I dati di questo pezzo sono stati gentilmente offerti da Opta.
Secondo un’antica regola non scritta della tradizione italiana, la migliore strategia possibile per una piccola squadra è rappresentata dall’adozione di un baricentro basso, per attirare l’avversario in avanti e sfruttare dunque le situazioni di campo aperto, puntando su giocatori prettamente fisici. È sempre stato considerato più semplice controllare l’avversario con un’alta densità di uomini sotto la linea del pallone, riducendo lo spazio in prossimità della propria area di rigore, ostruendo lo specchio della porta.
Se da una parte è vero che questa scelta tattica può portare i suddetti benefici, dall’altra è innegabile che la proverbiale coperta corta costringe poi le piccole squadre a una produzione offensiva molto ridotta, a causa di uno scarso numero di giocatori sulla linea della palla coinvolti in transizione, il cui esito dipende dalle qualità individuali di chi attacca.
Nelle ultime stagioni di Serie A abbiamo avuto modo di assistere a esperimenti più o meno coraggiosi da parte di diverse realtà di media e bassa classifica: dalle squadre di Gasperini, iper-aggressive e orientate alla marcatura a uomo, alla zona quasi pura di Sarri e Giampaolo, passando per l’affermazione del gioco di posizione di De Zerbi, senza trascurare l’efficienza di chi ha puntato con successo su un baricentro basso perdendo relativamente poco in termini di pericolosità offensiva, come la Spal di Semplici o anche il primo Crotone di Nicola, capace di essere pericoloso in campo lungo senza troppi rischi, riducendo il numero di passaggi nella costruzione bassa e forzando le verticalizzazioni.
Insomma, dalle squadre più ambiziose a quelle più conservative, le proposte di gioco delle medio-piccole in Serie A hanno raggiunto un livello di elaborazione più complesso rispetto a un tempo. È chiaro che non esiste una ricetta perfetta, che consenta a tavolino il raggiungimento degli obiettivi minimi, e spesso le ideologie degli allenatori anche più preparati non trovano terreno fertile per questioni ambientali - societarie, di spogliatoio, di tifoseria - o tecniche. L’ultima testimonianza in questo senso ci viene dall’esperienza di Velázquez sulla panchina dell’Udinese: lo spagnolo era arrivato con lo scopo di proporre un calcio propositivo e si è ritrovato a difendere basso con molta sofferenza.
Quanto conviene aspettare in basso?
Per provare a tradurre in numeri i diversi approcci tattici di questa stagione - grazie alle statistiche di Opta - possiamo prendere in esame cinque indicatori abbastanza esplicativi:
- Il baricentro, cioè l’altezza del punto “mediale” della squadra, calcolato incrociando i dati delle posizioni medie e i tocchi di palla;
- La lunghezza media tra il primo e l’ultimo giocatore di movimento, utile per comprendere di conseguenza la spaziatura tra le linee;
- La larghezza media tra i due giocatori più estremi, che ci consente di “visualizzare” la copertura dell’ampiezza del campo;
- La distanza della linea del “fuorigioco” dal fondo, che ci fa capire quanta profondità una squadra è disposta a togliere all’avversario;
- L’altezza media dei recuperi palla, ossia a quale distanza dalla propria porta si è riconquistato il possesso.
Incrociando queste informazioni - che come sempre fanno da supporto all’osservazione in campo - possiamo avere una misura affidabile dell’efficacia degli atteggiamenti adottati.
Tornando all’Udinese di Velázquez, ad esempio, forse il dato più impressionante è la lunghezza media: con i suoi 32,1 metri è stata la squadra più corta del campionato in questo primo scorcio di stagione. È un dato che di per sé può non dire molto, ma abbinandolo al baricentro (48,1 metri: il quinto più basso) e alla linea del fuorigioco (la seconda più bassa: 18,7 metri) ci restituisce la fotografia di una squadra con la pericolosa tendenza a finire schiacciata davanti alla propria porta.
Nel suo sfortunato progetto, Velázquez ha provato a dare enfasi alla copertura dell’ampiezza, il cui valore rimane tra i migliori del campionato (49 metri: il quinto valore in Serie A), con la volontà di costruire le azioni palla a terra, con una circolazione magari lenta ma anche relativamente poco rischiosa: tuttavia l’insicurezza complessiva nel palleggio ha portato a un atteggiamento sempre più remissivo. Passare dal 4-4-1-1 (o 4-1-4-1) di inizio anno a moduli che prevedevano una linea difensiva a 3 ha sortito l’effetto opposto a quelle che probabilmente erano le intenzioni dello spagnolo: invece di instillare certezze per aumentare il proprio predominio territoriale, l’Udinese si è ritrovata spesso bassa e bloccata, incapace di risalire con costanza e consolidare fasi di attacco posizionale prolungato.
