Con la palla tra i piedi Sergio Busquets non è particolarmente creativo e non ha un piede molto sensibile nei lanci lungi. Senza palla il suo corpo è un problema: ha un baricentro troppo alto per poter andare in tackle in modo efficace, è troppo lento per difendere all’indietro e in fase di difesa posizionale la sua scarsa attitudine a marcare lo rende un problema per la sua squadra. In più, è alto ma è un pessimo colpitore di testa.
Sergio Busquets ha giocato nel ruolo meno congeniale a un calciatore con questi difetti: davanti alla difesa, dove stanno il regista o il mediano. E nonostante tutto, è riuscito a diventare uno dei giocatori più influenti del calcio contemporaneo. In un certo senso, Busquets è un mistero nella sua semplicità. Capire ciò che lo rende speciale significa penetrare a fondo gli abissi più essenziali del calcio.
Riconoscere la grandezza
Busquets compensa col cervello e l’intuizione la poca mobilità senza palla, intervenendo in anticipo sulle linee di passaggio prima ancora che la lentezza diventi un fattore. Col pallone mette le proprie gambe da fenicottero a disposizione della squadra, per far circolare palla a una velocità costante che permetta alla squadra di riordinarsi e sviluppare la trama offensiva. La missione calcistica di Busquets ha qualcosa di religioso: rendere più facile il lavoro degli altri.
Se volessimo riassumere Sergio Busquets in una gif.
I pregi e i difetti di Busquets sono talmente marcati da renderlo un giocatore speciale fino all’unicità. Se fosse nato in un tempo e in un posto diverso da Barcellona all’alba dell’era Guardiola, probabilmente non sarebbe neanche diventato un calciatore professionista. Ma il fatto che un giocatore dalle caratteristiche così definite sia nato nel posto giusto al momento giusto è ciò che ha permesso al Barcellona e alla Spagna di raggiungere, anche grazie a lui, l’apogeo della propria filosofia calcistica. Un momento molto alto nell’espressione di un’identità su un campo da calcio.
Eppure non è facile riconoscere questa centralità a Sergio Busquets, che dopo dieci anni di carriera giocati a livelli celestiali è ancora ricordato soprattutto per la simulazione contro l’Inter.
Con la palla che scivola verso il fallo laterale Motta la difende allargando la mano verso il viso di Busquets, che all’impatto crolla a terra. Mentre si rotola a terra apre un secondo le mani, mostrando l’occhio consapevole verso le telecamere. Un momento iconico, degno di Alfred Hitchcock.
Il fatto che Busquets abbia messo in bacheca sei campionati, quattro coppe del Re, tre Champions League, un Mondiale, un Europeo e una decina di titoli minori, non può evitarci il discorso sul suo fair play, centrale nella sua immagine. L’episodio contro l’Inter, in fondo, è solo la punta dell’iceberg. Dopo di quello Busquets non ha fatto nulla per togliersi l’etichetta di giocatore scorretto. Simulare, fare falli scorretti, provocare, usare il trashtalking fa parte dello stile di gioco di Busquets. Con l’idea sottintesa che “si gioca come si vive”, ci fa impressione che un calciatore che gioca in modo così elegante possa comportarsi in modo così sporco.
Per questo quando si parla di Busquets il discorso, prima o dopo, finisce su topos del gioco scorretto. Fa specie, quindi, che nelle poche interviste che gli sono state fatte, non gli è mai stato chiesto di questa parte del suo gioco. Senza sue dichiarazioni dirette, bisogna scavare più in profondità per provare a capire questi comportamenti: alla sua storia personale e alla sua attitudine in campo.
Dall’oro non nasce niente, dal letame nascono i fiori
Giocare per gli altri è forse il principale talento naturale di Busquets, ma anche probabilmente qualcosa che ha imparato a fare. Senza doti calcistiche appariscenti, giocando da centravanti, Busquets fu scartato dal Barcellona. Nonostante suo padre, Carles, fosse stato portiere nel Barcellona di Johann Cruyff e ancora collaborasse per il club, non deve essere stato facile.
