«Avevo il diritto di scegliere il mio futuro». È la frase che ha utilizzato Salah per riassumere la telenovela estiva di calciomercato che l’ha riguardato, una frase ormai scontata per tutti noi che viviamo in questa parte di mondo, ma che in bocca a un calciatore famoso ha un sapore inaspettato, quasi indigesto. Chi la pronuncia è stigmatizzato per l'avidità e la corruzione, in un mondo come quello del calcio composto di professionisti a cui si chiede di essere degli autentici romantici.
Gli inizi
Nel calcio, quello di poter scegliere liberamente il proprio futuro dentro e fuori dal campo è un diritto non ancora affermato. Quando ancora non era un professionista affermato, i genitori di Moahamed erano indecisi se continuare a farlo giocare o imporgli di concentrarsi sugli studi. Alla fine il padre (un ex calciatore, paradossalmente), chissà dopo quante e quali discussioni, si decide a lasciarlo libero di giocare. Una decisione assennata, col senno di poi, se oggi viene chiamato “Messi d’Egitto”. È un soprannome che ispira il sarcasmo di alcuni, ma che assume una certa consistenza se consideriamo la storia del calcio egiziano.
L’ultimo calciatore egiziano degno di nota ad aver calcato campi europei, Mido, ha segnato in Nazionale 19 gol in tutta la sua carriera. Salah ne ha già segnati 21 in 37 presenze. Tanto per dare un’idea, il più grande marcatore contemporaneo del paese, Mohamed Aboutrika, ne ha fatti in tutto 38. Salah è già oggi, a 23 anni, uno dei più grandi attaccanti egiziani di tutti i tempi (è nono nella classifica all-time dei marcatori della sua Nazionale). E fa un po' impressione, quindi, pensare che la carriera professionistica di Salah è iniziata solo cinque anni fa. Ha esordito nella prima serie egiziana nel maggio del 2010, a 17 anni, con la squadra dove ha svolto le giovanili, l'Al-Mokawloon. Il primo gol, però, è arrivato nella stagione successiva, quando ormai era permanentemente in prima squadra.
Nell’azione che porta alla rete si vedono già, abbozzate, alcune delle sue qualità principali: il movimento senza palla, la velocità con cui si fa trovare alle spalle della difesa avversaria, la voglia di finalizzazione.
In quell’anno, in realtà, Salah ancora non brillava, il talento c’era, ma non era ancora emerso. In campionato faticava (anche perché gli Al-Mokawloon cambiano tre allenatori in un anno) e al Mondiale U-20 non aveva impressionato, segnando solamente una volta su rigore. In quel periodo veniva criticato per mancare di freddezza sotto porta, ed è interessante perché oggi la capacità di trasformare in gol le sue lunghissime serpentine è considerata una delle sue caratteristiche migliori.
Effettivamente Salah sembra essere un giocatore estremamente capace di migliorarsi. Aly Mazhar, uno suo compagno di quei tempi, ha detto: «Ha il desiderio continuo di migliorare il suo gioco e lavorare sulle proprie debolezze; è un giocatore umile che accetta le critiche». I miglioramenti si vedono subito la stagione successiva, quella interrotta per il disastro di Port Said, dove Salah mette a segno 7 gol e 3 assist in 15 apparizioni. È più veloce degli avversari, a volte sembra veder giocare un adulto in mezzo a 21 bambini, solo che il rapporto tra i corpi è inverso. Gran parte delle azioni nascono con le difese avversarie schierate: a Salah non serve nemmeno essere virtuoso nel dribbling, basta accelerare per creare spazi e occasioni pericolose.
Un esempio è al minuto 2:20, quando Salah prima supera un difensore che aveva provato ad anticiparlo, poi altri due che lo stavano aspettando pensando di aver imparato la lezione.
In questo periodo inizia a sentirsi troppo piccolo per il proprio paese, tradizionalmente molto diffidente nel cedere i propri talenti ai club continentali. Dichiara senza remore di voler andare a giocare in Europa e si fa promettere dalla società di lasciarlo partire se arrivasse un’offerta congrua.
