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Non ci sarà più un altro Russell Westbrook
11 mag 2021
Le 182 triple doppie di Russell Westbrook sono un traguardo impensabile che solo lui poteva rendere normale.
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9 min
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Era difficile immaginare una partita più alla Russell Westbrook rispetto a quella che ha giocato stanotte contro gli Atlanta Hawks. Nella serata che avrebbe dovuto consegnarlo ai libri di storia, ha sbagliato la tripla disperata che avrebbe permesso ai suoi Washington Wizards - alla prima partita senza Bradley Beal - di battere i padroni di casa al termine di una partita in cui, come sempre, ha lasciato in campo ogni singola goccia di energia che aveva in corpo.

La pratica della tripla doppia numero 182 della sua carriera era stata già archiviata nel terzo quarto, quando su un tiro sbagliato da Danilo Gallinari il compagno di squadra Davis Bertans ha avuto la premura di spostarsi in tempo, permettendo a Russ di afferrare il decimo rimbalzo della sua partita. Quello che gli mancava per portare in doppia cifra anche l’ultima delle principali tre voci statistiche di una partita di basket e superare il record di Oscar Robertson che durava da ben 47 anni.

Ora Russell Westbrook è il recordman della storia NBA per triple doppie, tagliando un traguardo che solo un lustro fa poteva sembrare folle e che invece è stato superato con relativa semplicità, tanto da rispettare il conto alla rovescia che tutti i tifosi avevano attivato qualche settimana fa. Nelle ultime 26 partite, infatti, Westbrook ha superato la doppia cifra nelle tre più importanti voci statistiche per ben 22 volte (e in tre occasioni si è fermato a quota 9 assist), rendendo credibile - quasi scontato - il sorpasso prima della fine di questa stagione regolare. Che infatti è arrivato con precisione svizzera nella notte italiana tra lunedì e martedì, come se fosse stato deciso a tavolino dalle eminenze grigie della lega.

Come rendere normali 28 punti, 13 rimbalzi e soprattutto 21 assist, che non sono neanche il suo massimo nell’ultimo mese (ne ha realizzati 24 contro Indiana la scorsa settimana).

Diamo i numeri

Per Westbrook sarà la quarta stagione nelle ultime cinque chiusa con oltre 10 punti, 10 rimbalzi e 10 assist di media, e se i suoi Wizards non fossero impegnati in una furiosa rincorsa all’ultimo posto valevole per i play-in a Est potrebbe tranquillamente fermarsi e godersi il nuovo primato individuale. Invece le ultime partite saranno fondamentali per confermare l’ottimo momento di forma della squadra della capitale e arrivare alla partita secca (probabilmente contro gli Indiana Pacers) con il maggior slancio possibile. Dopo un inizio di stagione travagliato, a causa della scarsa preparazione e delle tante assenze legate al Covid-19 - tanto da aver dovuto chiudere per due settimane il campo d’allenamento senza nemmeno potersi incontrare faccia a faccia - gli Wizards sono ora una delle squadre più lanciate in NBA avendo vinto 13 delle ultime 17 partite. E il leonino finale di stagione di Russell Westbrook è uno dei motivi principali per i quali Washington ha ancora una speranza di comparire ai playoff.

Gli Wizards hanno vinto solo tre delle loro prime 15 partite stagionali e al 30 gennaio avevano il peggior record dell’intera NBA. Poi finalmente la loro stagione è svoltata, non casualmente in coincidenza con la ripresa di Russell Westbrook che, come successo anche nella scorsa stagione a Houston, dopo l’All-Star Game ha migliorato sensibilmente il suo modo di giocare capendo come adattarsi alla squadra. Se l’anno passato si era trasformato in una palla da bowling lanciata senza sponde verso il canestro operando di fatto da lungo nominale e segnando oltre 27 punti di media, a Washington ha fatto il percorso inverso tornando ad essere un playmaker con il compito di mettere in ritmo i propri compagni piuttosto che cercare la gloria personale.

