
A Maribor, in Slovenia, a febbraio si sono svolti i Mondiali di sci Paralimpico. I risultati per l’Italia sono stati, ancora una volta, decisamente soddisfacenti: gli azzurri hanno chiuso al primo posto nel medagliere, davanti a Francia e Austria. Sei medaglie totali, un ottimo bottino considerando che si è dovuto rinunciare alle discese libere, ai super G e alle combinate.
Oltre le medaglie, però, in questa edizione dei Mondiali di sci Paralimpico è mancato tutto il resto: è mancata la neve, è mancata la comunicazione, è mancata la volontà di fare un passo avanti verso quello che sarà un momento importante per lo sport paralimpico, i Giochi Olimpici invernali Milano Cortina 2026. In questo contesto, l’Italia si sta distinguendo, una volta tanto, come traino del movimento. Vale allora la pena provare ad analizzare, partendo proprio dai Mondiali di Maribor, quali sono le aspettative per lo sport paralimpico invernale italiano e quanto è stato fatto negli ultimi anni.
LE PRESTAZIONI DEGLI AZZURRI A MARIBOR
Parlando di sport, la prima cosa da fare è guardare alle prestazioni degli atleti. Per l’Italia la prima a salire sul podio a Maribor è stata Chiara Mazzel nello Slalom gigante femminile categoria “Vision Impaired”, quella che include gli atleti con disabilità visive (gli sciatori con disabilità visiva competono con l'aiuto di una guida, che scende davanti a loro e li dirige attraverso comandi vocali o segnali radio). Reduce da un grave infortunio al ginocchio e alle prese con uno stato influenzale, Mazzel non è partita nel migliore dei modi nella prima manche, ma l’intesa con la guida Fabrizio Casal e la grande determinazione le hanno permesso di recuperare nella seconda, conquistando un argento di cui andare orgogliosa, come ha raccontato lei stessa: «Sono così fiera di me, ma soprattutto della mia testa che al cancelletto di partenza si dimentica di tutti i dolori – qualcuno dovrebbe studiare il mio cervello che funziona all’opposto rispetto a tutti gli altri – e pensa a fare solo ciò che mi piace».
Una fiducia che si è portata dietro anche l’ultimo giorno di gare, quando ha raddoppiato la sua collezione con l’argento nello Slalom speciale.Il giorno successivo è stato il giorno di Giacomo Bertagnolli. Il portabandiera della squadra Italiana ai Giochi Paralimpici Invernali si è confermato il più veloce di tutti anche a Maribor. In Gigante (categoria “Vision Impaired”) ha vinto il primo oro del suo Mondiale grazie a una seconda manche dominante, con la guida Andrea Ravelli che ha alzato le braccia al cielo già qualche metro prima del traguardo, tanta era la sicurezza della vittoria.
Bertagnolli si è ripetuto anche nello Slalom Speciale, portando a casa un altro oro della sua lunga collezione (17 medaglie Mondiali, di cui 10 ori; 8 medaglie alle Paralimpiadi di cui 4 d’oro), a cui qualche settimana dopo aggiungerà (con guida Ravelli) anche la vittoria della sfera di cristallo della Coppa del Mondo sia in gigante che in slalom (sempre categoria visual impaired).
E un altro oro, il primo per lui, più un argento nello slalom speciale, è arrivato da Renè De Silvestro, nello slalom gigante categoria “Sitting” (in cui si utilizza il "monosci", una specie di carrozzina fissata a un solo sci). De Silvestro è sembrato far volare il suo monosci, scendendo velocissimo e muovendosi con precisione chirurgica nelle curve.
COSA NON È ANDATO
L’Italia, quindi, come Nazione domina un'edizione dei Mondiali di sci Paralimpico particolarmente mesta per la grande assenza della neve. Un problema che non è certo nuovo, o limitato a Maribor in quei giorni, ma che è stato affrontato malissimo dalla FIS (Federazione Internazionale Sci e Snowboard), che ha avvisato con ritardo atleti e federazioni dell’impossibilità di disputare le discipline veloci. A causa delle condizioni estreme (di ciò che rimaneva) del manto nevoso, infatti, la sicurezza degli atleti non sarebbe stata garantita.
Il Mondiale si è svolto quindi non solo in un panorama quasi surreale, ma anche con una mancata capacità comunicativa che ha fatto arrabbiare gli atleti. Bertagnolli, particolarmente attivo nella promozione del movimento paralimpico, ha raccontato come «l’effetto che fa sciare in questo contesto è demoralizzante» e che gli atleti si «sono sentiti presi in giro». L’atleta italiano ha spiegato come da mesi, anche semplicemente vedendo le webcam dell’area in cui si sarebbero dovute svolgere le gare, le condizioni erano precarie, «pertanto gli organizzatori lo sapevano già, ma ci hanno tenuto in ballo fino a due giorni prima della partenza delle federazioni per raggiungere Maribor. Ci hanno fatti arrivare qua per poi, alla fine, cancellare tutto».
