L’eventuale applicazione di un salary cap ai club di Serie A è un argomento che torna d’attualità in maniera ciclica. Chi lo tira fuori, in genere, lo fa con l’idea di voler diminuire le disparità fra le squadre. Qualche giorno fa questa idea è tornata alla ribalta per bocca dell’Amministratore Delegato dell’Inter Alessandro Antonello, che però l’ha indicata come possibile soluzione di un diverso problema: l’aumento del peso degli stipendi dei calciatori sui bilanci, che già prima della pandemia di Covid-19 stava creando qualche difficoltà alle società e che nell’attuale situazione di ovvia riduzione dei ricavi assume una rilevanza ancora maggiore.
Antonello lancia un grido d’allarme sulla sostenibilità dell’intero sistema a fronte di un peso del costo del personale che si avvia per molte società a sfiorare l’80% del fatturato. L’A.D. nerazzurro aggiunge che solo una regolamentazione a livello europeo potrebbe affrontare in maniera equa il problema per non creare un deficit di competitività dei club italiani rispetto al resto d’Europa. Le due dichiarazioni sembrano in contraddizione, perché se c’è un problema di sostenibilità del calcio italiano che ne mette a rischio il futuro, a logica, è un tema che andrebbe affrontato indipendentemente da quello che decide l’Uefa per il resto d’Europa. In realtà non è proprio così. Questo perché il margine che divide la “completa sostenibilità finanziaria” di un club da una situazione “potenzialmente a rischio default” è tanto più ampio quanto più la proprietà di un club può far fronte con mezzi propri a eventuali passivi di bilancio. In questo contesto i regolamenti, anche se di poco disomogenei fra loro nelle diverse leghe, potrebbero incidere notevolmente sulla competitività di squadre che partecipano alle stesse competizioni europee. Ormai quasi un decennio fa, proprio per questo motivo, su richiesta dei club è nato a livello Uefa il Fair Play Finanziario del quale un’eventuale salary cap europeo sarebbe di fatto un ampliamento. Nell’attuale regolamento del FFP un’indicazione relativa alle soglie massime spendibili per il costo del personale c’è ma non rappresenta una normativa vincolante. Per il regolamento Uefa, infatti, la sostenibilità economica dei club che hanno un costo del personale superiore al 70% del fatturato è considerata a rischio e meritevole di attenzione ma non comporta, da sola, alcuna sanzione.
Cos’è il Tope Salarial
Una specie di salary cap in una lega europea a dire il vero esiste già e lo stesso Antonello lo cita nei suoi ragionamenti, si tratta del “Tope Salarial” della Liga spagnola. Ha fatto scalpore il recente aggiornamento semestrale che prevede una brusca diminuzione dei “tetti salariali” di Real Madrid (da 641,05 a 468,53 milioni) e soprattutto Barcellona (da 671,43 a 382,72 milioni). Vale la pena approfondire il funzionamento di questo meccanismo, che era stato fortemente voluto dal presidente della Liga Javier Tebas al momento della sua elezione nel 2013.
È da sette anni che questo sistema è in vigore nel calcio spagnolo e il fatto che molti non ne siano a conoscenza lascia capire che non sia stata la “rivoluzione copernicana” che ci si potrebbe immaginare. Eppure ha comunque rappresentato un aiuto ai club spagnoli per tenere i conti in ordine all’indomani del caso Malaga, prima vittima del Fair Play Finanziario Uefa in quella stagione. Innanzitutto va detto che il regolamento partorito dalle Liga è abbastanza complicato, tanto da prevedere un manuale di 261 pagine per spiegarne ogni dettaglio. Provando a semplificare un po’ il funzionamento, prima dell’inizio di ogni stagione i club della Liga e della Segunda Division spagnola sono chiamati a presentare un prospetto del bilancio atteso per la stagione successiva comprensivo di tutte le voci relative ai costi e ai ricavi. Una volta sottratti dalla cifra dei ricavi attesi tutti i costi non relativi al personale, il valore che resta, se ritenuto credibile dall’organo di controllo della Liga, è quanto la squadra può spendere al massimo nel corso della stagione per il costo del personale senza far segnare un passivo di bilancio.
