornare ai vertici. Si spinge per un attaccante più giovane e i limiti di schieramento dei giocatori stranieri non aiutano le posizioni dei più attendisti. C’è anche da lanciare il giovane Roberto Muzzi, gli spazi sono pochi.
Si scolla definitivamente anche lo spogliatoio, che ormai rigetta il gioco e i metodi di Ottavio Bianchi. Il clima sprofonda nel caos.
Per Voller, a primavera inoltrata, arriva una buona offerta di Bernard Tapie che ha grandi ambizioni a livello continentale e deve sostituire Jean-Pierre Papin in attacco. Dopo mesi di riflessione e ripensamenti, un colloquio decisivo con il nuovo allenatore Vujadin Boskov che lo considera “troppo lento” è l’atto finale: Boskov ha intenzione di lanciare al suo posto il biondo Claudio Caniggia. La Roma cede Völler all’Olympique Marsiglia che lo considera un elemento fondamentale in una rosa già ricca. Il calcio italiano se ne disfa senza particolari rimpianti mentre nella piazza scoppia il dissenso. Per mesi in città circolano voci su una possibile avventura da dirigente e di un possibile ritiro per restare a contatto con l’ambiente. Voci che alla prova dei fatti si rivelano infondate.
La scelta si rivela presto un macroscopico errore e il tedesco volante gioca ancora quattro stagioni divise tra il Marsiglia e il Bayer Leverkusen, che accoglie con entusiasmo il suo rientro. Conquista una Coppa Campioni con il club francese e si lascia sfuggire più di una dedica per il popolo romanista che continua a portare nel cuore. «Non volevo andarmene dalla Capitale, La Roma mi ha fatto capire che forse era meglio per me prendere un'altra strada, non avevo il posto assicurato. Accettai la situazione senza problemi e scelsi l'offerta del Marsiglia, sapevo che potevo vincere qualcosa. Dopo la vittoria in Coppa dei Campioni ho voluto fare quella dedica perché Roma la sento sempre un po' mia, dico sempre che sono sempre mezzo romano, sono stato vent'anni con una romana».
Registra 120 presenze e sigla 50 reti nella terza e ultima parte della sua carriera e partecipa all’ennesimo mondiale a USA 94 dove trova ancora la via del gol. Chiude la sua avventura con la Nazionale con il notevole bottino di 90 presenze e 47 reti.
Taumaturgo
Una volta appesi gli scarpini al chiodo Voller ha lavorato come dirigente al Leverkusen e ha poi risposto alla disperata richiesta di aiuto che gli ha rivolto la sua federazione. Quando i vertici della DFB si sono trovati a gestire i peggiori risultati della storia moderna del calcio tedesco, all’inizio di questo millennio hanno bussato alla sua porta. Ingaggiato come timoniere provvisorio tra la gestione di Christoph Daum e quella dell’uscente Erich Ribbeck, ha finito per rimanere in carica dopo lo scandalo a base di droga che ha investito il primo. Sotto la sua guida è arrivata una sorprendente finale di Coppa del Mondo del 2002, che ha sancito il definitivo rilancio di un movimento che in dieci anni si è progressivamente trasformato da conservatore a progressista.
La misura della sua popolarità in patria è stata proprio l’avventura da commissario tecnico che di solito logora e appanna l’immagine di consumati protagonisti, specie se la panchina in questione vanta un leggendario ruolino di marcia nel calcio mondiale. Il suo blasone è rimasto intatto nonostante momenti difficili, un gioco poco spumeggiante e una politica delle convocazioni completamente diversa dal solito. Ha scelto di puntare su una squadra giovane, cancellando con un colpo di spugna polverose tradizioni e diverse regole non scritte. Ha concesso spazio a Gerald Asamoah, nato fuori dai confini del paese da genitori ghanesi trasferiti in Germania e poi naturalizzato. Ha definitivamente accantonato il gioco ormai raffermo della vecchia scuola difensiva tedesca e imposto un sistema moderno e funzionale. Grazie alla sua influenza hanno giocato con la maglia della Mannschaft protagonisti come Miro Klose (di origine polacca) e Kevin Kurányi (nato in Brasile) gettando il seme di una nuova era. Rudi come al solito non si è sottratto alle sue responsabilità e andato ben oltre i limiti del compito che gli era stato affidato.
Le doti di taumaturgo hanno naturalmente attirato anche la Roma, che nel 2004 lo ha richiamato al suo capezzale, in pieno caos alla fine di agosto dopo l’addio di Cesare Prandelli. Rudi accetta di buon grado, ma dopo un mese di passione e un pessimo feeling con Antonio Cassano (che lo aveva ribattezzato “Rockefeller”) esercita il nobile esercizio delle dimissioni dopo aver testato uno spogliatoio troppo distante dalla sua idea cavalleresca di calciatore. Il Leverkusen lo richiama di nuovo e gli affida la gestione del club, un compito che svolge ancora oggi.
Da giocatore la sua eredità viene spesso dimenticata ma Voller ha contribuito a riaccendere l’interesse verso una Bundesliga che stava appassendo. Ha sposato la causa di due squadre come il Werder Brema e il Monaco 1860, scegliendo di restare per diverse stagioni anche a costo di compromettere la sua bacheca personale a livello di club. Nel pieno della sua carriera ha vinto da protagonista il Mondiale del 1990 che ha definitivamente rilanciato la febbre calcistica nel suo paese dopo un lustro molto complesso. Il calcio tedesco era in crisi per la mancanza di talento, ma la generazione successiva al mondiale del 1974 era stata spesso considerata viziata e poco interessata al calcio giocato.
Ha sollevato il blasone della Roma in un momento complesso nonostante vari errori di mercato e una situazione iniziale che avrebbe scoraggiato quasi chiunque. Se escludiamo una Coppa Italia e la finale di Uefa, quella squadra non è mai andata oltre il quinto posto. Davvero poco.
I suoi amori sono stati tutti felicemente corrisposti, ma quello con la Roma è un legame speciale, non costruito sulle vittorie ma sulla simbiosi emotiva tra lui e i tifosi, orfani di Falcao e ancora profondamente feriti dalle tragedie sportive contro Liverpool e Lecce. Ancora trent'anni dopo il suo addio quando i tifosi parlano di Rudi hanno gli occhi lucidi.