Dopo aver ricevuto il premio di miglior difensore della passata Champions League, Sergio Ramos scende dal palco tra gli applausi scroscianti, con un sorriso che non fa trasparire alcuna emozione. Sembra perfettamente a suo agio nell’elegantissima giacca azzurra a quadri e, prima di tornare al suo posto, si permette un occhiolino alla donna preposta a togliergli l’incombenza di tenere il trofeo in mano per tutto il resto della serata. Nel corridoio che porta ai seggiolini, Sergio Ramos passa accanto a Salah - che qualcuno di molto furbo nell’organizzazione della serata di gala del calcio europeo ha fatto sedere davanti a lui - e prima di riaccomodarsi gli fa scivolare la mano sulla spalla sinistra, con un gesto apparentemente di amichevole confidenza.
È un particolare che non sfugge a nessuno per l’ovvio motivo che Sergio Ramos è la stessa persona che nemmeno tre mesi prima ha causato un grave infortunio a quella stessa spalla di Salah, facendogli saltare gran parte della finale di Champions League (vinta dal Real Madrid) e condizionando in maniera determinante il suo Mondiale e di conseguenza anche quello dell’Egitto, che perderà tutte le partite del suo girone dopo aver aspettato quel momento per 28 anni.
Salah è sorpreso dal tocco del centrale spagnolo, guarda fisso davanti a sé, un punto imprecisato del palco: magari è semplicemente poco interessato a quello che è all’apparenza un gesto insignificante, ma è impossibile non pensare che stia cercando di distogliere lo sguardo per non arrabbiarsi.
La narrazione della vittima che incontra il suo aguzzino monta sui social e viene cavalcata dalle stesse televisioni: è una costruzione che è solo nei nostri occhi o il gesto di Ramos è stato intenzionale? Voleva evocare i fantasmi nella testa di un suo avversario oppure, magari goffamente, accorciare la distanza sul piano umano?
A seconda delle interpretazioni Sergio Ramos può essere o uno stronzo poco consapevole dei propri gesti, oppure un genio del male degno di Hans Landa, il gerarca nazista di Inglorious Basterds che riesce a terrorizzare una donna ebrea versando una cucchiaiata di panna su un pezzo di strudel.
Chi è davvero Sergio Ramos?
Nel documentarioCapitan Ramos, prodotto da Movistar nel 2016, a un certo punto il capitano del Real Madrid torna al momento in cui la sua carriera avrebbe potuto prendere una piega totalmente diversa: le semifinali di Champions League del 2012 contro il Bayern Monaco. È il secondo anno della gestione Mourinho e sono esattamente dieci anni che il Real Madrid non vince la Champions League. La Decima è ancora solo un’ossessione.
Sergio Ramos ha i capelli lunghi attaccati alla fronte con la fascetta bianca ed è stato spostato definitivamente al centro della difesa solo in quella stagione. La sua prestazione è incerta fin dall’andata, quando agevola il primo gol di Ribery con una sbavatura in area e rischia di regalarne un secondo a Mario Gomez con un’altra palla vagante lasciata vicino alla porta; ma è al ritorno al Bernabeu che la sua storia cambia per sempre.
Le due squadre finiscono ai rigori dopo che entrambe le partite sono finite 2-1 e, dopo gli errori di Cristiano Ronaldo, Kakà, Kroos e Lahm, a Sergio Ramos tocca il rigore decisivo, quello che in caso di gol avrebbe costretto la squadra tedesca a segnare a sua volta per rimanere in gara. Ramos punta sotto la traversa, cerca di tirare di potenza al centro, ma il pallone finisce altissimo, in un punto imprecisato della curva dietro a Neuer, che il centrale spagnolo fissa per qualche frazione di secondo con uno sguardo carico di orrore.
Anche se in Capitan Ramos dice di non voler cancellare nemmeno quel giorno dalla sua carriera, il centrale del Real Madrid finisce per lamentarsi della valanga di odio e ironia cadutagli addosso dopo quell’errore: «Io ho visto Messi, Neymar tirare rigori anche peggiori di quello, ma non c’è stata nemmeno una battuta».
