È l’ultimo quarto di Spagna-Grecia, seconda giornata del gruppo A del Torneo di Parigi 2024. Dopo aver condotto a lungo - soprattutto grazie a un eccellente secondo quarto - gli iberici campioni d’Europa in carica stanno subendo il tentativo di rimonta degli avversari, trascinati da un super Giannis Antetokounmpo. Avanti 62-61 con poco più di 8 minuti sul cronometro, la squadra di Scariolo è in campo con un quintetto sorprendente per ⅗, se si è abituati a guardare occasionalmente il basket FIBA, data la presenza di Alberto Diaz come handler primario e della coppia Garuba-Pradilla sotto canestro.
A completare i cinque in campo sono i due veterani della squadra, quelli rimasti essenzialmente dalla generazione d’oro, capace di collezionare medaglie a tutti i livelli internazionali. Sergio Llull esce dai blocchi per ricevere, ma non ha una linea di tiro accettabile grazie all’ottima difesa di Calathes. Il play del Real Madrid decide allora di entrare a canestro e scaricare, una volta collassata su di lui la difesa, su Jaime Pradilla quando mancano 4” sul cronometro di tiro. Il lungo di Valencia non ci pensa due volte e ribalta, nello spazio di appena due secondi, sul suo capitano, che con una freddezza glaciale si prende la tripla frontale: solo rete.
È la seconda tripla segnata della partita - e dell’Olimpiade - di Rudy Fernandez, che quest’estate è diventato il primo giocatore di basket a partecipare a sei edizioni dei Giochi. Un record condiviso con Diana Taurasi in campo femminile - da Atene a Parigi, sei medaglie d’oro per lei - ma che è più impressionante di quello della leggenda WNBA date le maggiori difficoltà per una Nazionale non USA a qualificarsi per le stesse Olimpiadi. Dopo un esordio in ombra contro l’Australia, una sconfitta con uno scarto importante maturato nel finale, nel duello contro la Grecia Fernandez dimostra il motivo per cui Sergio Scariolo non avesse esitato a renderlo un elemento importante del suo progetto tecnico, nonostante i 39 anni e i tanti chilometri macinati.
Quella di Rudy è anche la tredicesima - su 25 tentate - tripla segnata in 32 minuti dalla Spagna, con le squadre che continuano a oscillare nelle successive azioni tra il singolo e i due possessi di distanza. Il sorprendente Toliopoulos tiene in scia gli ellenici, e la Grecia ha addirittura l’occasione per andare avanti nel punteggio quando si entra negli ultimi 7 minuti, ma Mitoglou viene contenuto bene sotto canestro da Juancho Hernangomez. Si va verso un nuovo possesso al limite dei 24”, e l’eccellente aiuto di Papagiannis su Llull non lascia presagire nulla di buono per la Spagna.
A uscire provvidenzialmente dai blocchi, ricevendo a 8 metri dal canestro vicino alla panchina greca, è nuovamente Rudy Fernandez. Il rilascio è molto più fuori equilibrio, il coefficiente di difficoltà elevato, il risultato lo stesso di un paio di minuti prima: solo rete. Non è il canestro decisivo, ma è chiaro a tutti i presenti al Pierre-Mauroy di Lille che quello è un momento speciale, reso tale anche dalla paura per un infortunio qualche minuto dopo.
Ciò che diventerà evidente nelle ore successive è che quella qui sopra è la descrizione degli ultimi due canestri da professionista di Rudy Fernandez. Due triple a stretto giro, arrivate in circostanze che ne accrescono il peso specifico. L’ultima fiamma di un campione straordinario, che con una storica partecipazione olimpica ha chiuso una carriera inimitabile e difficilmente eguagliabile in futuro.
Il commosso saluto di Llull, compagno di squadra di tutta una vita, a Rudy Fernandez
Siamo nei giorni in cui si appresta a iniziare una nuova stagione di Eurolega, che per la prima volta dopo un paio di decenni non vedrà in campo il cestista maiorchino. Ma come parte questa storia? In verità, la prima affermazione concreta di Rodolfo Fernández Farrés arriva in patria, quando a febbraio 2004 vince il premio di MVP della Copa del Rey, nonostante la Finale persa dal suo Badalona contro il TAU Vitoria. Un exploit - e in generale una conclusione di stagione - che convincono Aito Garcia Reneses, ai tempi CT spagnolo, a inserirlo nei 12 per l’Olimpiade di Atene.