A quel punto ha dovuto iniziare la propria peregrinazione nell’inferno delle squadre della periferia catalana: Badia, Barberà, Lledia, Jàbac Terrassa. Man mano arretra il proprio raggio d’azione finché, a 16 anni, nel 2005, gli osservatori del Barcellona convincono la squadra a prenderlo. Giocando a centrocampo, il DNA blaugrana comincia a venire a galla e il club lo fiuta.
La foto è del 1994, periodo in cui Carles è il portiere titolare del Barcellona. A sinistra si riconosce Sergio, a destra invece Aitor, diventato calciatore tra i dilettanti. Qui invece Busquets da adolescente sempre con il padre accanto ma non più a Barcellona.
È paradossale: Busquets è letteralmente cresciuto nell’ambiente del Barcellona, ma ha iniziato a diventare un calciatore allontanandosene. Cercando di sopravvivere in ambienti dove è essenziale sapersi arrangiare, anche giocando sporco. Nei campi in terra dietro alla maglia tiene scritto solo “Sergio” per non passare da “figlio di” e diventare un bersaglio ancora più chiaro per gli avversari.
È forse in questi anni che Busquets ha imparato la sua maestosa protezione del pallone sotto pressione, ma anche il valore del gioco sporco. L’idea cinica per cui ogni mezzo è legittimo per sovrastare l’avversario. Xavi, volendogli fare un complimento, dice che: «”Busi” è il giocatore più da strada che abbiamo in squadra». Questo certo per la padronanza con cui accarezza il pallone in spazi ristretti, per lo stile spigoloso con cui usa il corpo, ma anche per i messaggi esterni che vuole continuamente lanciare. Per l’istinto a ingaggiare duelli psicologici, anche ben oltre il regolamento.
Per cogliere le sfumature del gioco da campetto di Busquets spesso bisogna ricorrere a telecamere esclusive.
Ma oltre alla sua formazione, ci deve essere anche qualcosa di più profondo che porta Busquets ad apprezzare il gioco sporco. Quando parla di sé stesso ama definirsi come un eroe altruista: «Sono un giocatore di squadra che deve lavorare tanto e sacrificarsi per il successo del gruppo». Busquets parla come se avesse sacrificato sé stesso, e pezzi di sé, per permettere agli altri di spiccare. Andare al di là del lecito, se lo si fa per gli altri, allora può diventare legittimo, persino giusto.
Per un giocatore arrivato a realizzare il proprio sogno tardi, solo passando dalla porta di servizio, esiste forse il bisogno di dover continuamente dimostrare la propria utilità. Cosa che forse porta Busquets alla totale noncuranza di ciò che sia giusto o sbagliato pur di dare un piccolo vantaggio in più alla propria squadra, alle stelle di cui si sente una semplice spalla. Da qui una certa impermeabilità alla fama: Busquets non rilascia quasi interviste, parla controvoglia in conferenza stampa, non cambia taglio di capelli, non ha nessun account sui social.
Per quanto Busquets sia indispensabile per far brillare il sistema, la coscienza - persino esagerata - dei propri limiti lo ha portato immolarsi, calcisticamente e a livello di immagine, per il bene del sistema.
Lo Spazzaneve
Busquets è un continuatore della giocata, il suo lavoro è far muovere la palla con la stessa velocità con cui gli è arrivata. Non è in campo per fare cose belle o creative, ma solo giuste e precise: col piede giusto, nel tempo giusto, alla velocità giusta. In un’intervista a El País riassume il suo gioco a un livello elementare: «Lavoro per offrire soluzioni alla squadra, questo è il mio gioco». È possibile riconoscere la partita perfetta di Busquets quando non risalta in nulla, raggiungendo un livello di trasparenza totale tra sé e il sistema.
È uno spirito zen paradossale per un giocatore così incline ad andare sopra le righe. Ma la forza mentale di Busquets è meno banale di come la si vuole far passare. Anche Guardiola, quando deve cominciare a parlare di lui, lo fa approcciando l’aspetto psicologico: «Apprezzo la sua umiltà. (…) il fatto che sappia vivere senza dover essere il protagonista. Sa che i suoi compagni sanno che senza di lui non potrebbero fare molte delle cose che sono in grado di fare». Poi descrive in poche parole la presenza tecnica ieratica di Sergio Busquets: «Ha la pausa, ha la tranquillità, mantiene l’equilibrio tattico».
