Gli juventini non hanno il culto del flop che appartiene ad altre tifoserie. L'affetto degli interisti per Centofanti o Vampeta è autentico, così come il gusto romanista per lo sberleffo feroce ai propri reietti, da Renato Portaluppi in giù. I milanisti più stagionati provano sincera benevolenza per le disgrazie dei primi anni Ottanta ("io ero uno dei 70mila di Milan-Cavese 1-2!") e qualcuno di loro, pur non ammettendolo neanche sotto minaccia di garrota, prova persino un sottile piacere nel sadico esercizio di ripensare a Milan-Liverpool 2005. Gli juventini più inveterati invece, per dire, considerano tuttora Henry "un sopravvalutato", prendendosela eventualmente con l'integralismo tattico di Ancelotti. In tempi più recenti, quanto di buono fatto da Evra nel biennio 2014-2016 è stato brutalmente oscurato dalla fatale esitazione al minuto 92 di Bayern Monaco-Juventus, che l'anno scorso è costata alla Juve l'impresa all'Allianz Arena.
Pacione va in città
Che vincere non fosse importante ma l'unica cosa che contasse, come da motto caro al Presidente, doveva certamente esserne a conoscenza anche Marco Pacione, sbarcato nella grande città all'indomani della funesta finale dell'Heysel. A metà anni Ottanta la tratta Bergamo-Torino funziona a tutto vapore e l'ufficio di Boniperti in Corso Galileo Ferraris è sbocco naturale per legioni di talentuosi atalantini. È quella l'operosa “Dea” dalle maglie sponsorizzate Sit-In, fortunata marca di moquette calpestata dai vari Scirea, Cabrini, Marocchino, Fanna e appunto Pacione, capocannoniere della serie B 1983-84 conclusa con il ritorno in A dell'Atalanta. Al suo primo anno in massima serie Pacione contribuisce alla tranquilla salvezza dei suoi con cinque gol, tutti di una certa pesantezza; fa vittime illustri, segna in casa del Verona scudettato e all'Olimpico contro la Roma, esibisce una malizia non comune per un centravanti di 21 anni, si caratterizza per la sintonia con lo svedese Stromberg e l'abilità di appoggiarsi e fare perno sul marcatore avversario. Gianni Brera lo tratteggia con poche criptiche parole: «un abruzzese di alta statura e buoni istinti risparmiatori (a confidarmelo, un banchiere amico)».
Il più bello dei cinque gol di Pacione nel campionato 1984-85, in casa della Roma: rinvio lunghissimo del portiere Piotti, colpo di testa di Stromberg un po' a casaccio e fulmineo inserimento a bruciare Bonetti e scavalcare Tancredi con un pallonetto maligno.
La drammatica notte di Bruxelles induce anche un po' inconsciamente la Juventus a voltare pagina: se ne vanno colonne del precedente quadriennio come Boniek e Paolo Rossi, entrano Michael Laudrup e Lionello Manfredonia. In cerca di un centravanti forte fisicamente, Boniperti riceve dal presidente dell'Inter Ernesto Pellegrini un'offerta bizzarra eppure praticabile: Aldo Serena, appena rientrato dal prestito al Torino, in cambio di tre miliardi più Tardelli. La sera del 21 giugno Serena viene convocato a Villa Pellegrini per urgenti comunicazioni; ma Aldone ha già i biglietti per il primo storico concerto italiano di Bruce Springsteen a San Siro e ha l'ardire di posticipare l'incontro fino alla fine di Rockin' All Over The World, ultimo pezzo in scaletta del Boss. Uscito dallo stadio, Serena va a piedi a casa del Presidente che gli comunica l'avvenuta cessione.
Nello storico concerto di San Siro 1985, Bruce Springsteen canta I'm on fire. Un titolo che mal si adatterà alla stagione di Pacione.