È possibile che Ramos non si renda conto di non essere solo una stella, ma anche un simbolo del Real Madrid e del madridismo, e quindi il bersaglio ideale di tutto il resto dei tifosi avversari?
La sua apparente ingenuità, in questo senso, cozza con la consapevolezza con cui ha vissuto la sua scalata all’Olimpo del Real Madrid - che passerà poi per la vittoria della Decima grazie ad una sua doppietta in semifinale proprio al Bayern Monaco (per di più allenato da Guardiola) e dal suo gol di testa all’ultimo secondo in finale contro l’Atletico Madrid. In quello stesso documentario, ad esempio, Ramos ammette che pochi giorni prima di passare ufficialmente al club della capitale decise insieme al fratello di presentarsi al ritiro della Nazionale completamente vestito di bianco: un modo molto originale di far intendere al pubblico di essere vicino alla “Casa Blanca”.
Scegliere il colore di un abito per annunciare una trattativa è il gesto di una persona impulsiva o di qualcuno che sa come usare i simboli in mezzo a cui vive? Forse Sergio Ramos, per quanto sia in contrasto con la prima idea che ci possiamo fare di un ragazzo che decide di presentarsi in un ritiro con un completo bianco, va considerato persino come una persona riflessiva, cerebrale. Una caratteristica che ha influito anche nella scelta del numero al suo arrivo a Madrid: lo stesso numero 4 dell’ultimo grande difensore centrale e capitano del Real prima di lui, e cioè Fernando Hierro.
Sergio Ramos in realtà si comporta abitualmente come rappresentante unico della squadra: è stato lui, dopo un rapporto molto tormentato, a chiedere la testa di Mourinho; come è stato lui, secondo Marca, a riprendere Ronaldo dopo la finale di Champions contro il Liverpool, per aver usato quel momento per mettere in dubbio la sua permanenza al Real; ed è sembrato ancora lui a "bocciare" l'arrivo di Antonio Conte sulla panchina della "Casa Blanca" dopo l'ultimo disastroso Clasico, dichiarando che «il rispetto si guadagna, non si impone» e che «la gestione dello spogliatoio è più importante delle conoscenze tecniche». Il difensore andaluso dice spesso che «quando la squadra vince, tutti, individualmente, finiamo per vincere» forse proprio perché ormai si sente la personificazione stessa della squadra di cui è capitano.
Sergio Ramos è diventato talmente tanto un simbolo del madridismo, e di tutte le sfumature negative che le tifoserie avversarie ci vedono dentro, che il Sánchez-Pizjuán lo ha fischiato fin dal primo giorno in cui ci è tornato da avversario, nonostante lui sia un tifoso e un prodotto delle giovanili del Siviglia, e nonostante non sia uno stadio che riservi questo trattamento a tutti i suoi ex giocatori.
Il capitano del Real Madrid non ha mai fatto nulla per stemperare la tensione, come se il conflitto fosse insito nella sua natura. Negli ottavi di finale di ritorno della Copa del Rey della stagione 2016/17 contro il Siviglia, ad esempio, chiese a Benzema di poter tirare il rigore del temporaneo 3-2, che realizzò facendo un cucchiaio (la partita finì 3-3, con conseguente eliminazione del Siviglia). Poi, dopo aver segnato, Ramos si girò verso la curva che gli dava del figlio di puttana indicandosi il nome sulle spalle, per poi portarsi le mani alle orecchie in segno di sfida.
E quindi, alla luce anche di episodi come questo, torno a chiedermi: lo stile in campo e fuori dal campo di Sergio Ramos – il gioco duro, il trash talk, le dichiarazioni contro gli avversari, il dialogo con lo stadio – sono quelle di una persona che non sa contenere la propria passionalità, oppure sono frutto di un calcolo con cui vuole far impazzire gli avversari, per andargli sotto pelle?
