Avete presente il meme che comincia con “Nessuno:” seguito da “Assolutamente nessuno:” e poi una cosa totalmente inaspettata o fuori di testa? Le parole di qualche settimana fa di Giannis Antetokounmpo, con le quali aveva fatto capire di non avere alcuna intenzione di firmare un’estensione di contratto con i Milwaukee Bucks se non avesse avuto la certezza di poter vincere di nuovo, erano arrivate più o meno in quella maniera: senza che davvero nessuno avesse davvero mai pensato a un suo possibile addio, concentrati come eravamo su altre questioni più pressanti. Evidentemente però quelle parole servivano per mandare un messaggio a qualcuno, più precisamente alla dirigenza dei Bucks: neanche il tempo di spendere qualche giorno a scervellarsi sulle motivazioni dietro quelle parole in questo preciso momento storico, che le sue esternazioni hanno trovato giustificazione. Una, in particolare, che risponde al nome di Damian Lillard.
Con una mossa a sorpresa, i Milwaukee Bucks hanno concluso uno scambio a tre squadre per arrivare a prendere la superstar dei Portland Trail Blazers, mettendo fine a mesi di interminabili discussioni su quando Lillard sarebbe diventato un nuovo membro dei Miami Heat. Sin dall’inizio di luglio, infatti, Lillard aveva indicato in South Beach la sua unica destinazione per il futuro, tanto da sbandierare apertamente — tramite il lavoro del suo agente Aaron Goodwin che non è esattamente piaciuto alla NBA — di rifiutare qualsiasi altra destinazione pur di unirsi a Jimmy Butler e Bam Adebayo. Solo che Miami e Portland non sono mai riuscite a raggiungere una soluzione, e in questo vuoto di sceneggiatura i Bucks sono stati bravi a risolvere un po’ di problemi in una volta sola, peraltro senza nemmeno svenarsi troppo.
I termini dell’accordo sono i seguenti:
- Milwaukee prende Damian Lillard;
- Portland prende Jrue Holiday, Deandre Ayton, Toumari Camara, una prima scelta al Draft 2029 dei Bucks, due possibilità di scambio di scelta nel 2028 e nel 2030 coi Bucks;
- Phoenix prende Jusuf Nurkic, Grayson Allen, Nassir Little e Keon Johnson.
Procediamo con ordine.
Damian Lillard ha la miglior occasione per vincere il titolo
A 32 anni compiuti e alla sua undicesima stagione in NBA, nel 2022-23 Lillard ha disputato probabilmente la sua miglior annata in carriera. Mai aveva segnato più di 30 punti (ha chiuso con 32.2), solo una volta aveva preso più di 4.8 rimbalzi, e anche i 7.3 assist con cui ha chiuso rappresentano il terzo miglior dato della sua storia in NBA. La sua efficienza al tiro è stata eccezionale: il 56.4% effettivo con cui ha chiuso è il miglior dato della sua carriera, oltre ad una rinnovata prolificità nel procurarsi viaggi in lunetta (ben 9.6 a partita, di gran lunga il suo massimo in carriera) convertiti con il 91.4%. Il giocatore che arriva a Milwaukee, quindi, è ancora nel pieno delle sue forze, anche perché nelle ultime stagioni non ha mai avuto lunghe cavalcate ai playoff (la sua ultima fugace apparizione al primo turno risale al 2021), risparmiandosi un po’ di chilometraggio su un corpo che ha già accumulato oltre 800 partite da professionista e oltre 30.000 minuti tra regular season e playoff.
Non è banale specificare che nel corso della sua carriera non ha mai avuto l’occasione di giocare con un compagno del calibro di Giannis Antetokounmpo (e lo stesso vale viceversa). L’ultimo All-Star con cui ha giocato Lillard è LaMarcus Aldridge nel 2015, ma nel caso di Giannis parliamo di un perenne candidato al premio di MVP recentemente nominato come uno dei migliori 75 della storia della NBA. Un club del quale fa parte anche Lillard, inserito nel club del 75° anniversario della lega un po’ a sorpresa, visto che al di là dei riconoscimenti individuali (7 volte All-Star e All-NBA, oltre che rookie dell’anno 2013) e gli highlights assoluti dei suoi playoff (a partire dai due buzzer beater con cui ha eliminato Houston nel 2014 e OKC nel 2019), a livello di squadra può vantare solamente una finale di conference nel 2019, peraltro perdendo 4-0 con i Golden State Warriors.
