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I posti in piedi allo stadio stanno tornando?
12 ott 2018
Dal 1994 i club delle prime due divisioni inglesi sono obbligati a dotarsi di strutture all-seater, ma una recente discussione in Parlamento potrebbe portare delle novità seguendo l'esempio di altri paesi europei.
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Lo scorso 25 aprile una petizione online che chiedeva di «consentire ai club di Premier League e Championship di introdurre le safe standing», ovvero quei settori nei quali gli spettatori possono assistere anche in piedi alle partite, ha raggiunto (e ormai ampiamente superato) le 100mila firme, una cifra necessaria – secondo la legislazione britannica – per portare una qualsiasi questione alla discussione in Parlamento. Di safe standing, in realtà, ce ne sono di diversi tipi, e quelli attualmente presi in esame in Inghilterra si chiamano rail seat: in questo caso i seggiolini sono pieghevoli, incorporati da una ringhiera metallica alla quale appoggiarsi e si basano sul principio che ad ogni posto corrisponda uno spazio occupato da una sola persona al fine di scongiurare l’accalcarsi dei tifosi.

La principale promotrice delle safe standing negli stadi inglesi è la Football Supporters’ Federation (FSF), «un’organizzazione democratica finalizzata a rappresentare i diritti dei tifosi e discuterne le proposte in Inghilterra e Galles», già protagonista in passato di alcune campagne volte a migliorare l’esperienza allo stadio: nel 2013 la Twenty’s Plenty for Away Tickets esortava le società a fissare un prezzo massimo di 20 sterline per i biglietti del settore ospiti, mentre l’iniziativa Watching Football Is Not A Crime! puntava ad ottimizzare il rapporto tra tifosi e polizia in occasione delle partite.

Il dibattito attorno alle safe standing si trascina dai primi anni Duemila e costituisce uno dei temi più delicati riguardanti il modo di vivere lo stadio, soprattutto nel mondo britannico, dove si porta dietro tutta una serie di significati che portano spesso le discussioni ad essere accese.

La ministra ombra dei Labour per lo Sport, Rosena Allin-Kha, sostiene la campagna per il safe standing nello stadio del Queens Park Rangers (foto di Kirsty O'Connor/PA Wire).

In primo luogo, c’è l’ovvio contrasto tra la tradizione (secolare in Gran Bretagna) di assistere alla partita in piedi, anche per via di una migliore partecipazione collettiva alla gara, e l’impossibilità di realizzare questo desiderio a causa della vigente legislazione. Secondo il Football Spectators Act 1989, infatti, «il Segretario di Stato può ordinare all'autorità di rilascio della licenza di includere, in ogni autorizzazione per far entrare gli spettatori in una determinata sede, una condizione che impone il rispetto di requisiti come l’osservanza di posti a sedere durante le partite di calcio».

La rivoluzione del rapporto Taylor

L’originale normativa venne aggiornata in ossequio alle raccomandazioni contenute nel celebre Taylor Report, nel quale si invitavano le società delle prime due divisioni a dotarsi di all-seater stadia entro l’inizio della stagione 1994-95. Il rapporto era stato redatto dal giudice Peter Taylor all’indomani del disastro di Hillsborough, riconosciuto come il turning point del calcio inglese in materia di sicurezza e tifo negli stadi. Per l’Inghilterra si trattava di una svolta epocale, che segnò la fine di oltre cent’anni di cultura delle terraces – le vecchie gradinate in cemento in cui si assisteva in piedi alle partite – e la nascita di strutture moderne e all’avanguardia.

Sebbene, secondo il rapporto, ad innescare la strage in cui morirono per asfissia 96 tifosi del Liverpool fu «l’assenza dei controlli di polizia», Taylor riconobbe il ruolo cruciale di un settore inadeguato e troppo piccolo, la Leppings Lane, nel quale erano entrate più persone di quante potessero essere realmente contenute. Hillsborough aveva rappresentato il punto di non ritorno, l’ultima e più letale conseguenza di un «malessere generale e di un degrado attorno al gioco causato da una serie di fattori».

La coreografia preparata da Anfield per il 29esimo anniversario della tragedia di Hillsborough, lo scorso aprile (foto di Lindsey Parnaby / Getty Images).

Il pessimo stato in cui versava da oltre vent’anni il calcio inglese non era solo una questione di stadi vecchi – molti dei quali costruiti all’inizio del XX secolo – ma si inseriva dentro un panorama fatto di leadership carente della federazione, di un eccessivo consumo di alcolici e del fenomeno dell’hooliganismo che aveva spinto il governo all’innalzamento esagerato di recinzioni e all’idea diffusa che i tifosi andassero segregati all’interno di gabbie pur di evitare qualsiasi incidente.