Il primo grande fraintendimento: il rapporto con l’Egitto
Prima di continuare a seguire la sua carriera vorrei soffermarmi un attimo sull’idea, apparentemente evidente e sostenuta da parte della stampa italiana, che Salah abbia un rapporto del tutto armonico con il proprio paese e, più in generale, la propria identità. È molto religioso (una delle sue figlie si chiama Mecca, tanto per dirne una) e ha una base di fan enorme che come uno sciame di api va a ingrossare le fila degli account dei social network delle squadre in cui milita. Eppure il suo rapporto con l’Egitto e con il mondo musulmano non è privo di controversie.
Esempio numero uno. Nell’inverno del 2013, Salah riceve il premio come miglior giocatore del campionato svizzero per la stagione 2012/13. La presentatrice dell’evento lo invita sul palco per conferirgli il premio, ma prima lo bacia sulle guance, com’è da tradizione in quasi tutti i paesi europei (in Svizzera in realtà ci si bacia tre volte, ma tant’è).
Il gesto, totalmente innocuo da questa parte del Mediterraneo, solleva un vespaio nell’ala conservatrice dei suoi fan musulmani, che disapprova il contatto fisico in pubblico tra persone di sesso diverso. Salah rimane molto amareggiato dalla reazione e al canale Al-Hayat 2 dichiara: «Mi hanno rovinato la gioia, hanno dimenticato il premio e si sono concentrati sulla signora che mi ha baciato. Dovunque vada qui in Svizzera la gente mi applaude, mentre i miei connazionali mi criticano». Poi, però, aggiunge: «Il video mostra quanto fossi imbarazzato, Dio sa che non volevo farlo».
L’imbarazzo sembra anche derivare dalla scarsa conoscenza dell’inglese, comunque.
Anche dal punto di vista politico il rapporto di Salah con l'Egitto è più ambiguo di quello che sembra a un primo sguardo. Quando viene acquistato dal Basilea, nell’estate del 2012, il suo paese è in subbuglio, a metà tra la fine del regime di Mubarak e l’inizio di quello di Mohamed Morsi, che di lì a poco porterà per la prima volta i Fratelli Musulmani al potere dopo decenni di repressione. Lo stesso club svizzero sfrutta il caos nel paese avviando le trattative in primavera.
Il campionato è stato sospeso a febbraio a seguito del massacro di Port Said (“il più grande disastro nella storia del calcio egiziano” per dirla con le parole dell’allora vice ministro della sanità egiziano), in cui negli scontri tra i tifosi dell’Al-Ahly e quelli dell’Al-Masry all’interno dello stadio muoiono 74 persone. Secondo molti egiziani, in quella tragedia pesa la mano invisibile dell’esercito che, in vista delle elezioni che si terranno a giugno, si astiene volontariamente dall’intervenire per diffondere la paura del caos e, con l’occasione, punire gli ultras dell’Al-Ahly, che più volte in passato si erano pubblicamente schierati contro Mubarak.
Le prime fasi di quello che sta per diventare un massacro.
Nel primo anno di Salah al Basilea la situazione in Egitto non migliora, anzi. L’elezione di Morsi non fa che acuire i contrasti nel paese, con le piazze che continuano a produrre vittime e l’esercito che non fa nulla per nascondere il suo fastidio nei confronti delle scelte del nuovo presidente (tra cui quella di riavvicinarsi ad Hamas nell’ambito del conflitto israelo-palestinese). Alla fine, nel luglio del 2013, le forze armate decidono di prendere in mano la situazione esautorando Morsi in quello che molti media occidentali, forse ancora inebriati dalle vicende della primavera araba, chiameranno “colpo di stato democratico”.
Poco più di un mese dopo, mentre in Egitto l’esercito arriva a uccidere oltre mille sostenitori dei Fratelli Musulmani in un solo giorno. Sulle vicende egiziane interviene lo stesso Salah parlando al sito sportivo egiziano FilGoal: «La situazione in Egitto mi rattrista molto. Non c’è nulla di più importante del sangue dei miei connazionali. Non importa quanto saranno importanti le partite, non esulterò finché (lo spargimento di sangue, ndr) non finirà».
