La Serenissima Repubblica di San Marino secondo la leggenda è stata fondata nel 301 d.C. da Marino, un tagliapietre salito sul monte Titano per scampare alle persecuzioni cristiane da parte dell’impero romano. Donna Felicita gli donò un monte per aver guarito il figlio malato e lì raccolse una piccola comunità di fedeli.
San Marino oggi è uno degli stati più piccoli al mondo, 61 chilometri quadrati di estensione, ed è la repubblica più antica al mondo ancora esistente.
I nomi dei primi due Capitani Reggenti, che allora come oggi rappresentano la carica di capi di stato, risalgono al 1243. I confini dello stato sono invariati dal 1463 e si collocano tra Emilia-Romagna e Marche, tra le provincie di Rimini e Pesaro-Urbino. Percorrendo la statale 72 proveniente da Rimini la scritta sul ponte della dogana recita “L’antica terra della libertà”. Nel 1849 San Marino offrì rifugio a Garibaldi; durante la seconda guerra mondiale a 100 mila italiani sotto le bombe.
Tra gli anni ’80 e 2000 San Marino ha costruito la propria ricchezza sul mercato finanziario, favorito dal segreto bancario e l’anonimato societario. Dal 2009, però, San Marino è stato inserito nella black list dei paradisi fiscali. Poi è arrivato lo scudo fiscale italiano e sono usciti dalla città-stato oltre 5 miliardi di euro, quasi la metà dei soldi raccolta dalle banche sammarinesi. La piccola repubblica negli anni successivi è uscita dalla black list, ma il PIL è crollato. Il turismo è una delle voci principali dell’economia, con un patrimonio naturale e storico che ha permesso nel 2008 l’inserimento dei centri storici di San Marino Città (la capitale del paese), Borgo Maggiore e del monte Titano tra i patrimoni dell’Unesco.
Nonostante quindi si tratti di uno stato di appena 33.860 abitanti, racchiuso all’interno di due regioni peculiari, San Marino è riuscito a cementare nei secoli un’identità peculiare e contraddittoria. Il paese non è diviso in provincie o comuni, ma in 9 castelli, che rappresentano delle unità amministrative. Inoltre San Marino utilizza l’euro come moneta e non prevede controlli doganali al confine, pur non facendo parte dell’Unione Europea.
Uno dei pochi motivi per cui San Marino entra nelle nostre vita è la sua strana nazionale di calcio. Comunque la si voglia pensare, una delle attestazioni più significative dell’esistenza di uno stato.
Abito a meno di 10 chilometri da questo paese, attraverso quasi quotidianamente la repubblica per lavoro e sebbene abbia assistito ad alcune partite della nazionale di calcio e a un’edizione dei Giochi dei Piccoli Stati, una sorta di Olimpiade in miniatura riservata ai paesi europei con meno di un milione di abitanti, mi rendo conto di sapere poco su questa realtà. La mia conoscenza è anzi viziata dai luoghi comuni che circolano in Romagna da decenni, secondo cui i sammarinesi sono immancabilmente tutti ricchi e amanti delle auto sportive. Per capire quindi cosa significhi davvero essere sammarinesi e quali siano i rapporti con l’Italia mi rivolgo ad Alan Gasperoni. Un ragazzo di 36 anni salito all’onore delle cronache 4 anni fa per una risposta tra il serio e il faceto a Thomas Muller, che aveva dichiarato in quella circostanza di non capire il senso di partite così impari come quella tra Germania e San Marino.
