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Santiago Gimenez uno di noi
15 set 2025
C'è grande empatia per il momento difficile del centravanti messicano.
(articolo)
8 min
(copertina)
IMAGO / NurPhoto
(copertina) IMAGO / NurPhoto
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«Ti sembra un controllo da giocatore sereno?». La domanda retorica - la risposta è sottintesa: no - la fa Ricky Buscaglia durante la telecronaca di Milan-Bologna, dopo aver rivisto per la seconda volta il replay dell’occasione avuta da Santiago Gimenez intorno al 70'.

«Sicuramente è un giocatore che non è emotivamente tranquillo», risponde Fabio Bazzani, ex attaccante. Si sente che parlano con prudenza. Non vogliono sparare sulla Croce Rossa, come si dice, sottolineando troppo il modo in cui Gimenez ha sprecato una delle azioni più belle che il Milan era stato in grado di costruire fino a quel momento.

Samuele Ricci aveva saltato Cambiaghi a metà campo con un tocco esterno-interno da hockey su ghiaccio, come se al posto del piede avesse avuto una mazza, e poi aveva allargato per Tomori vicino alla riga laterale di destra. Tomori ha alzato la testa, ha visto il movimento di Gimenez a smarcarsi in profondità, al lato del difensore, e lo ha raggiunto di prima intenzione con una splendida palla in diagonale tra difesa e portiere.

Gimenez ce l’aveva sul suo piede, il sinistro, avrebbe solo dovuto controllare di piatto e calciare con la palla rimbalzante. Chiudete gli occhi e non c’è niente di più facile da immaginare di un centravanti che rompe la porta con un missile di collo pieno sotto la traversa.

E invece Gimenez ha faticato a controllare la palla, come se si fosse alzata, nel rimbalzo, sopra le sue previsioni. Come se qualcosa lo avesse sorpreso. Oppure, come se la sua gamba non si fosse alzata abbastanza, come se qualcosa dentro di lui si sia rifiutata di controllare bene quella palla.

Gimenez sembra inciampare, il pallone gli scorre quasi davanti prima che riesca ad arrivarci con il sinistro, ed è un tocco maldestro, con poca sensibilità, legnoso. Una rigidità, una lentezza, che lo rende goffo e lo costringe ad allargarsi prima di calciare addosso a Skorupski.

Questa non è stata neanche l’occasione peggiore sprecata da Gimenez contro il Bologna. Quella, la peggiore, è arrivata immediatamente prima che Allegri decidesse di sostituirlo, forse per evitargli ulteriori problemi, togliendolo dal campo come se sotto i piedi gli si fossero spalancate le porte dell’inferno. Eppure, quando Gimenez esce dal campo, San Siro - sempre senza curva, in un’atmosfera che di settimana in settimana si fa sempre più da fine del mondo - lo ha applaudito, gli ha dimostrato un affetto che si riserva alle persone sfortunate, come se non dipendesse interamente da Gimenez. Ma allora da chi dipende?

Non è stato un bel turno di campionato per i centravanti di Serie A. Non hanno segnato né Cutrone né Pellegrino col Parma, anzi sono riusciti a fallire due tiri soli davanti a Caprile all’interno della stessa occasione. Belotti, non ne parliamo neanche. Non ha segnato Vlahovic, rilanciato da titolare da Tudor in occasione del primo scontro di vertice della stagione, e dei 7 gol segnati in Juventus-Inter solo uno lo ha segnato un centravanti, Marcus Thuram.

Non ha segnato Moise Kean, e non hanno segnato né Piccoli né Dzeko. Non ha segnato il “Taty” Castellanos, né Pinamonti. Non ha segnato Evan Ferguson, con il secondo tempo a disposizione, mentre Dovbyk è rimasto a guardare dalla panchina. Non ha segnato Keinan Davis né Meister, in Pisa-Udinese; non ha segnato Castro e neanche Dallinga. Non ha segnato Krstovic, in una partita in cui la squadra ha vinto 4-0, ha sbagliato un’occasione praticamente a porta vuota e poi quando è riuscito a fare gol gli è stato annullato.

A parte il “Cholito” Simeone (statisticamente qualche centravanti doveva pur segnare) e Rasmus Hojlund (arrivato da poco, forse non ha fatto in tempo a contrarre lo stesso virus degli altri nove) nessuno dei centravanti del campionato ha giocato bene. Ma pensateci un attimo: quanto spesso capita che un centravanti giochi davvero bene? Bene come immaginiamo debba giocare un centravanti?

Proprio scrivendo di Hojlund, poche settimane fa, dicevo che per un attaccante il gol "è la testimonianza di un contatto privilegiato con qualcosa di invisibile" e che dopo un po’ che non si riesce a segnare l’assenza del gol diventa "una specie di lutto a cui sopravvivere cercando di non pensarci troppo". Il punto è che nessuno ci può fare niente. Non è una questione di motivazioni, o di concentrazione. Non serve a niente criticarli, tanto vale sostenerli.

Allegri a fine partita ha detto che Gimenez ha sbagliato le sue occasioni perché ci è arrivato «poco lucido», perché aveva lavorato troppo per la squadra. Perché, cioè, aveva fatto tutte quelle cose che un allenatore chiede a un centravanti che sono però cose da fare in più, oltre ai gol. Sembra di sentire Zlatan Ibrahimovic, quando ai tempi dell’Ajax raccontava di aver ascoltato i suggerimenti di Van Basten, rifiutandosi di difendere come gli chiedeva Van Gaal proprio per non perdere lucidità sotto porta.

