Che Sergio Conceiçao prima o poi avrebbe allenato in Italia, lo immaginavamo un po’ tutti. Il portoghese ha vissuto anni di gloria da calciatore nel nostro campionato ed è stato vicino a tornare in Serie A in almeno tre d’occasioni. A maggio 2021, alla fine dell’esperienza con Gattuso, il suo arrivo al Napoli sembrava certo, salvo poi saltare all’improvviso per alcune divergenze sul contratto. Due anni dopo, pareva ancora una volta vicino ai partenopei, come successore di Spalletti, ma la clausola da pagare per liberarlo dal Porto aveva convinto De Laurentiis a cambiare idea. Nella scorsa primavera, infine, il suo era il nome caldo per il Milan, prima che la dirigenza virasse su Fonseca.
È naturale che negli anni squadre come Milan e Napoli si siano interessate a lui. Conceiçao conosce il nostro calcio e gli è culturalmente affine. Il suo Porto è stato una squadra rocciosa e costante, capace di vincere in Portogallo e di giocarsela con quasi tutti gli avversari in Europa sulla partita secca. È stato lui a restituire ai dragões la dimensione da grande squadra che avevano un po' perso negli anni precedenti.
Quando Conceiçao si è insediato in panchina nell’estate del 2017, l’ultimo titolo del Porto risaliva addirittura al 2013, in Supercoppa. Il Benfica vinceva il campionato da quattro stagioni consecutive e il club stava vivendo il periodo di crisi più grave della sua storia recente – e in quell’intermezzo senza vittorie, peraltro, era stato allenato anche da Fonseca.
La storia di Conceiçao da allenatore del Porto è durata ben sette anni, in cui è diventato l’allenatore più longevo della storia del club, nonché quello ad aver conseguito più titoli con un'unica squadra in Portogallo, 11. La sua parabola si è conclusa alla fine della scorsa stagione, in concomitanza con le elezioni per la presidenza del club vinte da Andrés Villas-Boas, che hanno decretato la fine dell’era Pinto da Costa dopo 42 anni.
Conceiçao era uomo fidato dello storico presidente del Porto, ma ciò non vuol dire che il loro rapporto sia stato sempre idiliaco. Anzi, ripercorrendo i sette anni del suo mandato, la loro relazione rivela quanto il tecnico portoghese sappia essere spigoloso: una notizia che di certo rallegrerà i tifosi del Milan, desiderosi più che mai di una figura che esiga dalla dirigenza un operato da squadra di alto livello – o che, nel peggiore dei casi, ne denunci le lacune.
Di certo, se qualcosa non gli torna, Conceiçao non ha paura di dirlo, anche a mezzo stampa, che si tratti di mercato o di dinamiche societarie. A gennaio 2020, dopo aver perso la Taça de Liga, la Coppa di Lega portoghese, aveva puntato il dito contro la dirigenza: «È difficile lavorare in determinate condizioni, il primo anno senza rinforzi e senza soldi, quest’anno senza unione all’interno del club». Due anni più tardi, dopo aver ceduto Luis Díaz al Liverpool a metà stagione, si era lamentato della scarsa pianificazione e aveva invitato la società a «rivedere gli obiettivi e pensare al futuro prossimo». Nel 2023, con il Benfica involato per la vittoria del campionato, aveva rimproverato gli scarsi investimenti, costringendo Pinto da Costa a giustificarsi pubblicamente.
Se la dirigenza milanista pensa di aver assunto qualcuno che magari chiuderà un occhio di fronte alle loro mancanze, si sbaglia di grosso. E lo stesso vale per i giocatori, che a questo punto non avranno più giustificazioni. Conceiçao sa sintonizzarsi con le persone e gli ambienti in cui lavora – ha puntato molto sul sentimento di appartenenza verso il Porto – ma va dritto per la sua strada, senza farsi troppi scrupoli. A luglio 2019 aveva litigato con Danilo Pereira quando era capitano del Porto e lo scorso anno, quando già si iniziava a parlare del suo addio al club, aveva messo fuori rosa quattro giocatori perché «per lavorare al Porto non basta avere un contratto, serve di più».
Insomma, nelle relazioni con spogliatoio e proprietà il suo carattere è intransigente. Sul campo, al contrario, ha dimostrato di essere un allenatore versatile, sempre pronto ad adattarsi alle contingenze.