«Nel 2004 arriva da MVP della Copa del Rey, pur molto giovane, ma negli anni è impressionante come abbia cambiato il suo ruolo per rendersi utile alla squadra», ci dice Piti Hurtado, allenatore spagnolo e apprezzato commentatore televisivo in particolare per Movistar. «La sua eredità più importante è quella di come si possa essere campioni d’Europa e del Mondo, medagliati olimpici, adattandosi a ogni circostanza».
Un predestinato, poi evolutosi in maniera tanto diversa quanto comunque leggendaria.
«Quando si è ritirato Carlos Jimenez», prosegue Hurtado, «pensavo che sarebbe stato impossibile competere ad alto livello senza un giocatore come lui: intelligente, fisico e capace di fare sempre la scelta giusta difensivamente. Nel corso della sua carriera ha cambiato posizione in campo, e ha iniziato a dominare le partite pur senza segnare molto». Un concetto, quello dell’evoluzione, ribadito anche da una giornalista che ha seguito da vicino tutta la carriera del maiorchino, Pilar Casado di Movistar Plus e Radio Cope.
«In questi vent'anni si è evoluto come giocatore, passando da un 2 atletico e fisico a un 3&D, in grado anche di abbinare il tiro alla difesa, ma anche come persona e atleta. Tra il 2004 e il 2005 la Nazionale vive delle delusioni, ma già dal 2006 cominciano ad arrivare le medaglie e in quelle estati Rudy c’è sempre stato. A inizio carriera era un giocatore molto atletico, ma i problemi alla spalla cominciati ad accusare negli anni NBA lo hanno portato a cambiare, crescendo come giocatore difensivo grazie ai suoi ottimi istinti e al senso della posizione con le mani».
«La sua carriera», prosegue Casado, «è stata prolungata anche dal lavoro dello staff medico del Real Madrid. Nei suoi migliori anni in nazionale, dal 2015 in poi, è stato in grado di tenere difensivamente giocatori più fisici di lui». Quello che è effettivamente sorprendente, nella lunga e interessante parabola agonistica di Fernandez, è proprio l’evoluzione citata da Hurtado e Casado. A inizio carriera Rudy era un atleta elettrizzante, capace di affermarsi come schiacciatore da highlight - basti pensare al volo su Dwight Howard nella Finale di Pechino 2008, o alla partecipazione allo Slam Dunk Contest NBA - e tornando indietro a quegli anni immaginare un’evoluzione così, per longevità e caratteristiche, era molto difficile.
«Era la continuazione del cammino tracciato da Gasol e Navarro», dice Hurtado di uno dei momenti da highlight della carriera del giocatore maiorchino.
«Al Mondiale del 2006 i suoi giochi a due con Sergio Rodriguez erano una delle attrazioni del torneo», ci dice Jeff Taylor, voce principale di FIBA nelle grandi competizioni internazionali degli ultimi decenni. «Gli appassionati però sanno bene che il motivo per cui ha avuto questa grande importanza sin da giovane, arrivando da Badalona alle Olimpiadi e alla NBA, era la sua intensità difensiva. Era la scintilla definitiva, in grado di accendere la sua squadra nel non risparmiarsi mai su nessun pallone, anche sacrificando il suo corpo se necessario».
L’appartenere a una generazione di fenomeni, in grado di collezionare risultati verosimilmente irripetibili a livello internazionale - quattro ori europei, due Mondiali, due argenti e un bronzo ai Giochi Olimpici, sempre almeno ai Quarti di ogni torneo tra il 2006 e il 2022 - ha probabilmente ritardato il riconoscimento di Rudy come membro effettivo di quella cerchia di giocatori eccezionali. Lo stile poco convenzionale, capace di elettrizzare i propri tifosi tanto quanto provocare ire e antipatie degli avversari, ha probabilmente ritardato di qualche anno la definitiva consacrazione di Fernandez come uno dei più grandi giocatori della storia moderna del basket europeo.
«A lungo non ha avuto il riconoscimento che meritava a livello individuale», concorda Casado, «forse anche per la visibilità che avevano due come Pau Gasol e Juan Carlos Navarro. Quando progressivamente i protagonisti di quella generazione si sono ritirati, e soprattutto in occasione dell’Europeo 2022, ha cominciato a essere identificato come un riferimento di questo gruppo e anche di questo importante cambio generazionale. È una considerazione arrivata forse tardi, ma sin da quando è tornato in Spagna al Real Madrid l’abbiamo visto diventare un leader, diverso dal solito. A Berlino, a Eurobasket, la sua leadership è stata fondamentale».