Che cos’è la violenza
È arrivato il momento del pezzo in cui bisogna parlare dell’assurdo record di Sergio Ramos riguardo ai cartellini. Il capitano del Real Madrid è infatti il giocatore che ha collezionato più cartellini (che siano gialli o rossi) nella storia del suo club, nella storia della Liga (in questo caso detiene il record sia dei cartellini gialli che dei cartellini rossi), nella storia della Champions League e nella storia della Nazionale spagnola. È una statistica talmente irreale che bisogna rileggerla per capirne a pieno l’entità: nessun altro giocatore nella storia giocando nel campionato spagnolo o in Champions League, indossando la maglia del Real Madrid o della Spagna, ha ricevuto più cartellini di Sergio Ramos, che potrebbe avere ancora altri anni di carriera ad alti livelli davanti a sé.
Quello che ci interessa di questa statistica, al di là della sua magnitudo, è cosa ci dice del comportamento in campo di Sergio Ramos: il difensore di una delle squadre più forti del mondo – che di solito, quindi, ha più possesso palla degli avversari, i cui difensori hanno meno occasioni per fare fallo – con un modo di difendere molto tecnico, diretto a intervenire sul pallone più che sull’uomo, che di per sé non è particolarmente falloso. La scorsa stagione, per esempio, Sergio Ramos ha commesso meno falli di Juanfran, di Carvajal, di Godin, di Lenglet e di Nacho, tanto per citare alcuni difensori di squadre di vertice della Liga.
Ma anche se torniamo alla stagione 2012/13, l’ultima della nervosissima gestione Mourinho, quando il centrale del Real Madrid era molto più irruento e falloso rispetto a oggi, Sergio Ramos commetteva comunque meno falli di giocatori che consideriamo mediamente corretti come Arbeloa e Dani Alves.
Il problema di Sergio Ramos con i cartellini non è legato alla quantità di falli e, nella maggior parte dei casi, nemmeno alla loro gravità, ma più che altro a come il centrale del Real Madrid concepisce la sua autorità da difensore e da capitano in campo.
Sergio Ramos si ricollega a quella tradizione di difensori molto duri, che utilizzavano la violenza per arginare attaccanti più veloci e più tecnici di loro, con la differenza che lui è un centrale estremamente tecnico e moderno, anche nella gestione del pallone nelle fasi di prima costruzione. Mi sono a lungo chiesto come Sergio Ramos riuscisse a coprire praticamente da solo l’intera ampiezza della linea difensiva, vista la svagatezza difensiva di Marcelo e la natura iperoffensiva degli ultimi Real Madrid in cui ha giocato, e una delle risposte che mi sono dato è che il centrale del Real non si fa problemi a spendere un cartellino con un intervento potenzialmente molto pericoloso pur di instillare la paura nel diretto marcatore.
L’atteggiamento di Sergio Ramos in campo è quello dello sceriffo che non permette disordini nella sua zona, come un avversario che ha troppa voglia di dribblare. Il suo primo pallone in assoluto toccato in Liga, per dire, è un intervento in tackle molto duro sull’allora numero 10 del Deportivo La Coruña, Albert Luque, che stava provando a scappare in contropiede dopo una palla persa dal Siviglia. Sergio Ramos lo rincorre di scatto prima di riuscire a prendere il pallone in allungo con la gamba sinistra, ma lo fa con un’irruenza tale che Luque rimane per qualche secondo in ginocchio per terra, per poi alzare lo sguardo impaurito e spaesato, come se fosse stato appena aggredito da un animale selvatico uscito improvvisamente da un bosco.
Non è un caso che la violenza di Ramos diventi davvero esplicita nei rari casi in cui un giocatore sfugge al suo controllo, ostinandosi a imperversare liberamente nella sua zona. È il caso piuttosto celebre del calcione a Messi nel Clasico del 2010 finito 5-0 per il Barcellona di Guardiola, ad esempio, a cui seguì anche una rissa in cui Sergio Ramos prima mise le mani in faccia a Puyol, poi si insultò ripetutamente con Piqué e infine spinse via Xavi, tutti e tre compagni di Nazionale con cui aveva vinto il Mondiale solo pochi mesi prima.