Non è difficile capire perché Guardiola intendesse insistere, appena arrivato in prima squadra, su un ventunenne sconosciuto. Perché lo vedesse così perfetto per condividere il campo con le tre stelle principali del suo sistema: Xavi, Iniesta e Messi, che hanno disegnato il rombo centrale su cui si è innalzata la cattedrale del Barcellona di Guardiola.
Per un caso più unico che raro, le tre stelle della squadra corrispondevano a tre giocatori sommamente associativi. Il risultato è la nascita di un sistema basato su questo stile di gioco. Busquets, con i suoi imbarazzanti difetti e i suoi intangibili pregi, era il moltiplicatore perfetto per potenziarli, mettendosi sempre a disposizione, ricucendo con rammendi invisibili le smagliature del sistema.
Nel giro di un anno “Busi” è passato dalla terza serie con il Barcellona B a una finale di Champions League giocata da titolare.
Sarebbe un grave errore però considerare Busquets il regista di quel Barcellona. La regia di quella squadra era in realtà spostata più avanti, nella casella della mezzala destra occupata da Xavi. Non è un contesto tattico da sottovalutare per capire come ha fatto Busquets a trovare subito terreno fertile.
Interpretare come un “correttore”, un “continuatore”, il ruolo di vertice basso è qualcosa di originale che va ascritto al genio di Busquets. La sua forza è stata quella di elevare alla perfezione - ossessiva, autistica - il ruolo che in Spagna definiscono “parete”: colui che costruisce triangoli facendo da terzo uomo o restituendola a quello di partenza; un giocatore che possiede un istinto innato ad andare in pressione con il giusto tempo. Un giocatore che aiuta il possesso con calma, e che aiuta la riconquista con aggressività. Due caratteristiche che non combaciano con l’ideale classico del regista: una posizione in cui creare pareti può risultare ridondante ed essere aggressivi in pressione rischioso, perché porta a seri problemi di posizionamento se la squadra non è compatta e non difende alta.
Non è certo per capriccio quindi che proprio Guardiola l’abbia scelto per giocare in quella posizione davanti a chi, come Yaya Touré, gli era superiore in tutto. Il giorno dopo il suo debutto, nel suo articolo settimanale sul Periodico, Johann Cruyff gli dedica una menzione: «Dal punto di vista tecnico è superiore a Touré e Keita. Senso della posizione da veterano. Con e senza palla. Con la palla ha reso facile il difficile: far muovere la palla a uno o due tocchi. Senza palla altra lezione: situarsi nella posizione giusta per intercettare e recuperare correndo il giusto. E questo essendo giovane e inesperto».
Quando Cruyff parla di tecnica si riferisce a qualcosa di specifico: alla tecnica “per il sistema”. Sebbene Yaya gli sia superiore in tantissimi aspetti tecnici del gioco - conduzione del pallone, conclusione in porta, colpo di testa - Busquets sa fare meglio di lui le due cose che servono in quel momento al Barcellona: far correre il pallone a terra con meno tocchi possibili e resistere alla pressione avversaria senza lasciare la sua posizione e squilibrare il centro del campo. Una vera ode al minimalismo.
Ad essere pignoli, poi, Busquets non ha neanche una protezione del pallone così varia. Il suo sembra un gesto mutuato dal futsal, che diventa efficace soprattutto grazie alle sue lunghe leve: invita la pressione avversaria e poi, spostando palla con la suola, manda a vuoto il tackle. Un gesto che, in perfetto stile Busquets, risulta sobrio e molto semplice da eseguire.
Un movimento che non ha neanche un nome come quelli di Iniesta o Xavi, ma che risulta altrettanto efficace. Non solo per rimanere in possesso, ma anche per permettergli di mettersi il campo davanti per la prossima giocata.