Il naturale decorso costituzionale del colpo di stato democratico si conclude nel giugno del 2014, quando viene eletto presidente al-Sisi, generale dell’esercito e membro del Consiglio Supremo delle Forze Armate egiziane. Circa un mese e mezzo dopo, il nuovo ministro dell’educazione decide di rescindere la registrazione di Salah a un programma educativo che gli permetteva di andare all’estero senza dover rispondere alla leva militare obbligatoria, che in Egitto dura dagli uno ai tre anni. Per un calciatore questo significa sostanzialmente la fine della carriera, o almeno la fine della carriera ad alti livelli. Sulla questione viene interpellato Ahmed Hassan, leggenda del calcio egiziano, che ha parlato con Salah al telefono: «È scioccato dalla decisione. Mi ha detto che sta cercando di rappresentare l’Egitto nel miglior modo possibile. È questa la migliore risposta del nostro paese?». Alla fine, grazie all’intermediazione dell’allenatore della nazionale Shawky Gharib, la situazione rientra. Ma questo è il secondo esempio di un rapporto che non è semplice e armonioso come lo si dipinge.
L’attenzione per le vicende del suo Paese, però, continua anche dopo. Ancora lo scorso anno, quando è arrivato alla Fiorentina, Salah ha scelto il 74 come numero di maglia per ricordare le vittime di Port Said. Poco dopo il campionato egiziano viene di nuovo interrotto per l’ennesima tragedia: circa 20 tifosi dello Zamalek rimangono uccisi negli scontri con la polizia poco prima di entrare allo stadio. Sulla tragedia aleggia ancora una volta l’ombra dell’esercito. Su Twitter, Salah scrive: «Stanno chiedendo una veloce ripresa del campionato ma le vittime avranno giustizia in tempi rapidi?».
L’arrivo in Europa
Ma torniamo a quando Salah, giocando nel campionato egiziano, si mette in mostra attirando l’attenzione di Newcastle e Basilea. I Magpies si rifiutano di pagare i 500mila euro per il prestito oneroso richiesto dall'Al-Mokawloon e in corsa rimane solo il Basilea. La squadra svizzera decide di provinarlo in maniera molto originale, organizzando un’amichevole con l’Egitto U-23 con cui Salah quell’estate parteciperà alle Olimpiadi di Londra. La partita finisce 4-3 per gli egiziani, Salah entra nel secondo tempo e fa due gol. Qualche settimana dopo il Basilea lo annuncia come nuovo acquisto.
In Svizzera la pressione è alta, perché il Basilea ha appena venduto Shaqiri al Bayern Monaco e Salah è pensato per essere il naturale rimpiazzo. Nonostante ciò, l’egiziano non si fa intimorire e il suo impatto con il campionato svizzero è devastante: 10 gol e 11 assist il primo anno in tutte le competizioni. Ancora una volta sembra che la mentalità ferrea, così lontana dallo stereotipo arabo, l’abbia aiutato molto. Il suo allenatore, Murat Yakin, è entusiasta: «Di solito i giocatori giovani e talentuosi non hanno voglia di giocare con le squadre di bassa classifica. Salah invece mi ha impressionato per la sua determinazione e il suo impegno, come se stesse giocando la Champions League e non la coppa nazionale». Lo stesso dice di lui anche Bob Bradley che in quel periodo lo allena in Nazionale: «Salah è un professionista perfetto sia in campo che fuori dal campo».
In quella prima stagione inizia a impressionare anche fuori dai confini elvetici. In Europa League segna a Chelsea e Tottenham facendo impazzire giocatori come Ivanovic e Bale (alle Olimpiadi di Londra, invece, la vittima era stata Marcelo).
La sua curva d’apprendimento sembra non avere pause. Salah, accanto all’accelerazione e alla velocità, dimostra una tecnica nello stretto eccezionale e un’ottima capacità di rimanere freddo sotto porta nonostante le sollecitazioni fisiche. Il suo compagno Marco Streller commentò così uno dei suoi due gol al Chelsea in Champions League: «Mi ha profondamente impressionato come Salah sia riuscito a rimanere lucido dopo un’accelerazione di quel tipo, specialmente considerando che eravamo negli ultimi minuti».
Ancora una volta Salah sente di essere troppo grande per la piazza in cui milita. In un’intervista al The Sun descrive Basilea come il primo gradino della sua carriera, perché il suo sogno è in realtà giocare per il Manchester United, il Chelsea o il Real Madrid.