L’immagine che conserviamo del Porto di Conceiçao è quella di squadra scomoda per eccellenza, una sorta di miniatura dell’Atlético Madrid dei bei tempi, con il 4-4-2, le distanze corte e la sensazione di estremo sacrificio trasmessa da ognuno dei giocatori in campo.
A sbattere il muso contro la solidità dei portoghesi sono state spesso le italiane: negli anni Conceiçao ha superato Roma (2018/19) e Juventus (2020/21) in eliminatorie di Champions League, ha decretato l'estromissione del Milan di Pioli dalla fase a gironi della Champions 2021/22 e ha sconfitto la Lazio di Sarri in Europa League. Dati che dovrebbero rassicurare i tifosi rossoneri sulla capacità di Conceiçao di affrontare squadre della Serie A, per quanto preparare uno scontro di Champions sia diverso dalla quotidianità del campionato.
L’ultima testimonianza della ruvidissima fase difensiva del Porto è arrivata agli ottavi di Champions League dello scorso anno, dove i dragões hanno affrontato l’Arsenal di Arteta, seconda miglior squadra della Premier League in quel momento. Il Porto ha fatto impantanare l’Arsenal e ha vinto 1-0 l’andata, mentre al ritorno, sotto di 1-0 contro un avversario di livello più alto, ha saputo resistere fino a raggiungere i calci di rigore, dove è stato eliminato.
Per gli amanti dei movimenti difensivi, la coordinazione con cui il Porto copriva il campo sapeva essere davvero attraente. I lusitani erano monolitici in blocco medio, ma erano anche in grado di scegliere i momenti in cui alzare la pressione: all’interno della partita, quindi, potevano difendere ad altezze diverse. Quando c’era da soffrire, poi, si abbassavano nell’ultimo terzo di campo, dove potevano contare su un difensore leggendario come Pepe e su una retroguardia che sui cross non sbagliava nemmeno una spazzata (precisione e puntualità che invece mancano ai centrali del Milan e anche lì, a livello individuale, servirà un lavoro profondo).
Il Porto, quindi, era una squadra che riusciva a competere a partire dalla fase difensiva e anche al Milan sarà così: il successo di Conceiçao dipenderà dal modo in cui saprà innestare o meno le sue idee in fase di non possesso, premesse opposte rispetto a quelle di quest’estate con Fonseca. Il fatto di passare da un allenatore ingaggiato con la pretesa di dominare a uno che non si farà problemi a cedere la palla solleva più di qualche dubbio sulla visione della società rossonera. La realtà, però, racconta questo e non è detto che alla fine non possa portare a un lieto fine.
Certo, i giocatori, nel giro di pochi mesi, saranno costretti a un altro cambio di paradigma. Dopo gli anni di marcature a uomo di Pioli, Fonseca aveva provato a imporre un approccio a zona abbastanza puro. Anche con Conceiçao ci si muoverà di reparto, ma all’interno della propria zona bisognerà riservare maggior attenzione all’uomo. In poche parole, ci sarà più flessibilità e i giocatori, a turno, dovranno uscire sui riferimenti più vicini. Questo sul piano teorico, il che dovrebbe favorire più di qualche singolo. Poi, però, c’è l’applicazione pratica e lì per Conceiçao diventerà tutto più difficile.
Per quanto il nuovo approccio sia diverso, anche l’ex allenatore del Porto, come Fonseca, chiede ai suoi grande concentrazione, con continui aggiustamenti nelle uscite e disponibilità a fornirsi copertura reciproca, che si tratti di 4-4-2, 4-2-3-1, 4-3-3 o 4-5-1. Soprattutto, proprio come avrebbe preteso Fonseca, Conceiçao ha bisogno di grande intensità. Il Porto sapeva tenere bene le posizioni e sapeva anche aggredire in avanti. Appena il pressing saltava, però, i giocatori rientravano in maniera furiosa sotto la linea della palla, senza dare il tempo agli avversari di approfittare di squilibri momentanei. Qualcosa a cui in Italia non siamo abituati, soprattutto nel Milan, che negli ultimi anni ha palesato spesso limiti attitudinali in fase di non possesso. Chi avrà la disponibilità mentale e atletica ad applicarsi in quel modo? Come verrà compensata la presenza di Leão (da capire in che posizione oltretutto)?
