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See You Next Year: primo turno
03 mag 2017
Analisi e considerazioni sulle prime otto squadre eliminate dai playoff NBA.
(articolo)
22 min
(copertina)
Foto di Mike McGinnis / Getty
(copertina) Foto di Mike McGinnis / Getty
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Se otto squadre sono rimaste nei playoff a giocarsi il titolo, dopo il primo turno otto si sono aggiunte alle 14 già eliminate dalla regular season. Con la chiusura delle prime due settimane di post-season per molti è tempo di fare bilanci stagionali o, più in profondità, di previsioni e riflessioni sul futuro. Per alcuni arrivare fino al primo turno di playoff può essere considerato un ottimo traguardo, magari anche solo temporaneo; per altri risulta essere la fine anticipata di progetti più ambiziosi, tipo No Man’s Sky o l’episodio 3 di Half-Life. Per questo, è un buon momento per fare un bilancio di cosa ha rappresentato questa stagione per le squadre che hanno chiuso la loro stagione dopo una sola serie, e di cosa devono aspettarsi in estate.

Portland Trail Blazers

Portland ha pagato una prima parte di stagione sottotono di Damian Lillard e di diversi altri suoi giocatori per arrivare a malapena ai playoff e ottenere, di conseguenza, un giro gratis sulla giostra dei Golden State Warriors. Tuttavia, da quando i Blazers hanno stravinto la trade con i Nuggets cedendo uno dei Plumlee in cambio di Jusuf Nurkic assieme ad una prima scelta, il loro record è migliorato sensibilmente - e presumendo di utilizzare quel campione di partite come base per il prossimo anno, le loro vittorie dovrebbero essere maggiori di una tipica squadra da ottavo posto ad Ovest. La fine del secondo anno del progetto Damian Lillard + C.J. McCollum ha trovato delle buone conferme, specie dopo l’All-Star Game, e offensivamente i due si sono dimostrati oltremodo validi per trascinare la squadra, specie se verrà confermata la profondità che Nurkic può dare al loro attacco, fornendo nuove linee di passaggio e costringendo gli avversari a raddoppiarlo.

La mancanza di Mason Plumlee non si è sentita minimamente: Nurkic ha dimostrato una visione di gioco che non era mai riuscito ad esprimere del tutto a Denver (anche per demeriti suoi)

Difensivamente però la musica cambia parecchio: sebbene dall’acquisizione del centro bosniaco i numeri difensivi dei Blazers siano migliorati, questo non è un motivo sufficiente per credere che Nurkic sia un difensore temibile o che la situazione sia sostenibili. Dame e C.J., al di là dell’impegno visto a sprazzi in questi playoff, sono delle vere e proprie calamità nella propria metà campo, difficilmente tollerabili in campo assieme se si esclude il loro stellare contributo in attacco. I numeri difensivi migliori potrebbero essere semplicemente spiegati dal fatto che gli avversari hanno tirato peggio le loro triple smarcate, un dato che oscilla molto nel giro di qualche mese su cui le squadre hanno pochissimo controllo. Se l’idea per i Blazers è quella di continuare con la coppia Lillard+McCollum assieme a Nurkic - come affermato dal GM Neil Olshey -, il supporting cast dovrebbe essere profondamente rivoluzionato, ma lo spazio di manovra è limitato. I Blazers hanno già oggi il terzo monte salari più alto di tutta la NBA, e anche nell’improbabile ipotesi che riuscissero scaricare uno tra Evan Turner e Allen Crabbe senza pagare troppo per farlo, resterebbero non solo lontani dallo spazio necessario per un grosso free agent, ma comunque sopra il salary cap. E la situazione salariale non cambierà per almeno due anni, quindi la possibilità di acquisire nuovi giocatori di impatto via minimi salariali o via trade è ridotta all’osso.

