Se lo chiedete a lui, vi dirà che deve crescere. Lo ripete da quattro anni ormai, da quando si è messo in mostra in Serie B con l’Empoli, e ancora oggi non c’è intervista che Samuele Ricci non concluda dicendo che si, va bene, è sulla buona strada, ma deve ancora migliorare. C’è una linea sottile oltre la quale l'umiltà sconfina nell’incapacità di riconoscerci il nostro stesso valore, e mentre Ricci parla passandosi sul volto le dita con le unghie rosicchiate non è chiaro da quale parte di quella linea si trovi.
In questo il punto di vista di Ricci su se stesso è simile al nostro, su di lui: anche noi non sappiamo esattamente a che punto è della propria crescita, quanto deve ancora migliorare per poter essere nominato tra i migliori centrocampisti italiani e in assoluto? Quanti ce ne sono in grado di giocare la partita che ha giocato lui a Parigi, contro la Francia, contro gente come Kanté e Griezmann? Davvero è già al livello del Manchester City che, pare, lo vorrebbe per sostituire l’infortunato Rodri, ovvero il centrocampista che secondo Ricci, oggi, è «il top del top»?
Samuele Ricci è già cambiato, migliorato, rispetto a tre o quattro anni fa quando per la prima volta si è fatto notare con la maglia dell’Empoli, ma vale la pena ricordare che già allora il suo nome era affiancato a quello di grandi squadre europee (una su tutte: l’Arsenal) per come riusciva a colmare il deficit fisico con la tecnica e con l’intelligenza. Un ventenne magrolino che toccava molti palloni in Serie B e A, intorno a cui girava il resto della squadra, fidandosi della sua capacità di eludere e resistere al pressing e far progredire il possesso in avanti. Doveva avere per forza qualcosa di speciale.
Una delle specialità di casa Ricci: i cambi di gioco.
Il passaggio al Torino di Jurić, a gennaio 2022 dopo appena sei mesi in Serie A, fu un po’ una sorpresa. Non tanto per il livello della squadra, comunque ambiziosa, quanto per il modo in cui le sue qualità si sposavano con il gioco fisico di Jurić, un calcio fatto di duelli. A quei tempi, non per niente, Ricci diceva di dover migliorare dal punto di vista atletico. Due stagioni e mezza dopo, l’ultima delle quali complicata dagli infortuni, Ricci è un giocatore più solido, pur senza essere diventato un centrocampista iperdinamico o muscolare.
Chissà, forse è stata proprio la partita di Parigi ad accendere i riflettori su di lui, o magari Guardiola ha visto quello studio del CIES secondo cui in questa stagione Samuele Ricci è il secondo miglior centrocampista, al mondo, a giocare la palla sotto pressione.
Dopo Joshua Kimmich e prima di Rafael Carioca del Tigres che, insomma, mandate subito una mail al vostro direttore sportivo dicendogli di comprare Rafael Carioca.
Circa un anno e mezzo fa, su queste stesse pagine, sottolineavamo la capacità di Ricci di ricevere palla con almeno cinque metri di spazio intorno. Una misura (presa da Statsbomb) della sua capacità di smarcarsi. Per questo è interessante il dato raccolto da SkillCorner e riportato dal Cies, secondo cui Ricci è anche tra i migliori a resistere alla pressione, quando cioè non riesce ad avere spazio intorno a sé. In effetti sono i due aspetti più importanti del suo gioco, le due abilità che lo completano.
A ventitré anni si può considerare a buon punto, se non già concluso, lo sviluppo fisico di Ricci e possiamo dire che l’atletismo non è il suo forte. Fatica ancora a coprire troppo campo, non è rapidissimo né velocissimo e più che proteggere palla la tiene lontana dall’avversario, usando il proprio corpo per prendere fallo. Al tempo stesso, da questo suo punto debole - in un contesto in cui è circondato da atleti di altissimo livello - nasce il suo punto forte: la capacità di giocare negli spazi vuoti tra gli avversari.