Per otto anni ufficio stampa della nazionale e due come team manager, si è imposto come uno dei principali promotori del calcio sammarinese, a cui ha contribuito con il suo lavoro alla Fiorita, società del campionato interno sammarinese di cui è rimasto alla presidenza per dieci anni, in termini di immagine, visibilità e professionalità. «Si è sempre detto che noi e l’Italia siamo cugini», racconta Gasperoni, «in realtà siamo fratelli. Il territorio è completamente all’interno dell’Italia e al di là di un po’ di campanilismo da gioventù c’è massima collaborazione a tutti i livelli. Senza l’Italia non saremmo niente, anche se ci piace rivendicare la nostra indipendenza. Perché parliamo di un paese con tutte le peculiarità di uno stato, compresa la possibilità di avere una nazionale e un campionato. Poi bisogna sempre ricordare che siamo un paese da 33.000 abitanti e per quanto abbiamo grandi possibilità, abbiamo anche delle grosse limitazioni». Per capire la sinergia tra i due paesi e l’efficienza di uno stato così piccolo nell’organizzare eventi di rilevanza internazionale, basti pensare alla partnership per il Gran Premio di motociclismo di Misano, che San Marino porta avanti in concerto con la Riviera di Rimini dal 2007, o alle fasi finali dell’Europeo Under-21 dello scorso anno, quando ha ospitato 3 partite allo stadio di Serravalle, l’impianto più capiente del paese (4877 posti), in cui si svolgono anche le gare casalinghe della nazionale.
Queste manifestazioni rappresentano il coronamento di un percorso iniziato nel 1988, con l’affiliazione da parte della federazione alla Uefa e alla Fifa, che consente alla nazionale del Titano di partecipare dal 1990 alle qualificazioni europee e mondiali. Dopo il primo risultato utile, il pareggio in casa con la Turchia nel 1993 durante le qualificazioni ai mondiali del 1994, i biancazzurri entrano nella storia nello stesso anno grazie al gol di Davide Gualtieri all’Inghilterra realizzato dopo appena 8,3 secondi, il gol più veloce in una competizione tra nazionali.
Questo record resisterà fino al 2016, quando Benteke in un Belgio-Gibilterra 6-0 segnerà dopo 7 secondi.
Le difficoltà di un microstato
In questi 30 anni di storia San Marino ha però raccolto risultati modesti, con appena una vittoria e 6 pareggi in 168 gare. Parliamo dell’ultima classificata nel ranking Fifa, 210° posto. Per trovare la penultima europea bisogna risalire fino alla 196a posizione di Gibilterra, mentre per definire meglio la dimensione di questa nazionale, va ricordato come San Marino sia il 217° paese al mondo (su 233) per numero di abitanti e di come solo 10 giocatori negli ultimi 40 anni siano approdati nel calcio professionistico. E per 6 di loro si tratta comunque di una manciata di presenze in Lega Pro. Il rammarico è che il giocatore più forte di sempre, l’ex centrocampista della Juve Massimo Bonini, quando la selezione sammarinese era stata riconosciuta dagli organismi internazionali aveva già 31 anni ed era sceso in Serie B.
L’unico successo risale al 2004, grazie a questa punizione di Andy Selva, una leggenda del calcio sammarinese con i suoi 8 gol sui 24 totali segnati dalla nazionale. Per l’ex attaccante, oggi allenatore nel campionato sammarinese, anche 66 reti in Serie C.
Se da un lato quindi lo score complessivo può essere considerato una conseguenza comprensibile, per non dire ineluttabile dei rapporti di forza con le altre selezioni, questi risultati, almeno in apparenza, stridono con il percorso di altri microstati. Gibilterra, per esempio, ha praticamente lo stesso numero di abitanti e ha fatto il proprio esordio nelle competizioni internazionali solo nel 2013. Eppure ha già conquistato 6 successi. Il Liechtenstein (38.000 abitanti) ne ha vinte 9 negli ultimi 10 anni e le isole Far Oer (48.000) tra il 2014 e il 2015 hanno addirittura battuto la Grecia due volte. «Noi però dobbiamo fare davvero con le nostre forze», spiega Gasperoni, «non possiamo prendere oriundi né naturalizzati, né concediamo passaporti “facili”, anche perché la legge sammarinese è molto restrittiva in questo senso. Ci sono calciatori sposati con una sammarinese e residenti a San Marino da 10 anni che non possono essere convocati, l’esempio più eclatante è Sergio Floccari. Poi dobbiamo fare anche mea culpa, perché a certi livelli è probabile che non si sia lavorato benissimo. Anche se non sappiamo se le cose sarebbero andate diversamente se avessimo scelto tecnici differenti o se a livello giovanile avessimo compiuto altre scelte, è giusto notare come gli altri paesi abbiano compiuto qualche passo in avanti».