Se i Blazers vogliono fare un salto di qualità la loro unica opzione disponibile è di fare il colpo al prossimo Draft. Portland ha tre scelte al primo giro (la 15, la 20 e la 26) e sebbene nessuna sia estremamente buona, esistono casi nel passato di eccellenti giocatori scelti in quel range - e non è da escludere che possano provare a scambiare due o perfino tre di quelle scelte per salire di qualche posizione nel Draft. Il reparto scout di Portland ha lavorato molto bene negli ultimi anni, ma quest’estate saranno costretti a muoversi con il vero e proprio peso dell’urgenza: se nessuna di quelle tre scelte si dovesse trasformare in un giocatore davvero buono, i Blazers potrebbero vedersi costretti a ristagnare nella mediocrità del primo turno di playoff per i prossimi anni, assistendo al prime delle sue stelle che sbiadisce davanti ai loro occhi nonostante la luce abbagliante che producono nella metà campo offensiva.

Indiana Pacers

I Pacers si sono esibiti nella stagione di Schrödinger, essendo essa contemporaneamente sia “un disastro” che “accettabile” a seconda di come la si guardi. Indiana ha subìto uno sweep da parte dei Cavs meno “corazzati” della loro storia recente, ma hanno perso per soli 16 punti totali e due delle quattro partite decise nell’ultimo minuto. I Pacers hanno rivoluzionato il loro roster, hanno trovato una chimica di squadra decente nella seconda parte di stagione e si sono qualificati ai playoff, ma hanno concluso la stagione con un record e un differenziale di punti negativo. Paul George si è esibito in una splendida serie di playoff, ma è stata oscurata dal fatto che quella di LeBron è stata addirittura migliore, e non bisogna poi dimenticare che George ha attaccato pubblicamente i propri compagni nel post partita delle prime due gare (cosa peraltro fatta lungamente nel corso della stagione) e si è esibito in un brutto finale di gara-4. La situazione in casa Pacers è tutt’altro che rosea: George è il loro miglior giocatore, ma ha già fatto capire che il suo futuro sembra essere lontano da Indianapolis e l’ipotesi di perderlo per nulla in free agency nel 2018 è sicuramente più spaventosa di scambiarlo tra il Draft e la prossima deadline. A peggiorare la situazione ci sono le prime indiscrezioni che lo vedono fuori dai primi tre quintetti All-NBA, togliendo quindi a Indiana la possibilità di una Veteran Extension multimilionaria.

Solo due giocatori a roster hanno meno di 25 anni (Myles Turner e Glenn Robinson III) e quindi tutti gli altri hanno poco senso di esistere in un’eventuale ricostruzione. A cementificare le ipotesi di rebuilding totale ci sono le dimissioni di Larry Bird dal ruolo di presidente, a cui sembra difficile non possa seguire tra il breve e lungo periodo una dirigenza (affidata per ora a Kevin Pritchard) che si separerà dalle scelte della vecchia, compreso il coach Nate McMillan che tutto è sembrato tranne che un miglioramento rispetto a Frank Vogel. I Pacers potrebbero finalmente premere il tasto reset, cedere Paul George in cambio di una scelta altissima al prossimo Draft (magari quella eventuale dei Lakers, con cui ci sono segnali di amore reciproco?), precipitare velocemente nelle zone basse della classifica e far partire un processo di rebuilding che manca da tantissimo tempo. Indiana non sceglie nelle prime sette posizioni del Draft dal 1989, e i 28 anni lontani dal fondo del barile sono il miglior testamento possibile per il lavoro svolto dalla dirigenza in questo periodo. Ma il ciclo dei Pacers sembra essere definitivamente giunto al capolinea: insistere su un roster disfunzionale, poco futuribile e con pochi giovani, sembra un azzardo inspiegabile.

Nel frattempo Myles Turner mostra lampi di playmaking del genere, e vederlo sbiadire dietro una rotazione enigmatica sembra una scelta crudele.

Il resto del roster è dimenticabile in fretta: Monta Ellis è stato un disastro su tutta la linea, Jeff Teague si è rivelato sufficiente )ma nessuno vorrà avere in mano le redini del suo rinnovo contrattuale), Lance Stephenson ha giocato bene più gare del previsto ma nessuno sano di mente proverebbe a rifondare o convincere George a restare mettendo al centro delle trattative Lance Stephenson. Ritardare una ricostruzione che sembra inevitabile potrebbe risultare più doloroso nel lungo periodo che ricominciare da zero subito.