Ora Lillard è in qualche modo chiamato a giustificare quel voto di fiducia venendo inserito tra i primi 75 della storia al posto di Hall of Famer come Pau Gasol, Tony Parker e Manu Ginobili, ex MVP come Derrick Rose e Nikola Jokic (che certamente farà parte del prossimo giro) o suoi contemporanei come Klay Thompson e Draymond Green, e la lista potrebbe continuare. Essendo sotto contratto ancora per questa stagione e le prossime tre (di cui l’ultima in player option), ora non ci sono davvero più scuse per raggiungere come minimo un’altra finale di conference e questa volta fare il passo successivo. Un’occasione così, salute permettendo, potrebbe non capitargli mai più.
I Bucks peraltro sembrano incastrarsi perfettamente con il suo stile di gioco. Innanzitutto perché, come ha detto lui stesso poco più di un anno fa con parole che ora suonano profetiche, il suo gioco si incastra perfettamente con quello di Antetokounmpo, del quale sopperisce le mancanze in termini di tiro perimetrale, creazione dal palleggio e sovraccarico di responsabilità offensive, ricevendo in cambio una copertura per le sue deficienze difensive e in termini di taglia. La loro combinazione nei pick and roll, sulla carta, non dovrebbe avere problemi a funzionare sin dal primo giorno, considerando anche che a fianco hanno giocatori in grado di aprire il campo come Brook Lopez, Khris Middleton e il quinto titolare che sceglierà il nuovo coach Adrian Griffin (Pat Connaughton? Malik Beasley? MarJon Beauchamp? Occhio anche all’intelligenza di Andre Jackson). I Bucks storicamente non sono mai stati una squadra particolarmente basata sui pick and roll, ma è anche vero che non hanno mai avuto una point guard offensiva del livello di Lillard.
Giannis aveva così tanta voglia di giocare con Lillard da preferirlo anche al suo compagno di squadra Holiday nella scelta delle squadre dell’ultimo All-Star Game.
Perdere Holiday pesa moltissimo in termini di identità difensiva, visto che l’ex Pelicans è uno dei migliori difensori sulla palla dell’intera NBA e uno dei pochi in grado di cambiare l’intera struttura difensiva di una squadra con la pressione che riesce a mettere sul punto di attacco, ma la completezza del gioco offensivo di Lillard e la presenta di una coppia di lunghi come Antetokounmpo e Lopez dietro di lui dovrebbero, nello scenario ideale, riuscire a compensare la sua partenza. L’arrivo di Lillard permette anche a Middleton di gestire meglio le energie: dopo il titolo del 2021 il tre volte All-Star non è più sembrato in grado di sobbarcarsi le responsabilità creative nell’attacco a metà campo che i Bucks gli chiedevano, ma con un catalizzatore di palloni e attenzioni come Lillard può permettersi di dosare maggiormente lo sforzo e scegliere i momenti in cui mettersi al lavoro, senza avere l’obbligo di tirare fuori qualcosa da un attacco che, al netto di tutto, tendeva a diventare stagnante nei momenti più complicati delle partite. Anche ritrovare un po’ dello smalto difensivo che sembra aver perso nelle ultime stagioni, in cui sempre più squadre lo hanno identificato come punto debole della (altrimenti granitica) difesa dei Bucks.
Con questa mossa la dirigenza dei Bucks riesce contemporaneamente e paradossalmente ad aumentare e ad alleggerire la pressione su questa stagione. La aumenta perché ora qualsiasi risultato al di sotto della finale di conference (o più probabilmente la finale e basta, considerando la concorrenza a Est con più di un grattacapo da risolvere) verrà considerata una delusione, specialmente dopo la brutta eliminazione al primo turno dello scorso anno che è costata la panchina di Mike Budenholzer. E la diminuisce perché se fossero rimasti fermi e la squadra fosse partita male in regular season sarebbe aumentato il senso di urgenza per “fare qualcosa”, specialmente dopo che le parole di Antetokounmpo avevano fatto spostare l’occhio di Sauron del mondo NBA su Milwaukee, con i pescecani di Miami e New York già pronti a tuffarsi su Giannis alla minima apertura o esitazione.
Non è detto che non accada in futuro, ovviamente, ma di sicuro ora non si può rimproverare alla dirigenza di non essersi mossa per tempo, esattamente come fece nel 2020 sacrificando buona parte del proprio futuro (cinque scelte al Draft considerando anche i “pick swap”) per prendere Jrue Holiday e convincere Antetokounmpo a firmare l’estensione. Ora il front office guidato da Jon Horst ha speso anche il rimanente capitale in termini di Draft — i Bucks non avranno controllo sulle loro scelte per il resto del decennio, comunque un rischio visto che Antetokounmpo nel 2030 avrà quasi 36 anni e non è detto che sarà ancora a Milwaukee — ma non si può certo dire che abbiano scelto male su chi investire. Lillard rappresentava il miglior giocatore prendibile sul mercato e l’unico in grado di spostare le probabilità di titolo in favore di Milwaukee.
