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Allenatori che hanno un gemello come vice
18 nov 2021
Cinque casi stupefacenti.
(articolo)
17 min
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La Carica dei 101 si apre con una scena che è forse la più grande intuizione di tutto il film. Il dalmata maschio, Pongo, è affacciato alla finestra e, preso dalla noia, pensa che dovrebbe trovare una compagna al suo padrone, il musicista Rudy Radcliffe. Intento in questa sua nuova missione, inizia a squadrare le donne che passano sotto casa, tutte casualmente con un cane al guinzaglio. La prima ha i capelli rossi e lisci, è leggermente ingobbita e ha una cartella sotto il braccio. Il cane che la precede ha il muso aquilino come il suo naso, il pelo rossiccio che dalla testa gli cade sopra al dorso e delle zampe lunghe e fine proprio come i suoi piedi. A guardarle affianco potrebbero essere tranquillamente la stessa persona, se solo non fossero animali diversi. La scena si ripete in sequenza: una donna più in carne dall’aria un po’ snob preceduta da un carlino grigio come il suo tailleur, una signora di classe con un soprabito orlato di pelliccia che sembra ricalcare la rasatura del suo barboncino, una bambina con un cappello da marinaretta vestita di giallo seguita da un cucciolo di labrador dello stesso colore.

Non pensavo a questa scena dalla prima e unica volta che ho visto la Carica dei 101, circa vent’anni fa, quando il mio giovane cervello l’aveva incamerata con stupore senza farsi troppe domande. Poi qualche settimana fa c’è stata Roma-Milan. E poco dopo l’incredibile gol d’apertura di Zlatan Ibrahimovic su punizione qualcosa me l’ha fatta tornare alla mente. La regia si è prima concentrata sulla solita esultanza a braccia aperte dell’attaccante svedese. Poi però ha staccato sulla panchina del Milan, dove era in corso un’altra scena. Questa:

Pioli sembra stia provando un discorso allo specchio, ma lo specchio non reagisce ai suoi movimenti. Perché in realtà di fronte all’allenatore del Milan non c’è uno specchio ma il suo vice, Giacomo Murelli, che è vestito esattamente come lui. A questo punto l’incipit della Carica dei 101 è riapparso nella mia mente, ma in maniera diversa. Uno dietro l’altro mi sono ripassati davanti agli occhi Mazzarri che viene imitato dal suo vice mentre dà indicazioni, Mourinho e Joao Sacramento che corrono a protestare con lo stesso passo verso il quarto uomo, Rolando Maran accanto al suo vice Christian Maraner.

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Capisco che il paragone possa risultare indigesto di primo acchito. Insomma, se il rapporto di simbiosi tra cani e padroni ci rende logico, naturale che finiscano per assomigliarsi, com’è possibile che lo stesso possa avvenire anche tra allenatori e vice? Come potrete intuire, il loro rapporto è molto diverso da quello che intercorre tra un cane e un padrone. C’è la subordinazione, ok, ma non c’è la simbiosi e soprattutto la dipendenza. Soprattutto, a volte non c’è nemmeno la collaborazione e figuriamoci l’amore. Anzi, non è affatto raro che tra allenatore e vice si instauri un rapporto (vero o immaginato) di complementarietà o addirittura competizione.

Uno dei casi più celebri è quello che legava Alex Ferguson a Carlos Queiroz, con il primo che si occupava del rapporto con lo spogliatoio e delle scelte di mercato, e il secondo invece degli aspetti tattici e del lavoro sul campo. Un’ambivalenza che ha forgiato una delle squadre più forti della storia del calcio ma che ha anche sollevato una domanda imbarazzante: di chi erano davvero i meriti dei successi del Manchester United, di Ferguson o di Queiroz? Questo interrogativo non è certo nuovo nella storia del calcio e anche dopo Ferguson si è riflesso su diversi altri allenatori, su cui soprattutto in tempi felici si è allungata minacciosa l’ombra del loro vice. Quando Allegri le partite di corto muso ancora le vinceva si diceva (forse anche per screditarlo) che il vero fenomeno in panchina fosse in realtà il suo vice, Marco Landucci. Non mancano le storie in cui sono gli stessi secondi allenatori ad alimentare questa narrazione. Zeljko Buvac, secondo di Klopp dai tempi del Mainz fino all’aprile del 2018, l’anno scorso ad esempio ha di fatto suggerito che l’allenatore tedesco non fosse altro che un burattino nelle sue mani, utile solo per parlare davanti alle telecamere. «Facevo io il lavoro da allenatore ad eccezione delle interviste. Mi sentivo come se fossi stato io il vero allenatore per tutti questi 17 anni [di collaborazione, nda]».