Chicago Bulls

Dei vari disastri di cui si è resa colpevole e consapevole protagonista la dirigenza dei Bulls abbiamo già scritto in precedenza. Chicago è stata la più efficiente macchina di fumo negli occhi della stagione, imbottendo il roster di nomi altisonanti e altamente disfunzionali, cedendo Taj Gibson e Doug McDermott assieme a una seconda scelta per Cameron Payne (che di fatto non ha mai giocato), asfaltando squadre migliori di loro durante le dirette TV nazionali e subendo sconfitte ignobili quando non erano sul palinsesto televisivo americano.

Con l’infortunio di Dwyane Wade e l’inserimento di Paul Zipser in quintetto i problemi di spaziature si sono ridotti sensibilmente - that’s the power of shooting in 2017 - e con un insperato suicidio di Miami i Bulls sono comunque rientrati tra le prime otto ad Est. Rajon Rondo si è reso protagonista di una stagione controversa, in cui per le prime 70 partite è stato il solito Rondo delle ultime stagioni tra Boston, Dallas e Sacramento: a caccia di assist, nullo se non dannoso in difesa, un turno di riposo ogni volta che fosse lontano dalla palla. D’altra parte le sue dirette nazionali, l’ultima dozzina di partite con Zipser in quintetto e le sue due apparizioni ai playoff sono state positive. Le ultime voci riguardano un coinvolgimento sia da parte di Jimmy Butler che di Dwyane Wade per tentare di convincere Rondo a firmare un pluriennale a Chicago: se i Bulls decideranno di pesare le ultime poche partite di Rondo e dei Bulls a discapito del campione - molto più grande - precedente, commetterebbero l’ennesimo azzardo negli ultimi anni, per portarli comunque al massimo alla mediocrità. Si potrebbe anche pensare di addossare la maggior parte delle colpe a Fred Hoiberg ed alla sua gestione del gioco, ma i Bulls hanno giocato esattamente come ci si aspettava che facessero: mediocri sui due lati del campo, sfruttando mismatch e strapotere fisico, con difficoltà a creare gioco data la mancanza di tiro diffusa. Scegliere di rifirmare Rondo e Nikola Mirotic - ignorando la stagione deludente dello spagnolo - porterebbe al solito cap congestionato e le speranze di convincere Jimmy Butler a restare dipenderebbero a quel punto da un miglioramento diffuso di tutti gli elementi del roster, poiché non ci sarebbe spazio per altre mosse.

D’altro canto la proposta dei Celtics con le scelte di Brooklyn sul piatto potrebbe essere una variante estremamente golosa, e i Celtics hanno appena provato sulla propria pelle che differenza può fare un giocatore del calibro di Butler quando la posta in gioco si alza. L’offerta di Boston tuttavia non è sempiterna, e il valore delle scelte può oscillare a seconda della Lottery, mentre di sicuro quello di Butler cala col passare dei minuti che lo separano dalla scadenza del suo contratto. I Bulls hanno una carta per uscire gratis di prigione e 10 carte “imprevisti” in mano come alternativa.

Memphis Grizzlies

L’era del Grit ‘n Grind è nata a Memphis nel 2011, quando con un improbabile upset i Grizzlies sorpresero gli Spurs al primo turno; sei anni più tardi, gli stessi Spurs al primo turno potrebbero aver fatto suonare gli ultimi rintocchi per la mezzanotte dei Grizzlies. Memphis ha già 94 milioni impegnati a cap per la prossima stagione, senza gli eventuali rinnovi di Zach Randolph, Tony Allen, Vince Carter e JaMychal Green quando quest’estate testeranno tutti il mercato free agent. La proverbiale campanella della ricreazione è suonata: sebbene Marc Gasol e Mike Conley si siano fatti trovare all’altezza dei prestigiosi rinnovi, l’unico altra cartuccia verso un giocatore franchigia è stata sparata verso Chandler Parsons, che potrebbe anche non essere mai più abbastanza sano da giocare a basket per 20 partite l’anno.