Ma a differenza di selezioni come Gibilterra, che si sono rafforzate naturalizzando diversi atleti nati in Inghilterra, o del Liechtenstein che può schierare il centrocampista dell’Ascoli Marcel Buchel (66 presenze in A tra Empoli e Verona) oltre a Nicolas Hasler e Dennis Salanovic, entrambi di proprietà del Thun (Super League svizzera), o delle Far Oer che hanno diversi nazionali in giro nei vari campionati scandinavi, il movimento sammarinese può contare oggi solo su due ragazzi che giocano in campionati professionistici, gli attaccanti Nicola Nanni (classe 2000) e Filippo Berardi (1997), tesserati rispettivamente per Cesena e Vibonese. Due realtà comunque di Lega Pro, dove non godono neppure della titolarità indiscussa. Tolto Mirko Palazzi, che ha alle spalle alcuni campionati di C, Lorenzo Lunadei che fa l’Eccellenza a Riccione e 5 ragazzi che giocano in Promozione, gli altri militano nel campionato sammarinese. Anche in questo modo si può spiegare il divario con le altre squadre.
Una grafica che ha girato nel 2014 dopo lo 0-0 con l’Estonia, che riassume le professioni di quella squadra.
Il campionato sammarinese
Le dinamiche della nazionale si incrociano con quelle del campionato nazionale, detto anche campionato interno. Si tratta della serie unica di San Marino, nata nel 1985 e a cui oggi partecipano 15 squadre. Il format del torneo ha subito delle variazioni anche recentemente, ma di base dal secondo anno prevede una stagione regolare seguita dalle fasi finali a eliminazione diretta, in più dal 1996 non ci sono retrocessioni.
In realtà fino a un anno fa esisteva anche una formazione sammarinese che ha partecipato soltanto ai campionati italiani, il San Marino Calcio, con sede a Serravalle e ben 16 anni di Serie C tra Prima, Seconda Divisione e Lega Pro unica. Nel 2015 la retrocessione in D, 3 anni più tardi a causa del mancato accordo con la federazione ha giocato le partite casalinghe a Forlì, mentre un anno più tardi la fusione con il Cattolica e conseguente trasferimento del club in Romagna ha sancito la fine di una storia lunga 60 anni. Nonostante il buon livello mantenuto negli anni, il San Marino Calcio non è mai stato percepito come una squadra sammarinese, godendo di un seguito trascurabile. Sembrava quasi una forma di vita esterna alle dinamiche del Titano, forse perché pochi sammarinesi hanno indossato quella maglia.
Il campionato che i sammarinesi considerano il loro a tutti gli effetti è l’interno, dove si sfidano le squadre dei vari castelli e giocano la maggior parte dei loro connazionali. Durante la stagione regolare il pubblico non è molto presente (numeri nell’ordine delle 100-200 presenze), ma le finali di campionato e di Coppa Titano, la coppa nazionale, si possono svolgere anche davanti a più di un migliaio di spettatori.
La media spettatori del San Marino Calcio dal 2005 (via transfermarkt.com), ampiamente inferiore alle presenze per una finale di campionato. Le ultime due stagioni fanno riferimento alle partite casalinghe giocate a Forlì e Cattolica.
Nel 2000 il primo scatto in avanti del campionato, con l’accesso alle competizioni Uefa: l’allora vincitrice del campionato, la Folgore Falciano, ha affrontato nel turno preliminare di Coppa Uefa il Basilea, rimediando un 1-12 nell’aggregata. Nel 2007 un altro passo in avanti, con l’accesso alla Champions League riservato a chi conquista il campionato. Dal 2010 i posti in Europa diventano 3, uno in Champions e 2 in Europa League riservati alla finalista del campionato e a chi conquista la Coppa Titano, ma per vedere una sammarinese superare il primo turno bisogna aspettare il 2018, quando il Tre Fiori elimina i gallesi del Bala Town (3-0 in casa, 0-1 al ritorno in Galles, dove tra l’altro un tesserato, Maicol Acquarelli, verrà trattenuto per qualche ora dalle autorità locali).