Per l’inizio della stagione del Carnevale in Germania l’allenatore del Colonia, Steffen Baumgart, si è vestito da unicorno. Il suo secondo allenatore e tutto il resto dello staff tecnico, invece, si è vestito da Steffen Baumgart.

Il rapporto tra l’allenatore e il suo vice, quindi, è più conflittuale di quello che lega un padrone al suo cane. Purtroppo i cani non parlano, ma se potessero parlare sarebbe difficile sentirgli fare una dichiarazione come quella di Buvac su Klopp (se il vostro cane pensa di aver fatto lui il lavoro dell’essere umano per tutto il tempo in cui è stato con voi forse c’è qualcosa che dovreste rivedere nella vostra vita). L’eventualità che un cane assomigli al suo padrone ci fa sorridere - la si può razionalizzare tirando in ballo il rapporto simbiotico tra i due o una scelta inconscia del padrone o ancora la nostra percezione soggettiva che ce li fa apparire simili - quella che un allenatore assomigli al suo vice, invece, ci apre porte sull’abisso. Un allenatore finisce per assomigliare al suo vice lavorandoci insieme giorno dopo giorno? È lui a scegliere qualcuno che gli assomiglia da mettersi accanto? E se sì, perché? Oppure è proprio come per i cani, che sono i secondi allenatori a scegliersi i propri padroni? Le possibilità sono infinite. Ho deciso di approfondire il rapporto tra cinque allenatori e cinque vice allenatori incredibilmente simili nel calcio contemporaneo per provare a venirne a capo.

Stefano Pioli / Giacomo Murelli

Giacomo Murelli, da giocatore, è stato un discreto difensore che ha fatto la spola tra Serie B e Serie A, raggiungendo l’apice ad Avellino, dove era diventato famoso per le sue marcature a uomo su Diego Armando Maradona. Nel 2002 si è ritirato nel Suzzara, piccola società in provincia di Mantova, dove ha immediatamente iniziato la sua carriera da allenatore. Al suo attivo, con il club lombardo, ha una promozione in Eccellenza, una Coppa Italia Dilettanti e Supercoppa Dilettanti. Poi, a Modena, dove era passato per fare il secondo di Alberto Malesani, l’incontro che gli cambierà la vita.

Murelli sarà il secondo di Stefano Pioli per il resto della sua carriera e la cosa rilevante ai fini di questo pezzo è che quando si sono incontrati non si assomigliavano affatto e non c’era nemmeno alcuna prova evidente che avrebbero potuto farlo in futuro. Eccoli uno accanto all’altro in una delle loro prime esperienze in Serie A, al Chievo.

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Capelli brizzolati per Pioli, castani per Murelli. Classico completo scuro con camicia bianca per il primo, outfit più casual per il secondo. In questo periodo Murelli è complementare rispetto al suo capo: parla solo quando il campionato va in pausa e sembra volersi presentare come un saggio consigliere che non ha problemi a vivere nell’ombra: «Stefano è molto equilibrato. E ha un segreto: riesce a tenere nascosti molto bene pensieri e preoccupazioni». Le cose non sembrano cambiare a Palermo, poco dopo.

I primi segni di cedimento della divisione tra i mondi di Pioli e Murelli arrivano alla Lazio. Nel marzo del 2015 i due si siedono uno accanto all’altro per un’intervista doppia organizzata dal club biancoceleste, ancora diversi nel look: look da bravo ragazzo per il primo con camicia e golfino, più sbarazzino il secondo con aggressiva polo nera. Solo la barba, leggermente accennata e brizzolata per entrambi, potrebbe tradire una qualche somiglianza. Dopo qualche secondo, però, ci si rende conto che in realtà sono le loro risposte a rivelare quella che William Blake chiamerebbe un’agghiacciante simmetria. Inizialmente sembra una cosa innocente, un inside joke tra amici.

Il giocatore di oggi che avresti voluto marcare?

Pioli: Klose (prima punta della Lazio)

Murelli: Djordjevic (riserva della prima punta della Lazio)

Il poster che avevi in camera da bambino?

Pioli: Tex Willer (fumetto di Giovanni Luigi Bonelli)

Murelli: Zagor (fumetto di Sergio Bonelli, figlio di Giovanni Luigi Bonelli)

Mano a mano che l’intervista va avanti le risposte così simili eppure così diverse di Murelli sembrano però voler rivelare qualcosa che il pudore di Pioli nasconde.