Ogni singola decisione di rinnovo sarà fondamentale in Tennessee: “Z-Bo” è stato il vero e proprio iniziatore di questi Grizzlies e coach Fitzdale ha retrocesso il suo ruolo a sesto uomo per allungargli la carriera, salvo poi essere costretto a reinserirlo in quintetto nei playoff; Tony Allen ha 36 anni e nessuna utilità in attacco, e sebbene il suo peso politico e affettivo a Memphis sia alto, impegnarsi per più anni con lui pare oltremodo rischioso. Vince Carter ha detto di voler giocare per altri due anni, anche se l’ipotesi di ritiro improvviso non può mai essere scartata quando si parla del giocatore più vecchio della lega - e in ogni caso Memphis sembra non aver modo di trovare un sostituto degno del suo livello; infine Green è Restricted Free Agent, ovvero Memphis può pareggiare qualunque offerta per la sua ala grande titolare, e così dovrebbe fare visto che Green è il loro miglior giovane (e compirà 27 anni a giugno).

Qui una sua pump fake serve a Pau Gasol per rinvigorire la linea comica della difesa Spurs per cui è stato ingaggiato in estate.

In ogni caso il ricambio generazionale non sembra esserci mai stato: Green è rimasto a soli 19 minuti a partita nei playoff; James Ennis è sembrato l’unico degno di conferma nel ruolo di 3&D; per tutti gli altri è stato un vero e proprio disastro. Andrew Harrison ha tirato con un orripilante 32% dal campo in stagione (pur dando qualcosina in più nei playoff), Jarrell Martin aveva mostrato alcuni spunti interessanti l’anno scorso salvo finire fuori dalle rotazioni in questa stagione con un mestissimo 38% dal campo, Wayne Selden, Wade Balwin IV e Deyonta Davis sono tuttora delle incognite. Se nessuno dei giovani di Memphis dovesse rivelarsi un giocatore degno della NBA, i Grizzlies avrebbero un monte salari stellare e una squadra vecchissima che questa stagione ha superato il 50% di vittorie per una sola partita - e non ci sono prime scelte al Draft o conigli da tirar fuori dal cilindro in grado di dare loro un futuro migliore.

Milwaukee Bucks

I Bucks sono la squadra su cui le speranze per il futuro sembrano più radiose che mai. Giannis Antetokounmpo ha elevato il suo gioco a livelli impensabili in una sola stagione - verosimilmente assicurandosi il premio di giocatore più migliorato - e potrebbe crescere ulteriormente. Holger Geschwindner, il maestro Splinter della tartaruga ninja Dirk Nowitzki, ha invitato Giannis a lavorare con lui in estate e, se gli impegni con la nazionale e coi Bucks si allineeranno, Giannis potrebbe davvero diventare un altro apprendista del tedesco, la cui specialità (il tiro) è proprio il punto del gioco su cui Giannis dovrebbe migliorare con più insistenza. Aiuto.

Il resto del supporting cast dei Bucks è estremamente intrigante, ma presenta alcune incognite dal punto di vista fisico. I Bucks hanno una pletora di braccia sterminate e di atletismo, e la capacità di coaching di Kidd sembra migliorare di pari passo col gioco della sua squadra. Khris Middleton ha rappresentato un vero e proprio cambio di marcia nella stagione, ma ne ha persa più di metà per infortunio; Jabari Parker ha esaurito i crociati da rompere; perfino Malcolm Brogdon ha una red flag dai tempi del Draft per un intervento al piede che potrebbe avere ripercussioni nel futuro. L’unico che per ora non sembra avere problemi fisici sembra Thon Maker, che è stato inizialmente sviluppato verso un 7-piedi capace di portare palla come Giannis, e che potrebbe venir sviluppato come un lungo più tradizionale data la buona serie contro i Raptors - ma i suoi problemi sono ancora quelli legati all’anagrafe, non sapendo se abbia 21 anni, 23 o 37.