Sono anni particolari anche per quanto riguarda gli infortuni. A Bordeaux, nella semifinale di ritorno di Coppa Campioni, la seconda punta juventina Briaschi si sfascia crociato, capsula articolare e menisco, ma pur di giocare la finale dell'Heysel si presta a un massacrante ciclo di infiltrazioni che presenta il conto in quegli stessi giorni di giugno, quando deve rassegnarsi all'idea che l'unica via per il recupero è l'intervento chirurgico. In cerca di un centravanti di riserva affidabile, per Boniperti è naturale bussare alla cassaforte atalantina. Lì giace appunto Pacione, che nella foto di squadra 1985-86 se ne sta bello concentrato tra Serena e Laudrup, timoroso di volgere lo sguardo verso destra per non incrociare quello di Scirea, Cabrini e Platini.
Il campionato scivola via senza squilli: la Juve domina sullo slancio di 8 vittorie nelle prime 8 giornate e controlla con qualche affanno solo nel finale, per via dell'impetuosa rimonta della Roma destinata a sfracellarsi nello sciagurato pomeriggio in casa contro il Lecce. Di ancora meno squilli vive la stagione di Pacione, schierato dall'inizio solo due volte fino a marzo. In campionato Trapattoni lo gratifica della maglia da titolare (peraltro la numero 7) solo contro la Fiorentina, una partita in cui Pacione si procura un'unica palla gol su cross di Cabrini e sponda di Serena: il modo in cui la fallisce (al minuto 0:20 del video qui sotto) è un fosco presagio di quello che gli capiterà a marzo.
È evidente che i pensieri della Juve siano concentrati sul bis in Coppa Campioni. Superati al primo turno i lussemburghesi dello Jeunesse, agli ottavi l'urna dell'UEFA sorteggia un clamoroso e beffardo derby contro il Verona. Di quel doppio confronto, pesantemente condizionato dall'arbitraggio del francese Wurtz nella gara di ritorno, si è detto tanto e scritto tantissimo. In attesa di tempi migliori Pacione vi assiste dalla tribuna, senza poter fornire particolari testimonianze sulle scene da saloon che avvengono negli spogliatoi del Comunale dopo l'infuocato return match. Ma l'apprendistato termina quando meno se lo aspetta: dopo dieci minuti di Barcellona-Juventus, andata dei quarti, Briaschi lamenta altri dolori al solito ginocchio sinistro e Trapattoni lo butta nella mischia. È una partitaccia, impostata dal Trap su un ostinato catenaccio a oltranza che riscuote anche un certo successo fino al minuto 81, quando Julio Alberto imbrocca una ciabattata che attraversa una selva di gambe e sorprende un malpiazzato Tacconi. Nel generale grigiore bianconero Pacione si procura anche una discreta occasione di testa, ma segnare il primo gol ufficiale con la Juventus proprio al Camp Nou sarebbe una circostanza troppo inverosimile per il rigido razionalismo sabaudo di Casa Boniperti.
Pacione gioca 76 minuti all'andata e ha anche una discreta occasione di testa, mostrando un gran fisico ma una precisione ancora approssimativa.
Qualche giorno dopo Briaschi viene raggiunto in infermeria da Aldo Serena, appiedato da uno strappo muscolare nel momento più delicato della stagione. Per esclusione Pacione viene promosso d'imperio titolare. Le prove generali di Juve-Barcellona vanno in scena all'Olimpico contro la Roma e non è un belvedere: gli ultratrentenni indemoniati Pruzzo e Graziani fanno a pezzi la difesa bianconera con una cattiveria agonistica che fa impallidire il loro più giovane e meno illustre collega. Al ventesimo Pacione ha una grande occasione per pareggiare, ma - secondo fosco presagio - quel pallonetto che un anno prima gli era riuscito in quella stessa porta ora trova l'opposizione in extremis di Righetti.
Non perdetevi l'intervista camminata di Gian Piero Galeazzi a Dino Viola, scampoli dell'età d'oro della Domenica Sportiva.