Un aggettivo per descrivere il presidente Claudio Lotito

Pioli: Intelligente

Murelli: Esplosivo

Un aggettivo per descriverti

Pioli: Simpatico

Murelli: Attraente

Attraverso Giacomo Murelli, insomma, sembra si possa leggere cosa sta pensando davvero Stefano Pioli. Lo so, può sembrare assurdo, ma se ci fate caso funziona anche con le foto, senza che i due parlino affatto. Qualche esempio:

Dopo la sconfitta a sorpresa l’anno scorso in casa dello Spezia, Stefano Pioli cerca di trattenere lo sgomento per quello che è successo, ma al suo fianco c’è Giacomo Murelli.

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Dopo una vittoria in trasferta, Pioli deve trattenere la soddisfazione per non risultare provocatorio, ma alle sue spalle c’è Giacomo Murelli.

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Pioli vorrebbe abbracciare Giroud, dimostrargli del calore che vada oltre a una stretta di mano virile tra allenatore e giocatore, e per fortuna dietro di lui c’è Giacomo Murelli.

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Foto Spada/LaPresse

Il volto di Pioli è troppo sfocato per intuire a cosa sta pensando? In primo piano eccovi Giacomo Murelli.

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Foto di Jonathan Moscrop/Getty Images

La capacità rivelatoria del volto di Murelli spiegherebbe anche perché, dopo quella intervista doppia alla Lazio, il secondo di Pioli abbia fatto di tutto per assomigliargli, indossando gli stessi identici maglioni a collo alto, le stesse scarpe, persino gli stessi orologi. Dato che non ci sono notizie di accordi commerciali firmati da entrambi con brand d’abbigliamento o società d’immagine è lecito chiedersi: e se lo stesse facendo per camuffarsi?




Thiago Motta / Alexandre Hugeux

Non tutti riescono a raggiungere la perfezione manierista di Giacomo Murelli, ma l’usanza di vestirsi allo stesso identico modo del primo allenatore è piuttosto diffusa tra i vice. In questi casi viene da chiedersi chi stia imitando chi, perché non sempre è così ovvio come sembra. Al Barcellona, nel 2015, Juan Carlos Unzué, secondo di Luis Enrique che si presentava in panchina in camicia di jeans su pantaloni di jeans, finì per contagiare prima il suo superiore e poi addirittura anche tutto il resto della squadra. In quel caso si trattava di un accordo con Replay che imponeva al Barcellona di arrivare allo stadio in quell’outfit. Se parliamo invece di club come lo Spezia, però, dobbiamo davvero credere che ci sia un brand di polo con i risvolti gessati che impone a Thiago Motta e Alexandre Hugeux di andare in panchina come se fossero le gemelle di Shining?

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Foto di Paola Garbuio/LaPresse

Già allenatore delle giovanili del PSG e della squadra femminile Under 19 del Lione, Alexandre Hugeux è tutto ciò che Thiago Motta non sarà mai: è bello come Ben Affleck (più o meno), ha un nome da orologio di lusso e soprattutto è privo di un passato da calciatore di primissimo livello che ne possa mettere in dubbio il talento da allenatore. Di Hugeux non si sa praticamente niente ma sembra proprio avere la faccia di chi si prenderà tutti i meriti delle fortune dello Spezia nel caso in cui andrà molto oltre le aspettative. Magari Thiago Motta sta cercando di prevenire, facendolo sembrare più simile a lui di quanto non sia in realtà.

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Foto di Gabriele Maltinti/Getty Images

D’altra parte, guardatelo: Hugeux sembra l’avatar che Thiago Motta manderebbe nel metaverso per farsi bello nelle riunioni di lavoro. Alla fine, se fosse davvero così, sarebbe molto meglio di quello di Zuckerberg.




