Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.
La Juventus non aveva mai subito tre gol in Serie A da quando Allegri si è seduto sulla panchina bianconera e non subiva tre gol nel primo tempo da addirittura undici anni. Quella di ieri è quindi una sconfitta storica, e questo ci porta a considerarla come un evento isolato, eccezionale, una specie di bandierina sulla linea del tempo con un prima e un dopo. Quando il risultato è così clamoroso di solito si tende a dividere nettamente tra i meriti del vincitore e i demeriti dello sconfitto, propendendo a seconda dell’opinione da una parte o dall’altra. Qui, invece, cercherò di mischiare di nuovo il grano con la crusca perché i pregi del Genoa di Juric si sono legati profondamente ad alcuni limiti strutturali della Juve di Allegri, mettendoli in luce.
La BBC conta fino a un certo punto
Con 2.9 Expected Goals subiti, quella di ieri è stata di gran lunga la peggiore prestazione difensiva della Juve, un’enormità per una squadra che prima di Genova ne aveva subiti poco meno di 6. Al netto della magnitudo del dato però, più che un evento isolato, la partita di ieri si inserisce in un trend negativo abbastanza netto: nelle ultime quattro partite, infatti, la Juve ha subito 5.43 Expected Goals, che sono circa una volta e mezza i 3.44 accumulati in tutte le prime dieci giornate messe insieme. Prima della sconfitta di ieri, le peggiori prestazioni difensive si erano registrate contro Pescara e Napoli, cioè due delle ultime quattro partite (per di più, entrambe allo Stadium).
Molti hanno giustificato questa fragilità difensiva con la graduale sparizione della BBC, la difesa titolare Bonucci-Barzagli-Chiellini. Proprio la dipendenza così profonda nei confronti di questi tre uomini, però, spiega in parte la debolezza strutturale della Juve in questo momento, soprattutto alla luce della qualità dei rincalzi a sua disposizione (Benatia e Rugani, soprattutto, a cui va aggiunto Evra).
Come aveva già notato Fabio Barcellona più di un mese fa, la Juve senza il pallone abbina una preferenza per una difesa posizionale bassa a un centrocampo che invece tende a difendere in avanti, non molto a suo agio a coprire spazio e linee di passaggio alle sue spalle. L’abbinamento di questi due fattori produce inevitabilmente spazio per le squadre avversarie tra le linee di difesa e centrocampo, che può essere sfruttato per creare degli uno contro uno nelle zone più pericolose del campo.
Il Genoa ieri si è disposto in campo con l’ormai abituale 3-4-1-2 asimmetrico. La squadra di Juric pendeva naturalmente dalla parte sinistra del campo perché Ocampos, che sulla lavagnetta doveva essere teoricamente la seconda punta accanto a Simeone, agiva di fatto da esterno sinistro di fascia, pochi metri più avanti di Laxalt. Sull’ala argentina sarebbe dovuto uscire quindi Dani Alves, ieri molto in difficoltà nell’inedita posizione iniziale di laterale destro di difesa, mentre Laxalt era per forza di cose preso in consegna da Lichtsteiner. In questo modo, teoricamente, Bonucci e Benatia sarebbero dovuti rimanere in superiorità numerica nei confronti di Simeone.
La chiave utilizzata da Juric per aprire l’assetto difensivo bianconero è stata però la posizione di Rigoni, che basculava orizzontalmente sulla trequarti a seconda del lato dove si sviluppava l’azione genoana, andando a occupare i mezzi spazi alle spalle delle mezzali juventine, Pjanic e Khedira. Nel primo gol del Genoa, ad esempio, è stata decisiva proprio l’apertura del mezzo spazio di sinistra, quello tra Hernanes, Dani Alves e Lichtsteiner.
Inizialmente la Juve ha cercato di riprendersi il pallone in alto con un pressing orientato sull’uomo alzando, oltre a Mandzukic su Burdisso e Cuadrado su Izzo, Khedira su Muñoz. Se il Genoa riusciva a far girare il pallone perimetralmente, però, Hernanes centralmente si ritrovava nella brutta situazione di stare a metà tra Rincon e Rigoni. Se il centrocampista brasiliano accompagnava il pressing alto andando a prendere Rincon, Rigoni rimaneva libero di ricevere tra le linee perché la difesa a tre della Juve invece di accorciare sul centrocampo rimaneva bassa. Hernanes è quindi rimasto ancorato davanti la difesa ma è riuscito comunque a perdersi continuamente Rigoni a causa della differenza di dinamismo e atletismo tra i due.