Pacione va in Barça
Si arriva dunque alla notte del 19 marzo con una sensazione di vaga inquietudine. I big della Juve, Platini e Laudrup su tutti, sono tirati a lucido. Il Barça pre-rivoluzione cruyffiana non sembra essere nulla di che. L'allenatore è l'inglese Terry Venables, corresponsabile della cacciata di Maradona due anni prima, e le stelle principali sono il portiere Urruticoechea, amatissimo dai tifosi, e l'attaccante scozzese Steve Archibald; e il fatto che il centravanti del Barcellona sia uno scozzese la dice lunga sulla povertà del Barcellona. La Juventus gioca uno dei primi tempi più scintillanti della sua storia, certamente più pragmatica che spettacolare. Quel che accade, forse, è il prezzo da pagare per chi tradisce così clamorosamente la propria natura, seppur a fin di bene.
Laudrup vince un contrasto, si sposta elegantemente sul destro e offre a Pacione il classico gianduiotto da scartare. Il movimento di Pacione è perfetto, la conclusione di rara sciaguratezza. «Il pallone, seppur lento, si è rivelato troppo veloce per il suo piede» (La Stampa, con tono canzonatorio). Dal filmato si avverte proprio che il boato dello stadio si trasforma di colpo in un urlo rabbioso; dietro la porta fotografi e raccattapalle si abbandonano a gesti inconsulti, mentre lui rimane immobile e inebetito, con le mani sui fianchi, incapace persino di assumere una postura più consona a un quarto di finale di Coppa Campioni. «Ho voluto colpire di esterno, forse sarebbe stato meglio se avessi tentato di piatto».
(minuto 2:45) Laudrup allarga a destra per l'accorrente Massimo Mauro; Pacione segue benissimo l'azione e si prepara ad attaccare il primo palo come da manuale del bravo centravanti. Movimento perfetto, Gerardo è tagliato fuori, ma la palla gli passa davanti e non trova che una minima collisione con il suo piede sinistro, giunto all'appuntamento con una frazione di ritardo. «Ho toccato il pallone di punta e me lo sono allungato troppo». Rimessa dal fondo mentre Platini, sopraggiunto sul secondo palo, si lascia andare a plateali gesti di sconforto accompagnati, a quanto pare, da robuste imprecazioni nella lingua di Maupassant. «Il protofotografo Silver Maggi lo ha sentito bestemmiare adirato e chiedere a Pacione se per caso si considerasse in vacanza» (Gianni Brera).
(minuto 4:00) Ancora Laudrup, incontenibile, semina il panico a destra, scappa via a Julio Alberto e disegna un cross stupendo per Pacione, cui manca sempre il proverbiale centesimo per fare la lira. Stavolta la palla non la sfiora neanche, l'uscita di Urruticoechea sventa la minaccia. Il Comunale si produce in un boato spazientito; Massimo Mauro stramazza a terra e si porta istintivamente le mani tra i capelli, in quella che ha tutte le sembianze di essere una crisi isterica.
(minuto 4:20) Dai e dai, il gol finalmente arriva. Ma è quello del Barcellona, un gol di rara bruttezza per una partita di questo livello. Un innocuo traversone sul secondo palo viene incornato di giustezza da Archibald in modo tale da punire l'uscita totalmente a capocchia di Tacconi, per il più immeritato dei vantaggi, arrivato al culmine di una mezz'ora stellare della Juve.
(minuto 6:15) Lancio di Mauro, torre di Laudrup e inserimento ancora una volta ben eseguito da Pacione, che poi difetta clamorosamente al dunque. Il sinistro al volo è più che altro una scarpata centrale che fa fare bella figura a Urruticoechea. Il rumore del Comunale ha ormai più i connotati del rimpianto che quelli dell'incazzatura.