La Spal di Semplici, invece, ha acquisito consapevolezza grazie a un atteggiamento orientato sul baricentro basso. Dopo qualche difficoltà nei primi mesi di Serie A, i ferraresi sono diventati una squadra ostica da affrontare proprio grazie alla solidità difensiva del suo 3-5-2. Pur avendo un baricentro medio ancora più basso di quello dell’Udinese, la SPAL prova a compensare mantenendo una lunghezza più alta e cercando di tenere un atteggiamento sul fuorigioco abbastanza coraggioso, rinunciando all’ampiezza (nonostante il modulo, che in teoria garantisce ampiezza, la Spal è la terza squadra più “stretta” del campionato) per non perdere solidità centrale.
Dopo un ottimo avvio, però, fatta eccezione per la vittoria contro la Roma e la buonissima e sfortunata prestazione contro l’Inter, la squadra di Semplici ha sofferto particolarmente la propria sterilità in attacco: recuperando spesso il pallone in zone basse (solo Parma, Frosinone, Bologna, Udinese e Milan hanno un’altezza dei recuperi più bassa) risalire il campo per portarlo alle due punte diventa difficoltoso, e sono fondamentali in questo senso le prestazioni di Manuel Lazzari, ago della bilancia della produzione offensiva.
Non è un caso che le sconfitte più pesanti siano arrivate contro Lazio, Sampdoria e Fiorentina, ossia squadre con un recupero medio del pallone abbastanza alto, capaci di complicare la fase più delicata della manovra della Spal, l’uscita dalla difesa. Eloquenti però anche le sconfitte contro Frosinone (squadra ancora più bassa e corta) e Sassuolo, ovvero le due squadre, insieme al Napoli, con la larghezza media più alta del campionato.
A proposito di larghezza, la squadra più stretta della Serie A è il Bologna, con i suoi 44,4 metri. A ciò si uniscono valori abbastanza bassi per quanto riguarda il baricentro (48,2 m), fuorigioco (19,9 m) e recuperi (32,8 m). Il consolidato 3-5-2 di Inzaghi non ha la priorità di mantenere l’ampiezza su entrambe le fasce quando attacca, provando a stringersi per tentare di trovare una lunghezza più elevata. La principale risorsa offensiva dei rossoblù è la risalita verticale per innescare la fisicità di Santander, che è anche l’uomo più ricercato davanti con un elevato numero di cross. Spesso però i felsinei sono in balia dell’avversario, dimostrandosi non all’altezza delle lunghe e stressanti fasi di difesa posizionale che questo atteggiamento impone, concedendo tanto e producendo poco. Anche per questo Inzaghi sta cercando un’alternativa sperimentando il 4-3-3 con l’inserimento di Orsolini.
Quanto conta recuperare palla in alto?
Allo spettro opposto, se consideriamo che l’aggressività (organizzata) di una squadra può tradursi nella sua capacità di recuperare palla in alto, troviamo squadre come Inter e Napoli, e subito dopo l’Atalanta - nome abbastanza scontato per chi ha familiarità con il sistema di aggressione di Gasperini - e il Torino, e questo è più sorprendente. La squadra di Mazzarri difende in avanti sfruttando l’aggressività verticale di giocatori come Rincón, Meité, Izzo, trainati dall’indole caparbia di Belotti o Zaza; è ai primi posti per il baricentro medio ed è solo dietro a Sampdoria e Roma per quanto riguarda la linea del fuorigioco, tenuta intorno ai 31 metri.
L’Atalanta, invece, spicca nelle classifiche di tutti gli indicatori: ha il baricentro più alto del campionato, è la seconda squadra più lunga ed è a ridosso delle prime 5 per larghezza e linea del fuorigioco. Anche se ci siamo abituati, non sono risultati scontati per una squadra che fa della marcatura a uomo il proprio marchio di fabbrica: la squadra di Gasperini riesce al tempo stesso a mantenere una struttura collettiva solida, con dei meccanismi difensivi che si tengono sempre conto dei movimenti dell’avversario, e a coprire molto campo in verticale e in orizzontale.
Un esempio del tutto diverso è il Parma: ultimo per baricentro (45 m), fuorigioco (16,3 m) e altezza recuperi (29,9 m). La squadra di D’Aversa campeggia in maniera estrema sulla propria trequarti, cercando di non accorciare troppo i reparti (lunghezza 35,3 m), un sistema che è funzionale alla velocità dei suoi uomini migliori, Gervinho soprattutto, ma anche Inglese e Di Gaudio.
Appena sopra il Parma, con un baricentro di 46,5 metri, troviamo il confusionario Chievo di quest’anno, squadra molto larga (49,2 m) e lunga (36,1 m) che però non ha rinunciato a tenere un atteggiamento sul fuorigioco abbastanza coraggioso (23,2 m). Valori sintomatici di una identità tattica poco definita.