Il secondo grande fraintendimento: l’antisemitismo
È necessario fare una seconda pausa per sfatare un altro mito diffuso. Se si digita una A accanto al nome di Mohamed Salah nella barra di ricerca di Google, infatti, uno dei primi suggerimenti che appare è “antisemita”. La vulgata secondo cui Salah provi ostilità o addirittura odio nei confronti degli ebrei in realtà dice molto più su di noi, in quanto italiani e in quanto occidentali, di quanto non dica su di lui.
Le origini della credenza sono relativamente celebri. Il 31 luglio del 2013 il Basilea affronta nei preliminari di Champions League la più importante squadra israeliana, il Maccabi Tel Aviv. Il rituale della massima competizione europea dopo l’inno prevede le strette di mano tra le due squadre. Salah decide però di sottrarsi al rito uscendo dalla fila composta dai suoi compagni di squadra per allacciarsi le scarpe. La società svizzera, per evitare che il caso esploda, si affretta a spiegare che si tratta solo di una coincidenza.
Ma la situazione acquisisce comunque una rilevanza politica, ancora prima della partita di ritorno che si giocherà a Tel Aviv una settimana dopo. L’ampia base di fan del giocatore egiziano infatti preme affinché lui si rifiuti di andare a giocare in Israele come segno di sostegno alla causa palestinese. Lui stesso ci pensa, al quotidiano svizzero Blickdichiara: «Non lo so ancora, non ho mai detto di non voler giocare; ma la situazione è difficile».
Alla fine, però, viene convinto dal Basilea a partire (secondo alcuni minacciando la rescissione del contratto) e nell’annunciare la sua decisione, secondoThe Times of Israel, rilascia questo comunicato: «Andrò in Israele. Il calcio è più importante della politica ed è il mio lavoro. Nella mia mente giocherò in Palestina e non in Israele, segnerò e vincerò. La bandiera sionista non sarà più esposta in Champions League». Le parole, tuttavia, sono probabilmente attribuite dalla stampa israeliana a Salah che, dal canto suo, ha sempre negato di averle pronunciate.
La partita comunque è un inferno. Il Bloomfield di Tel Aviv si presenta strapieno e ornato da decine di bandiere di Israele. Salah non fa nulla per stemperare la tensione e deroga nuovamente al rituale della Champions League, questa volta offrendo ai giocatori del Maccabi un pugno chiuso invece della classica stretta di mano.
Difficile comunque capire quanto il gesto sia volutamente simbolico.
Com’è ovvio che sia, il giocatore egiziano viene sommerso di fischi ogni volta che tocca il pallone. In questo ideale botta e risposta, Salah ha l’ultima parola. Al 21esimo del primo tempo segna lo 0-2 per il Basilea e prima di esultare pregando come fa di solito, si dirige verso le tribune facendo il segno della bocca che parla con le mani. Quando viene sostituito nel secondo tempo, tra gli insulti generali del pubblico, il giocatore israeliano Yeini gli si avvicina con fare minaccioso puntandogli il dito contro. Il giorno dopo la partita (che finirà 3-3 permettendo al Basilea di passare alla fase a gironi) Salah va nella città vecchia di Gerusalemme a pregare nella moschea di al-Aqsa, situata nella celebre Spianata delle Moschee contesa da secoli tra ebrei e musulmani.
Quando Salah si trasferisce nel cosiddetto calcio che conta, tra Premier League e Serie A, le società e i media europei tratteranno il caso con fastidio e imbarazzo, dimostrando da una parte l’avversione cronica del calcio moderno nei confronti di tutto ciò che si situa al di fuori dal campo di gioco, dall’altra la nostra incapacità di affrontare l’argomento senza ricorrere al dogmatismo.
Quando viene acquistato dal Chelsea, Mourinho, interrogato sulla vicenda, si dice «più che pronto ad aiutarlo», come se avesse un problema di salute. Quando arriva a Londra molti giornali lo attaccano sottolineando l’incoerenza nell’andare a giocare per il club di Roman Abramovich, probabilmente il più ricco ebreo sionista di tutta Europa.