Da questa foto si possono vedere i suoi pensieri fare a botte tra di loro.

Ed è vero che Gimenez aveva iniziato la partita con un’energia diversa. Dopo dieci minuti di gioco è entrato in area palla al piede, si è tuffato con coraggio in mezzo a Ferguson e Lykogiannis che hanno provato a chiudergli la strada, sterzando sul sinistro e calciando velocemente, non troppo forte ma abbastanza preciso da costringere Skorupski a una bella parata. Da solo, ha mandato nel panico la difesa del Bologna, con la palla messa urgentemente in angolo dopo la parata. A quel punto San Siro ha ruggito e Gimenez lo ha incitato alzando le mani.

Da capopopolo, da agitatore di piazza, a ragazzo sfortunato da consolare mentre esce dal campo. I primi dubbi - se di dubbi si è trattato, se è colpa di quelli che gli americani chiamano pensieri intrusivi - forse li ha iniziati ad avere intorno al 59'. Fofana porta palla fino al limite dell’area e gliela passa sul lato sinistro. Gimenez non è solo davanti alla porta, non è neanche vicinissimo, ma ha tutto il tempo che vuole per caricare e sparare. Troppo tempo? Può darsi. Gimenez sembra fare un passettino di troppo in preparazione e alla fine dai piedi gli esce un tiro strozzato, con un angolo troppo chiuso e troppo debole per impensierire Skorupski anche se fosse finito in porta.

Il gol di Modric dovrebbe togliergli un po’ di pressione e invece prima sbaglia l’occasione descritta all’inizio e poi quella peggiore di tutte. Su un filtrante di Pulisic che gli fa arrivare la palla in posizione più o meno centrale, solo davanti a Skorupski, con nessuno intorno e nessuno dietro. Skorupski stesso è uscito a metà, è lontano, non gli mette fretta in nessun modo.

È meglio di un rigore in movimento. Gimenez potrebbe portarsi la palla ancora un po’ in avanti e prendere con calma la mira. Può metterla sul primo palo, bassa o alta, come preferisce, oppure può incrociare il tiro, se proprio vuole rendersi le cose difficili, se proprio vuole fare un gol il più bello possibile.

Quello che fa Gimenez, al posto di una di queste cose, non ha semplicemente senso. Finta il tiro e col controllo si sposta la palla a sinistra. Prova a dribblare, di fatto, un portiere a più di cinque metri di distanza. E non gli basta quel primo controllo con cui si chiude un po’ la porta, ma neanche troppo, ne fa un secondo, si sposta ulteriormente la palla verso l’esterno, finché lo spazio in cui far passare il pallone è il più stretto possibile, finché la porta è praticamente chiusa. E infatti non riesce a prenderla, colpisce il palo più vicino.

Gimenez calcia cadendo e a terra si prende le punte come se avesse i crampi. Nel suo sguardo non c’è niente. Dietro i suoi occhi azzurri, il vuoto. Persino i pensieri intrusivi, la vocina dentro di sé che gli ha suggerito di allargarsi - ma sì, salta il portiere, come gli attaccanti di una volta, come gli attaccanti veri, come Ronaldo! - sono spariti, lo hanno lasciato solo. L’errore stavolta è troppo grande per non pensare che Gimenez ci abbia messo del suo, stavolta è evidente che se l’è cercata la sfortuna del palo.

Tre minuti dopo Allegri lo fa uscire. E gli batte la mano sul petto per consolarlo, e forse controllare che gli batta ancora il cuore. Nkunku, entrato al suo posto, ha un’agilità e una sensibilità diversa in area di rigore, lo si vede anche nell’azione in cui si procura il rigore poi tolto dal VAR, che causa l’espulsione di Allegri. Pur giocando pochi minuti, al confronto della goffaggine di Gimenez, Nkunku sembra Spiderman.

Un attaccante che non segna è a tutti gli effetti un supereroe privato dei propri poteri. Se non è una questione puramente tecnica, né tanto meno tattica, se non dipende pienamente da loro, allora è un potere magico. La capacità di fare gol che va e viene sembra un capriccio divino e porta al fatalismo. A quello con cui Gimenez accetta l’errore e a quello con cui Allegri lo giustifica.

Non c’è niente di più tragico di un attaccante che sembra sbagliare apposta le occasioni che gli capitano. E non c’è niente che crei più empatia nei tifosi, in quelle persone normali che nella loro vita quotidiana di occasioni ne sbagliano moltissime, quasi tutte apposta, anche se magari non ne sono consapevoli.

In questo senso Gimenez è uno di noi. In questo senso capiamo la sua sventura. Anche noi pensiamo che non è mai colpa nostra, e malediciamo i pali che prendiamo, i portieri che non riusciamo a saltare, la porta - in questo caso farebbe comodo usare l’inglese goal, inteso anche come obiettivo - sempre troppo piccola, sempre troppo lontana. E se ci accontentiamo noi, se ci stiamo bene così come siamo, perché non dovrebbe starci bene Santiago Gimenez?

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