Nonostante l’esplosione nel punteggio che sta vivendo la NBA contemporanea, in questa stagione Russ sta tenendo la media punti più bassa dal suo secondo anno da professionista in NBA. Siamo lontani dai picchi che lo hanno portato a vincere per due volte la classifica come miglior realizzatore stagionale, un po’ perché è cambiato lui e un po’ perché è cambiata la NBA attorno. Westbrook non è più il demone che attaccava il ferro cercando ogni volta di procurargli del dolore fisico, né il tiratore convinto di poter appoggiare il pallone al tabellone da qualsiasi angolo. Questi tratti del suo gioco sono andati via via svanendo con il passare del tempo e degli infortuni, costringendolo ad allargare il proprio arsenale di soluzioni estemporanee e caotiche, dettate più dall’istinto che dalla ragione.

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D’altronde, che non sia mai stato un calcolatore e non abbia mai messo su un foglio Excel la sua selezione di tiro lo si capisce da come negli anni abbia progressivamente ridotto i tentativi da oltre l’arco, continuando però a sparacchiare dalla media distanza (quasi il 23% dei suoi tiri, dato più alto in carriera) con il suo caratteristico jumper dal gomito, quasi un dito medio alla corsa verso l'efficienza della lega. Non stupisce quindi che stia viaggiando con il 44% dal campo e il 50.5% di percentuale effettiva, ma mai quanto in questa stagione l’aspetto realizzativo è passato in secondo piano nel gioco di Westbrook.

Non è un caso che il suo meglio lo abbia mostrato proprio quando è stato affiancato da un grande attaccante, un realizzatore su tre livelli in grado di massimizzarne le scorribande e garantire un equilibrio in termini di possessi e responsabilità con il pallone. Dopo Kevin Durant, Paul George e James Harden, anche Bradley Beal sta beneficiando dall’avere accanto Russell Westbrook, tanto in campo quanto fuori. Nel corso della stagione il secondo miglior realizzatore della lega ha ripetuto più volte quanto Russ sia uno dei compagni migliori che abbia mai avuto e di come lo abbia aiutato a crescere ulteriormente portando il suo gioco su un altro livello.

Beal infatti, abituato a condividere il campo con un playmaker esplosivo dopo gli anni passati insieme a John Wall, non si aspettava di trovare anche un agonista unico e un leader di spogliatoio a cui affidarsi durante una stagione così tribolata. E la relazione tra i due è sbocciata partita dopo partita, fino a formare uno dei tandem più affiatati della lega. Beal gli ha affidato la maggior parte dei possessi e Westbrook lo ha ripagato imbeccandolo quasi 4 volte a partita per delle conclusioni vincenti, il secondo asse più produttivo in NBA dopo quello composto da Draymond Green e Steph Curry. Ma i quattro assist a partita per Beal rappresentano solo un terzo di quelli che Westbrook smazza ad ogni uscita (11.5) nettamente il migliore in questa statistica con più di due lunghezze di vantaggio su Trae Young.

Westbrook non è mai stato un passatore funambolico come Curry o creativo come Nikola Jokic, ma negli anni ha saputo definire degli automatismi che rendono sostenibile il volume di gioco al quale è abituato, come ad esempio lo scarico per il lungo nel pitturato lasciando andare il pallone all’improvviso come se il pallone scottasse. Dopo l’All-Star Game i passaggi di Westbrook generano 31.6 punti a partita per Washington, un numero semplicemente ridicolo e che ha davvero pochi confronti anche nella storia delle statistiche.

E la sua abilità di prendere il rimbalzo difensivo e ribaltare immediatamente il lato d’attacco è ancora oggi inimitato, nonostante sia ormai alla 13^ stagione in una lega piena di atleti fuori scala. Dopo esser stato criticato a lungo per aver gonfiato le proprie statistiche a Oklahoma City, Westbrook continua a essere la migliore guardia rimbalzista anche alla terza squadra in altrettante stagioni. Solo cinque giocatori in NBA prendono più rimbalzi di lui ed è tranquillamente davanti ai due centri candidati al premio MVP Nikola Jokic e Joel Embiid, nonché l’unico statunitense nella top-10 della specialità. Il tutto a 190 centimetri di altezza “ufficiali”, anche se come spesso accade almeno una manciata dovrebbero essere regalati.