Il calcio sammarinese dei club è salito alla ribalta a livello internazionale proprio con l’esordio del Murata in CL nel 2007, che aveva ingaggiato per l’occasione il 41enne Aldair fermo da due anni e che all’andata ha sfiorato una clamorosa vittoria con i finlandesi del Tampere United (1-2). Poi sarà La Fiorita a tesserare un altro ex romanista, Damiano Tommasi, il quale tra il 2015 e il 2018 viene chiamato ogni estate per disputare i preliminari delle coppe europee. Oltre all’ex presidente dell’AIC, la squadra di Gasperoni nel 2018 ha messo sotto contratto per la Champions anche il conduttore televisivo Alessandro Cattelan e il giornalista Sky Alessandro Alciato. Operazioni che oscillano tra il marketing e l’effetto lol, ma che in qualche modo aiutano a creare curiosità attorno a un piccolo movimento.
I club, dal canto loro, sono consapevoli di poter spendere una carta importante come la partecipazione alle competizioni Uefa per convincere giocatori di livello superiore. Se inizialmente si trattava di nomi ingaggiati ad hoc per l’impegno europeo, negli ultimi anni le risorse economiche sempre più importanti, unita alla crisi del calcio dilettantistico italiano (e al fatto che dal 2018 non è più consentito il tesseramento contemporaneo in squadre italiane e sammarinesi) hanno permesso di arrivare anche a ex giocatori di Eccellenza, D e persino Lega Pro per l’intera stagione. Il che ha portato nell’ultimo decennio a una crescita esponenziale della competitività del torneo: parlando con vari addetti ai lavori e giocatori che hanno militato sia in Italia che a San Marino, è opinione comune che le 4-5 formazioni di vertice valgano oggi una Promozione, se non un’Eccellenza italiana, mentre in precedenza il livello delle big non si spingeva oltre la Prima Categoria. Un salto indicativamente di una o due categorie: «I bilanci sono pubblici e i costi della prima squadra ormai si aggirano sui 200.000 euro tra gestione e monte stipendi» racconta Gasperoni, che mi spiega come negli ultimi anni si stia scavando un gap tra le prime 4-5 squadre, come La Fiorita, il suo club, il Tre Fiori, la Folgore, il Tre Penne e la Libertas, rispetto alle altre. Gli chiedo quindi se siano i ricavi europei degli ultimi anni di cui hanno beneficiato questi club ad aver determinato questa spaccatura. L’ex presidente mi risponde che la differenza sta nel cambio di approccio e nell’organizzazione del lavoro, sempre più vicina a un’idea di professionismo. «Magari la partecipazione alle coppe europee ti può portare qualche sponsor in più, ma a livello economico incide poco, non più di 30.000 euro. Anche perché è la federcalcio a ricevere i contributi e a ripartirli tra le varie società. Gli ingaggi dei giocatori? In una squadra come la nostra ce ne possono essere 10 che prendono più di 10.000 sui 10 mesi e 3 che superano i 15.000». Quello della Fiorita rimane comunque un monte ingaggi eccezionale, società più piccole come Domagnano, Virtus, Pennarossa e Cailungo spendono in compensi per i giocatori tra i 52.000 e i 65.000 euro.
La formazione con cui La Fiorita ha disputato (e perso 1-3) la finale del campionato 2019 contro il Tre Penne. Al di là della bandiera del Rimini Adrian Ricchiuti, troviamo tanti nomi sconosciuti al grande pubblico, ma che in carriera hanno messo assieme quasi 1500 presenze tra i professionisti.
In altre parole, San Marino sta svuotando le categorie dilettantistiche italiane puntando su una solidità economica e un’affidabilità nei pagamenti sempre più rara oltre il confine («I contratti hanno una valenza federale, nel caso possono essere impugnati e le società possono subire delle penalità»). Ma grazie anche alla logistica, visti gli spostamenti ridotti rispetto a un campionato di carattere regionale come Promozione ed Eccellenza, o interregionale come la D. L’interno si svolge solo su 5 campi, e quindi nessuna squadra ha davvero un suo campo di riferimento, ma si ruota di settimana in settimana. Ci può suonare paradossale per un torneo così ricco, però non bisogna dimenticare la natura montuosa del territorio, che complica la costruzione di nuovi impianti.