Anche la sua aggressività senza palla si è incastrata alla perfezione con il sistema di Xavi, Iniesta e Messi. Se Busquets si avvicinava a loro per fare da braccio meccanico, quando la palla veniva persa era già lì per recuperare palla senza doversi muovere più di tanto. L’avversario già si trovava nella sua zona, davanti alla bocca del leone. La reattività con cui saliva in pressione nelle giovanili ora gli permetteva fare un passo e allungare la gamba per riprendere palla.
Busquets si impone nel Barcellona perché è il sistema stesso a chiederlo. La stessa dinamica di qualche anno prima, quando Cruyff aveva messo le mezzali alle spalle della seconda linea di pressione avversaria, e allora aveva inserito Guardiola davanti alla difesa: perfetto nel saper difendere la posizione e unico giocatore in grado di far filtrare la palla dietro quella linea.
I dubbi attorno a un giocatore ritenuto troppo lento e troppo poco fisico per poter giocare davanti alla difesa, sono stati insomma dissipati dal sistema stesso. Cruyff lo ha spiegato più volte con l’esempio della stanza: «Se io devo difendere questa stanza da solo, sono un disastro, tutti entrano da tutte le parti; se invece io devo difendere solo questa sedia, allora sono il migliore». Se c’è attenzione alla posizione da parte del collettivo ecco che automaticamente c’è equilibrio, quello che fa la differenza è la distanza che c’è tra i giocatori in campo: «Se non puoi correre, devi trovare la posizione» diceva sempre Cruyff.
Un modo semplice per far passare un messaggio complesso: se “prevenire è meglio che curare” allora il modo migliore per recuperare la palla non è correre per il campo ma trovarsi nella posizione giusta al momento giusto, inghiottendo nella propria zona di campo il giocatore in possesso. Una cosa che somiglia più alla pesca che alla caccia.
Quindi il giocatore davanti alla difesa deve pensare più a sé stesso che alla palla: il cervello fa la differenza quanto le gambe. Busquets è proprio l’incarnazione di quell’idea: non a caso è il migliore quando si tratta di difendere una porzione di campo ristretta ed è invece un giocatore normalissimo quando si trova a difendere troppo spazio.
Il miglior Busquets
Non è solo Guardiola ad accorgersi della differenza di Busquets. Del Bosque è il primo a salire sul carro e lo convoca già nel febbraio 2009, quando non è neanche titolare nel Barcellona. Attraverso l’inserimento di Busquets attua un cambio sostanziale nel sistema della “Roja", passando dal gioco di posizione a un calcio di possesso puro. La Spagna utilizza due giocatori davanti alla difesa (Xabi Alonso e Busquets) per avere non una ma due reti di sicurezza per il possesso che i giocatori più avanti (Xavi e Iniesta) instaurano nel campo avversario. La presenza del doble pivote diventa inderogabile per Del Bosque, che arriva addirittura a dichiarare Busquets come il giocatore che vorrebbe essere dovendo rinascere nel calcio contemporaneo.
La Spagna intraprende un percorso che la porterà ad alzare il primo Mondiale della sua storia e Busquets è il cocco del mister: «Se guardi la partita nel suo complesso Busquets non si nota, ma guardando Busquets riuscirai a capire la partita nel suo complesso».
Il Mondiale fa da apripista per quella che rimane la miglior stagione della carriera di Busquets, quella in cui Guardiola rinuncia a Ibrahimovic per abbracciare Messi falso nove. La stagione 2010-11 è l’apice espressivo del rombo centrale. La partenza di Ibra e l’arrivo di Villa dona profondità all’attacco della squadra e ha permesso a Messi di occupare in pianta stabile il centro della trequarti. Busquets, a soli 23 anni, si trova nel contesto ideale per raggiungere il picco del suo calcio: Con gli avversari che pressano alti, Guardiola inizia a utilizzarlo per far uscire il pallone dalla difesa. In questo contesto Busquets si muove con la bussola, deve solo preoccuparsi di difendere palla sotto pressione e far continuare l’azione. Col cervello scarico, in perfetta armonia col sistema, Busquets può abbandonarsi alla corrente, senza provare alcuno sforzo creativo.