Il costo del personale in questo caso, a differenza di un “salary cap puro”, non riguarda solo gli ingaggi dei giocatori ed è composto da sei voci di bilancio: gli stipendi pagati ai giocatori in rosa, le retribuzioni per la cessione dei diritti d’immagine, gli ammortamenti, le quote di previdenza sociale, i trattamenti di fine rapporto di lavoro e gli stipendi pagati a calciatori in prestito. È importante ricordare che questo valore, concordato dalla Liga con ogni club, non è fisso ma può variare nel corso della stagione al verificarsi di numerosi eventi. Per esempio può aumentare se un club realizza delle plusvalenze nel corso della sessione di mercato, se conclude nuovi contratti pubblicitari, se la società ha una situazione finanziaria solida con un patrimonio netto ampiamente positivo da poter “erodere” con eventuali passivi di bilancio, se negli anni precedenti i bilanci sono stati chiusi con degli utili o se gli azionisti sottoscrivono un aumento di capitale che copra l’eccedenza. Inoltre viene concesso un margine supplementare, da coprire poi nelle sessioni di mercato future, per trattare eventuali rinnovi di contratto a cifre superiori di giocatori già in rosa o per affrontare carenze di organico impreviste relative a infortuni di lunga durata.
Ma cosa succede se una squadra eccede questo limite senza sfruttare una delle eccezioni sopra citate per aumentare il proprio budget?
In questo caso la Liga ha la possibilità di bloccare gli eventuali acquisti che farebbero “sballare” i conti, per impedire in questo modo ai club di arrivare alla fine dell’anno con passivi di bilancio troppo elevati dovuti a una “allegra” gestione del calciomercato. Caso estremamente raro in realtà, perché conoscendo in anticipo i limiti di spesa è difficile che un club vada allo scontro con la Liga. Quest’anno è capitato proprio al Malaga che si è visto annullare l’acquisto del portiere Raul Lizoain non senza polemiche.
E se il “tope salarial” previsto per un club fosse già a inizio mercato inferiore al costo del personale in rosa il club può fare mercato?
In questo caso la Liga permette comunque alle società di fare campagna acquisti in entrata ma per un costo massimo che non sia superiore al 25% rispetto ai soldi risparmiati sul costo del personale con le cessioni, con la possibilità di utilizzare inoltre le plusvalenze per un ulteriore extrabudget. Spiegato per sommi capi questo funzionamento, non è difficile capire il motivo del calo evidente dei costi del personale teoricamente concessi ai club della Liga in piena pandemia: la mancanza totale dei ricavi da stadio che per club come Real Madrid e soprattutto Barcellona rappresentano una parte importante del fatturato. Va precisato, però, che a differenza di quanto lascerebbero pensare le parole di Antonello non è con l’applicazione rigorosa del “tope salarial” che la Liga affronterà nel breve periodo i danni economici creati dal Covid-19.Tebas ha recentemente precisato che non verranno applicate sanzioni o blocchi del mercato a pandemia in corso al Barcellona e a tutti gli altri club che si ritrovano con un costo del personale superiore a quello teoricamente concesso, ma che questi valori aggiornati ogni sei mesi serviranno per i calcoli futuri di eventuali aggiustamenti di bilancio da richiedere ai club quando l’emergenza sarà finalmente conclusa. D’altra parte non potrebbe essere altrimenti, visto che non è possibile abbassare velocemente e in misura rilevante la voce di bilancio relativa agli stipendi dei giocatori composta da contratti blindati e spesso pluriennali che vanno onorati fino alla scadenza salvo cessione dei giocatori in rosa.
Javier Tebas, foto di EFE/Sergio Barrenechea.
Il Fair Play finanziario all’italiana
In Italia non c’è un sistema così capillare di controllo, soprattutto relativamente ai salari, ma in Serie A dopo il fallimento del Parma qualcosa è stato comunque fatto per intervenire a priori nel tentativo di evitare altre crisi societarie. Nel 2016 sotto la gestione Tavecchio era stato creato il Fair Play Finanziario all’italiana, con una serie di vincoli dati da alcuni indicatori finanziari che le società avrebbero dovuto raggiungere pena la possibile esclusione dal campionato. Anche in questo caso, come nella Liga, si è data alle società più solide dal punto di vista finanziario la possibilità di sforare questi valori ma solo se potevano dimostrare di avere a disposizione un patrimonio netto positivo tale da coprire le eventuali discrepanze con mezzi propri.