Il Genoa, allenato prima da Ballardini e ora da Juric, accetta di trascorrere ampie fasi senza il pallone sulla base di un 3-4-1-2/3-5-2 più cauto sul fuorigioco (21,6 m) ma che punta a recuperare la palla non troppo in basso (34,8 m). Anche se nelle prime partite di Juric questa compattezza è sembrata smarrirsi, l’impressione avuta dalla prima parte di stagione è quella di una squadra abbastanza attenta a garantirsi densità nell’imbuto centrale, cercando di mantenere un rapporto lunghezza/larghezza ridotto senza esasperare nessuno dei due aspetti, che si attestano rispettivamente sui 35,1 metri e 47,1 metri. Va rimarcato però come la vena realizzativa di Piatek, unita alla mobilità di Kouamé, abbia dato un surplus non indifferente alla capacità offensiva complessiva dei rossoblù, altrimenti poco variegati nelle soluzioni d’attacco.
Perché scegliere di restare corti?
Ci sono poi quelle squadre che hanno volutamente una lunghezza ridotta, come il Sassuolo di De Zerbi (la quarta squadra più corta del campionato), che durante le fasi di attacco posizionale sfrutta una linea difensiva alta, che si ritrova ad accompagnare la manovra mentre gli attaccanti cercano di venire incontro.
Questo dato va considerato vicino ai numeri relativi alla larghezza dei neroverdi, una delle squadre con più ampiezza del campionato (dietro solo a Napoli e Frosinone); e a quello del baricentro, abbastanza basso, che ci suggerisce come amino consolidare il possesso con i difensori, attirando gli avversari e dando modo ai propri attaccanti di organizzare la verticalizzazione sulla base degli spazi creati tra le linee avversarie.
La linea del fuorigioco più alta è - sorpresa sorpresa - quella della Sampdoria di Giampaolo, che è anche la squadra più corta del campionato dopo l’Udinese e il Frosinone, con valori abbastanza alti per quanto riguarda baricentro e recuperi. A sorprendere è la capacità dei doriani di trovare una copertura dell’ampiezza più che buona, nonostante l’adozione di un sistema di gioco - il 4-3-1-2 con il rombo a centrocampo - che privilegia il presidio del centro. In questo senso è da sottolineare il lavoro delle due punte, Quagliarella e Defrel, che danno una mano a mezzali e terzini per consolidare l’attacco sulle fasce.
Un'altra squadra che copre bene l'ampiezza (48,4) nonostante il 4-3-1-2 è il Cagliari, del quale non emergono però particolari rilevanze statistiche in nessun ambito. Il baricentro di 50,2 è in linea con quello della Sampdoria, ma si possono notare alcune differenze di atteggiamento: i sardi hanno una lunghezza più elevata (36,6) e prediligono il gioco sul lungo come il suo allenatore aveva già mostrato negli anni a Verona. Maran inoltre adotta un atteggiamento più prudente sul fuorigioco rispetto a Giampaolo, con una linea oltre 10 metri più bassa (23,2). Anche l'altezza media dei recuperi è abbastanza bassa, collocata intorno ai 34,3 metri.
Prima di chiudere, però, vale la pena dare un’occhiata anche ai dati di Empoli e Frosinone. Prima che venisse esonerato, Andreazzoli aveva la squadra più lunga del campionato (40,2 m), sesta per l’altezza del baricentro (51,8 m) ma con una linea del fuorigioco piuttosto bassa (24,3 m) e un recupero palla non all’altezza dei primi due dati (36,2 m). Queste informazioni danno l’idea di una squadra molto aperta (e piuttosto stretta), ma che rischiava sempre troppo in transizione difensiva.
Il Frosinone invece ha un approccio esattamente opposto: baricentro (47,7 m), lunghezza (32,8 m), fuorigioco (19,2 m) e recupero palla (30,6 m) sono estremamente bassi, il dato sulla larghezza (50 m), invece, è il più elevato del campionato. La squadra di Longo tenta di trovare sicurezza nel presidio della propria area, e per concedere il meno possibile anche sulle fasce si ritrova inesorabilmente spesso schiacciata. Da qui derivano le difficoltà sia nella costruzione del gioco dal basso che nello sbocco tramite verticalizzazioni profonde, nonostante Longo abbia provato a migliorare la situazione schierando sempre più spesso tra le linee sia Ciano che Campbell. Il valore tecnico non eccelso della rosa ha suggerito a Longo un atteggiamento prudente, attento a non portare avanti troppi uomini per non restare scoperti nelle transizioni difensive, e un’occupazione del campo in ampiezza che privilegia le fasce per sviluppare la manovra.
Questa differenza è il chiaro esempio della premessa in apertura: non esistono atteggiamenti vincenti a tavolino, ma migliaia di sfumature nella copertura del campo che ogni allenatore può adottare per cercare di ottimizzare al meglio le risorse a disposizione. Individuare le criticità e i punti di forza e trovare il vestito più adatto è un lavoro che può richiedere settimane, talvolta addirittura mesi, e non sempre il risultato tattico finale coincide con le intenzioni del tecnico.
La capacità di trovare i giusti compromessi che garantiscano equilibrio, ossia una ripartizione adeguata dei compiti offensivi e difensivi a prescindere da quale sia l’indole generale, è ciò che distingue le eccellenze dagli ottimi professionisti. E che, alla fin fine, determina il successo di una squadra.