
Lo scorso 24 settembre ha debuttato Open VAR, un nuovo format del broadcaster DAZN, con la collaborazione della Federcalcio italiana e dell’Associazione Italiana Arbitri (AIA). Ogni settimana, un rappresentante dell’AIA è presente negli studi televisivi, il teatro dei dibattiti televisivi serali intorno al campionato. In Open VAR il delegato degli arbitri commenta le immagini di un episodio della precedente giornata di Serie A, rilevante per l’attenzione che ha suscitato o perché la complessa applicazione del regolamento necessita di un approfondimento. La vera novità (rispetto ad ex arbitri che commentano episodi dubbi) è la presenza degli audio nei quali lo spettatore può ascoltare le parole che l’arbitro, i collaboratori di campo e gli uomini al controllo video si sono scambiati durante la valutazione dell’episodio in esame. Secondo il presidente degli arbitri Carlo Pacifici, questo è: «Un momento storico che consentirà al mondo arbitrale di aprirsi sempre di più in un’ottica di trasparenza».
Quindi lo scopo iniziale, in buona fede, sarebbe stato quello di accorciare la distanza tra la classe arbitrale e il pubblico, togliere spazio alle molteplici teorie del complotto che i tifosi di ogni squadra sono in grado di articolare. In maniera forse utopistica l’idea era di poterci trovare – forse sul tema più divisivo in assoluto: il calcio – tutti d’accordo. O quantomeno capirsi.
Dopo poche settimane di programmazione, però, l’impressione è che alcuni degli episodi mostrati abbiano contribuito a confondere ancora di più le idee degli appassionati riguardo a vari aspetti del rapporto tra il direttore di gara e il VAR. In particolare si è fatta confusione circa il potere discrezionale dell’arbitro e le possibilità di intervento del VAR.
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