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La nuova sfida impossibile di Jorge Sampaoli
03 mar 2021
Risollevare il Marsiglia nel mezzo di una rivoluzione.
(articolo)
11 min
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È la penultima giornata del Brasilerão, e a Recife mancano cinque minuti alla fine della partita quando viene fischiato un rigore a favore dei padroni di casa. L’avversario è l’Atlético MG, che ha ormai visto svanire ogni possibilità di conquistare un campionato che ha per lunghi tratti dominato. Il Flamengo sta vincendo contro l’Internacional, ha allungato a sei punti dai bianconeri di Belo Horizonte: non c’è nulla di particolarmente ambizioso in palio, se non la conservazione del terzo posto.

Viene fischiato, insomma, questo rigore a favore dello Sport Recife, e l’allenatore dell’Atlético Mineiro entra in campo: l’arbitro lo ha appena espulso, e la sua reazione è iperaggressiva. Look total black, pantaloni a sigaretta, braccia tatuate: potrebbe tranquillamente essere il capo della torcida più facinorosa, e invece è Jorge Sampaoli. Che è in qualche modo, più o meno, la stessa cosa. Si avvicina minaccioso, agita le mani, poi fa per andarsene, allontanato anche dai suoi giocatori. Passa davanti al guardalinee, «è una vergogna», urla infervorato. Poi gli chiede, in puro stile Sampaoli, cosa abbia da guardare, prima di dare - a tutta la terna arbitrale, c’è da intendere - dei ladri. O dei cabrones, cambia poco.

Dopo di che si arrampica sulla recinzione del campo per osservare gli ultimi minuti di gioco. L’Atlético vincerà con un gol al 98’.

https://twitter.com/DataRef_/status/1363624533123563524

Ai fan della prima ora di Sampaoli questa foto avrà ricordato gli albori primordiali della sua carriera, quando a Casilda si arrampicò su un albero per osservare i suoi dopo essere stato espulso. È un’immagine che è sempre stata assunta come quintessenza della sua dedizione alla causa, una dedizione un po’ pazza e un po’ ribelle, eppure incrollabile.

In quel preciso momento, in cui perde il senno contro un arbitro a Recife e si arrampica su una rete, Jorge Sampaoli sta già studiando da tre settimane la sua nuova squadra. Di lì a una settimana seguirà l’ultima partita del Brasilerão prima di volare in Europa, e firmare per l’Olympique Marsiglia. Per tornare ad allenare nel Vecchio Continente, e in qualche modo rivalutarsi, ha scelto una delle piazze più bollenti, e forse per questo più vicine al suo modo di essere. Una squadra lontana venti punti dalla testa della classifica, demoralizzata, dove Pablo Longoria, arrivato in società da talent scout e divenuto direttore sportivo, è stato appena investito dalla proprietà dell’incarico presidenziale. Dove è in atto una rivoluzione. Con Sampaoli come maresciallo di una milizia rivoluzionaria, dopotutto, cosa può andare storto?

Davanti al mare, la felicità è un’idea semplice

L’8 agosto del 2015, subito dopo aver perso contro il Caen nella prima giornata di Ligue 1, Marcelo Bielsa va in conferenza stampa. Risponde a tutte le domande sulla sconfitta, poi prima di alzarsi aggiunge che beh, ha appena rassegnato le sue dimissioni da allenatore dell’OM. Quella che seguirà sarà una stagione tremenda per i “Phocéens”, che chiuderanno al tredicesimo posto e vedranno alternarsi sulla panchina Franck Passi, poi Michel, poi ancora Passi. È per questo che la presidenza contatta, tra gli altri, anche Sampaoli, che ha appena concluso il suo ciclo vincente con la nazionale cilena, che ha portato alla conquista della Copa América, ed è in predicato di arrivare, finalmente, in Europa.