Jorge Sampaoli / Jorge Desio

Jorge Desio porta degli occhiali neri molto spessi, ha la voce flautata e la gentilezza di una signora di terza età appena uscita dal book club di Jane Austen. Assiduo lettore di Martin Luther King e Maria Teresa, si dice abbia una calma simile a quella di Gandhi. Madre natura, però, lo ha reso identico a Jorge Sampaoli, un uomo ribelle, bipolare, metodico, pazzo, ma soprattutto ossessionato (questo è letteralmente il sottotitolo di un nostro pezzo su di lui che si chiama “Il posseduto”). Forse era destino che le loro strade si incrociassero. E infatti i due collaborano fin dal 1994, da quando cioè Sampaoli venne ingaggiato per la prima volta a fare l’allenatore dall’Alumni de Casilda. Quando allora Sampaoli si arrampicò su un albero per guardare una partita da cui era stato squalificato, in panchina c’era lui, Jorge Desio. Da quel momento non si sono praticamente mai lasciati e la scena si è ripetuta forse decine di volte (ma senza l’albero): Sampaoli squalificato per aver insultato l’arbitro o per chissà quale altro scatto d’ira, Desio in panchina con l’atteggiamento di chi sta contemplando il suo personale giardino zen.

Anche oggi li potete vedere uno fianco all’altro a Marsiglia. Desio accanto a Desio senza occhiali, Sampaoli accanto a Sampaoli con gli occhiali.

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Foto di CLAUDIO REYES/AFP via Getty Images

Ok, questo in realtà è Sampaoli con gli occhiali accanto Desio senza. Confusi? Giochiamo a “Desio o Sampaoli” per chiarirci le idee.

Qual è Desio, qual è Sampaoli? Senza pensarci.

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La collaborazione tra i due è andata avanti per anni così, uno il lato oscuro e pazzo dell’altro, insieme due lati della stessa identica medaglia. «Sono sempre stati opposti e complementari, non romperanno mai questa armonia», ha dichiarato Pablo Pavan, autore della biografia di Sampaoli. Poche settimane fa, durante la rissa che ha coinvolto Nizza e Marsiglia, qualcosa in questa rappresentazione però si è rotto. Con i tifosi in campo e il caos che imperversava, mentre Sampaoli schiumava di rabbia venendo placcato da decine di persone che cercavano di impedirgli di commettere una follia, Jorge Desio è sparito. Nonostante gli fosse stato accanto da una vita, è impossibile ritrovarlo nelle foto di quella maledetta partita. Che fine aveva fatto? L’energia distruttiva di quella partita l’aveva forse polverizzato? Qualche giorno dopo su YouTube è comparso un video in cui si vede un uomo calvo con la pettorina del Marsiglia avvicinarsi di soppiatto a un tifoso del Nizza, colpirlo con un destro ben assestato e poi arretrare. L’account che lo ha caricato, “Gustavo”, lo identifica come Jorge Desio. Possibile? È un errore o la calma di Gandhi è stata messa di fronte a una prova troppo grande?

Tra tutte le ipotesi ne serpeggia una che spiegherebbe l’esigenza di Desio di portare quei pesanti occhiali neri e di Sampaoli di indossare magliette a maniche lunghe sopra le braccia tatuate anche in periodi dell’anno che non lo richiederebbero: l’allenatore del Marsiglia e il suo vice come Alfred Borden e Bernard Fallon che per l’esecuzione del prestigio perfetto in The Prestige finiscono per condividere a turno uno la vita dell’altro. Certo, se fosse davvero così ci sarebbe molto da spiegare, ma come dice uno dei due alla fine del film: non c’è niente di facile in due uomini che si dividono una vita.




Jurgen Klopp / Andreas Kornmayer

Andreas Kornmayer è un preparatore atletico tedesco. Nel 2011 è con Jupp Heynckes al Bayern Monaco ed è questa persona qua:

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Foto di Mike Egerton - PA Images via Getty Images

Poi attraversa una delle fasi più controverse della storia recente del club bavarese, quella di Pep Guardiola, e una volta finito il regno dell’allenatore catalano nel 2016 a sorpresa passa al Liverpool, dove da poco si era insediato Jurgen Klopp. Proprio quell’estate, durante un’amichevole con il Barcellona, viene inquadrato alle spalle del suo nuovo allenatore. E a quel punto diventa chiaro a tutti che dopo circa cinque anni Andreas Kornmayer è cambiato. Adesso ha queste sembianze.

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Ok, non stiamo parlando di un secondo allenatore quindi non ha senso approfondire troppo il rapporto tra lui e Klopp. Ma è comunque significativo che uno dei più stretti collaboratori dell’allenatore tedesco cerchi di assomigliargli quando viene inquadrato alle sue spalle. Sì, perché Andreas Kornmayer assomiglia ancora ad Andreas Kornmayer quando non è nei pressi di Klopp. Per esempio quando è impegnato a fare video di workout casalingo per il sito del Liverpool, oppure quando è in campo a correre accanto a Virgil van Dijk.