Sull’azione del primo gol, ad esempio, Laxalt è riuscito con un numero ad eludere la pressione alle spalle di Lichtsteiner e girandosi ha trovato Rigoni tutto libero alle spalle di Hernanes, perché Dani Alves era uscito molto largo su Ocampos e Bonucci aveva preferito rimanere basso invece che togliere spazio alle spalle del centrocampista italiano. La leggerezza di Bonucci sul passaggio sbagliato di Laxalt ha poi fatto il resto.
Anche sul secondo gol, su una ribattuta di testa di Hernanes, Khedira è arrivato in ritardo su Rincon. Il venezuelano ha potuto così servire di nuovo Rigoni, che in maniera molto intelligente è andato ancora ad attaccare lo spazio alle spalle della mezzala avversaria (qui Pjanic). Anche in questo caso Bonucci è uscito in ritardo, permettendo a Rigoni di far arrivare la palla sulla trequarti a Lazovic e lasciando ancora in uno contro uno Benatia e Simeone. L’attaccante argentino è passato quindi alle spalle del centrale marocchino della Juve e di testa ha messo in rete il cross di Lazovic.
L’incapacità di Khedira e Pjanic di coprire lo spazio alle proprie spalle, unita alla reticenza della difesa bianconera di accorciare sul centrocampo è ciò che ha fatto la differenza nel primo tempo, un difetto ulteriormente accentuato dall’assenza di Marchisio e dalla presenza di Hernanes. Forse con Chiellini e Barzagli in campo la Juve sarebbe riuscita ad evitare i primi due gol (e forse anche il terzo, che nasce da un colpo di testa su calcio d’angolo di Burdisso mal difeso da Benatia) ma non certo le situazioni di pericolo create dal Genoa nel primo tempo.
Il problema del gioco tra le linee
A ulteriore prova del fatto che l’assenza della BBC sia più il sintomo che la malattia, c’è anche il fatto che la Juve abbia tatticamente raddrizzato la situazione (almeno in parte) quando Bonucci è uscito dal campo per infortunio ed è passata al 4-3-1-2 col rombo a centrocampo.
Prima di quel momento, la Juve col 3-5-2 aveva addirittura faticato a trovare uomini liberi a cui recapitare il pallone. Il Genoa, infatti, senza palla lasciava Simeone tra Bonucci e Benatia in modo da indirizzare il possesso verso il difensore marocchino, sicuramente il meno creativo dei tre centrali. Contemporaneamente le marcature a uomo del triangolo di centrocampo genoano su quello juventino, l’aggressività di Izzo su Cuadrado costantemente largo a sinistra, e il due contro uno tra la coppia Burdisso-Muñoz e Mandzukic avevano impedito alla squadra di Allegri di far arrivare il pallone pulito sulla trequarti.
Le due mezzali juventine non riuscivano mai a farsi trovare alle spalle dei due mediani genoani, Rincon e Cofie, con Pjanic che si faceva magneticamente attrarre dal pallone e Khedira che invece si allargava a destra fino alla linea del fallo laterale, isolandosi. Con Cuadrado largo a sinistra, mancavano quindi del tutto movimenti tra le linee avversarie, se si escludono quelli di Mandzukic a venire incontro, che però svuotavano l’area genoana togliendo ulteriore pericolosità alla Juve.
Come detto, le cose sono migliorate quando la Juve è passata al 4-3-1-2, istituzionalizzando un uomo tra le linee, cioè Pjanic. Con il bosniaco sulla trequarti (e Dani Alves nella nuovamente inedita posizione di mezzala), Allegri ha mandato in tilt le marcature a uomo del Genoa riuscendo a liberare costantemente un uomo tra le linee. Inizialmente Juric ha messo Rincon sul bosniaco, alzando Laxalt su Dani Alves. Questo però costringeva Ocampos a seguire Lichtsteiner fino alla propria trequarti, togliendo pericolosità al Genoa anche in transizione, e Muñoz ad uscire su Cuadrado, che nel frattempo si era spostato a destra. All’inizio del secondo tempo, quindi, l’allenatore croato ha deciso di metterci Burdisso, con Izzo che doveva essere molto attento a coprire lo spazio alle sue spalle, attaccato intelligentemente da Khedira.