Evidentemente Marsiglia, dove avrebbe potuto raccogliere il testimone di Bielsa, non gli è sembrata una destinazione sufficientemente complicata. O forse, i tempi non erano ancora maturi. O forse ancora, se è vero come scrive Jean-Claude Izzo in “Chourmo” che «davanti al mare la felicità è un’idea semplice», Sampaoli cercava un incarico tutt’altro che semplice. Cercava tormento. "El Zurdo", quindi, finisce per scegliere Siviglia, dove arriva per sostituire Unai Emery, uno dei tecnici più vincenti della storia del club. Ci arriva con un plotone d’esecuzione pronto a giustiziarlo, i fucili caricati a scetticismo: come avrebbe vissuto, la squadra andalusa, il passaggio da un tecnico estremamente pragmatico come Emery a un visionario come Sampaoli?

Foto EFE / Julio Munoz.

A giudicare dai risultati, bene. Per due terzi di stagione, prima di implodere, il Siviglia di Sampaoli gioca un calcio divertente, innovativo, aggressivo, tutto impregnato dei principi del suo tecnico: compattezza e aggressività, linea difensiva sempre alta, recupero immediato del possesso palla, proattività e verticalità. Si fa strada l’idea, come scrisse Marco D’Ottavi dopo una sfida di Champions tra il suo Siviglia e la Juventus, che quella andalusa fosse «una squadra bellissima anche grazie a questo pazzo, così pazzo da non poter venire a patti con se stesso. Così pazzo da menarti col casco, se serve, ma anche così passionale da seguire la partita in tribuna come dice la signora intervistata “sulle ginocchia”» (era stato espulso, ovviamente, e si era rifugiato in tribuna, mezzo nascosto, in ginocchio).

Hombrecito

A Jorge Sampaoli, si sarà capito, piace complicarsi la vita. Quindi è piuttosto evidente che quando nel 2017 il “Chiqui” Tapia, presidente dell’AFA, ha destituito Edgardo Bauza dal ruolo di commissario tecnico dell’Albiceleste, sia stato il primo a farsi trovare pronto per raccogliere il timone, assumendosi una responsabilità dalla quale altri tecnici candidati, tipo Marcelo Gallardo e Mauricio Pochettino, invece, per dire, si sono guardati bene.

«Il mio progetto non riguarda un elenco di giocatori», disse nei primi giorni. «Ma 40 milioni di argentini». Nessuno, più di Sampaoli, sempre in bilico tra sogno e concretezza, sembrava più adatto a quel posto: caudillo populista, pieno di idee tattiche, pronto a immolarsi per la causa. Sampaoli è riuscito a portare l’Argentina ai Mondiali di Russia. È stato a tanto così dal baratro ma ci è riuscito, senza comunque impressionare mai, senza saper imporre le sue idee, giocando un calcio un po’ didascalico, elementare, barcamenandosi tra ciò che avrebbe voluto e ciò che era possibile. Non ha saputo scalzare l’idea che a comandare, anziché lui, fosse il gruppo dei veterani capeggiato da Mascherano e Messi. Non è riuscito a trasmettere idee e spirito a una rosa adagiata sui suoi destini di incompiutezza.

Jorge Sampaoli - Best skills and locuras.

A tre mesi dall’esordio in Russia perde in amichevole 6-1 con la Spagna.

A una settimana dall’esordio un giornalista, Gabriel Anello, lo accusa di molestia sessuale nei confronti di una cuoca del ritiro argentino. Poi nei confronti della dirigente dell’area marketing, poi lo stesso giornalista ritratta le accuse, parlando di comportamento grave, aggiungendo di non aver mai parlato di molestia sessuale.