Neanche l’arrivo di Mascherano, in quel momento il miglior mediano classico, scansa Busquets dalla sua posizione. L’argentino ha dovuto adattarsi in difesa per trovare spazio, riconoscendo di non poter competere con il migliore al mondo nel ruolo. Busquets diventa indispensabile per la manovra come l’olio per il motore: arriva a fare 86 passaggi a partita, mai forzati, sempre corti, alzando una parete che rimbalza palle verso le due mezzali o Messi. Un volume di gioco che, per avere delle proporzioni è nettamente superiore a tutto quello successivo: per dire parliamo di 20 passaggi in più a gara rispetto alla media della stagione del triplete della MSN sotto Luis Enrique nel 2015.
In quella stagione il Barcellona raggiunge un livello di dominio nelle partite ineguagliato da tutte le versioni successive. Produce una quantità enorme di occasioni da gol, grazie alla capacità di tenere palla contro chiunque e, soprattutto, recuperandola immediatamente meglio di tutti. È la stagione dei quattro Classici, e in quel finale di stagione infuocato si vede tutto Busquets: attore principale dei soliti teatrini psicologici sui contatti del Real Madrid; ma anche padrone assoluto del gioco. Al Bernabeu, semifinale d’andata di Champions League, gioca una partita sontuosa: si muove per tutto il campo e sbaglia solo 5 dei suoi 134 passaggi.
Chiude la stagione in Champions League toccando la soglia dei 100 passaggi a gara. Alza la coppa in una finale dominata come non mai contro lo United di Ferguson (qui completa, se volete rivederla), che per 90 minuti non riesce mai a contendere il pallone al Barcellona e che si ritrova asfissiato dalle occasioni create dai catalani (finisce 3-1 ma il Barcellona tira 22 volte in porta, contro le 4 dello United).
Con questo grafico di passaggi si può vedere il rombo centrale del Barcellona con Busquets vertice basso, sempre in appoggio per la manovra, nella stagione 2010-11 all’opera nella finale di Wembley.
Andare oltre i propri limiti
Quella 2011 non è neanche la massima espressione di Busquets come giocatore di calcio: il sistema era troppo perfetto e ne nascondeva i difetti, non lasciandolo migliorare. Nella stagione successiva arriva in Catalogna il figliol prodigo Cesc Fàbregas, cosa che porta Guardiola a imprimere l’ultima decisiva sterzata al suo sistema. Il 4-3-3 con Messi falso nove si alterna a un 3-4-3 a rombo di cruyffiana memoria che permette a Messi e Fàbregas di giocare vicini.
Rispetto al rombo di Cruyff, però, in cui Guardiola interpretava la posizione di Busquets con dettami molto verticali, viene abbandonato il quadrilatero centrale di possesso. Busquets viene arretrato nel raggio d’azione e avvicinato alla difesa, con cui forma un altro quadrilatera con lui come vertice alto. Cosa che lo rende più influente in fase di uscita del pallone che in quelle successive: la differenza nei compiti si vede dal fatto che i suoi passaggi diventano circa 15 di meno di media in una sola stagione.
Un’ultima sterzata che porta a fortune alterne: la vittoria più famosa è la partita del Mondiale per Club contro il Santos di Neymar (qui intera) ma c’è anche il frustrante pareggio in semifinale di ritorno contro il Chelsea di Di Matteo che elimina il Barça dalla Champions League (dove Busquets segna uno dei suoi rarissimi gol con il Barcellona) e la sconfitta nel Classico di ritorno che consegna la Liga a Mourinho.
Un discorso che viene continuato l’anno successivo. Tito Vilanova ristabilisce la difesa a 4, Iniesta e Xavi vengono spostati più avanti e Busquets non può più limitarsi a far iniziare l’azione, le sue responsabilità creative sono aumentate, nonostante tocchi meno palloni.
L’assist per Pedro nel derby vinto per 4-0 mostra il periodo in cui a Busquets viene chiesto di dare qualcosa in più rispetto al suo calcio teorico.