Per evitare questo tipo di problemi molti giocatori hanno deciso di occultare qualunque informazione extra-calcistica della propria vita. A tre anni dal suo arrivo al Chelsea, per esempio, ancora non si è capito se e quale religione professi Eden Hazard e la cosa ha generato dei rumour sul fatto che sia segretamente musulmano. Forse per lo stesso motivo, nel 2012 la stampa inglese scrisse che Hazard aveva firmato una lettera insieme ad altri 61 giocatori per boicottare gli Europei Under-21 in Israele dopo l’ennessima offensiva nella striscia di Gaza. In quel caso, tuttavia, la polemica fu prontamente spenta dal suo agente, che smentì la notizia dichiarando che Hazard «non parla mai delle sue opinioni politiche». Ma a Salah simili dichiarazioni (una volta a Basilea dichiarò: «Se qualcuno ha letto qualcosa di politico da parte mia, allora non sono io») non sono bastate.
Quando, a gennaio di quest’anno, Salah sembra sul punto di passare in prestito alla Roma, il presidente dell’associazione Maccabi Italia (un’organizzazione che coordina le associazioni sportive ebraiche in Italia) twitta sul proprio account: «Noi ebrei come potremmo continuare a tifare Roma se dovesse ingaggiare un antisemita?». La comunità ebraica, attraverso le parole del suo assessore alle relazione esterne, fa invece sapere che rimarrà vigile e attenta ai «comportamenti etici e morali».
La questione della moralità delle scelte politiche di Salah si ripresenta alla sua conferenza stampa di presentazione alla Fiorentina. Un giornalista gli chiede conto con insistenza della famosa dichiarazione sulla bandiera sionista in Champions League. All’ennesima smentita da parte di Salah, si spazientisce anche un responsabile della Fiorentina, che si mette ad battibeccare con il giornalista. Quest’ultimo si giustifica affermando che la domanda era stata fatta alla luce della linea societaria di voler acquistare solo giocatori con “grandi qualità morali”.
Chissà qual è la relazione tra l’antisionismo e il fair play.
Negli articoli della stampa italiana su Salah l’avvenimento o è scientificamente evitato o è considerato un eccesso di gioventù, una sorta di ragazzata. In questo sito di tifosi della Fiorentina si chiede ai lettori di dimenticare le accuse di antisemitismo non tanto perché siano infondate tanto perché «il futuro giocatore viola ama il prossimo ed è spesso protagonista di grandi gesti di beneficenza», come se una cosa controbilanciasse l’altra.
Quando quest’estate arriva a Roma, la Gazzetta dello Sport torna sull’argomento e scrive che in passato Salah «si è rifiutato di stringere la mano a giocatori ebrei» sommando così i due assurdi fraintendimenti alla base di questa vicenda, e cioè che tutti i giocatori delle squadre israeliane siano israeliani (un vero controsenso, se pensiamo alla polemica sui Troppi Stranieri™ che ciclicamente si ripropone nel nostro paese) e soprattutto che tutti gli israeliani siano ebrei. Fa strano doverlo precisare, ma nella formazione titolare di quel Maccabi giocavano titolari tre stranieri e due israeliani arabi e musulmani.
D’altra parte, nessuno avrebbe il coraggio di scrivere che Salah si rifiuta di stringere la mano a giocatori cristiani se facesse lo stesso gesto contro la Juventus, eppure in virtù della nostra visione stereotipata dei conflitti mediorientali, in cui religione e politica sono necessariamente due facce della stessa medaglia, tutto questo diventa assolutamente accettabile.
Tra Premier League e Serie A
Il Chelsea, nonostante tutto, non si spaventa di fronte alle accuse di antisemitismo e lo acquista nell’inverno del 2014. La resistenza fisica e l’etica del lavoro sono le caratteristiche di Salah che convincono Mourinho a puntare su di lui per fare concorrenza al trio Hazard-Oscar-Willian. Dopo le prestazioni in Champions League, tuttavia, su di lui c’è mezza Premier League e il tecnico portoghese lo deve chiamare personalmente per convincerlo a venire a Stamford Bridge.
Il rapporto tra i due non è decollato fin da subito.