I problemi comunicativi non si sono fermati al dialogo tra organizzazione ed atleti, perché anche la promozione mediatica dell’evento è stata troppo scarna. Su internet e sui social si trovano appena qualche video delle vittorie e qualcosa sui canali dei singoli atleti. Una comunicazione paradossale se pensiamo che dovrebbe essere questo il momento “di spingere” per dare visibilità al movimento paralimpico degli sport invernali, vista l’incombenza dei giochi olimpici di Milano e Cortina 2026.
Da questo punto di vista è interessante provare a capire che tipo di copertura aspettarsi per le paralimpiadi invernali, dato che l’Italia si distingue per attribuire visibilità al movimento. La cerimonia di apertura delle Paralimpiadi di Torino 2006 fu la prima trasmessa in diretta televisiva dalla Rai: dopo l’introduzione di Reinhold Messner, sul palco era salito Alex Zanardi, vestito da pilota, che con tutto il carisma che lo contraddistingue si presentava così: «Mi chiamo Alex Zanardi e sono un pilota. Sono un pilota. [...] Anche se sembrava un’impresa impossibile sono riuscito a tornare alla vittoria anche nello sport». Il verbo al presente e la presa di coscienza della sua condizione erano all’epoca due aspetti innovatori per una cerimonia del genere.
Nei primi anni Duemila la disabilità era ancora prigioniera di toni compassionevoli ed eccessiva prudenza. Quella cerimonia era servita a rompere alcune barriere, sia in maniera metaforica che reale, con la scena della freccia scoccata dall’arco di Paola Fantato (prima atleta al mondo a partecipare a Olimpiadi e Paralimpiadi nella stessa edizione), portatale dalla giovanissima Silvia Battaglio, per sgretolare un muro di scena. Subito dopo era apparsa Simona Atzori in completo bianco per un passo a due con Luca Alberti. I movimenti sinuosi dell’etoile milanese senza braccia testimoniano che la disabilità non è di ostacolo nemmeno alle forme più artistiche in cui, forse, il fisico e l’immagine sembrano contare più che in altre espressioni. Atzori tornava alla fine della cerimonia, ma la diretta si interrompeva per esigenze di palinsesto: il cartone “Tom & Jerry” non poteva certo aspettare.
Per le future paralimpiadi ci sarà la copertura televisiva di Rai2. Luca Pancalli, presidente del CIP (Comitato Paralimpico Italiano), ha precisato che questo non avviene per una folgorazione «sulla via di Damasco», ma è il risultato di un grande impegno: «Se io dovessi raccontare gli pneumatici della mia carrozzina che ho consumato in vent'anni mi ci vorrebbe la Treccani». Avere copertura mediatica non è una forma di autocompiacimento o un modo per sfamare il proprio ego. Dare spazio alle discipline paralimpiche nei palinsesti televisivi, sui fogli di giornale o nelle homepage dei siti di informazione sportiva, è una responsabilità sociale. Che lo sport sia il mezzo per diffondere dei messaggi è ormai assodato. Qui, quello che conta è fare un passo ulteriore: coinvolgere sempre più atleti e far capire loro che l’impresa impossibile di cui parlava Zanardi può diventare realtà anche nella loro vita
Ce lo dimostra Mazzel, che nel suo profilo Instagram annota: “Un giorno ho visto in tv le paralimpiadi invernali di Pyeongchang e grazie all’atleta Giacomo Bertagnolli e alla sua guida Fabrizio Casal ho scoperto che anche chi non vede può sciare. Mi si è aperto un mondo!”. Negli scorsi Mondiali Mazzel è salita sul podio proprio con quella guida che le aveva fatto capire che c’era un mondo sportivo che la aspettava. Inoltre, gli sport paralimpici condividono con i cosiddetti “sport minori” la necessità di essere raccontati per ragioni economiche. Il giochino è sempre il solito: con scarsa visibilità gli sponsor non hanno motivi di investimento. «Spesso non è facile trovare il budget perché le stagioni sono molto dispendiose sul piano economico» ha dovuto spiegare Bertagnolli, come se non fosse un’evidenza. E proprio le Olimpiadi, per di più casalinghe, sarebbero un’ottima occasione di crescita che l’Italia e il movimento paralimpico non può farsi sfuggire. Ce l’ha insegnato la nazionale italiana di Para Ice Hockey: la disciplina è nata a Stoccolma negli anni ’60 ed è entrata nel programma Paralimpico a Lillehammer nel 1994, ma l’Italia ha creato la sua Nazionale solo nel 2003, in vista di Torino 2006. Il primo campionato nazionale è arrivato solo due anni dopo, nel 2005. Se nel 2006 per l’Italia era importante esserci, il primo trofeo è arrivato nel 2011 all’Europeo. Oggi il Para Ice Hockey è uno degli eventi olimpici con maggior richiamo per il pubblico. Lo scorso gennaio gli azzurri hanno chiuso l’ultimo Torneo Internazionale di Nagano imbattuti e per Milano Cortina 2026 l’intenzione è di migliorare il quarto posto di Pyeongchang.
