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Io, Schillaci e la Sicilia
19 set 2024
19 set 2024
Un ricordo personale di un giocatore significativo.
(copertina)
IMAGO / Buzzi
(copertina) IMAGO / Buzzi
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Prima di Totò Schillaci c’era stato Pietro Anastasi da Catania. In Sicilia lo chiamavano “Pietru u turcu”, il politicamente corretto era distante anni luce. Era arrivato alla Juventus nel 1968 e quell’anno, grazie anche a un suo gol in finale contro la Jugoslavia, l’Italia aveva vinto gli Europei, il primo trofeo internazionale dopo i Mondiali vinti sotto il fascismo. In un’epoca di massiccia emigrazione meridionale, Anastasi divenne il simbolo e l’orgoglio di tutti i terroni che si erano trasferiti a Torino a lavorare alla FIAT o nel suo indotto, e che tifavano per la Juventus, la squadra del padrone.

Per il resto il calcio siciliano, e in particolare quello palermitano, negli anni Settanta e nella prima metà degli anni Ottanta era ben poca cosa. Solo un’apparizione fugace del Catania in Serie A nella stagione 1982/83, mentre il Palermo sprofondava in Serie C2 dopo il fallimento del 1986. Di calciatori palermitani ad alti livelli nemmeno l’ombra.

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La partita è Bacigalupo-AMAT, categoria esordienti. Il campo è il Cestmir Vycpalek, un campo in terra battuta a Mondello, la spiaggia di Palermo, intitolato all’allenatore ceco della Juventus dal 1971 al 1974, palermitano di adozione. È il 1983 ed è il primo anno in cui gioco a calcio in una vera squadra. Prima di allora solo l’asfalto dello spiazzale sotto casa mia. Mio cugino - di tre anni più grande e che riuscirà qualche anno dopo ad esordire in Serie B giocando uno spezzone di Cremonese-Palermo con la maglia rosanero - gioca nella Bacigalupo, la squadra che era stata di Marcello Dell’Utri. Mio zio chiese a mio padre se io e mio fratello avremmo voluto provare ad entrare nella squadra e così è stato.

Il mister ha deciso che sono un centrocampista e lì gioco, con il numero 8. Ricevo in corsa un fallo laterale al vertice destro dell’area di rigore e di prima provo a metterla in mezzo. Viene fuori una specie di diagonale a mezz’altezza diretta non verso il centro dell’area, ma verso la porta, sul palo opposto. Il portiere, chiamato a difendere una porta troppo grande per lui, non riesce ad intercettare il pallone, che entra in rete sfiorando il palo. È il mio primo gol in una partita ufficiale e l’ho segnato contro una squadra che a Palermo ha un certo prestigio.

L’AMAT è la squadra nata dal dopolavoro dell’omonima azienda che gestisce il trasporto urbano a Palermo. Un’altra squadra palermitana nata da un dopolavoro aziendale, il Cantieri Navali Palermo, aveva addirittura sfiorato la Serie C all’inizio degli Settanta perdendo alla monetina un doppio spareggio contro il Siracusa, dopo il pareggio al “Celeste” di Messina e quello al Vomero a Napoli. Da bambino, un paio di volte, mio padre, operaio dei Canteri Navali, mi aveva portato al campo nel quartiere Acquasanta, di fronte ai Cantieri, a vedere giocare i rossoblù dei Cantieri Navali Palermo.

Non lontano dalla sede e dalla rimessa degli autobus dell’Azienda Municipalizzata Auto Trasporti, l’AMAT giocava le sue partite al campo Ferruzza, tra i quartieri di nuova edilizia popolare costruiti a partire dagli anni Sessanta di Borgonuovo e CEP, ovvero Centro di Espansione Periferica. Al CEP è cresciuto Totò Schillaci e all’AMAT, sotto la guida del maestro Andrea Chianello, aveva iniziato a giocare in un campo di calcio.

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Negli anni Ottanta il calcio italiano comincia, se così si può dire, a modernizzarsi. E allora la modernità era la zona. Liedholm alla Roma fu un antesignano, e la sua zona “lenta” fu sostituita in giallorosso dalla zona “veloce” di Sven Goran Eriksson. In provincia ci sono delle avanguardie. Enrico Catuzzi a Bari, Varese e Pescara e a Licata - paese della provincia di Agrigento della famiglia di mia madre - Zdenek Zeman in Serie C. Zeman è il figlio della sorella di Cestmir Vycpalek che, nel 1969, dopo il fallimento della Primavera di Praga ha lasciato la Cecoslovacchia ed è stato accolto dallo zio a Palermo e che, proprio nelle giovanili rosanero, ha iniziato la sua carriera di allenatore trovando sulla propria strada alla fine degli anni Settanta proprio Enrico Catuzzi. Zeman, con una squadra fatta tutta da siciliani, in gran parte palermitani cresciuti da lui stesso nel settore giovanile del Palermo, fa meraviglie a Licata. Sulla fascia gioca Maurizio Schillaci, talentuosissima ala, cugino di Totò, destinato a una vita sfortunata e complicata e che adesso vive per strada in centro a Palermo.