Tito Vilanova gli chiede di lanciare verso gli esterni per aprire velocemente difese che si chiudono, e a quel punto forse c’è la migliore versione di Busquets come giocatore di calcio. Quella in cui i suoi difetti sembrano più che altro delle lacune provvisorie. Ma è lo stesso paradosso che accompagna Busquets anche adesso: isolandolo per chiedergli di brillare di luce propria non permette al sistema di venire illuminato come prima. E infatti il sistema dentro cui Busquets rappresentava una sorta di chiavistello magico non esiste più, sparisce nel corso degli anni mentre le sue stelle invecchiano.
I meccanismi con la palla cambiano poco perché dopo 4 anni sono automatici, il pallone circola ancora, ma la squadra è meno compatta, non ha più quell’attenzione al recupero immediato del pallone e si affida sempre di più al gioco delle sue stelle per uscire dalle situazioni vince in carrozza la Liga, ma viene disintegrato per 4-0 dal Bayern Monaco in semifinale di Champions League.
La tattica con cui il Bayern mette quasi in ridicolo i difetti di Busquets nel difendere all’indietro segna la prima vera doccia fredda per le aspirazioni di Busquets come giocatore non di sistema. E non sono altro che una reminiscenza di quanto fatto poi più daI PSG di Unai Emery nel 4-0 di questa stagione. Il punto di contatto tra le due partite è il fallimento del sistema, e mettere a nudo il sistema equivale a mettere a nudo Busquets.
Quando crolla la casa attorno a lui, Busquets non può far altro che farsi portare via tra le macerie (come anche contro l’Olanda al Mondiale in Brasile nel 2014 con la Spagna). Una situazione non aiutata dal corso di Luis Enrique, che ha cristallizzato in un certo senso i limiti di Busquets.
Busquets esposto alla tempesta
L’epoca Luis Enrique infatti non fa altro che rendere definitivo l’abbandono del sistema: il baricentro viene definitivamente spostato dal centro del campo all’attacco e tutto l’habitat di Busquets cambia radicalmente. Il Barcellona non cerca più né un gioco di posizione né un possesso puro. Cerca di arrivare alla MSN e di creargli lo spazio necessario per dispiegare tutto il suo immenso potenziale (a sostituire Xavi come mezzala destra c’è Rakitic, la cui funzione principale è di liberare lo spazio al momento giusto per far ricevere all’altezza della mezzala destra Messi). Il Barcellona vuole sempre meno la palla e concentra il volume di gioco alla base prima di accelerare per gli attaccanti, una situazione che porta Busquets a guardare più indietro che avanti.
Busquets non ha più gli stessi riferimenti per far circolare il pallone: non può essere più una parete per i compagni più vicini. Il possesso si sviluppa sulla linea difensiva con un’uscita attenta della palla verso la MSN. Quello che c’è in mezzo, il regno dove la sua società con Xavi, Iniesta e Messi ha prosperato, ora è solo terra di passaggio da saltare anche direttamente pur di far arrivare prima il pallone davanti. Questo minimizza il suo impatto col pallone fino quasi a farlo scomparire, mentre ingigantisce i difetti senza la palla: mentre i centrocampisti “si tolgono di mezzo” per lasciar giocare Messi, a Busquets rimane molto più campo da difendere da solo. Per parafrasare Cruyff, Busquets ora non può più difendere una sedia ma deve pensare alla stanza.
Busquets è a proprio agio solo quando ha Messi vicino, come un girasole che volge i petali verso la sua stella. Quando non ha Messi vicino si ingegna per trovare soluzioni utili, in un lavoro cerebrale e creativo molto distante dal suo calcio.
Qui lavora per far ricevere Neymar tra le linee: «Può sembrare che ho aspettato troppo per passarla, ma sto aspettando che si presentino opzioni migliori. Solitamente succede.»