Portland finalmente può cominciare la sua ricostruzione
Alla fine i Portland Trail Blazers sono riusciti a raggiungere il loro obiettivo, ovvero cedere Lillard alle loro condizioni senza farsi “prendere per il collo” dai Miami Heat, che secondo quanto trapelato non hanno mai migliorato la loro offerta iniziale (sostanzialmente Tyler Herro e due scelte al Draft, oltre a contratti di giocatori non meglio precisati per far tornare i conti). Oltretutto sono riusciti a liberarsi del contratto di Nurkic prendendo in cambio un giocatore più giovane, più forte e più allineato alla loro timeline in Deandre Ayton, sperando che lasciare l’ambiente di Phoenix possa aiutarlo a sfruttare al meglio il potenziale a suo disposizione. Scommettere sulle scelte future dei Bucks invece di quelle degli Heat, poi, potrebbe rivelarsi più che sensato, visto che Miami trova sempre un modo per rimanere a galla mentre un mercato piccolo come quello di Milwaukee potrebbe avere maggiori difficoltà a rimanere competitivo anche alla fine degli anni ’20, specie con l’età di Antetokounmpo che avanza. Non male anche la presa di Camara, che in una rotazione meno congestionata rispetto a quella dei Suns potrebbe anche ritagliarsi dei minuti in ala dopo una buonissima Summer League.
Jrue Holiday poi merita un discorso a parte, perché non si può fare una valutazione completa dello scambio senza sapere cosa riceveranno i Blazers in cambio per la point guard. Holiday non fa parte dei piani di Portland perché il reparto guardie è già fin troppo affollato con Scoot Henderson, Anfernee Simons e Shaedon Sharpe, ma soprattutto perché ci sarà comprensibilmente la fila tra le contender per prendere uno come Holiday. Tutte le squadre che sono rimaste scottate dal non essere riuscite ad arrivare a Lillard potrebbero dirottare i loro asset a Portland per prendere Holiday, a partire dagli stessi Miami Heat che si sono già detti interessati (Jimmy Butler nel 2019 lo definì “super sottovalutato: io fossi uno spettatore pagherei per vederlo giocare”, anche se poi negli ultimi playoff in preda all’adrenalina ha avuto tutt’altre parole), passando poi anche per Philadelphia, Golden State e probabilmente molte altre. I Blazers rischiano paradossalmente di ricevere di più da Holiday (che ha soli due anni di contratto, con la prossima stagione in player option) che da Lillard, così come il suo inserimento in una squadra già pronta a competere rischia di spostare le “title odds” significativamente.
Come ha preso Jimmy Butler la notizia del mancato arrivo di Lillard? Non benissimo, a giudicare dalle sue Instagram story
Phoenix aveva molta fretta di liberarsi di Ayton (forse troppa?)
Delle tre squadre coinvolte, quella di cui è un po’ più difficile capire il ragionamento è certamente Phoenix. Il motivo è che da fuori non possiamo veramente sapere quanto fosse compromesso il rapporto tra Ayton e il resto della franchigia (anche al di là di Monty Williams, andato a Detroit), ma considerando la voglia che hanno avuto di liberarsene viene da pensare che davvero non avrebbero potuto rimanere insieme un giorno di più, dopo aver passato già la scorsa stagione da separati in casa. Quello che è certo è che la valutazione data a Nurkic è più vicina a quella del giocatore pre-infortunio del 2019 rispetto a quello visto negli ultimi anni, che da molti (probabilmente pure i Blazers) era considerato un asset negativo. Il bosniaco ha certamente meno pretese di palloni, minuti e responsabilità rispetto a Ayton, e difensivamente dà una fisicità diversa a una squadra che rimane “leggerina” per definizione, ma toglie molto in termini di flessibilità e versatilità. È più che possibile quindi che a finire le partite in campo per i Suns ci sia Drew Eubanks, che si ritrova di nuovo davanti Nurkic dopo essere stato il suo cambio già lo scorso anno ai Blazers.
Degli altri tre giocatori arrivati nello scambio, Allen e Little sono quelli che rischiano di avere maggior minutaggio in uscita dalla panchina. L’ex Bucks può prendere il ruolo che era di Landry Shamet lo scorso anno, dando un po’ di consistenza maggiore sui due lati del campo pur con i chiari limiti che emergono puntualmente in ogni post-season, specialmente in difesa; l’ex Blazers invece, mai entrato davvero nelle grazi di Chauncey Billups, si gioca anche il quinto posto nel quintetto base con Keita Bates-Diop e Josh Okogie, specialmente se riuscirà a continuare a costruire sul 37% da tre punti tenuto lo scorso anno. Keon Johnson invece è quello che maggiormente rischia il taglio, anche perché la luxury tax dei Suns è astronomica dopo l’arrivo a inizio estate di Bradley Beal.