L’atmosfera che gravita intorno a Sampaoli e alla spedizione dell’Albiceleste in Russia, insomma, è tutt’altro che idilliaca. E il torneo finirà per mostrarsi in tutta la sua drammatica infruttuosità, un fracaso pari - nelle premesse, e nelle conclusioni - alla spedizione in Giappone e Corea del 2002, con Bielsa sulla panchina; un fallimento tutto cristallizzato nella scena emblematica in cui “el hombrecito”, un diminutivo che trascende la fisicità per appiccicarsi anche al suo carisma, chiede a Messi consigli se mettere o meno in campo “el Kun” Agüero (lo stesso Agüero, al quale viene chiesto un parere sull’affermazione di Sampaoli secondo la quale il processo che aveva in mente fosse fallito, risponderà «che dica quello che gli pare»).

«È stata una tempesta», dirà Sampaoli tre mesi dopo, quando romperà il silenzio. «Ogni partita era una sofferenza», ed essenzialmente lo è stato perché l’asticella era posta troppo in alto: l’unico obiettivo reale, per l’Argentina, era portare a casa la coppa, ed è finito per diventare un fardello insopportabile. «Ci ho messo il cuore, il sentimento. Ma ho fallito». «Sono grato della possibilità che mi hanno dato. Anche il presidente dell’AFA vive in questo mondo di obblighi, di necessità, di immediatezza, lo stesso in cui stavo io. Che posso rimproverargli, al “Chiqui”, se è vittima anche lui in parte di una società come quella argentina così ossessionata col successo?». L’immagine di Sampaoli, quella che fuoriesce dopo il passaggio nella tramoggia albiceleste, è di un uomo sconfitto. Ridimensionato.

Rehab

Uno dei tatuaggi di Sampaoli recita: «No escucho y sigo, porque mucho de lo que está prohibido me hace vivir». È un verso di “Prohibido”, una canzone della rock band argentina Callejeros. Per riprendersi dal fracaso mondiale, per riabilitarsi, Sampaoli sceglie di ripartire dal Brasile. Viene ingaggiato dal Santos, dove ha a disposizione un gruppo giovane e capace di assorbire rapidamente le sue idee, tanto che il Peixe strappa senza troppe difficoltà un pass per la Libertadores. Ha un’idea chiara sugli investimenti da fare: la dirigenza del Santos meno, tanto da giungere alla rottura.

Sampaoli, ora, ha voglia di tornare al successo: accetta quindi la proposta dell’Atlético Mineiro, che gli offre garanzie maggiori, da un punto di vista economico e di progetto: a Belo Horizonte vogliono costruire una squadra ambiziosa, alla quale "el Zurdo" possa apportare sferzate di entusiasmo e una coerenza tattica.

Al Galo porta calciatori funzionali ai suoi principi: centrocampisti dinamici come Alan Franco o Matías Zaracho, esterni a tutto campo come Guilherme Arana, ali capaci di sviluppare il gioco in ampiezza come Marrony.

Nel Minas Gerais, come altrove, dopotutto, Sampaoli ha portato principi, l’idea che schemi e moduli non siano mai rigidi, ma sempre funzionali a un concetto generale, quello della verticalità, dell’aggressione, della capacità di avere sempre la possibilità di piegare l’andamento del gioco alla propria volontà.

Dopo quarantacinque partite alla guida dei bianconeri, spunta l’ipotesi Marsiglia. L’idea di tornare in Europa. Per Sampaoli, nella sua testa, l’ultimo stadio della riabilitazione totale.

Le mat

I tarocchi di Marsiglia si compongono di ventuno trionfi, e una carta jolly, Il Matto. L’accostabilità alla rosa di una squadra di calcio, e al suo caudillo, è una suggestione evocativa. Lo è a maggior ragione se parliamo di OM e di Sampaoli, che per accettare l’incarico di guidare l’Olympique in corsa, senza possibilità di chiedere rinforzi, senza l’opportunità di avere calciatori funzionali alla sua idea di calcio, ha dovuto attingere alla sua propensione naturale alla locura.