Parallelamente alla crescita economica e tecnica del movimento, sul Titano è scoppiato anche un caso legato al calcioscommesse, vale a dire la partita di Coppa Titano tra Virtus e San Giovanni 0-1 del 13 marzo 2017, che secondo le ricostruzioni degli inquirenti sarebbe stata combinata per favorire la vittoria del San Giovanni, che i bookmakers pagavano con delle quote molto alte (come negli altri campionati nazionali, è infatti possibile scommettere legalmente anche sul torneo sammarinese). In primo grado 24 tesserati sono stati deferiti, con squalifiche fino a 4 anni e 7 mesi, e 6 società multate per responsabilità oggettiva.
Quota stranieri, quota sammarinesi
Per alzare il livello dei propri organici, le squadre del Titano hanno quindi iniziato a comprare in Italia, anche se fino a due anni fa non era comunque possibile avere più di 5 stranieri in rosa. Tra i sammarinesi però non rientravano solo quelli in possesso del passaporto, ma anche i residenti, i lavoratori che operavano nel microstato e gli atleti con almeno 3 anni nel settore giovanile della federazione sammarinese. Un regolamento che ha permesso a diversi italiani di acquisire lo status di sammarinese, causando una progressiva riduzione dell’utilizzo dei sammarinesi realmente convocabili in nazionale.
Per tutelarsi, la federazione nel 2019 ha così optato per un cambio di normativa, obbligando le squadre a schierare almeno due calciatori di passaporto sammarinese. Un provvedimento controintuitivo, perché spalanca le porte agli stranieri, ma che in realtà consente da un lato di migliorare la qualità del torneo, e dall’altro costringe i club a mettere in campo due giocatori potenzialmente convocabili in nazionale. In una giornata scendono in campo 14 squadre e quindi ogni fine settimana giocano almeno 28 sammarinesi. La speranza della federazione è che la crescente competitività del campionato – fermo dal 29 ottobre a causa dell’emergenza sanitaria - aumenti pure il livello del parco sammarinesi.
Le storie di Mirko Palazzi e José Adolfo Hirsch
Tra le tante storie singolari di una nazionale composta in larga parte da dilettanti che nella vita studiano o hanno un altro lavoro, Mirko Palazzi rappresenta uno dei personaggi più iconici. Uno dei pochi in rosa ad aver fatto quasi sempre il calciatore a tempo pieno, con 5 campionati di C e 5 di D in carriera (oggi gioca in D con la Marignanese Cattolica e collabora con Innerskills, un’agenzia che si occupa di mental coaching in ambito calcistico), nonché l’unico sammarinese ad aver segnato in Europa sia con il club - addirittura una doppietta con il Tre Penne nella sconfitta per 2-9 contro i bosniaci dello Zrinjski nei preliminari di Europa League del 2010 - sia in Nazionale, in un Azerbaigian-San Marino 5-1 del 4 settembre 2017.
«Ho esultato come se avessi segnato un gol vittoria in una finale», ha ammesso Palazzi.
Eppure Palazzi non è un attaccante, ma un laterale di piede destro che ha sfruttato la sua ambidestria per giocare soprattutto a sinistra. A riprova delle norme stringenti in vigore a San Marino sulla cittadinanza, dopo aver fatto il suo esordio in nazionale nel 2005, tra il 2006 e il 2012 non ha potuto vestire la maglia biancazzurra. «Mi hanno ritirato la cittadinanza perché secondo la legge al compimento del 18° anno una persona con la doppia cittadinanza come me (madre sammarinese e padre italiano, nda) deve “confermare” la cittadinanza sammarinese entro un anno. Io non l’ho fatto perché non mi è arrivata la comunicazione per posta e i miei genitori non erano a conoscenza di questa cosa. Però dopo 5 anni è cambiata la legge e nel 2012 ho riottenuto la cittadinanza».