Il discorso dei rinnovi estivi presenta dei giocatori su cui si può semplicemente alzare le spalle (Michael Beasley, un quarantenne Jason Terry, Gary Payton II) e altri molto più interessanti. Tony Snell ha trovato una sua dimensione da 3&D e una sua pericolosità dall’arco: essendo Restricted i Bucks rischiano di doverlo pagare oltremodo, ma date le loro alternative limitate dovrebbero cercare di trattenerlo. Greg Monroe può diventare unrestricted free agent e sebbene il suo inizio di stagione fosse stato atroce, ha trovato la sua posizione ideale da sesto uomo di lusso dalla panca. Sebbene anche qui le alternative valide non ci siano, occorre sempre andare con le molle quando si parla di epifanie avvenute improvvisamente durante i contract year, e i buoni propositi di Monroe potrebbero rincasare velocemente una volta incassato il suo assegno.

I Bucks non avranno spazio salariale se rifirmeranno uno tra Snell e Monroe, e anche nella remota ipotesi che rinuncino a entrambi avrebbero solo 20 milioni di spazio disponibile, che li costringerebbe a muovere altre pedine per avere la disponibilità salariale per un max-player. La cosa più semplice per loro sembra essere quella di andare per un nome da high risk-high reward al Draft, esattamente come lo sono stati Giannis e Maker: se i Bucks vincessero un’altra scommessa potrebbero davvero essere in ballo per qualcosa di più grande; in caso contrario la stella di Giannis potrebbe essersi accesa troppo in fretta, senza aver lasciato il tempo alla dirigenza di supportarla a dovere.

Oklahoma City Thunder

Quando si parla del futuro dei Thunder la sensazione, supportata dalle parole della conferenza stampa di Sam Presti dopo l’eliminazione da parte dei Rockets, è quella che i maggiori cambiamenti debbano avvenire all’interno del parquet, più che da parte della dirigenza. La squadra deve togliere la palla da Westbrook per evitare di diventare troppo prevedibile, e Westbrook deve ridimensionare la sua egemonia sul pallone per permettere agli altri elementi del roster di migliorare. Per riuscirci, tutti sono chiamati a fare passi in avanti: Domantas Sabonis e Jerami Grant devono migliorare il proprio tiro, Victor Oladipo portare palla molto più spesso, McDermott mettere su massa fisica per essere più versatile come ala, specie in un eventuale quintetto che preveda Andre Roberson da 3. Le mosse di mercato per i Thunder non dovrebbero essere rivoluzionarie: OKC non ha un payroll altissimo al momento, ma non appena i rinnovi di Oladipo e Adams scatteranno saranno velocemente oltre i 110 milioni, disinnescando di fatto qualunque flessibilità salariale. In aggiunta a ciò vi è il fatto che Oklahoma City non è stata una tappa ambita per i free agent, nemmeno quando Durant era ancora in città.

L’unico modo di arrivare ad un grosso nome per i Thunder è solo via scambi o sign & trade. L’unico nome veramente sul mercato sembra essere quello di Enes Kanter, che ad Ovest risulta praticamente inutilizzabile contro la maggioranza delle squadre da playoff, mentre ad Est riuscirebbe a rendersi utile praticamente contro chiunque. Non per questo però i Thunder sono disposti a svenderlo: al momento per loro è comunque più conveniente avere 18 milioni l’anno impegnati per Kanter che 18 milioni di spazio aggiuntivo. Se Kanter dovesse esser spedito altrove, allora il rinnovo di Taj Gibson potrebbe considerarsi praticamente certo, altrimenti Presti non farebbe di certo carte false per trattenerlo. Taj ai playoff è stato massacrato da Nenê, e nel lungo periodo ha molto più senso dare i suoi minuti a Sabonis o ai quintetti piccoli col solo Steven Adams come lungo, poiché quando è circondato da tiratori il neozelandese ha più spazio di manovra e possibilità di rollare indisturbato a canestro.

Quando invece l’area diventa congestionata Adams risulta molto meno utile, non avendo né sufficiente range di tiro né movimenti in post per risultare pericoloso.