Zeman e il Licata, alfieri della modernità su un campo di terra battuta di un paese in fondo alla Sicilia, diventano uno dei pochi motivi di orgoglio del depresso calcio siciliano assieme alle sperimentazioni verbali e tattiche del professore Franco Scoglio a Messina. Nella zona “sporca” di Scoglio gioca un raffinatissimo trequartista, Giuseppe Catalano, e segna a raffica un ragazzo palermitano Totò Schillaci, acquistato dal Messina dall’AMAT assieme al terzino Carmelo Mancuso che arriverà in Serie A, al Milan, molto prima di Schillaci.

Le strade di Schillaci e Zeman si incrociano a Messina nella stagione 1988/89. Il Messina di Zeman è il migliore attacco e la peggiore difesa della Serie B e Totò Schillaci è il capocannoniere del campionato con 23 reti. A fine stagione, in un calcio in cui la distanza tra Serie A e Serie B non era siderale come adesso, Schillaci passa alla Juventus, grazie anche ai buoni uffici di Cestmir Vycpalek. Franco Scoglio e Zdenek Zeman avevano portato il calcio siciliano tra le avanguardie di quello nazionale e per un ragazzino palermitano come me, che giocava a calcio, viveva per il calcio e sentiva di vivere nell’estrema periferia del calcio italiano era una gran bella cosa. Un piccolo attaccante palermitano del CEP, cresciuto nell’AMAT, era diventato il centravanti della Juventus. E io mi sentivo al centro del mondo.

Poi le cose non sono andate come pensavo, non che sia necessariamente un male, almeno per me. Dopo qualche anno dal mio primo gol contro l’AMAT sono passato a giocare al Palermo, ma è durata poco. Mi sono scocciato presto e ho abbandonato il calcio. Ho ripreso, poi, senza sosta, quando frequentavo l’Università e la mia ultima partita ufficiale l’ho giocata a più di quarantadue anni, un playoff per la promozione in Prima Categoria. Nel frattempo il calcio siciliano ha continuato ad appassire. A 34 anni di distanza dalle notti magiche di Totò Schillaci la “questione meridionale”, anche nel calcio italiano, non è stata risolta, riflesso fedele della depressione economica, delle carenze strutturali e culturali, e dei problemi più generali che affliggono il Sud Italia quasi da sempre. Nella passata stagione in Serie A ha giocato un solo siciliano, il palermitano Antonino Gallo, nel Lecce. La rivoluzione siciliana partita da Messina e Licata e proseguita con altri mezzi da Totò Schillaci non si è compiuta.

Nella mia vita di quel periodo, di questo gioco, rimane ancora molto, a volte con tracce silenziose. Ho allenato tanto, alleno ancora. Amo il calcio. Mio figlio Antonio, 16 anni, gioca a calcio. L’ufficio dove lavoro oggi è proprio di fronte lo stadio Renzo Barbera a Palermo. Il piazzale antistante lo stadio è intitolato a Cestmir Vycpalek. La camera ardente di Totò Schillaci è stata allestita dentro lo stadio e affacciandomi al balcone vedo tantissima gente che arriva e che va. Ieri, il giorno della morte di Totò Schillaci, molte scuole calcio hanno sospeso la loro attività. I funerali si terranno in forma pubblica alla Cattedrale di Palermo.

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Il 4 luglio del 1990 ho sostenuto gli esami orali di maturità. Materie: chimica analitica e strumentale, e impianti chimici industriali. La sera prima l’Italia ha perso ai rigori la semifinale dei Mondiali contro l’Argentina. Da quando sono iniziati, la routine è sempre la stessa. Mi sveglio la mattina, studio, pranzo, un altro po’ di studio e alle cinque ripongo tutti i libri e guardo la partita pomeridiana. Dopo la partita esco e vado in piazza a vedere gli amici, e torno a casa in tempo per la partita delle nove. Le partite dell’Italia le vedo assieme agli amici in un magazzino in cui abbiamo messo una televisione e dopo la partita si riscende in piazza a festeggiare. Perché l’Italia le partite di quel Mondiale le ha vinte tutte e Totò Schillaci ha segnato sempre.

Anche la sera prima degli esami siamo nel magazzino a vedere la partita, ma stavolta l’Italia non vince. Totò Schillaci, un novello Paolo Rossi ma palermitano, segna il suo gol, ma non calcia i rigori che assegnano la vittoria all’Argentina. Gli azzurri non saranno campioni del mondo come 8 anni prima e Totò Schillaci non porterà, come Paolo Rossi, la Coppa del Mondo in Italia. Eppure a Palermo è come se avessimo vinto. Adesso sì che ci siamo, per davvero. Al centro del mondo. Ho 18 anni, niente mi fa paura.

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