Queste norme, inserite con gradualità nel primo triennio di controllo, sarebbero dovute entrare in vigore in maniera capillare dal 2019. Con il passare degli anni però si sono ridotte al solo controllo del rapporto fra attività e passività correnti, un indicatore importante dal punto di vista finanziario per stabilire la capacità finanziaria di una società di far fronte agli impegni finanziari con scadenza a 12 mesi. A farne le spese in questo mercato, seppur per un tempo molto limitato e con il lieto fine, è stata la Lazio che, come molti ricorderanno, ha avuto qualche problema nel concludere l’acquisto di Fares perché, a causa di problemi con il vincolo citato, era stata obbligata dalla lega di Serie A a chiudere almeno una cessione, pena l’impossibilità di tesserare il calciatore proveniente dalla SPAL. È probabile che, in realtà, più di un club abbia dovuto muoversi sul mercato con questa spada di Damocle sulla testa, pur senza che questo venisse reso noto pubblicamente. È un metodo dalle maglie più larghe rispetto a quello spagnolo, e che evidentemente non basta per calmierare il peso degli ingaggi sui conti societari. Per questo la Serie A è vigile a livello europeo nella ricerca di ulteriori normative che possano aiutare le squadre a rimanere sostenibili.
Carlo Tavecchio. Foto di Francesco Livieri / LaPresse.
Come rispondere all’attuale crisi
Resta da chiedersi come faranno le società di Serie A ad affrontare i mancati ricavi dovuti alla pandemia. Una situazione che, nella migliore delle ipotesi, durerà fino alla fine di questa stagione. La risposta non può certo stare nel “salary cap”, visto che al di là di qualche operazione nel mercato di gennaio il costo del personale per la stagione 2020/21 è ben delineato e difficilmente riducibile per ogni squadra.
Con la mancanza assoluta dei ricavi da stadio, e le difficoltà nell’incassare da sponsor e marketing, le società saranno purtroppo costrette a subire elevate perdite. Lo scorso anno dobbiamo ricordare Juventus e Inter con perdite intorno ai 100 milioni, Milan e Roma addirittura a cavallo dei 200. Queste perdite non potranno che essere coperte dai facoltosi proprietari, mentre alle società nel breve periodo non resta che provare ogni strada con il solo obiettivo credibile di limitare i danni. Fra queste eventuali nuovi accordi privati con i giocatori per diluire i pagamenti degli stipendi o ridurli di una certa percentuale, il ricorso ad aiuti di stato come potrebbe essere il rinvio e la rateizzazione degli obblighi fiscali sui pagamenti del stipendi (che pesano per più del 40% sul costo del personale) ed eventuali operazioni virtuose nel mercato di gennaio o a fine giugno che però, come detto, sono rese ancor più difficoltose dalla situazione generale che impedisce anche ai club più ricchi di fare investimenti importanti in acquisizioni di giocatori.
Concludiamo la descrizione di questo scenario abbastanza cupo per il nostro calcio con una paradossale nota positiva: la maggiore dipendenza dai diritti televisivi della Serie A rispetto ad altre leghe europee che sfruttano meglio di noi i ricavi da stadio è da anni un handicap per il nostro calcio. Un contesto che però ha reso un po’ meno pesante la perdita di questi introiti per i club italiani. C’è però poco da festeggiare, perché in una situazione in cui già prima del Covid-19 molte squadre facevano i salti mortali per far quadrare i bilanci ogni mancato ricavo crea buchi economici difficili da colmare a fronte dei tanti costi fissi che le squadre devono comunque sostenere. E se da una parte l’accordo chiuso con i fondi di investimento potrebbe portare a primavera una temporanea boccata d’ossigeno, il braccio di ferro su Sky relativo ai pagamenti dell’ultima rata della scorsa stagione potrebbe creare ulteriori difficoltà economiche nel breve periodo. Difficoltà delle quali i club di Serie A in questo momento farebbero volentieri a meno.