Dopotutto stiamo parlando di un tecnico chiamato a prendere le redini di una squadra demoralizzata, contestata da una tifoseria poco incline all’insuccesso, abbandonata dall’allenatore Villas-Boas che ha criticato apertamente il neopresidente Longoria per avergli portato Ntcham, un giocatore che il tecnico proprio non voleva. Sampaoli ritroverà Darío Benedetto, del quale aveva fatto l’erede di Higuaín nei primi mesi di avventura con la Selección, e Leonardo Balerdi, sul quale aveva puntato in prospettiva convocandolo in Albiceleste tra le riserve potenziali per la rosa mondiale. Ma è anche vero che molti calciatori sembrano poco adatti ai suoi concetti: riuscirà a infondere in Payet, che in questa stagione è parso spesso fuori forma, la volontà di pressare con aggressività? A fare di Pol Lirola il carrillero a tutta fascia di cui ha bisogno il suo gioco? A trovare nel roster dei difensori centrali uomini capaci di impostare dal basso?

Foto IPA / Fotogramma.

In qualche modo, le premesse dell’avventura di Sampaoli a Marsiglia ricalcano quelle di Bielsa. Anche “el Loco” si trovò tra le mani un gruppo da plasmare, da inventare, che non somigliava neppure lontanamente a quello che aveva in mente. Da quella situazione di svantaggio iniziale Bielsa ricavò risultati quasi miracolosi, riuscendo a trasmettere al gruppo una coesione di idee inattesa, e insperata.

«Mi piacerebbe guidare un gruppo di giocatori tipo in Iran, in Iraq, nel Medio Oriente», ha detto una volta Sampaoli. «Perché sono culture nelle quali la gente si immola per un ideale, sbagliato o meno. Quello che voglio dire è che è gente che dà la vita per una causa. Credo che se riesci a fargli arrivare il tuo messaggio, sarebbero capaci di fare di tutto, pur di seguirlo».

La dedizione alla causa di Sampaoli, il suo afflato rivoluzionario, la sua personalità hanno bisogno di rivivere, dopo l’annichilimento subito durante la parentesi alla guida della nazionale argentina. «Non si vive celebrando vittorie, ma superando sconfitte», recita un altro dei suoi tatuaggi. È una frase di Ernesto “Che” Guevara.

Nel 2016, quando era tra i candidati alla panchina dell’OM, SoFoot lo intervistò. Disse che l’OM era «il tipo di club che mi piace. Quel clamore popolare che ti sostiene, che fa sì che se vinci qualcosa, allora la città esplode. Sarebbe straordinario poter restituire un po’ di quella gioia che meritano a quei tifosi».

A maggio del 2016 mi sono trovato a Marsiglia, e mentre prendevo un panino al McDonald’s di Port Vieux, dietro di me, ho visto un tifoso dell’OM con una t-shirt che mi è parsa meravigliosa. C’era un ritratto stilizzato di Bielsa, che se n’era andato già da un anno, ritratto nell’iconica postura dei tempi del Newell’s, dopo la vittoria di un titolo. Sotto, in caratteri celesti, c’era scritto “OM, carajo!”.

L’apporto maggiore che Sampaoli potrà portare a Marsiglia, oggi, è almeno quello di donare nuovamente entusiasmo, euforia a una piazza che in qualche modo, dalla dipartita del «Loco» Bielsa, sembra orfana di un’attitudine.

«Per tutta la vita mi è stato detto che l’OM è una passione», ha detto Sampaoli, le prime parole dopo l’ufficialità del suo incarico. «Il Marsiglia è un club del popolo, e mi ci riconosco. Quando ho ricevuto questa proposta, ho sognato di poter fare festa in città. Nel mondo ci sono luoghi tranquilli e luoghi passionali: quest’ultimi sono quelli che voglio, per questo ho accettato senza esitazione. Questo club ha un’anima: ecco perché siamo qui. Siamo pronti».

"El Zurdo" è tornato in Europa, ed è pronto a portare di nuovo, a Marsiglia, quell’attitudine. Con il rischio calcolato, e chissà affascinante, di un meraviglioso, pazzissimo fracaso.

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