Ciononostante, nella selezione hanno trovato comunque spazio due giocatori nati in Argentina. Uno è il difensore Dante Rossi, eleggibile da un anno, che dopo lo 0-0 con Gibilterra di sabato non è riuscito a trattenere la sua commozione, l’altro è José Adolfo Hirsch, esterno offensivo che si è trasferito in repubblica nel 2009 e in 11 anni ha fatto registrare 36 presenze. «Fino a 21 anni ho giocato nel Banfield», racconta Hirsch, «dove sono arrivato fino alla Primavera. Poi ho giocato in terza serie, ma non ho trovato altre proposte serie, anche perché la situazione in Argentina anche a livello sociale era un disastro, così ho deciso di raggiungere un amico a San Marino. Ho avuto subito la cittadinanza perché il mio bisnonno era sammarinese, poi nel giro di un anno ho ottenuto anche il passaporto. Non è il mio paese natale, ma giocare per questa nazionale è un motivo d’orgoglio. San Marino è una seconda casa che mi ha aperto le porte: qui ho trovato lavoro e mi sono fatto una famiglia».
Volendo si può considerare anche la stessa nazionale una sorta di famiglia, o comunque una squadra di club. Perché rispetto alle nazionali di alto e medio livello, che si radunano solo in prossimità delle partite, la federazione, grazie agli accordi con le società e alla vicinanza geografica di giocatori concentrati in pochi chilometri, organizza saltuariamente dei collegiali a cui partecipano la maggior parte dei nazionali (fanno eccezione i due professionisti Nanni e in particolare Berardi, che gioca a Vibo Valentia). Le settimane che precedono le gare si allenano una volta ogni 7 giorni, prima del ritiro vero e proprio.
Il gap con le altre nazionali
Essere sammarinese significa godere del privilegio di poter affrontare le migliori nazionali al mondo nonostante lo status da dilettante, ma anche l’onere di scontrarsi contro realtà che fanno un altro sport e la frustrazione di chi inesorabilmente andrà incontro a una sconfitta, spesso larga: solo negli ultimi 4 anni, San Marino ha perso 15 volte con almeno 4 gol di scarto. Oltretutto per giocatori con alle spalle decine di presenze, l’abitudine alla sconfitta rischia di intaccare la condizione mentale. Si può diventare nervosi o solo scoraggiati. Ho chiesto quindi a Palazzi quali sono gli stimoli e gli obiettivi che un giocatore prova a darsi in quel tipo di partite.
«Noi entriamo in campo cercando di essere concentrati su ogni palla. Nel 2019 siamo riusciti a reggere contro il Belgio in casa nel primo tempo [0-1, nda], poi nel secondo è entrato Mertens che ha cambiato la partita e hanno vinto 4-0. Contro le grandi gli obiettivi possono essere i contrasti da vincere, le sequenze di passaggi e la strategia da trovare per arrivare a concludere contro uno come Courtois. La spinta è data dall’adrenalina nell’affrontare questi avversari. Dal punto di vista mentale è importante essere preparati perché affronti gente che ti può umiliare: in Russia abbiamo giocato davanti a 42.000 persone, abbiamo preso 9 gol ma tutto il pubblico voleva il decimo. Poi a fine partita il pubblico ti applaude perché entra in empatia con noi».
Esiste la “Brigata mai 1 gioia”, un gruppo di tifosi italiani animati da spirito goliardico e capeggiati da Massimo Visemoli, che da Reggio Emilia ogni volta che gioca la nazionale si fa quasi 200 chilometri per raggiungere Serravalle e sostenere la squadra. Ma il feticismo è espresso soprattutto negli account YouTube e Twitter in lingua spagnola che seguono San Marino. Francamente non capisco dove finisca il tifo iperbolico e inizi il reale trasporto.
Lo 0-0 contro Gibilterra di sabato è stato accolto con moderazione. Su YT ho trovato persino una live reaction di un adolescente.
Tornando alle vicende di campo, il divario è misurabile su vari piani: innanzitutto nella lettura delle giocate, successivamente a livello tecnico e fisico. San Marino sembra scontare un tempo di gioco, soprattutto quando gli avversari aumentano la velocità del possesso, combinano rapidamente o si scambiano di posizione. Ad esempio nell’amichevole contro la Slovenia (0-4) disputata in ottobre, la nazionale ha riscontrato grossi problemi nell’assorbire i tagli degli esterni o i movimenti del trequartista tra le linee: un po’ per le contingenze, un po’ perché i giocatori erano restii a disordinare il 451 in fase difensiva, raramente hanno rotto la linea. Anche perché uscire dalla propria posizione per andare a contendere palla a un avversario con cui difficilmente puoi prevalere comporta uno sforzo non indifferente, lo stesso linguaggio del corpo restituisce un’idea di una fatica sovraumana. A maggior ragione se in fase di possesso ti devi alzare sopra la linea della palla.