L’ambizione di voler controllare il comportamento degli avversari in campo è evidente anche dal fatto che Ramos non riconosce praticamente nessuna autorità all’arbitro. Il più delle volte lo ignora del tutto anche quando viene ammonito o espulso, e non solo perché è quasi sempre impegnato a insultarsi con qualche avversario: esce come e quando lo dice lui, dal campo. Ramos è forse anche l’unico giocatore che protesta in maniera più veemente quando è lui stesso a commettere un brutto fallo, credo sempre per quel brutto vizio dell’arbitro di intralciare la sua autorità nel farsi giustizia da solo.
D’altra parte se Sergio Ramos è odiato dagli avversari è anche per questo suo atteggiamento violento, da sbruffone in campo, che spesso lo fa passare per un difensore molto più scarso di quanto in realtà non sia, di quelli che hanno la violenza come unica arma. Secondo Fernando Hierro, Ramos è il più forte centrale della storia del Real Madrid, e anche Puyol ha dichiarato che lo avrebbe sicuramente comprato se fosse stato presidente della "Casa Blanca". Tutti i grandi difensori sembrano riconoscergli un talento fuori dal comune, anche quelli che consideriamo duri ma corretti, compreso Godin, secondo cui non c'è stato nulla di male nell'intervento di Ramos su Salah.
La sua descrizione come genio del male cozza anche con la sua reputazione in Spagna, dove in molti lo considerano uno stupido - almeno da quando, alla sua presentazione al Real Madrid, parlò piegato in avanti per qualche minuto perché il microfono era troppo in basso, costringendo Florentino Perez ad intervenire per alzare l’asta. Forse però parte del potere di Sergio Ramos risiede proprio nella sua capacità di farsi odiare. Nell’andare al di là della semplice violenza, del fatto cioè di essere temuto dai giocatori, e nel diventare l’obiettivo stesso di tutte le attenzioni dei suoi avversari. Anche perché, per quanto è tecnico, Sergio Ramos potrebbe tranquillamente fare a meno del suo lato più violento.
Cos’è il vero potere
La storia del calcio è piena di difensori violenti che hanno terrorizzato o fatto impazzire gli attaccanti avversari: Jaap Stam che prende per il collo Parente e si fa cucire i punti a bordo campo, Marco Materazzi che fa uscire di testa Zidane sussurrandogli all’orecchio insulti sulla sorella. Nessuno però ha mai avuto un’influenza comparabile a quella del capitano del Real Madrid. Non parlo solo del fatto che non si possa far a meno di odiarlo o amarlo, e nemmeno dei trofei vinti, o del valore tecnico assoluto, quanto di come Sergio Ramos ci abbia intimamente convinto, al di là di come la pensiamo su di lui, di essere l’ago della bilancia dei successi del Real Madrid.
Ovviamente c’entra il fatto che si tratta di un difensore prolifico oltre ogni immaginazione: Sergio Ramos è ormai vicinissimo ad aver segnato 100 gol in carriera in tutte le competizioni, compresa la Nazionale (attualmente siamo a 94). E che una fetta di questi gol sia caduta in un momento della partita che è impossibile dimenticare, come un finale perfetto.
Pensiamo al 2-2 segnato al 93esimo nella Supercoppa europea del 2016 contro il Siviglia (poi vinta ai supplementari con un gol di Carvajal), all’1-1 al 90esimo nel Clasico dello stesso anno e, ovviamente, al gol del pareggio nella finale di Lisbona contro l’Atletico Madrid al 93esimo, che ha lasciato un marchio indelebile su quella Decima, che è probabilmente la più importante delle ultime Champions League vinte dal Real Madrid in questi anni, passata alla storia come la coppa dello stacco di testa Sergio Ramos. Chi ricorda gli altri tre gol segnati ai supplementari dalla “Casa Blanca”?
