Con il silenzio degli stadi vuoti per via della pandemia di Covid-19, la distanza tra gli spettatori e lo spettacolo del calcio si è ridotto drasticamente. La dimensione sonora, abbiamo scoperto, è quella che più contribuisce a dare un’aura di rilevanza a una partita e senza l’atmosfera dello stadio la Serie A assomiglia molto da vicino a un torneo di calciotto in periferia. Giocatori che bestemmiano ai contrasti come il vostro amico che ha troppa paura di farsi male, allenatori che urlano le stesse identiche indicazioni che di solito usate per incitare i giocatori più scarsi: “Accorcia!”, “Eccolo!”, “Braaaaavo”. Ad aggiungere un ulteriore livello di desolazione c’è poi il rimbombo dello stadio, con le urla che rimbalzano sugli spalti vuoti a creare una dimensione in cui i giocatori sembrano spettri di persone morte mandati a infestare gli stadi di Italia ’90 per chissà quale maledizione.
In questi giorni di atmosfere da campi di provincia e ritmi balneari, solo un suono mi ha riportato a pensare alla Serie A come qualcosa di lontano, ricordandomi che i giocatori non sono davvero come noi, che sono fatti di una pasta diversa, che toccano il pallone in un altro modo. E cioè il suono del pallone colpito da un tiro di Ruslan Malinovskyi. Questo suono.
Dario Saltari · Esplosione Malinovskyi
La palla colpita dal trequartista ucraino per il 2-2 dell’Atalanta contro la Lazio ha gettato le mie orecchie in un abisso sonoro che non ha nulla a che fare con una partita di calcio e che potrebbe essere tranquillamente utilizzato come base di una canzone dei Nine Inch Nails o dai rumoristi di uno di quei film esperienziali sulla guerra come Dunkirk o 1917 per ricreare l’effetto dei mortai in lontananza. Un tonfo sordo e profondissimo che sembra fuoriuscire dalle viscere della Terra più che dal pallone - potrebbe essere il suono di una delle esplosioni che precedono l’eruzione di un vulcano o quello del passo pesante del Balrog, il demone fatto di fumo e fiamme che nell’universo di Tolkien riesce a uccidere Gandalf facendolo cadere in un abisso nelle miniere di Moria.
I tiri di Malinovskyi sono diventati un tema in questo finale di stagione principalmente per il ruolo che hanno avuto nel definire la lotta in testa alla classifica. Prima pareggiando la partita con la Lazio, rimontata dalla squadra di Gasperini da un parziale di 0-2, poi segnando il momentaneo 1-2 nella sfida dell’Allianz Stadium contro la Juventus, che per una decina minuti ha clamorosamente riaperto una corsa allo Scudetto che sembrava ormai decisa. Ma il loro ruolo va in realtà oltre la contingenza della classifica attuale e sono importanti soprattutto perché segnano la definitiva reintroduzione nel nostro campionato di quella specie di giocatore ormai in via d’estinzione che è il tiratore dalla lunga distanza. O se volete del calciatore con la “pezza”, quel tiro mitologico che congela il tempo e i corpi degli avversari.
È importante sottolineare a questo proposito che con tiratore dalla lunga distanza non stiamo parlando solo del semplice specialista del tiro da fuori area, magari a giro dopo essere rientrato sul piede forte, ma di quel tipo di giocatore la cui violenza nel calcio è tale da restituire tra avversari e spettatori un diffuso senso di ineluttabilità e terrore ogni volta che quel giocatore entra in possesso. Quella sensazione, cioè, che non provavamo più da quando Adriano aveva preso l’abitudine di incrinare le traverse di San Siro, il cui inconfondibile suono spezzato non a caso ricordiamo ancora oggi.
Malinovskyi ci ha riportato a un’epoca in cui ancora non avevamo la placida consapevolezza che i tiri dalla distanza fossero soluzioni statisticamente inefficaci per segnare. Con lui in campo la tranquillità delle difese posizionali viene meno e non è raro sentire gli allenatori avversari gridare dalla panchina “non farlo tirare!” anche quando è ancora sulla trequarti con la palla ad uscire verso uno dei due esterni.
Nonostante sia di gran lunga il giocatore che tira più da fuori area della Serie A - 3.7 tentativi per 90 minuti su 4.7 totali, almeno 0.8 più di qualunque altro (Berardi, secondo, è a 2.9) - il trequartista ucraino dell’Atalanta prende la porta con la regolarità dell’attaccante navigato. Il 42,9% delle volte con il sinistro (quello che teoricamente dovrebbe essere il suo piede forte, con cui ha realizzato 56 dei suoi 67 tiri totali in questa stagione di Serie A), il 20% con il destro - che viene quasi da ridere a definirlo piede debole per come l’ha utilizzato nell’ultimo gol alla Juventus. La cosa più vicina a una mazza chiodata vista su un campo di calcio negli ultimi anni.