Qui l’esterno Tijanic e il trequarti Lovric si posizionano negli spazi interni, ma nessun sammarinese riesce a sporcarne una possibile ricezione.
Allo stesso modo pesa la diversa reattività nei primi metri: con un buon primo controllo un avversario è capace di sorprendere un sammarinese pure quando quest’ultimo pare meglio posizionato. Le partite dei titani del resto sono caratterizzate da lunghe fasi di difesa passiva, nella speranza di indurre l’altra nazionale all’errore o di cogliere l’attimo in cui intervenire per contrastare o recuperare palla. In questo senso numeri inquadrano bene il dominio che San Marino fisiologicamente è costretto a subire: nelle sfide del 2019 ha tentato 174 passaggi ogni 90 minuti contro i 697 degli avversari, effettuando 2,7 tiri e concedendone 29,7.
«Sei inferiore come corsa, nei contrasti, corri a vuoto per molto tempo, perché gli altri non sbagliano un passaggio e nell’ultimo quarto d’ora non ce la fai più. Io ci metto anche 2-3 giorni per recuperare dopo una partita», riconosce Hirsch, a cui fa eco Palazzi. «Il gap più evidente è fisico: quando Mertens e Hazard partono in accelerazione diventano imprendibili. La Russia fisicamente è dominante, se fai un contrasto con loro rischi quasi di farti male. Poi incide la tecnica in velocità».
Una delle chiavi per provare a sopperire a questa inferiorità è alzare la soglia dell’agonismo, forzando le entrate per cercare di anticipare o recuperare l’uomo, anche se un intervento in ritardo si può tradurre in un rigore o in un cartellino rosso. Nelle partite che ho guardato ci sono stati alcuni interventi scomposti, ma non ho mai visto cattiveria o volontà di fare male, quanto delle valutazioni sbagliate (come la stessa espulsione di Simoncini contro Gibilterra) o la frustrazione di chi non riesce a rubare palla e vuole reagire.
Nell’ultima mezz'ora, poi, il livello delle prestazioni è destinato a scadere ulteriormente a causa della stanchezza. In quei momenti emerge ancora di più la differenza di preparazione, o più semplicemente la distanza tra chi nella vita ha la possibilità di concentrarsi sul calcio a tempo pieno e chi invece solo qualche ora alla settimana. Un divario che si riflette anche nell’esecuzione delle giocate più banali come un passaggio senza pressione o un lancio, in cui si nota una maggior macchinosità nei gesti. «A Wembley», spiega Palazzi, «ho visto Rooney stoppare una palla da lontano e calciarla pulitissima sulla corsa di un esterno. Uno spettacolo puro».
Un pezzo di storia
Sabato sono andato al San Marino Stadium per assistere alla penultima giornata della lega D, gruppo 2 di Nations League tra i padroni di casa e Gibilterra. Gli iberici con una vittoria avrebbero conquistato il primo posto nel girone con un turno d’anticipo, ma il confronto era sentito anche sul fronte sammarinese, che malgrado l’eliminazione voleva dare continuità allo 0-0 strappato in ottobre in casa del Liechtenstein, il primo risultato utile dopo 39 ko consecutivi. «Abbiamo fatto più di 200 passaggi, un record», commenta Palazzi, «oltre a 17 tiri contro i 6 loro. Non mi ricordo un’altra partita in cui dal campo c’era la percezione di poterla vincere. Io ho avuto un’occasione, volevo angolarla ma ho preso il polpaccio del portiere e la palla è andata sulla traversa».