Discorso più ostico è quello del rinnovo di Andre Roberson: l’esterno è uno dei pretoriani di Presti e dei Thunder fin dai primi tempi, un difensore sugli esterni formidabile ma tra il nullo e il dannoso in attacco. Difficilmente Roberson potrà trovare un’offerta migliore in giro per la lega, ma altrettanto difficilmente i Thunder troveranno un fit migliore con il poco spazio a disposizione. Sembra difficile quindi una separazione tra le parti e OKC può pure permettersi di allungare qualche soldo in più senza subire particolari conseguenze nei prossimi anni. Essendo comunque i Thunder una squadra dannatamente giovane, con la maggior parte dei suoi giocatori ancora in rookie scale, la mossa più auspicabile è quella di predicare pazienza, aspettare lo sviluppo dei propri giocatori invece di gettarsi a capofitto in manovre di mercato che nel lungo periodo possono essere più dannose che utili. (Ah, i 200 milioni di estensione per Russell Westbrook ovviamente non sono nemmeno da mettere in discussione.)

Atlanta Hawks

In retrospettiva, la stagione degli Hawks è stata controversa da più punti di vista. Atlanta ha oscillato tra le ombre di una stagione fallimentare e le luci di una stagione da mina vagante, contando sia numerose strisce di sconfitte consecutive che vittorie memorabili - come le tre stagionali contro i Cavaliers, vera e propria bestia nera negli anni passati. La notizia è che se la stagione degli Hawks non è stata un successo non sono molte le colpe da attribuire a Dwight Howard, poiché tutti i quintetti presentabili degli Hawks contano Dwight tra le proprie cinque unità. Mike Budenholzer ha continuato la tradizione di plasmare esterni a piacimento, rendendo estremamente presentabile Tim Hardaway Jr. - che poteva tranquillamente essere considerato come il peggior giocatore NBA solo una/due stagioni fa - e inserendo Taurean Prince nelle rotazioni fino a farlo diventare una delle sorprese dei playoff. Prince è sembrato una versione più giovane di DeMarre Carroll, e l’archetipo di un giocatore del genere mancava comunque tra gli uomini di Bud proprio da quando DeMarre ha firmato per Toronto. Perfino Dennis Schröder, tutto sommato, non ha deluso le aspettative: ha faticato in alcuni tratti della stagione, ma si è rivelato comunque un giocatore pericoloso nei playoff, non subendo particolarmente gli aggiustamenti difensivi (vuoi anche per il fatto che Scott Brooks non ha fatto aggiustamenti di nessun tipo, ma questa è un’altra storia). L’unico giocatore su cui si può genuinamente restare delusi è Kent Bazemore, che dopo aver firmato per un cospicuo aumento in estate ha visto diminuire il proprio rendimento in campo, e Budenholzer ha tagliato drasticamente i suoi minuti in favore di un rookie come Prince - una mossa quantomeno inusuale per un coach come Bud.

Nelle volte in cui gli è stato chiesto di portare palla, i risultati sono stati tra il comico e il catastrofico.

L’idea per Atlanta è comunque quella di provare un altro giro di dadi con questo roster, tanto Schröder, Dwight e Bazemore non possono andare da nessuna parte, ma la possibilità di riuscirci dipende molto dagli eventuali rinnovi. Tim Hardaway Jr. è restricted, e in ogni caso non so quante squadre siano disposte a rischiare di ritrovarsi con il giocatore di due anni fa, per cui è improbabile vederlo altrove; Mike Muscala invece non ha restrizioni di alcun tipo e la sua permanenza potrebbe non essere garantita, specie in un mercato estivo come questo che è povero di centri; i veterani Kris Humphries in fu Kardashian, Ersan Ilyasova, José Calderon e Thabo Sefolosha potrebbero pure restare a cifre contenute, specie i primi due che hanno utilità nelle rotazioni di fianco a Howard.

La vera incognita rimane Paul Millsap: l’ultimo giocatore rimasto dei cinque che misero a ferro e fuoco la NBA due stagioni fa è uno dei migliori free agent sul mercato estivo e i 32 anni della sua carta d’identità sembrano invocare un ultimo pluriennale, il più succoso possibile. Ma se dovesse accontentarsi di qualcosa di inferiore del max e di un numero limitato di anni - non più di tre, possibilmente - comincerebbe a crescere una fila di pretendenti per Millsap, e la sua versatilità potrebbe tornare utile in contesti più competitivi di quello di Atlanta, che nonostante le montagne russe emotive di questa stagione sembra nella parte conclusiva del suo ciclo vitale.

