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Redazione

I migliori gol di novembre 2019

È stato un mese di grandi tiri dalla distanza, ma non solo.

Senza che nemmeno ce ne accorgessimo novembre è già finito. È stato un mese in cui si è giocato molto, nonostante la pausa per le nazionali, e in cui i gol belli non sono mancati. Ci sono diversi grandi tiri dalla distanza, forse il gesto tecnico che più ha contraddistinto questo mese di Serie A: oltre a quello su punizione di Gabbiadini, e quelli di Balotelli e Barella che troverete dopo, sono rimaste fuori le bombe da fuori area di de Paul contro il Genoa e di Nainggolan contro la Fiorentina.

 

Ma ci sono anche azioni collettive talmente ben eseguite da non sembrare vere, e gol di una grazia tecnica inusuale, come quello di Gianluca Mancini contro il Brescia, soprattutto perché messi in scena da corpi che siamo abituati a vedere fare a spallate in difesa. Insomma, è stato un mese ricco come forse non ci aspetteremmo da un periodo dell’anno che annuncia l’inverno. Abbiamo provato a riassumerlo con i sei gol che troverete di seguito. Buona lettura.

 

Dove l’avevamo già visto questo gol di Gabbiadini?

 

Manolo Gabbiadini è uno di quei giocatori che basa gran parte delle proprie capacità realizzative sulla qualità con cui calcia il pallone, eppure erano più di cinque anni che non segnava una punizione diretta. Per una coincidenza abbastanza straordinaria per un giocatore che ha cambiato due squadre prima di tornare a Genova, anche quella volta aveva la maglietta della Sampdoria, e anche quella volta era al Ferraris. Anche la porta era la stessa e persino la posizione da cui partì il tiro era molto simile (vedere per credere).

 

Era il 14 settembre del 2014, la Sampdoria avrebbe battuto facilmente il Torino per 2-0 con raddoppio di Okaka. Gabbiadini non aveva ancora compiuto 25 anni. A quel tempo sembrava potesse diventare un giocatore rilevante anche per le più grandi squadre della Serie A, e infatti dopo una prima parte di stagione da 9 gol in 15 partite tra Coppa Italia e campionato passerà al Napoli a gennaio. Poi cinque anni tra alti e bassi, molte partite in panchina e un’esperienza fallimentare in Premier League. Gabbiadini era lentamente sbiadito nella nostra memoria, trasformato al massimo in un nome nell’asta invernale del fantacalcio. Forse aveva proprio bisogno di segnare una punizione quasi identica all’ultimo momento in cui ci aspettavamo qualcosa da lui per riappropriarsi di una consistenza reale.

 

E quindi ecco di nuovo Gabbiadini sul pallone in un déjà-vu, quasi perfetto, se adesso non avesse 28 anni, la Sampdoria non fosse in una delle stagioni più negative degli ultimi anni e non ci fosse la pioggia battente ad appiccicargli i capelli sulla fronte. Quasi perfetto, anche perché in realtà questa punizione è molto più bella. Parte da una manciata di metri più lontano dalla porta e, nonostante questo, passa tesissima sopra la barriera per infilarsi in un attimo nell’angolo in alto a sinistra di Musso, che non si gira nemmeno verso la porta dopo il gol e rimane piegato a terra a maledire chissà cosa.

 

Sembra passata una vita da quando Padelli, con la maglia del Torino, si fece invece sorprendere sul suo palo da un tiro più lento e banale, rasoterra – mentre i tifosi blucerchiati esultavano ballando sotto il sole cocente. Forse è passata davvero.

E se Gianluca Mancini in realtà fosse un attaccante?

 

Ormai anche gli organismi monocellulari sanno che per sopravvivere non è necessario essere il più forte quanto, piuttosto, sapersi adattare. Di sicuro lo sapeva Paulo Fonseca prima di venire in Italia per allenare la Roma, prima di affrontare un autunno in piena emergenza, con un centrocampo così pieno di infortunati che è stato costretto a far giocare un difensore a centrocampo per un mese esatto. Dal 24 ottobre, partita di andata contro il Borussia Mönchengladbach in Europa League, Gianluca Mancini ha giocato centrale di centrocampo (in coppia con il francese Jordan Veretout). Adattato, appunto. Fino al 24 novembre, partita di campionato giocata contro il Brescia, in cui è tornato a giocare in difesa e – tu guarda gli scherzi del destino – ha segnato il suo primo gol con la maglia giallorossa.