L’esperienza a Londra è però un completo fallimento, nonostante le belle parole iniziali di Mourinho. In un anno Salah scende in campo solo 13 volte, la maggior parte delle quali a partita in corso, segnando solo due gol assolutamente ininfluenti (il 6-0 in Chelsea-Arsenal e l’1-0 in Chelsea-Stoke City). L’egiziano paga la concorrenza spietata e i ritmi elevati della Premier League, che rendono meno appariscenti le sue caratteristiche migliori come la velocità e la resistenza. Mourinho non deve aver apprezzato nemmeno le qualità non eccezionali in ripiegamento difensivo dell’egiziano. Una volta, dopo una prestazione non memorabile in League Cup, il portoghese lo ha additato pubblicamente: «Salah mi ha deluso, se i calciatori che hanno giocato 90 minuti due giorni fa sono stati fantastici, mi aspetto che quelli che non giocano tanto alzino il livello e mi creino problemi».
In Italia Salah ritrova un habitat perfetto per esaltare le sue qualità, nulla a che fare con la presunta arretratezza delle preparazioni fisiche del nostro paese che viene ventilata sulla stampa. L’egiziano diventa letteralmente devastante in un calcio statico e tattico come il nostro. Montella, inoltre, ha l’intelligenza di esonerarlo quasi completamente da compiti difensivi, facendolo giocare principalmente da seconda punta accanto a uno tra Gómez e Babacar. Quindi, non solo Salah si nota di più, ma può anche permettersi di concentrare tutte le proprie energie esclusivamente sul puntare la porta avversaria. Realizza 9 gol e 4 assist in 26 partite.
Il gol più famoso realizzato da Salah in Italia. Per quanto possa apparire azzardato, penso si possa definire come un gol alla Salah: il controllo di tacco in corsa l’aveva già realizzato in Nazionale contro la Bulgaria mentre il tunnel sulla corsa dell’avversario contro lo Zimbabwe.
Il futuro
Salah stupisce soprattutto per il controllo del pallone in corsa. Sembra quasi che in accelerazione il tempo per lui rallenti, e che mantenga la stessa lucidità che avrebbe a ritmi bassi. Il dribbling non si compone quasi mai di finte, ma per lo più dall’incapacità dei difensori avversari di poter decifrare in tempo utile le intenzioni dell’egiziano: tra pensiero e azione il lasso di tempo è troppo breve. È lo stesso motivo per cui a volte Salah manda in tilt i meccanismi difensivi con la sola presenza, come successo ad esempio nel suo ultimo gol al Tottenham.
La fiducia nel poter saltare l’avversario e l’abilità nei movimenti senza palla portano spesso Salah dentro l’area di rigore, tanto che è difficile vederlo calciare dalla distanza (nonostante abbia un discreto sinistro). L’egiziano ama prendere d’anticipo anche i portieri e infatti non è raro vederlo calciare di punta, come a calcetto.
Salah è un giocatore diretto. I movimenti, di solito dall’esterno destro verso l’interno, sono fatti per arrivare il prima possibile in porta o attraverso il dribbling solitario o attraverso le triangolazioni strette con i compagni. L’egiziano è attratto magneticamente dalla porta avversaria, non ha la pazienza per attendere che la propria squadra aggiri gli avversari con il palleggio.
La forza di Salah ha come riflesso tutti i pericoli che può correre in una squadra come la Roma. La fama dell’egiziano deve essere alimentata da una meraviglia continua per sopravvivere alle frequenti pause che caratterizzano le sue partite, una sfida che sarà ancor più grande con una tifoseria esigente come quella romana. Bisognerà capire, inoltre, quanto l’attaccante sia capace di mantenere la sua imprevidibilità anche contro difese basse e squadre arroccate, una condizione che la Roma (almeno per quanto riguarda il campionato) condivide col Chelsea.
Per fare ciò Salah dovrà essere capace di imparare ancora. A reggere l’urto degli avversari spalle alla porta, ad esempio, ma anche di bilanciare le forze tra la gravosissima fase difensiva che comporta il 4-3-3 di Garcia e quella offensiva.
Ma lavorare sui propri limiti non dovrebbe essere un problema per Salah, la sua storia è fatta molto più di determinazione che di predestinazione. Per capire da che parte uscire da quella «zona neutra che separa i giocatori davvero unici da quelli semplicemente strani» basterà, si fa per dire, non dimenticarsi della strada già percorsa.