Il pareggio di Platini non muterà le cose. La Juve è eliminata e individuare il capro espiatorio è più facile che mai. I giornalisti italiani, acidissimi, chiedono a Venables se il miglior giocatore del Barça non sia stato Pacione. Il carro dello sconfitto è sempre mal frequentato. Urruticoechea, con guasconeria catalana: "Pacione più che altro è stato un amico". A stretto giro di posta partono le dichiarazioni in difesa del povero Pacione, ma suonano tutte un po' forzate. Su tutte svetta quella del compagno di reparto Briaschi: «In fondo anche Pelé ha sbagliato tanti gol». Boniperti, algido: «Non facciamo di Pacione la rovina della Juventus. Palle-gol più facili delle sue ne ho sbagliate tante anch'io. È stato ingaggiato per formarsi gradualmente». Infine Trapattoni, lapidario come una massima di Andreotti: «Ho piena fiducia in lui per il futuro».
Qualsiasi persona di media intelligenza sa che dietro frasi del genere si nasconde l'esigenza dell'oblio. La stagione di Pacione è finita nel primo tempo di Juventus-Barcellona, e così la sua carriera in bianconero. Decenni dopo, a mente fredda, Trapattoni rievocherà l'episodio nella sua autobiografia: «Pacione era la scelta più lineare che potessi fare e credo che anche tifosi e giornalisti la pensassero così. Era un attaccante generoso Era bravo ad aprire gli spazi per gli inserimenti dei compagni, non si fermava mai, passava da destra a sinistra, si dava da fare più di Serena che normalmente tendeva a non allontanarsi dall'area. Era un attaccante generoso». Ma generoso è esattamente quell'aggettivo che un centravanti della Juventus deve evitare come la peste. «Mi sono fatto l'idea, anche ricordando la personalità del ragazzo, che Marco si fosse trovato a dover affrontare una sfida della quale non si sentiva all'altezza. Nel dopopartita non gli parlai, non me la sentii. Era già troppo mortificato di suo. Non so che cosa gli dissero i suoi compagni».
La leggenda vuole che Pacione venga mandato a dormire a casa di Ivano Bonetti, perché non rimanga solo. Forse la società teme gesti inconsulti? Il giorno dopo non si presenta all'allenamento, qualcuno scrive che si è assentato "per legittima difesa". Non ha il telefono in casa, deve concentrarsi sugli studi per il diploma da geometra. Il sabato successivo si ripresenta a bassa voce: «Ho già detto tante cose, è meglio che ora stia zitto». I giornali lo trattano come un paria. Eppure gioca altre due partite da titolare, contro Inter e Fiorentina, sempre senza segnare. Poi finalmente torna Aldo Serena, appena in tempo per la volata scudetto. La Juve festeggia il ventiduesimo titolo, il destino della “Signora” è quello di rimuovere con un colpo di straccio gli aloni che offuscano la sua storia gloriosa.
«Ho lottato, ho combattuto, credo di avere fatto il mio dovere. Quello che mi è toccato è insieme un onore e un onere». Pacione viene ceduto in gran fretta al Verona, dove si rilancerà con tre buone stagioni, impreziosite nel 1989 da una doppietta alla Juve festeggiata con entusiasmo certamente d'altri tempi, se parliamo di gol dell'ex, e con abilità da quel centravanti spietato che non era stato a Torino, approfittando del dormiente Cabrini. Due gol in 18 minuti, una doppietta così veloce alla Juve l'ha fatta solo, quest'anno, Giovanni Simeone.
Se oggi, più di trent'anni dopo, chiedete di Pacione agli juventini più stagionati, la risposta sarà per lo più una smorfia di fastidio e un rantolo simile a quello successivo alla ricezione di un bollettino Equitalia. Appena nel 2013 un qualche matto, che su Youtube si firma come “Paolo Bhimasena”, si è preso la briga di rimontare dozzinalmente gli errori di Pacione e farne un video di un minuto scarso, dalla veste grafica discutibile e dal titolo infantilmente rancoroso: «Marco Pacione fa rima con Bidone».
Quanti anni avrà costui? Quando arriverà il tempo del perdono? Quanto può durare l'umano rancore, anche per una cosa calcisticamente grave come il fallimento di un quarto di finale di Coppa Campioni?