Il primo aspetto che mi ha colpito è come i giocatori siano stati sovrastati fisicamente anche da una selezione dal valore comparabile, ma di come abbiano comunque provato ad accettare il contesto imposto da Gibilterra, facendo buona densità sulla palla grazie al dinamismo dei centrali di centrocampo Lunadei e Golinucci. L’unico in grado di reggere i duelli inviduali è la punta Nicola Nanni, alta un metro e 88. Per struttura fisica e potenza Nanni dimostra di essere un calciatore professionista, idem il suo compagno di reparto Berardi, l’unico capace di gestire i tempi dell’azione e di portare palla, nonostante abbia saltato l’intero ritiro causa Covid-19 e sia tornato disponibile a poche ore dalla gara. Nessuna delle due squadre contesta il possesso avversario, ma mentre Gibilterra costruisce la sua partita in funzione del gioco aereo, San Marino riesce a risalire il campo all’aumentare della velocità della trasmissione palla. Nello specifico i due mediani più Berardi si allargano per uscire dal blocco centrale del 3-4-3 di Gibilterra, fornendo una linea di passaggio al difensore, per poi ricevere e connettersi con l’esterno di riferimento.
L’equilibrio viene rotto dall’espulsione di capitan Simoncini, ma Varrella non rinuncia alle due punte e passa dal 4-4-1-1 al 4-3-2. Gli ospiti delegano la fase offensiva all’ex Portsmouth Walker, un buon passatore, e al classe 2000 De Barr, per buona parte del secondo tempo ingiocabile (7 dribbling completati su 11 e una rapidità fuori scala rispetto agli altri giocatori), che fallisce pure un’ottima occasione a tu per tu con Benedettini. Diversamente cercano di prevalere alzando la palla sia su situazioni dinamiche (24 cross) che su palla inattiva (7 angoli). Proprio i corner costituiscono uno dei problemi cronici per una squadra poco presente a livello fisico come San Marino, che per l’avversario di turno si trasforma in opportunità molto importanti, paragonabili a una punizione dal limite. Ma i padroni di casa hanno il merito di non schiacciarsi, non concedono tiri in porta e scrivono un’altra pagina di storia. Perché la nazionale non aveva mai centrato due risultati utili consecutivi (mercoledì aveva perso 0-3 con la Lettonia, ma era un’amichevole).
Un piccolo grande record che gratifica il commissario tecnico Franco Varella. Ingaggiato nel 2018 al posto di Pierangelo Manzaroli, l’allenatore riminese, il primo straniero nella storia della nazionale, si è rivelato una figura divisiva dalla spiccata personalità, a cui i media locali non hanno risparmiato critiche, soprattutto dopo la sconfitta interna contro il Liechtenstein (0-2). In quell’occasione si è presentato in conferenza stampa con il match analyst Matteo Turroni per difendere il suo lavoro e mostrare i progressi della squadra. Un personaggio a cui non piace la diplomazia: proprio ieri, a proposito di una sua possibile conferma in panchina, ha risposto che se fosse per lui non si metterebbe neppure in discussione. «La cosa più bella secondo me è la coesione che i ragazzi hanno dimostrato in questi ultimi due mesi. Vedere come si sono stretti intorno a Filippo Berardi, che fino a un anno fa sembrava avulso dal nostro mondo. Credo di aver cominciato a mettere dei fermagli e che si debba andare avanti per ottenere qualcosa di più».
Una fase offensiva che ha proposto persino delle giocate sofisticate: qui l’esterno Gradoni porta palla e premia la sovrapposizione interna del terzo di difesa Palazzi.
«Manzaroli curava di più le singole partite e gli avversari», spiega Hirsch, «ma Varrella ci ha aiutato a prendere consapevolezza e toglierci le paure che avevamo quando andavamo in trasferta. Cerchiamo di non pensare solo a difenderci, proviamo anche a giocare la palla: magari tenendola 7 volte su 10 la perdi comunque, ma se completi un giro palla in difesa superi la prima pressione e si possono aprire degli spazi. Anche perché per salire non abbiamo più giocatori come Andy Selva che tengono la palla anche da soli».
«In fase offensiva i ragazzi devono cominciare a credere in loro stessi». Anche perché, nonostante i passi in avanti, in due anni di gestione Varrella è arrivato un solo gol, quello di Berardi al Kazakistan nel 2019. Numeri comunque in linea con lo storico di una selezione capace di segnare 24 reti in 30 anni e che comprensibilmente ha difficoltà anche solo a concludere un'azione.
In futuro San Marino è destinato a continuare scontrarsi con i limiti strutturali di un microstato, ma l’impressione è che ci stia provando sempre più gusto. «Noi siamo qui: ci potete dare anche 10 gol, però prima ci dovete superare».