 

Dopo un inizio di stagione non semplice, in cui era stato chiamato a coprire il vuoto tecnico e affettivo lasciato da Kostas Manolas, non riuscendoci fino in fondo, sembrava che Mancini non sarebbe riuscito a confermare la scorsa, grande, stagione con l’Atalanta di Gasperini. Un sistema di gioco così diverso da qualsiasi altro che quasi tutti i giocatori partiti da Bergamo hanno faticato a cambiare maglia: ci stava riuscendo Bryan Cristante prima di infortunarsi – tu guarda, ancora, gli scherzi del destino – proprio nel ruolo che ha ricoperto Mancini in quel mese.

 

Spostato a centrocampo, Mancini ha mostrato un’intelligenza tattica notevole che gli ha permesso di sbagliare pochissimo con e senza palla, facendo da schermo davanti alla difesa e da primo costruttore di gioco, aggredendo in avanti e abbassandosi tra i centrali difensivi per impostare (a qualcuno avrà ricordato De Rossi). Ma è andato oltre ogni più rosea aspettativa, con una precisione nei passaggi da centrocampista di élite (89.3%) e una visione di gioco sulla trequarti non “da difensore”.

 

Il gol con il Brescia è un premio del destino anche se arrivato con una giornata di ritardo. Un pallonetto di prima intenzione, su sponda di Smalling – entrambi rimasti in area dopo un calcio d’angolo battuto all’indietro – che non solo non è “da difensore” ma non è neanche “da centrocampista”: la sensibilità nel tocco, la propriocezione e la consapevolezza di dove si trovava il portiere sono da finalizzatore finissimo, da centravanti esperto, nato “con l’istinto del gol”.

 

La Roma di Fonseca ci ha regalato molte sorprese in quest’ultimo periodo, Mancini forse è stata quella più sorprendente di tutte. E in caso servisse Fonseca potrebbe provarlo anche in attacco, chissà che la Roma non abbia già in casa il prossimo Dzeko (si scherza, ovviamente).

Il gol al volo di Dzemaili contro il Parma

 

Blerim Dzemaili ha 33 anni e senza che nessuno se l’aspettasse è tornato dal regno dei giocatori sulla via del tramonto per trascinare questo ultimo Bologna di Mihajlovic. La sua carriera in Europa sembrava finita già due anni fa, quando si era trasferito al Montreal Impact (l’altro club di Joey Saputo, in MLS) per far passare gli ultimi anni della sua vita professionale. E invece dopo appena metà stagione (in cui comunque aveva messo a segno 7 gol e 12 assist) è tornato in Italia, in un’operazione che però sembrava non poter fermare il declino – né di Dzemaili né del Bologna.

 

Solo in quest’ultima parte di campionato abbiamo davvero apprezzato il valore del suo ritorno in Serie A. Nelle ultime sei partite, Dzemaili è partito titolare ben quattro volte, sempre con la fascia di capitano al braccio. E nelle ultime due ha messo a segno un gol e un assist, portando il Bologna a conquistare 4 punti contro Parma e Napoli dopo una striscia molto negativa di quattro sconfitte nelle precedenti cinque partite.

 

Proprio il gol di Dzemaili contro il Parma, per com’è arrivato, ha rappresentato la piccola svolta psicologica di questo ultimissimo scorcio di campionato. Il Bologna stava perdendo per 1-2 fino a quella che è stata letteralmente l’ultima azione della partita, e senza il gol del centrocampista svizzero sarebbe stata la quarta sconfitta consecutiva in campionato. La cifra della disperazione della squadra di Mihajlovic è data dalla presenza in area di Skorupski, che arriva quasi a colpire il pallone di testa in area se non venisse anticipato all’ultimo secondo da Paz, difensore argentino entrato alla fine del secondo tempo per sostituire l’infortunato Tomiyasu. Paz rimette il pallone al centro senza troppo curarsi di indirizzare la palla, che infatti sembra uscire dall’area in maniera pigra poco prima di cadere proprio nella zona di Dzemaili, che stava tornando indietro dopo aver provato a saltare sul primo palo.

 

Il capitano del Bologna deve accelerare il passo per arrivare a colpire il pallone al volo ed evitare che Kulusevski, lì a due passi, arrivi prima di lui. Gli ultimi tre passi sembrano quelli di chi sta prendendo la rincorsa per saltare in area e colpire di testa. E invece Dzemaili alza la gamba per colpire il pallone di collo pieno, senza nemmeno piegare troppo il busto, in un movimento che ricorda un servizio a tennis. La palla, arrotata, gira e passa potente sopra la testa di Sepe, che non riesce nemmeno a fare in tempo ad alzare le braccia in tempo per respingere il pallone.