L.A. Clippers

Lob City no more. Quella che era nata anni fa come una super-squadra con l’acquisizione di Chris Paul sembra essere arrivata ad un triste capolinea pieno di insuccessi, rimonte subite, rimpianti e mestizia diffusa. Il lento e sistematico dolore riservato ai Clippers in questo periodo è nato da diversi fattori: infortuni diffusi a uno o più titolari, gestione scellerata della società - specie da quando Doc Rivers ricopre sia il ruolo di allenatore che di general manager - malumori diffusi in uno spogliatoio che non si è mai veramente amato. Sembra paradossale oggi ripensare ai primissimi anni di Lob City come una delle squadre più divertenti della lega, capace di prendere il ritmo a chiunque e di sotterrare gli avversari di parziali (e della fastidiosa voce del League Pass che urla “BINGO” ad ogni tripla in transizione dei suoi).

I problemi strutturali però sono stati di duplice natura: i Clippers sono una squadra che avrebbe demolito la lega a inizio millennio, ma costruita all’alba della nuova era di spacing & shooting che ne ha limitato l’efficacia. Inoltre, il prime dei suoi migliori giocatori non è mai stato contemporaneo: Chris Paul è infatti arrivato a Los Angeles quando era al massimo delle sue capacità, dopo aver guidato per anni gli Hornets ai playoff ben oltre le loro capacità, ma Blake Griffin era ancora sostanzialmente un ragazzino e DeAndre Jordan, più che un titolare e un affermato rim protector, era l’ultimo rimasto nel roster in seguito alla trade per Paul. Questa estate sarà lunga e dolorosa per i Clippers, con otto giocatori che toccheranno il mercato free agent, Paul Pierce che si ritirerà e Doc Rivers che pare interessato alla panchina + presidenza di Orlando. Le prime indiscrezioni suggeriscono che la dirigenza proverà a rifirmare sia Paul che Blake al massimo salariale, per un costo stimato di oltre 300 milioni di dollari, confermando quindi un roster scontento di restare assieme e che sembra destinato a non trionfare. Con questa ipotesi il rinnovo di J.J. Redick sembra utopico, aggravato dalla sua scarsa partecipazione nella serie finale con i Jazz e quei lunghissimi 92 minuti di gioco che hanno separato il suo unico canestro di gara-6 dal suo unico canestro di gara-7, durante i quali sembrava impegnato a ripassare mentalmente i pro e i contro di tutte le possibili destinazioni.

Eppure questi movimenti senza palla e la capacità telepatica di creare spacing col pensiero potrebbero far gola a tantissime squadre come, ad esempio, a Milwaukee per un improbabile ritorno

Se i Clippers proveranno a riportare lo stesso roster ai blocchi di partenza della prossima stagione saranno ancora peggio assemblati, con meno materiale umano a disposizione e un anno in più sulle gambe e sugli infortuni; se invece la strada scelta è quella del reboot si prospetta un processo lungo e doloroso, con DeAndre Jordan unico asset di valore per essere scambiato in cambio di qualcosa di più futuribile e con lo spettro di tornare i soliti Clippers di sempre, con pause ventennali tra un’apparizione ai playoff e l’altra. Rifirmare Blake potrebbe non essere impossibile, specie considerato che i suoi infortuni potrebbero essere un deterrente troppo forte per tutte le altre squadre, ma convincere Paul che le sirene di San Antonio (che potrebbe liberare spazio a sufficienza per firmarlo con pochissima ginnastica salariale) siano meno seducenti della vita notturna di Los Angeles potrebbe essere un compito estremamente arduo. Insomma, per i Clippers la scelta potrebbe essere tra la vecchia ragazza che non ci piace più e che ci fa soffrire di continuo, e la premessa di un lungo inverno di solitudine. Non un periodo divertentissimo per tifare Clippers.

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