Occorrerà un grande lavoro anche sulla testa dei giocatori. Del resto, Conceiçao ha sempre riservato particolare attenzione a quell’aspetto: è abituato a collaborare con psicologi già dai tempi del Braga (stagione 2014/15) e a lui stesso piace incidere attraverso il legame con i giocatori: «Penso che una cosa sia collegata all’altra. Non possiamo dissociare l’atleta dall’uomo», ha detto. Il portoghese è solito instaurare un dialogo coi suoi ed è per questo che cerca sempre di avere più informazioni possibile sui calciatori: «Voglio sapere chi è stato il loro primo allenatore, se i loro genitori sono separati, se gli piacciono i cani o i gatti», ha raccontato di recente in un podcast.
È anche così che riesce a portare i giocatori dalla propria parte. In pochi possono dirsi carismatici quanto lui, non solo davanti ai microfoni ma, soprattutto, quando si tratta di trasmettere concetti e convinzione alla squadra. Lui fa risalire queste doti a tempi assai lontani, alla sua infanzia di sofferenza (ha perso entrambi i genitori quando era adolescente) e di origini umili: «Durante le vacanze andavo con mio cugino a vendere nelle fiere. Avevo 13 o 14 anni. Ero un ragazzino timido e introverso e vendere nelle fiere è stato importante per acquisire questa capacità di comunicare, di disinibirmi e di stare a mio agio con gli altri anche senza conoscerli».
Vista la situazione a Milanello, Conceiçao dovrà dar fondo a tutte le sue qualità per entrare nel cuore e nella testa dello spogliatoio. L’intermediazione tra allenatore e giocatori, il supporto da parte di una figura di riferimento, per Fonseca come per la rosa, è stata una delle mancanze più gravi del Milan di questa prima parte di stagione. Non è detto che la scelta di uno col carattere di Conceiçao non possa tamponare, almeno momentaneamente, questa lacuna.
Per allenatori come lui, che cercano di competere anche in condizioni di inferiorità, avere la fiducia totale del gruppo è questione di vita o di morte: solo così potrà costruire una squadra a immagine e somiglianza del suo temperamento, proprio come aveva fatto a Oporto.
Ma dietro la scorza della squadra brutta, sporca e cattiva, c’era anche altro, una certa libertà offensiva che è l’ingrediente con cui Conceiçao potrà sedurre i suoi nuovi giocatori e portarli dalla sua parte.
Se la gestione Fonseca è naufragata è anche perché le sue idee cozzavano con le caratteristiche di alcuni dei migliori elementi: il Milan è per natura una squadra di strappi, Fonseca un allenatore di controllo, raggiungere un compromesso è stato impossibile. Nelle prossime settimane, però, la prospettiva dovrebbe cambiare.
Il segreto del successo di Conceiçao al Porto è stato anche la capacità di coniugare l’organizzazione in fase di non possesso con il talento dei suoi interpreti in fase di possesso. Senza palla i giocatori obbedivano in maniera marziale ai dettami dell’allenatore e si comportavano come un organismo unico. In cambio, ricevevano la libertà di muoversi in un sistema mirato a nutrire in maniera quasi spontanea la loro tecnica con la palla.
Negli scorsi anni abbiamo potuto ammirare il Porto dei falsi esterni, in cui nel 4-4-2/4-2-3-1 di partenza giocatori come Otávio o Pepê, nominalmente posizionati sulla fascia, in realtà stringevano e si muovevano da trequartisti o addirittura da mezzali, risultando difficili da leggere per gli avversari sia in appoggio sia tra le linee. Ma ci sono state anche versioni volte a potenziare ali di grande estro e imprendibili nell’uno contro uno: Conceiçao è l’allenatore che ha fatto esplodere Luis Díaz e che lo scorso anno ha cercato di puntare in maniera insistita sui dribbling a piede invertito di Galeno e di suo figlio Chico.
È stato colui che in una squadra dalla forte vocazione al sacrificio e alla lotta ha trasformato in mediano un trequartista mingherlino come Vitinha, che adesso è uno dei migliori centrocampisti d’Europa.
Posto che, di anno in anno, la solidità difensiva rimaneva l’architrave, ogni versione del Porto di Conceiçao in fase di possesso è stata costruita in armonia coi punti di forza della rosa: ciò lascia immaginare che difficilmente nel Milan rivedremo Theo dentro al campo o addirittura sulla trequarti oppure Loftus-Cheek spalle alla porta.
Le transizioni, poi, erano uno dei piatti forti del Porto e sappiamo quanto a certi giocatori del Milan piaccia correre in campo aperto.