Se la considerazione è arrivata differita nel tempo, da pressoché subito Rudy ha polarizzato le attenzioni di chi guardava le sue partite. Hate him or love him, difficile trovare una sfumatura. «Se la Spagna era in difficoltà era il primo a produrre una giocata importante», ricorda Jeff Taylor. «Ed era anche il primo ad entrare nella testa dei suoi avversari. Per questo i tifosi avversari non l’hanno mai amato: avrebbe fatto di tutto per vincere. Perfino tuffarsi su un pallone vagante atterrando sul binario della telecamera, pur di guadagnare un possesso. Nel 2022 la Spagna aveva bisogno di lui al suo meglio e lui ha risposto. Dal 2004 a oggi non riesco a immaginare un campione più grande di lui con la maglia spagnola».
Sempre costantemente decisivo quando contava.
Una leadership cresciuta con il tempo, prendendosi la ribalta con un lavoro costante. E con l’esempio quotidiano: «Se un giocatore di 39 anni si butta su una palla vagante, come può non farlo uno di 23. Ha sempre guidato i gruppi così, dando l’esempio», ricorda Casado. Un’evoluzione andata di pari passo con quella cestistica, resa necessaria da fattori contingenti. «Quando si è dovuto operare alla spalla dieci anni fa», ricorda Noelia Gomez Mira di Relevo, «gli dissero che non poteva continuare a giocare alla sua maniera, non si è abbattuto. E ha cambiato il suo modo di giocare, allungando la sua carriera e ritirandosi al punto più alto, alle Olimpiadi».
Se a Tokyo abbiamo visto due esempi di leggende contemporanee chiudere con una partecipazione ai Giochi Olimpici - Luis Scola e Pau Gasol - a Parigi è stato il turno di Fernandez, che ha riscritto i record della pallacanestro tagliando, insieme a Diana Taurasi in campo femminile, un traguardo verosimilmente inarrivabile, quello delle sei partecipazioni a un Torneo Olimpico. Un risultato non affatto scontato, dal momento che la clamorosa e non troppo celebrata medaglia d’oro all’Europeo 2022 è stata seguita da un deludente Mondiale 2023, che ha visto la Spagna non uscire dalle forche caudine di Giacarta per mano del Canada e della sorprendente Lettonia di Luca Banchi.
Aggiungere Parigi a una lista comprendente Atene, Pechino, Londra, Rio de Janeiro e la stessa Tokyo non era soltanto un obiettivo sportivo per Fernandez, ma soprattutto familiare. «Dopo la morte del nonno aveva promesso al padre, poi morto anche lui, che avrebbe giocato una sesta Olimpiade», ci dice Casado, con Gomez che aggiunge: «Già lì aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per esserci». In una conclusione perfetta - quasi omerica - l’atto conclusivo dell’epopea di Rudy Fernandez è stato a casa. Chiusa la carriera con i club con il suo settimo titolo ACB (in totale sono 29 i trofei vinti tra Badalona e soprattutto Real Madrid) la porta per coronare la promessa fatta al padre era il Preolimpico di Valencia.
Tutta l’emozione dopo il traguardo raggiunto.
Durissimo, oltre le aspettative, fatto di una sofferta semifinale contro la Finlandia - priva di Markkanen - che tanto aveva fatto penare all’Europeo la squadra di Scariolo, e soprattutto la Finale contro le Bahamas, nuova sensation del basket FIBA. Una partita durissima, culminata in un lieto fine capace di lanciare ufficialmente il farewell tour più speciale possibile: «Credo che per lui sia stato come vincere un’altra medaglia», dice Gomez, che poi si sofferma sul ricordo dell’ultima partita giocata a Madrid, appena prima della partenza per Lille.
«È indescrivibile raccontare ciò che è stata quella serata, ancora oggi non trovo le parole adatte. Giornalisti più veterani mi hanno detto di come l’ovazione alla sua uscita dal campo sia stata la più grande mai vissuta in Spagna in un campo da basket, e questo dice di quanto Rudy sia stato generazionale per la nostra pallacanestro, una vera e propria leggenda assoluta».
Se Casado sottolinea come Rudy - anche per quanto seguito alla perdita del padre - «oggi ha capito che era il momento di restituire alla famiglia il tempo non dato in 20 anni di carriera come atleta», quello di Fernandez è identificabile come il finale perfetto per un campione che ha dato tutto, dimostrandosi all’altezza delle innumerevoli versioni della sua carriera richieste nel corso delle diverse tappe vissute. Da predestinato a glue guy, da talento puro offensivo a specialista difensivo, da ultimo arrivato a capitano. Un percorso difficilmente ripetibile, come il record che lo consacrerà per sempre nella storia del basket per nazionali.