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Il giocatore più fumoso: Samu Castillejo
05 lug 2019
Il premio di chi è tutto fumo e niente arrosto.
(articolo)
7 min
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Secondo l’enciclopedia Treccani con ‘fumoso’ intendiamo qualcosa di vago, inconsistente; oppure “pieno di alterigia, borioso”. E questo premio degli Ultimo Uomo Awards vuole proprio premiare il calciatore che meglio è riuscito a incarnare questa serie di categorie generalmente negative. In un paese la cui cultura calcistica è fondata su un’idea molto spinta di praticità e materialismo, dove tecnici, direttori sportivi e giocatori continuano a definirsi “concreti”, la “fumosità” è spesso un peccato imperdonabile.

Per questo il premio del giocatore più fumoso è tra quelli che avete dimostrato di apprezzare di più, tra quelli che votate con maggior ferocia. C’è anche un’altra ragione. Quando si definisce un giocatore “fumoso” si constata uno scollamento tra la dimensione dell’ "essere" e quella dell’ “apparire”, come a dire che quel giocatore sembra forte ma non lo è. Un giocatore fumoso è un inganno e definire un giocatore fumoso, insomma, è anche un modo per sentirsi più furbi e attenti di uno spettatore medio.

Questo però non vuol dire certo che i giocatori fumosi non esistano e che sia un’invenzione del rancore da social. Lo scorso anno il vincitore è stato Domenico Berardi, che rispecchia la definizione di giocatore fumoso su diversi livelli. Ad esempio è un giocatore che produce molto sul piano offensivo - tanti tiri, tanti cross, tanti dribbling - senza però infine combinare niente di significativo; poi è anche un giocatore che ha disatteso il nostro orizzonte di aspettative, e questo anche finisce per condizionare la nostra percezione di un calciatore fumoso.

Berardi - insieme forse ad Antonio Candreva, vincitore dell’edizione 2017 - rispecchia una definizione quasi archetipica di calciatore fumoso. Calciatori frustranti a vedersi, maniaci del cross, mitomani del tiro, pantagruelici di palloni giocabili. Quest’anno il vincitore è stato invece un calciatore che ha avuto meno tempo di entrare nel nostro immaginario, arrivato appena la scorsa estate.

Samu Castillejo, 24 anni, da Malaga, ha fatto presto a prendere il suo spazio nel lato sbagliato del nostro cuore, battendo altri campioni di fumosità come Federico Chiesa, Ivan Perisic e Suso. Tutti fumosi in modo diverso ma interessante: Chiesa - che io personalmente ho votato - senza nulla togliere a un talento eccitante, è un prodigio statistico di fumo. Un mostro di dribbling sbagliati, tiri da pazzo da angoli assurdi, mancati passaggi ai compagni, manie di protagonismo. Vi dico solo un dato: Chiesa ha tirato 133 volte per segnare 6 gol. Ivan Perisic forse invece ha pagato la sensazione di differenza tra il suo solito rendimento, specie quello mostrato al Mondiale, e questa stagione, in cui è comunque stato tra le ali più produttive della Serie A, con 8 gol e 3 assist (davvero, quanti possono dire lo stesso?!).

È interessante invece che siano finiti alla votazione due giocatori del Milan, a dimostrazione forse del senso di delusione attorno alla stagione dei rossoneri. Personalmente trovo anche ingenerosa la presenza di Suso, che per lunghi tratti della stagione ha tenuto in piedi il Milan da solo e che ha chiuso il campionato con numeri eccellenti: 8 gol, 10 assist (!), 2,5 passaggi chiave per 90’, 2 dribbling riusciti per 90’. Cosa non ci piace, quindi, di Suso? Probabilmente il suo modo di giocare un po’ meccanico, costruito sul perfezionamento maniacale di due o tre azioni tipo. Una certa idea di prevedibilità, e la sensazione che si prenda troppe responsabilità per quello che gli consente il suo talento.

Non so neanche da dove cominciare invece per quanto riguarda cosa non ci piace di Castillejo. Innanzitutto nella nostra percezione di lui gioca un ruolo importante l’aspetto fisico. Castillejo ha il look che ci aspettiamo da un giocatore fumoso: un taglio di capelli pretenzioso ma disarmonico, la barba tagliata male, brutti tatuaggi. Un monumento al vorrei ma non posso. Castillejo ha anche lo stile di gioco perfetto per il giocatore fumoso: un’ala abbastanza tecnica, fin troppo leggera, che esegue i movimenti tipici dei giocatori di alto livello senza davvero riuscirci.