È difficile immaginare già da ora come si adatterà Conceiçao alla nuova rosa. A centrocampo il tecnico portoghese era solito avvalersi di giocatori polivalenti come Grujić, Hector Herrera o Uribe, tutti capaci di farsi valere senza distinzioni in entrambe le fasi. Bennacer potrebbe garantire quel rendimento a patto di recuperare la miglior condizione, qualcosa per nulla scontato vista la fragilità dell’algerino.
Chi non avrà problemi a trovare spazio è il miglior giocatore di questa stagione, Tijjani Reijnders. Già abituato ad agire sia nel doble pivote sia da trequartista di un 4-2-3-1, non sarebbe sorprendente se, in caso di 4-4-2, venisse usato da falso esterno alla Otávio, difatti da mezzapunta/mezzala nel corridoio intermedio di sinistra. Compito che, peraltro, potrebbe svolgere alla perfezione Pulisic, che qualcosa di simile l’ha già fatta con Fonseca. Al netto di qualunque discorso su moduli e posizioni, di certo il Milan attaccherà in maniera meno statica, con un’occupazione meno predefinita degli spazi.
Per semplificare il gioco Conceiçao potrebbe anche cercare di sfruttare in modo più diretto le fasce, per provare a recuperare la miglior versione di Theo Hernández.
Intrigante, poi, pensare a cosa vorrà riservare per Leão. Posto che le ali del suo Porto erano encomiabili in fase di non possesso, per mantenere il numero dieci sulla fascia sinistra Conceiçao dovrebbe trovare il modo di far scalare qualcuno per coprire lo spazio alle sue spalle. Non sarebbe peregrino, allora, immaginare un 4-3-3 di partenza in fase offensiva che in fase difensiva diventi un 4-4-2, con Leão che passa dalla posizione di ala a quella di punta per non dover rientrare troppo. Oppure chissà che Conceiçao non voglia provare del tutto qualcosa di diverse e proponga Leão da punta anche in fase offensiva in un 4-4-2, visto che ultimamente si muoveva con più frequenza in profondità e in appoggio in zona centrale (anche se Conceiçao ama soprattutto le punte che spaziano verso la fascia per partecipare alle catene o liberare spazi ai compagni, un tipo di movimento che Leão ha eseguito solo al Lille, a inizio carriera).
Sono tutti pensieri proiettati sul medio-lungo periodo, sui prossimi mesi. Il Milan, però, ha ben altre urgenze, perché tra quattro giorni c’è la semifinale di Supercoppa italiana contro la Juventus. Le partite a eliminazione diretta sono una specialità di Conceiçao, ma con così pochi giorni per conoscere la squadra è ingiusto pretendere qualcosa.
Già da subito l’allenatore portoghese si troverà ad affrontare le storture di un progetto tecnico che non ha ancora trovato una sua direzione.
Conceiçao, però, è un allenatore speciale e per quanto il Milan stia vivendo un brutto momento potrebbe essere l’occasione di dimostrarsi davvero uno dei migliori. Resistere nelle prime settimane sarà decisivo, proprio come era abituato a fare il suo Porto nelle gare di cartello. Anche perché poi arriverà la Champions League e lì, sulla partita secca, potrà astrarsi da tutti i problemi intorno alla squadra.
La tradizione europea è ciò che differenzia il Milan dalle altre squadre italiane: se la società attuale vuole provare a recuperare quello spirito, allora Conceiçao può essere l’uomo giusto, perché in un’eliminatoria trova sempre il modo di mettere in difficoltà l’avversario, qualsiasi esso sia. Se il Milan riuscisse a qualificarsi tra le prime otto, Conceiçao avrebbe la possibilità di riaccendere il pubblico e restituirgli fede.
Portare l’ambiente dalla propria parte, coinvolgere tutti con il proprio messaggio, è la base per aprire un percorso virtuoso. Conceiçao possiede quel pizzico di demagogia che piace ai tifosi e che serve a ingraziarseli. È uno che litiga con arbitri e allenatori avversari (e infatti è stato espulso più di venti volte in carriera) e a cui in conferenza stampa piace agitare il rumore dei nemici, per dirla citando un suo connazionale. Allenatori così, di solito, in Italia funzionano. Certo, al Milan il contesto è davvero di grave crisi, ma, come ha affermato lo stesso Conceiçao con una di quelle frasi populiste che tanto piacciono a tiktoker e pagine motivazionali, «non è in mari de águas doces che si raggiungono grandi conquiste, c’è bisogno della tempesta».