Contro la Lazio, domenica scorsa, quegli spazi sono stati praticamente inesistenti e infatti Ricci ha faticato. La doppia schermatura di Dia e Castellanos gli ha fatto ombra, con dietro la pressione costante di Guendouzi o Rovella. La Lazio è una delle squadre che pressa meglio in questo momento in Serie A, e il Torino ha perso la sua prima partita e, insieme, la testa della classifica.
Nel piano laziale, bloccare Ricci era una priorità. E nel primo tempo ci sono riusciti molto bene.
Ricci ha fatto meno della metà dei passaggi di una settimana prima contro il Verona (41 contro la Lazio, 88 contro il Verona) ma forse il dato più interessante è quello della precisione: nel primo tempo contro la squadra di Baroni non ha sbagliato neanche un passaggio. Ma a volte i numeri ingannano e in questo caso la perfezione apparente di quel 100% significa che Ricci ha giocato quasi tutti i suoi palloni dietro la linea di pressione laziale, all’altezza di Saúl Coco e degli altri difensori (che, anzi, hanno provato a sganciarsi dietro la prima linea di pressione laziale per riempire il buco che lasciava lui).
Sotto di un gol, Vanoli nel secondo tempo ha cambiato Sosa con Pedersen (mandando Lazaro sulla fascia sinistra) ed ha aggiunto Ché Adams sulla linea di Sanabria togliendo dal campo Tameze, una mezzala. Al tempo stesso Ilić ha arretrato il proprio raggio d’azione per aggiungersi a Ricci in costruzione e aumentare i dubbi della Lazio nel pressing. Ricci si è trovato un po’ più libero anche se la sua influenza (i palloni toccati) è rimasta più o meno la stessa.
Contro la Lazio, Ricci ha pagato i suoi limiti dinamici (non è uno di quei centrocampisti che definiamo elettrici) e quelli tecnici della sua squadra, le cui connessioni sono state spezzate con energia e applicazione da un’ottima Lazio. Ci sarebbe voluto un po' più di coraggio e rapidità nella circolazione della palla e un po' più di personalità da parte di Ricci. Ha provato ad essere utile con i cambi di gioco ma non è bastato, stavolta, a resistere alla pressione collettiva e costante che il Toro ha dovuto affrontare.
Vanoli quest’anno lo ha fatto giocare un po’ da playmaker, un po’ da mezzala, quando c’era Linetty che in caso può fare il play. A inizio stagione Ricci si è fatto vedere più spesso nell’ultimo terzo di campo e in area - e infatti, qualche settimana fa, nelle sue interviste la cosa da migliorare erano diventati gli inserimenti e la finalizzazione. Le qualità che gli permettono di giocare bene anche in zone più alte di campo e con compiti più offensivi sono sempre le stesse. Ovvero, sempre, la capacità di leggere lo spazio in avanti.
Contro il Lecce, per fare un esempio, Ricci ha avuto un’occasione dopo neanche cinque minuti, buttandosi nel buco lasciato da Che Adams, che era venuto incontro per ricevere proprio da lui un passaggio verticale.
Qui Ricci poteva ricevere palla anche prima, da Zapata, ma ha continuato il movimento andando a riempire l’area. Arriva al tiro in acrobazia e non riesce a colpire lo specchio.
Ricci non è uno di quei play che vuole toccare cento palloni a partita, almeno non lo è ora, ma le sue qualità gli permettono di fare, se non proprio quel ruolo che viene chiamato di “incursore”, con una presenza costante in area avversaria (che ne so: Brescianini, McKennie, Frattesi), quantomeno il centrocampista box-to-box, leggendo in continuazione lo spazio davanti a sé e riempiendolo con intelligenza. Con la sua qualità può diventare una specie di playmaker verticale, un ascensore in cui mettere la palla per recuperarla poi qualche piano più sopra.