Malinovskyi sembra voler stordire i portieri più che sorprenderli, o aggirarli con traiettorie complesse. Non c’è alcun artificio nei suoi tiri. Il massimo della ricercatezza è il collo esterno con cui il colpisce il pallone quando calcia di sinistro, di solito a incrociare, con cui fa abbassare il pallone immediatamente dopo l’impennata iniziale. Il trequartista ucraino non prova mai a piazzare il pallone, a mirare a un angolo cercandolo con lo sguardo. Che tiri sul palo più vicino o sul secondo palo, le sue traiettorie sono sempre dirette - linee rette che vanno dal suo piede alla porta senza ripensamenti o scorciatoie. Come nel gol realizzato a dicembre contro il Verona, probabilmente il più bello realizzato in questa stagione, con cui ha semplicemente superato Silvestri facendogli passare il pallone sopra la testa battendo in velocità i suoi riflessi, invece di aggirarlo con una traiettoria a rientrare sul secondo palo.
Con il destro, invece, l’ucraino va all-in sulla potenza con il collo pieno per andare sul sicuro, senza nemmeno guardare la porta, e il pallone nel viaggio in aria rimane spesso fermo come un pianeta senza rotazione sul proprio asse. Di fronte alla violenza di Malinovskiy, i portieri avversari rimangono spesso atterriti con lo sguardo fisso. Alcuni si buttano dopo essere stati già superati dal pallone per far vedere di averci almeno provato. Sembrano appena aver perso l’innocenza dopo aver visto la morte in faccia.
Intermezzo: le facce dei portieri che hanno appena subito un gol dalla distanza da Malinovskiy.
4. Strakosha guarda scappare l’orso che lo ha appena aggredito dopo quella che doveva essere una tranquilla passeggiata nel bosco.
3. Andreacci sbalzato a terra dall’impatto con un camion guarda la sua automobile completamente distrutta.
2. Cerniauskas ancora scosso dal nugolo di vespe che lo ha attaccato mentre provava a rimuovere il loro nido dalla grondaia.
1. Gabriel quasi in lacrime dopo che il pastore maremmano del suo amico ha provato ad azzannargli un braccio.
Nei soli tiri da fuori il tasso di conversione (cioè la percentuale di tiri da fuori area trasformati in gol) di Malinovskyi è un irreale 9,4%, cioè quasi il triplo della media del campionato (3,6%). In Serie A, l’unico ad avere un’incidenza maggiore dei gol dalla distanza rispetto al totale delle proprie reti è Radja Nainggolan, che ha segnato 6 gol su 6 da fuori area, contro i 5 su 7 di Malinovskyi. Rispetto alle coordinazioni levigate del belga, che danno alla palla traiettorie pulite, da videogioco, nel modo di colpire il pallone del trequartista ucraino c’è invece qualcosa di brutale, simile a un jab improvviso di un lottatore di MMA. L’unica cosa assimilabile al mondo dei videogiochi nei tiri di Malinovskyi è l’accelerazione vertiginosa data al pallone, simile a quella che Roberto Carlos riusciva a dare in Winning Eleven mentre il commentatore giapponese gridava SHOOTA. Un suono che la Serie A dovrebbe pensare seriamente di aggiungere all’audio virtuale di queste partite post-covid ogni volta che il trequartista dell’Atalanta tenta il tiro per rimarcare ancora di più l’aspettativa che si viene a creare in quel momento.
Per adesso, nel silenzio desolante degli stadi italiani, dobbiamo accontentarci della grandinata di click dei fotografi a bordocampo, perfettamente consci di poter scattare una foto di un gol anche da un suo tiro da 25 metri, come gabbiani che seguono un peschereccio.
È possibile avvertirli anche poco prima dell’ultimo gol contro il Brescia.
Oggi che viene da 3 gol e 4 assist nelle ultime sei partite giocate (di cui solo due partendo da titolare), sembrano lontanissimi i tempi in cui Malinovskyi sembrava ancora un pesce fuor d’acqua nel nostro campionato e Gasperini l’avrebbe voluto letteralmente ammazzare per aver perso “alcuni palloni sanguinosi”, dopo una partita in cui comunque aveva rischiato di bucare il pallone sul palo dopo uno dei suoi rarissimi tiri a giro, a San Siro contro l’Inter.
I tiri di Malinovskyi sono ormai una variabile che non può non essere presa in considerazione, in quel miracolo calcistico chiamato Atalanta in cui ogni nostra convinzione sembra essere fatta per essere smentita. Da quando è ripreso il campionato, Gasperini lo ha inserito regolarmente nelle rotazioni aumentandone il minutaggio, utilizzandolo come un grande cestista da tre da mettere nei minuti finali per vincere una partita in bilico. Anche se è entrato spesso al posto di Gomez, Malinovskyi in questa fase del campionato ha in realtà colmato il vuoto lasciato dall’attuale calo di forma di Ilicic - soprattutto nelle ricezioni nel mezzo spazio di sinistra, nella rifinitura dell’azione e per l’appunto nei tiri da fuori area. Se continua a segnare con questa continuità, forse le difese della Serie A dovranno presto iniziare a pensare delle contromisure ad hoc. Magari con una marcatura a uomo personalizzata come non se ne vedono più da anni o pensando a un sistema di falli tattici dedicato.
In un’epoca in cui l’intelligenza nelle scelte sembra farla da padrone e i sistemi sono sempre più pensati per mettere i giocatori nelle condizioni migliori possibili per segnare, Malinovskyi sembra voler sfidare ogni volta la nostra incredulità con la sbruffonaggine di chi può quasi letteralmente spaccare una partita con la pura potenza del suo calcio.