L’idea di Sergio Ramos, la cui tecnica palla al piede è spesso sottovalutata, è legata alla paura che lui possa sbucare da una folla in area e distruggere i sogni di chiunque con un colpo di testa, ma è più profondamente legata alla sua stessa presenza in campo.
Basta ricordare la litigata con Allegri a bordo campo nei quarti di finale di ritorno della Champions League contro la Juventus, l’anno scorso, dopo che il Real Madrid aveva subito tre gol in un’ora di gioco proprio perché, nella vulgata comune, non c’era Sergio Ramos. Quanto c’è di vero e quanto siamo noi stessi a concedergli questa influenza? In quanti sono arrivati a pensare che il Real Madrid sia riuscito a sfangare quella partita anche per via del suo battibecco con l’allenatore della Juventus?
La lista di episodi è lunga e arriva ovviamente fino alle ultime due finali di Champions. Alla surreale espulsione di Cuadrado nella finale di Cardiff dopo una sua plateale simulazione, cioè; all’infortunio di Salah e alla gomitata subdola a Karius.
Dopo la finale di Kyev, si è discusso molto se il Ramos l’avesse fatto apposta a portare la spalla di Salah sotto il suo peso, e alcuni hanno rivisto quella sua mossa anche durante la finale della stagione prima contro la Juventus, in un intervento apparentemente innocuo su Dani Alves, dandogli addirittura un nome, come se fosse una signature move: la llave.
Karius, dal canto suo, dopo la partita si è sottoposto ad esami medici specifici che hanno concluso che il colpo ricevuto da Sergio Ramos “potrebbe aver influito sulla performance”. E Klopp, dopo quella partita, ha dichiarato molto nettamente: «Non è una scusa, è una spiegazione. Karius è stato influenzato da quel colpo al 100%».
Nei giorni successivi, Sergio Ramos non si è fatto pregare per intervenire nuovamente sulla questione e ovviamente ha trollato sia Klopp che Firmino, che invece gli aveva dato del “grande idiota”. «Ci manca solo che Firmino dichiari che ha avuto il raffreddore dopo la partita perché una goccia del mio sudore è arrivata su di lui», ha detto Sergio Ramos, non facendosi troppi problemi a rendere esplicito il potere mentale che esercita nei confronti dei propri avversari, proprio come fanno i cattivi dei film di supereroi con una risata sadica.
In Capitan Ramos, il fratello di Sergio dice che era problematico fin da bambino e anche i responsabili delle giovanili del Siviglia affermano di essere stati colpiti in primo luogo dal suo carattere in campo. Su YouTube si trova un video di Sergio Ramos a 12 anni intervistato da una TV spagnola in cui afferma, con la stessa faccia da schiaffi di oggi, che “la nostra ambizione è vincere”.
E solo pochi giorni fa è comparso un video in cui si vede il capitano del Real Madrid durante un allenamento provare a colpire con una pallonata un ragazzo della primavera che era entrato in maniera troppo brusca su di lui.
Se volessimo usare la metafora della corrida, una pratica di cui Sergio Ramos è molto appassionato, dovremmo paragonarlo al toro di 600 chili che finisce per incornarci o al torero che ci sventola il drappo rosso davanti al naso facendoci fare quello che vuole tra gli olé del pubblico amico?
Quest’estate, dopo aver vinto la Supercoppa europea contro il Real Madrid, Griezmann ha pubblicato su Instagram un’immagine che lo vede seduto su un trono vestito di una pelliccia d’ermellino, come un re francese dell’ancien régime, mentre Sergio Ramos dietro di lui lo sta per incoronare.
Il fatto che Griezmann abbia scelto proprio Sergio Ramos in una squadra di giocatori straordinari come il Real Madrid potrebbe essere una casualità, magari l'avrebbe fatto con il capitano di qualunque altra squadra, ma forse dovrebbe suggerirci qualcosa che chiunque abbia visto almeno una volta l’incoronazione di Napoleone ritratta da Jacques-Louis David sa già: il vero potere è nelle stesse mani di chi tiene la corona.