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Foto di Andrew Powell/Liverpool FC via Getty Images

Ma quando arriva il momento della partita e i due devono apparire uno accanto all’altro…

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…Andreas Kornmayer si trasforma in una persona che assomiglia a Jurgen Klopp più di Klopp stesso. Non solo nell’aspetto, ma anche nella mimica del corpo, nel modo in cui nei momenti riflessivi incrocia le mani dietro la schiena piegandosi leggermente in avanti. Oppure quando grida ai suoi giocatori, con quella energia aggressiva ma bonaria che pensavamo solo Klopp potesse avere. E invece…

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Che poi perché un preparatore atletico dovrebbe dare indicazioni a dei giocatori professionisti? Cosa non sappiamo di Andreas Kornmayer? Cosa si cela nel suo passato? Dopo la clamorosa grana Buvac, chissà che Klopp non debba guardarsi di nuovo in casa propria in cerca di serpi. Forse quei tre anni passati con Guardiola hanno da dirci di più di quello che pensiamo.




Davide Ballardini / Carlo Regno

Prima calciatore modesto, poi insegnante di educazione fisica “con la fortuna di lavorare per le suore”, Carlo Regno dopo un periodo nelle giovanili del Bologna sembrava avviato a una brillante carriera da allenatore in prima. Inizia vincendo un campionato d’eccellenza con l’Iperzola, lo porta fino alla Serie C, e poi passa al Modena, dove ha la fortuna di essere uno dei primi a mettere le mani su un giovane Luca Toni. Il suo percorso così inaspettato eppure così lineare, però, viene interrotto a febbraio da un esonero prematuro che arriva come un lampo divino a preannunciargli il suo futuro. Quando lo racconta un sorriso malinconico gli attraversa la faccia: «Che eravamo sesti in classifica si può dire?».

Riparte dalle giovanili del Parma, dove incontra l’allora responsabile tecnico, Davide Ballardini. I due non posso essere più diversi: caloroso e malinconico Regno, imperturbabile e silenziosamente carismatico Ballardini. Eppure, come avrete capito, è quel tipo di connubio inusuale che finisce per funzionare perfettamente. Regno lavora sul campo (insieme a un altro collaboratore storico, Stefano Melandri), Ballardini guarda dall’alto, cura il piano generale. I due lavorano insieme nella buona e nella cattiva sorte, che con Ballardini significa solo una cosa: esonero. Esonero alla Lazio, al Palermo, soprattutto, ovviamente, al Genoa. Ballardini viene esonerato ma rimane carismatico e imperturbabile: ogni volta che viene richiamato lui è pronto a risalire in sella, qualsiasi siano le condizioni. Le delusioni gli scivolano addosso senza lasciargli nemmeno una ruga, ma è impossibile che tutto questo dolore non abbia un prezzo. «Sono le cose che ti feriscono che ti rimangono più impresse, non so il perché», dice Carlo Regno con un pizzico di amarezza nell’intervista Regno racconta Regno realizzata da “Buon Calcio a Tutti” nel 2018.

C’è qualcuno che ne paga le conseguenze, sì. Ad ogni esonero, inspiegabilmente, Carlo Regno diventa più simile a Davide Ballardini, mentre Davide Ballardini rimane sempre uguale. All’inizio appaiono gli occhiali graduati o da sole in panchina, che è già una cosa difficile per un primo allenatore figuriamoci anche per il secondo.

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Foto Iannone / LaPresse

Poi il cappello di lana messo allo stesso identico modo, infine l’inevitabile perdita dei capelli. Davide Ballardini è sempre Davide Ballardini, identico all’idea che abbiamo dell’uomo che non tradirà mai Preziosi per nulla al mondo; allo stesso tempo, però, anche Carlo Regno è sempre più Davide Ballardini ma senza raggiungerne mai il carisma glaciale, rimanendo in fondo sempre il malinconico, dolce, fedelissimo Carlo Regno.

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Della smisurata gratitudine e ammirazione di Regno verso Ballardini potete leggere abbondantemente su Internet con una semplice ricerca su Google oppure vedere il modo in cui consciamente o meno ha sacrificato la sua vita fino al suo aspetto fisico per seguirlo. Quello che possiamo solo immaginare è quello che ha avuto in cambio di questo tremendo dono, qualcosa di segreto e prezioso che dietro il suo sorriso di pietra Ballardini evidentemente concede raramente. «Non è vero che non ride mai», ha detto una volta Regno «Semmai sono pochi che lo fanno ridere. È ben diverso».




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