Ricorderemo Russ solo per le triple doppie?

Quando nella stagione 2016-17 Russell Westbrook vinse il premio MVP con 42 triple doppie in 82 partite - superando un altro record di Oscar Robertson, questa volta sulla singola stagione - era il giusto riconoscimento per uno sforzo erculeo, che aveva piegato la realtà in una unicità statistica. Si stava premiando la rarità di quell’evento piuttosto che l’effettivo impatto perché era dato per scontato che sarebbe rimasta una stagione irripetibile, incastonata nella storia della lega con la stessa irripetibilità di quella compiuta da The Big O nel 1961-62. Invece da quella tripla da otto metri segnata in faccia a tutta Denver non si è più guardato indietro e ha cominciato a mettere nel mirino quel record che apparteneva a un’altra epoca in cui si tentavano oltre 100 conclusioni a partita.

E quella che sembrava un’orgogliosa risposta a Kevin Durant, che l’estate prima lo aveva lasciato per trasferirsi in California, dimostrando che “chi fa da se fa per tre” (o, in questo caso, dieci per tre) è diventata la misura che definirà la carriera di Russell Westbrook. Negli anni le sue prestazioni vitruviane hanno via via abbandonato la loro forma supereroistica per prenderne una invece più sottile, quasi trasparente che ha normalizzato l’eccezionalità facendola passare quasi sotto traccia. Abbiamo dato per scontato Russell Westbrook, come si fa erroneamente con qualsiasi azione che diventa liturgia quotidiana, invece di sorprenderci ogni volta di fronte al suo smisurato talento. Perché se fosse facile fare una tripla doppia ci riuscirebbero tutti, come ama ripetere a chi mette in dubbio la sua assurdità statistica.

https://twitter.com/hoopshype/status/1391926528955588611

Se Oscar Robertson ha realizzato la maggior parte delle sue triple doppie nei primi anni di carriera, Westbrook ne ha accumulate 145 nelle ultime cinque stagioni. Storicamente il record delle sue squadre quando va in tripla doppia è di 136-46, pari al 74.7% di vittorie.

È ironico pensare che il nome di Russ verrà legato indissolubilmente a una voce statistica, proprio lui che ha condotto tutta la propria carriera in aperto contrasto con la virtualizzazione del gioco mettendo ogni notte in campo una fisicità magnetica, strabordante, che usciva dallo schermo dal quale lo abbiamo osservato in questi anni. Lui, che da quando ha messo per la prima volta piede su un parquet NBA sembrava un razzo a forma di linebacker, viene descritto ora come una matrice di numeri a due cifre ripetuti all’infinito.

Ma non c’è niente di meccanico dentro la riproducibilità delle triple doppie di Westbrook, anzi dentro la sua militaresca regolarità in realtà c’è invece una continua mutazione. Un affilare sempre più il proprio personale Victorinox, un coltellino svizzero pieno di accessori che nessuno tranne lui ha ancora imparato ad usare.

È in questa aspra colluttazione tra forma e contenuto che si pone l’indecifrabile talento di Russell Westbrook: un giocatore unico, irripetibile, che da il meglio quando è costretto a reinventarsi, ad adattarsi come una specie a rischio d’estinzione. E proprio quando ormai sembrava avviato a un pensionamento anticipato, funestato da infortuni (l’ultimo quello al quadricipite che ne ha condizionato l’inizio di stagione) e superato dalle rapidissime evoluzioni del gioco ci ha sorpreso per l’ennesima volta, con un finale di stagione da fuoriclasse.

Tenendo fede al suo brand, elevato ormai a mantra di vita, Russell davanti alla titanica impresa si è chiesto why not? e giocato ogni partita con la solita, trascinante energia. Perché in quei numeri in doppia cifra c’è il sudore, l’agonismo e l’entusiasmo di un campione che non si è mai risparmiato, e nel bene o nel male è sempre rimasto coerente con se stesso.

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