Quando da destra controlla col piede mancino e rientra per tirare, lo fa sempre con lentezza, prevedibilità; quando cerca dei filtranti per i compagni oltre la difesa, sono sempre in anticipo o in ritardo. Quando dribbla nello stretto sembra sempre in difficoltà a coordinare come si deve il suo corpo da insetto stecco. Castillejo sbaglia più dribbling di quanti gliene riescano; perde 2,5 palloni ogni 90’, posizionandosi settimo in questa speciale classifica di cui andare poco orgogliosi.

Eppure era arrivato con ben altre promesse. Nel nostro articolo di presentazione lo definivamo “una delle migliori giovani esterni della Liga”, un “ex bimbo prodigio della costa andalusa”. E in effetti nella sua ultima stagione al Villarreal Castillejo aveva giocato più che bene, mettendo insieme 6 gol e 5 assist. Lo elogiavamo per la sua creatività, in grado di dargli sempre un vantaggio sull’avversario, ne notavamo i possibili margini di sviluppo: «È vero che non ci sono molti giocatori che posso andare in 1 contro 1. Questo è il mio calcio e se funziona mi permette di saltare all’occhio. Però ho bisogno di fare più gol. Partendo dal mio gioco, arrivare a segnare 6 o 7 gol farebbe di me un giocatore migliore». Aveva dichiarato, mostrando un invidiabile consapevolezza dei propri limiti.

Con questo collo-esterno sinistro Castillejo ha vinto il premio di miglior gol di dicembre per il Milan. È davvero andata poi così male la sua stagione?

Quando era arrivato a Milanello era stato presentato come “El Fideo”, richiamando suggestioni da Angel Di Maria per il ruolo, la vocazione, il fisico un po’ tisico. Ha preso la numero 7 di Shevchenko, ma anche di Pato e Robinho. Bonera, suo vecchio compagno al Villareal, aveva detto che aveva «bisogno di fare il salto in una grande squadra».

Ma era davvero così? Castillejo ha chiuso la stagione con 4 gol, 2 assist e una costante sensazione di inconcludenza. Bisogna però dire che il contesto non lo ha aiutato: se non giochi un motivo ci sarà, ma Castillejo ha giocato davvero troppo poco per poter davvero dimostrare il suo valore. Anzi, l’unica cosa peggiore di giocare poco è giocare tante partite ma pochissimo e partendo sempre dalla panchina. Castillejo è partito 8 volte da titolare nelle 31 presenze totalizzate, su un totale di poco più di mille minuti. Già a dicembre lamentava: «Non ho avuto molto spazio per mettermi in mostra in campionato». Nelle poche occasioni, a guardarle bene, Castillejo ha fatto anche il suo: il gol dell’1-1 contro la SPAL ad esempio, che ha avviato un’importante rimonta del Milan che vincerà poi 2-1. A dicembre, un mese in cui i rossoneri hanno cominciato a risalire in classifica. Ad aprile, nel pieno della lotta per la Champions, Castillejo ha segnato il gol dell’uno a zero nella spigolosa trasferta di Parma. Lo ha segnato di testa, in un movimento molto complicato per impattare un cross tesissimo - quasi un tiro - di Suso.

Il Milan pareggerà poi quella partita, dando un colpo fatale alle speranze di mantenere il quarto posto e la qualificazione in Champions League. È stato forse l’ultimo gol di Samu Castillejo con la maglia rossonera che amava fin da bambino. A Milano è arrivato Marco Giampaolo, il papa di un calcio senza esterni che non prevede le qualità di Castilllejo, che diverse fonti di calciomercato danno ormai in partenza.

Dopo il suo esonero Gattuso ha riservato un ultimo piccolo dispiacere a Castillejo: «Senza nulla togliere a Laxalt e Castillejo ma alcune operazioni sono state fatte per i problemi che avevamo con la UEFA sfruttando dei soldi che alcune squadre dovevano darci», come se il Milan non volesse davvero prendere Castillejo.

Questo premio non è però certo un De Profundis per Castillejo. Pensate che due anni fa era candidato l’attuale miglior calciatore del pianeta, Josip Ilicic, e lo stesso Berardi, dopo il premio della scorsa stagione, ne ha giocata una che è stata a mio parere il contrario della fumosità, dell’inconsistenza. Castillejo ha solo bisogno di tornare sulla costa spagnola, a giocare in un campionato dove la sua creatività potrebbe trovare il miglior terreno per rifiorire.

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