Insomma, bisognava cambiare il mondo del calcio nella sua totalità, e per farlo si doveva partire dalla sicurezza del pubblico e dal controllo della folla, «strettamente connessi alla qualità delle strutture e a quelle norme che in esse vengono incentivate». Il ragionamento di base era questo: servizi deficitari abbassano gli standard di condotta, mentre impianti funzionali migliorano (soprattutto in termini di sicurezza) il comportamento degli spettatori.

Da queste considerazioni si sviluppò l’esigenza di rendere più appagante e sicura la fruizione di una partita di calcio, un traguardo perseguibile solo obbligando le società a ristrutturare i loro impianti. Pur ammettendo che «non esiste una panacea che garantisca la sicurezza assoluta e risolva tutti i problemi relativi al comportamento e al controllo della folla», Taylor scrisse di essere «soddisfatto che i posti a sedere si avvicinino a questi obiettivi meglio di qualsiasi altra singola misura».

«Stare in piedi – proseguiva il rapporto – non è intrinsecamente pericoloso, ma è verosimile che i benefici portati dagli all-seater stadia spingano ad accelerare la conversione in questo tipo di strutture».

Sono sostanzialmente due le motivazioni a sostegno di questa tesi, ed entrambe sono il risultato di un’attenta analisi dei tanti problemi che, a partire dalla strage di Ibrox del 1902, contraddistinsero la pessima gestione dell’ordine pubblico e la totale noncuranza per la salvaguardia dei frequentatori degli stadi inglesi fino alla nascita della Premier League.

Secondo il rapporto Taylor, stare seduti garantisce innanzitutto una maggior sicurezza, dal momento che «ciascuno possiede il suo piccolo pezzo di territorio in cui può sentirsi ragionevolmente protetto e non sballottolato dai movimenti e dalla pressione di altre persone», rendendo quindi possibile sapere quanti e quali sono i posti occupati, senza più basarsi sul conteggio visivo e approssimativo (la cosiddetta “fill up and see strategy”) come invece avveniva nell’epoca delle terraces. La seconda ragione è una diretta conseguenza della prima: i posti a sedere riducono infatti il numero di tifosi all’interno di uno stadio, con la possibilità di garantire un accurato monitoraggio mediante l’uso delle telecamere, installate a partire dal 1991. Le stesse, inoltre, servono alle autorità per individuare i responsabili di eventuali incidenti grazie al nome dell’acquirente, stampato sul biglietto, al quale è assegnato un preciso seggiolino.

Taylor suggerì l’introduzione degli all-seater stadia perché, all’epoca, si erano di fatto l’unico rimedio veloce per superare il sistema delle terraces e dell’inefficiente controllo su chi le popolava. Proprio il processo di rinnovamento degli stadi delle prime due divisioni – i campionati dalla terza serie in giù invece furono esentati –promosso dal rapporto Taylor, nonché le più severe leggi anti violenza hanno contribuito a costruire quell’immagine patinata della Premier League a cui siamo abituati oggi, e di cui ognuno è libero di pensare quello che vuole.

Da quel momento in poi, l’attenzione per l’incolumità degli spettatori è divenuta prioritaria, tant’è che da Hillsborough in avanti non si sono più verificati incidenti dovuti al sovraffollamento. Certo, non è tutto oro ciò che luccica: se la conversione degli stadi in strutture all-seater ha creato benefici per la salvaguardia e la sorveglianza della folla, allo stesso tempo ha però anche privato di quella partecipazione popolare che caratterizzava le partite, svuotando gli stadi di quell’atmosfera coinvolgente e a tratti anarchica tipica del calcio inglese tra gli anni Settanta e Ottanta.

Nonostante la rivoluzione apportata in tema di sicurezza, il rapporto Taylor ha comunque lasciato una zona grigia all’interno della legislazione britannica in materia di stadio e tifo. Stare in piedi non è vietato di per sé – sono infatti concesse deroghe nei momenti topici dell’incontro, come ovviamente l’esultanza in occasione di un gol – quello non contemplato dai regolamenti di accesso è invece il persistent standing, quando cioè un tifoso segue in piedi l’intera partita con il rischio di ostruire la visuale alle persone dietro di lui. Si tratta di un comportamento proibito – che può comportare l’allontanamento dallo stadio e persino la revoca dell’abbonamento – perché si verifica in settori nei quali il pubblico deve stare seduto. Tuttavia, dal momento che a rilevare le infrazioni rimangono sempre le singole società, sono sempre più numerosi i club che optano per una maggiore tolleranza. Consapevoli che imporre di stare seduti a volte può risultare controproducente e generare problemi di ordine pubblico, e per avere migliori rapporto con le frange più calde del tifo, infatti, molte squadre tendono ormai ad essere permissive e lasciare che i tifosi rimangano in piedi in specifici settori dello stadio etichettati “singing sections”.