Il suo passo è sempre poco più che compassato, ma se riesce a dare continuità alla propria corsa e se la squadra fa girare la palla con efficacia e fluidità Ricci riesce quasi sempre a smarcarsi. Ci sono diversi modi di interpretare il ruolo di play: ad alcuni giocatori è impossibile togliere la palla anche se statici, altri sfuggono alle marcature alzando il ritmo come un mezzofondista che prova la fuga; Ricci sembra una via di mezzo.
Ignorato per prudenza nella prima costruzione, Ricci si va a prendere la palla più avanti, infilandosi nel primo spazio utile in verticale.
In una squadra come il Torino, con una difesa a 3 che consolida il possesso giocando sul sicuro in ampiezza, non c’è neanche bisogno che Ricci tocchi ogni volta ottanta palloni. Può svolgere un’influenza diffusa in giro per il campo, garantendo una via d’uscita dalle zone congestionate di campo con i suoi cambi lunghi.
Contro la Francia, per tornare alla partita che più ha segnato questo inizio di stagione straordinario, godeva di maggiore libertà e la sua presenza nella zona centrale è aumentata, si è fatta sentire la sua ambizione. Era circondato da giocatori con una qualità tecnica simile alla sua (Calafiori, Bastoni, Tonali, Dimarco, Cambiaso) e la volontà collettiva era di giocare la palla sul corto e risalire insieme, muovendosi continuamente. Quando veniva pressato, poi, ha mostrato un livello molto alto nella sempre sottovalutata arte del dribbling difensivo.
Anche contro un mostro sacro come N’golo Kanté.
Luciano Spalletti ha parlato di «valori» che fanno pensare possa diventare «un top del calcio». Vanoli della sua intelligenza calcistica, sottolineando come stia «crescendo di partita in partita» (lo ha detto prima di quella con la Lazio, ma ogni percorso di crescita prevede qualche frenata). Ricci invece ha detto che il nuovo allenatore del Torino ha portato una «mentalità» differente, ma è difficile capire in che modo possa davvero averlo cambiato considerando che sembrava maturo già da quando aveva diciotto anni - se non lo è proprio da sempre, stando a quanto dice Roberto Marinai, il suo primo allenatore: «Non era come altri scapigliati… è sempre stato serio, quadrato».
Il talento a tutto tondo di Ricci ha molti modi per esprimersi e il suo carattere paziente da studioso, magari un po’ ansioso ma comunque tranquillo e sicuro di sé quando scende in campo, lascia immaginare che ci siano ulteriori margini di crescita. Il suo, però, è uno di quei casi in cui un’eventuale crescita sarò co-dipendente dal contesto, non potrà avvenire sul piano puramente individuale.
D’altra parte è il ruolo del playmaker ad essere particolare: per quanto forte in possesso del pallone, e resistente alla pressione, qualsiasi play ha bisogno della fiducia dei compagni di squadra per ricevere molti passaggi e dei loro smarcamenti per far salire la squadra verso la porta avversaria. Ci vuole anche una squadra che vada al suo ritmo, non si allunghi troppo e non abbia fretta col pallone. In questo senso non è così assurdo immaginare che Ricci possa funzionare in una squadra come il City, con un controllo autoritario del pallone nella metà campo avversaria e una pazienza pressoché infinita nel costruire i propri attacchi. E che, anzi, un contesto del genere possa addirittura migliorarlo.
Ma sono anche le qualità del playmaker in questione a modificare il contesto di squadra e per il momento è abbastanza interessante vedere come il Torino si stia adattando a questa nuova centralità di Ricci (una centralità che, come detto, non ha potuto avere nella passata stagione più che altro per problemi fisici).
Paolo Vanoli sembra aver capito che gran parte delle ambizioni del suo Toro devono passare dai piedi e dal cervello di Ricci. Il problema, come dimostra la partita con la Lazio, è che sembrano averlo capito anche gli allenatori avversari.