Il 2003 è stato un anno di cambiamenti per tutto il movimento paralimpico: prima di quell’anno, il Comitato Italiano Paralimpico non esisteva come ente autonomo, ma le sue funzioni erano affidate alla Federazione Italiana Sport Disabili (FISD). Questa era un'organizzazione interna al CONI, che gestiva tutte le discipline sportive per paratleti, senza una distinzione strutturata tra le varie specialità. «A meno che non si godesse dell'onniscienza era impossibile gestirlo se non con grande ignoranza», ha detto Pancalli di come era governato lo sport paralimpico prima dell’arrivo del CIP.
Questo è stato il primo passo verso l'autonomia e la crescita del movimento paralimpico in Italia. Il cambiamento principale è stato la riorganizzazione interna attraverso la creazione di dipartimenti specializzati per ciascuna disciplina, un passaggio fondamentale per lo sviluppo tecnico e professionale dello sport paralimpico. Nel 2017, il CIP è diventato ufficialmente un ente pubblico autonomo, consolidando il suo ruolo di guida e sviluppo del movimento paralimpico in Italia.
Con questo passaggio il CIP è passato dall'essere solo un ramo del CONI – quello degli «sfigati del mondo dello sport italiano» come l’ha chiamato Pancalli - a essere un organismo indipendente con una propria missione, risorse e strategie per promuovere l'inclusione e il valore dello sport paralimpico a livello nazionale. Oggi il CIP fa parte di Fondazione Milano Cortina 2026 ed è attivamente impegnato nella promozione dello sport paralimpico e nella preparazione dei prossimi Giochi Invernali di Milano Cortina 2026, attraverso iniziative educative e programmi di avvicinamento alle discipline invernali. Per esempio, proprio questo inverno ha organizzato quattro Campus Invernali gratuiti destinati a giovani con disabilità, focalizzati su sci alpino e sport del ghiaccio, per ampliare la base dei praticanti.
Anche a livello visivo, le mascotte paralimpiche si stanno evolvendo per dare sempre più spazio al movimento. La prima mascotte che ha riprodotto un paratleta è stata Petra, creata per i Giochi Paralimpici di Barcellona 1992. La rappresentazione era simbolica ed è toccato aspettare Parigi 2024 per dare forma in modo esplicito a un paratleta. Con i Giochi di Milano Cortina 2026 viene ripreso questo concetto. Milo, il fratello di Tina, è raffigurato senza una zampa ed è la coda a fare da protesi. La fratellanza, nella simbologia tra giochi olimpici e paralimpici non è da sempre stata scontata. Infatti, il primo logo del Comitato Internazionale Paralimpico (ICP), esposto a Seul 1988, presentava cinque simboli disposti in modo simile ai cinque cerchi olimpici. Nel 1994 il logo subisce la prima modifica e viene ridotto a tre simboli, per differenziarlo maggiormente dal logo olimpico e per renderne il design più riconoscibile. Infine, a partire dai Giochi Paralimpici di Atene 2004, viene introdotto il nuovo logo con tre Agitos (dal latino agito, "mettere in movimento"). Nel tempo ha subito qualche rifinitura, ma si può dire che anche graficamente e a livello internazionale il movimento paralimpico abbia trovato la sua autonomia.
I Giochi Paralimpici, oggi, sono il terzo più grande evento sportivo al mondo in termini di vendita di biglietti, dietro solo a Olimpiadi e Coppa del Mondo FIFA. In ottica di Milano Cortina 2026 ci si augura che questo dato possa resistere, ma non lo si può che ritenere una semplice illusione. La differenza è ben visibile se guardiamo ai prezzi e alla disponibilità dei biglietti stessi. Il percorso per dare visibilità agli eventi paralimpici è ancora lungo, ma se ci si guarda indietro il sentiero è ben tracciato.
I risultati di Maribor testimoniano che gli atleti continuano a rispondere presente a ogni appello. E ci si augura di poter presto dire altrettanto del pubblico e della comunicazione sportiva, senza avere la sensazione di sentirsi come in una favola.