L’esempio di Germania, Svezia e Austria

Lo step mancante, dunque, è una zona dello stadio ufficialmente riconosciuta da club e autorità, dove alle persone è concessa la facoltà di scegliere se stare in piedi o meno durante le gare.

Questo è quanto accade in Germania, Svezia e Austria, dove le safe standing sono ormai una consuetudine da una decina di anni. I real seat adottati da club di Bundesliga come Hannover e Hoffenheim sono diventati il modello cui guardare e prendere spunto per auspicare un loro approdo anche in Inghilterra.

In un video di qualche anno fa illustrativo delle safe standing adottate dall’Hannover vengono spiegati ad esempio il funzionamento e i benefici di queste installazioni. Durante le manifestazioni nazionali, il sedile resta bloccato in posizione verticale; in caso di competizioni europee – che da regolamento Uefa devono essere disputate esclusivamente in impianti all-seater – il personale dello stadio sblocca tutti i posti, azionando una manopola che ne abbassa la seduta. Il meccanismo garantisce una notevole autonomia al tifoso, che può così scegliere come assistere alla partita, potendo godere del proprio spazio in assoluta sicurezza.

Se l’esempio tedesco ha portato nel luglio 2016 il Celtic ad allestire una safe standing da circa 3mila posti riservata alla Green Brigade, qualcosa sembra essersi mosso anche in Inghilterra. Negli ultimi anni numerose società di Premier League e Championship, come Crystal Palace, West Bromwich Albion, Wolverhampton e Norwich, hanno dato il loro benestare all’introduzione dei posti in piedi, esortando in alcuni casi i tifosi a partecipare alla petizione. Lo stesso WBA si è visto respingere ad aprile la proposta di installare una safe standing al The Hawthorns, descrivendo la scelta del Ministro dello Sport Tracey Crouch «inaspettata» e «deludente».

La safe standing area del Celtic Park, a Glasgow (foto di Jeff Holmes / PA Wire).

Nonostante spesso si dia per scontato l’appoggio dei tifosi a questo tipo di misure, in realtà la faccenda è più complessa di quanto non sembri. Mentre diversi sondaggi a partire dal 2007 hanno evidenziato pareri largamente favorevoli alle safe standing, l’indagine più recente ha specificato che soltanto il 5% vorrebbe stare in piedi per tutta la durata dell’incontro, segno che la stragrande maggioranza vuole poter scegliere come assistere alle partite. Il sistema rail seat proposto per le safe standing, quindi, soddisferebbe appieno questa finalità, ma deve ancora fare i conti con l’ostracismo del governo.

Sebbene persino la Sports Grounds Safety Authority, l’ente governativo deputato a garantire la sicurezza negli impianti di Inghilterra e Galles, si sia dimostrata favorevole a «istituire una procedura» per predisporre i real seat, le autorità hanno a lungo espresso un secco rifiuto al cambiamento. Il motivo di questa avversione era da ricondurre a quello che il disastro di Hillsborough ha rappresentato per l’opinione pubblica, ovvero il pregiudizio che i posti in piedi fossero automaticamente sinonimo di insicurezza. In realtà, come sottolineato anche dal giornalista Adrian Tempany, sopravvissuto alla strage, «Hillsborough non accadde perché le standing area sono intrinsecamente insicure, accadde perché lo stadio era insicuro e perché gli enti incaricati di garantire la sicurezza dei tifosi furono gravemente negligenti».

C’è da dire che introdurre le safe standing provocherebbe un esborso economico non indifferente (si parla di costi intorno alle 80 sterline a seggiolino) che le società potrebbero ripianare almeno in parte attraverso un aumento della capacità dello stadio e di conseguenza un maggior numero di biglietti venduti. La maggior semplicità di queste strutture comporterebbe una probabile diminuzione del tagliando di ingresso, rendendo quindi lo stadio accessibile anche a un pubblico più giovane altrimenti tagliato fuori dai costi troppo alti che, negli anni, hanno contribuito a portare l’età media dei tifosi a 41 anni.

Dando al pubblico la possibilità di stare in piedi, a trarne beneficio sarebbe soprattutto il tifo. Si tratterebbe di un cambio di fisionomia che non riguarderebbe solo il layout degli impianti, ma anche le caratteristiche di chi li frequenta, oltre a rappresentare un esempio virtuoso di cambiamento generato dall’incontro tra club e tifosi.

Alla fine la discussione in Parlamento sulle safe standing c’è stata e ha dato segnali positivi. Il Ministro Crouch ha detto di avere una «mentalità aperta» sulla questione, confidando di arrivare a una decisione prima della fine dell’anno. Dopo decenni di richieste e sondaggi, la politica si è fatta finalmente carico del problema: potrebbe essere il primo passo verso una svolta che, fino a qualche tempo fa, non sembrava non solo impossibile ma persino non auspicabile.

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