Busquets deve sfiancarsi mentalmente per far girare bene la squadra, deve riordinare il sistema da solo come un uomo di fronte a un puzzle gigantesco. Le sue parole in occasione della Finale di Berlino sono esplicative: «Il lavoro è intenso. Devi calcolare velocemente parecchie cose, questo richiede intelligenza calcistica e concentrazione seria. Parte del mio ruolo è di muovermi tra la la linea difensiva e quella offensiva per far si che la palla circoli bene e velocemente. Spesso questa posizione di “pivote” inizia la giocata. Anche difensivamente devo fare da intermediario tra la linea difensiva a quattro e il centrocampo e devo marcare e pressare così da isolare la punta avversaria dal loro centrocampo». A Busquets è richiesto quindi un lavoro da centrocampista difensivo più ortodosso, e così diventa un giocatore più che normale, vulnerabile.
In ogni caso le sue doti di lettura rimangono in grado di sbrogliare da sole situazioni complicate.
La situazione cambia dopo il 4-0 contro il PSG, quando Luis Enrique decide di dare un giro completo alla lavagnetta. Viene creato un sistema fluido che con il pallone disegna un 3-4-3 con centrocampo a rombo e senza palla si sistema in un 4-4-2 grazie a uno scivolamento della fascia destra. Una situazione sempre più comune in Europa: Busquets difende con gli stessi problemi di prima, ma Luis Enrique così ha migliorato l’uscita della palla dalla difesa. Adesso il Barça ha un quadrilatero alla base che permette superiorità numerica anche sotto pressione, ma anche una struttura chiara a centrocampo. Due mezzali e due esterni si mettono su due linee differenti, più due giocatori sull’asse centrale, e producono diverse linee di passaggio libere.
Busquets è al centro e non più all’origine, e ora l’uscita del pallone è ordinata su più linee di passaggio. Insomma, sono tornate le coordinate per farlo giocare anche ad occhi chiusi; in questo caso si gira e, delle opzioni a disposizione, sceglie Messi.
Un contesto ottimale per Busquets, che può tornare al suo gioco di cucitura semplice e non alla complessità di un gioco creativo. Avere Busquets così alto già nell’uscita del pallone ha il suo vantaggio anche in caso di perdita, perché il Barcellona assesta il possesso più avanti sul campo e può avere Busquets in pressione più avanti, con le spalle coperte da eventuali transizioni.
Averlo più avanti ha i suoi vantaggi per una squadra che vuole recuperare alto.
Adesso il centrale alle sue spalle può uscire dalla linea e anticipare chi va a ricevere alle spalle di Busquets, permettendo al numero 5 di salire con maggiore libertà a recuperare il pallone più vicino alla zona della perdita. Certo, se il primo pressing va a vuoto o se la palla viene persa per una disattenzione, si crea il panico perché ora Busquets ha una prateria alle spalle da dover difendere se con uno scambio viene superato. Ma è un prezzo da pagare per rivederlo finalmente utile al meglio in fase di possesso.
Questo nuovo sistema potrebbe essere solo una fase di passaggio. In ogni caso a fine stagione cambierà allenatore, ma Busquets è un giocatore chiave nella filosofia del Barcellona. Queste ultime partite, in cui è tornato a brillare nei suoi pregi unici, sono un monito per chiunque voglia rifondare il Barcellona dei prossimi anni. Ma anche per lui.
Busquets può essere determinante solo a determinate condizioni ed è quindi importante per lui, prima di tutto, avere chiaro dove proseguire il suo percorso. Ha detto che vorrebbe chiudere la carriera negli USA e che una volta ritirato vorrebbe fare l’allenatore per seguire le orme proprio di Guardiola. A breve termine il suo futuro al Barcellona non sembra più scontato come prima, recentemente ha dichiarato che solo due persone possono portarlo via dalla Catalogna: la sua ragazza e Pep Guardiola. Non solo una cortese dimostrazione di riconoscenza, ma anche di consapevolezza dei propri limiti e di come per lui il sistema di gioco conti quanto i compagni che ha attorno.
Busquets, da solo, appassisce come un fiore d’ibisco. Gli serve un ambiente che gli faccia respirare il suo calcio: esprimersi potenziando i compagni, mettendoli nelle condizioni di brillare come i migliori al mondo. Per sé stesso, invece, non ha bisogno di molto.