Questa situazione è però rientrata quando Allegri ha deciso di provare il tutto per tutto, mettendo Higuain per Lichtsteiner e abbassando di nuovo Dani Alves sulla linea di difesa. Di nuovo in parità numerica a centrocampo, il Genoa è riuscito a fare ordine nelle sue marcature a uomo ed ha assorbito con l’aggressività e l’atletismo gli ultimi disperati tentativi della Juve.
Quello del gioco tra le linee è un difetto segnalato a più riprese su queste pagine, che la Juve si porta dietro da tanto tempo e che di solito riesce a tamponare col puro talento di Dybala. In sua assenza, la squadra di Allegri non perde solo in pericolosità (ieri le due più grandi occasioni della Juve sono nate da calcio d’angolo, mentre il gol viene da una splendida punizione di Pjanic), ma anche in tranquillità nella gestione del pallone. Senza uomini tra le linee, i difensori sono costretti ad andare lungo, o tagliando il campo in diagonale per cercare gli esterni o fiondando il pallone direttamente in area per i movimenti in profondità delle punte. In questo modo, però, la squadra tende inevitabilmente ad allungarsi e aumentare le distanze verticalmente, rendendosi più fragile nei confronti di transizioni e gioco tra le linee avversari, soprattutto contro una squadra che fa dell’aggressività sulle seconde palle una delle sue forze.
L’aggressività
A fine partita, Allegri ha dato grosso peso alla fisicità del Genoa: «Il riassunto della partita è uno solo: abbiamo subito 25 falli contro gli 8 commessi e quando subisci troppo fisicamente, spesso la partita la perdi».
È vero che la Juventus ha sofferto moltissimo l’aggressività del Genoa. Il gegenpressing degli uomini di Juric a volte sembrava fagocitare letteralmente gli avversari ed è stato molto utile sia offensivamente, per prendere in infilata la difesa bianconera in momenti di temporanea disorganizzazione, sia difensivamente per bloccare sul nascere i tentativi di transizione degli uomini di Allegri. Khedira e Pjanic sono sono stati del tutto annullati da Rincon e Cofie, Laxalt ha stravinto il duello sulla corsa con Lichtsteiner, e Dani Alves ha sofferto tantissimo quella furia di Ocampos in transizione.
Ma è anche vero che per gran parte della partita la squadra di Allegri è riuscita ad eludere la pressione genoana con la semplice abilità tecnica nel possesso, anche perché come già detto il Genoa lasciava il primo possesso libero da pressione. A fine primo tempo il possesso palla registrava un dominio abbastanza netto per la Juve (65% a 35%), che è rimasto sostanzialmente invariato nel secondo. E questo senza contare che comunque la Juve ha vinto il dato dei contrasti vinti (20 a 15).
Il problema, però, è che quello della Juve è stato un possesso del tutto inoffensivo e perimetrale, che per i motivi già evidenziati ha influito anche sulla sua solidità difensiva. Il pallone può essere un’arma di offesa e difesa, se portato con i tempi e i modi giusti, ma può rivelarsi anche un’arma a doppio taglio se non si ha idea di come portarlo nell’area avversaria.
Le individualità
Parte di questi problemi si risolveranno naturalmente con il ritorno di alcuni uomini chiave come Dybala e Marchisio, oltre ovviamente a quello della BBC. Nell’attesa, però, una squadra dalla profondità di rosa e dalle ambizioni della Juve deve essere in grado di arginare tatticamente queste mancanze con la rosa a disposizione. Ieri Allegri ha deciso di tornare nel bunker del 3-5-2, affidandosi a meccanismi conosciuti e agli uomini più in vista della rosa. Così facendo, però, ha messo in difficoltà alcuni dei suoi giocatori tecnicamente più forti (Dani Alves, Pjanic, Hernanes) dando un vantaggio tattico all’avversario che il Genoa ha capitalizzato al massimo.
Allegri ha dichiarato che le prossime quattro gare saranno decisive per il prosieguo del campionato. Tra pochi giorni allo Stadium c’è l’Atalanta, forse la squadra più in forma del campionato al momento, e per questo la squadra perfetta per testare la reale profondità delle difficoltà juventine e iniziare a lavorare sui propri limiti, sempre cercando di imparare dagli errori fatti fin qui.
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