 

Il gol di Dzemaili permette al Bologna di pareggiare. Ma mi piace pensare che la sua bellezza e il modo in cui è arrivato abbiano anche finalmente inclinato il piano psicologico su cui gioca la squadra di Mihajlovic, che era diventato incredibilmente ripido. Chissà se il Bologna sarebbe stato capace di vincere lo stesso a Napoli, senza questo gol di Dzemaili.

Il gol a giro di Barella contro il Verona

 

Questo splendido gol di Barella contro il Verona è arrivato a nemmeno quattro giorni di distanza dalla terza sconfitta stagionale dell’Inter, in casa del Borussia Dortmund, e dalle ormai famose dichiarazioni di Conte, che alla luce di quella partita si chiedeva in maniera provocatoria a chi dovesse chiedere l’esperienza internazionale che serviva per vincerle: «A parte Godin nessuno ha vinto niente qui. A chi chiedo qualcosa in più? A Barella che arriva dal Cagliari?».

 

La risposta di Barella non si è fatta attendere affatto. L’Inter veniva da una partita frustrante contro uno dei sistemi difensivi più aggressivi ed efficaci del campionato, e sembrava ormai arresa all’idea di perdere due punti nell’estenuante corsa scudetto con la Juventus.

 

Con il Verona quasi ormai del tutto collassato sulla linea di difesa a difendere l’1-1, Barella ha preso palla sulla sinistra della trequarti, se l’è portata avanti con l’esterno fino al limite dell’area senza dare troppo a vedere le sue intenzioni e solo poco prima del tiro ha iniziato ad accelerare, come se il campo si fosse improvvisamente inclinato verso la porta di Silvestri. L’ex centrocampista del Cagliari ha rincorso la palla quasi fino alla lunetta e poi ha tirato saltando, in un movimento plastico da manga giapponese. E proprio come in Holly e Benji la palla è sembrata metterci una vita ad arrivare in porta, facendo un giro lunghissimo prima di aggirare Silvestri e finire in rete. Forse Barella non sarà ancora un fattore sufficiente per battere i top club europei in Champions League, ma basta contro una delle squadre più ostiche del campionato.

Il gol da sogno di Rog contro la Fiorentina

 

Della sorprendente prima parte di stagione del Cagliari, la vittoria per 5-2 contro la Fiorentina è forse la cartolina più vivida e il gol d’apertura di Rog probabilmente l’idea platonica del gioco offensivo di Maran.

 

L’azione parte lenta e orizzontale con un passaggio all’indietro per Cigarini, che avanza di qualche passo nel tentativo di passarla a Nainggolan prima di vedere alla sua sinistra Joao Pedro, libero sulla trequarti ma circondato dalle maglie bianche della Fiorentina. A quel punto l’azione sembra scattare in verticale in automatico, come se il possesso di Cigarini fosse stata la molla di un carillon. Joao Pedro apre in diagonale per Nainggolan che, per anticipare l’arrivo di Pezzella, serve con l’esterno Rog – tutto di prima. Il croato era sgattaiolato alle spalle di Milenkovic senza che nessuno se ne accorgesse, interpretando alla perfezione l’importanza che nel nuovo 4-3-2-1 di Maran hanno gli inserimenti verticali delle mezzali. A quel punto Rog è solo davanti a Dragowski e gli basta tirare di collo pieno, dritto per dritto, per spiazzare il portiere polacco, che sceglie l’angolo sbagliato per andare a terra.

 

È tutto così semplice, tutto così perfettamente riuscito da sembrare irreale. Che poi è quello che forse stanno pensando i tifosi del Cagliari in questo momento: non è questo quello che si intende quando si parla di sogno o di favola in relazione a un momento di forma così eccezionale?

La palla curva di Balotelli contro il Verona

 

Il pallone scagliato contro il settore occupato dalle Brigate Gialloblù del Verona ha fatto passare sottotraccia lo splendido gol segnato poco dopo da Balotelli. Le due cose – il razzismo che sta strabordando in ogni aspetto della nostra quotidianità come la laguna che si è presa piazza San Marco, una metafora fin troppo facile da fare – sono imparagonabili per l’impatto che hanno sulle vite di chi abita in Italia, ma è vero anche che il calcio e lo sport in generale sono sempre serviti come riscatto di un’umanità sempre più brutta e cattiva rispetto ai singoli momenti di bellezza che è capace di creare. Magari è un riscatto solo estetico, ma tant’è.

 

Mario Balotelli è una persona che fa i conti con il razzismo da sempre, quando ancora non era neanche un tema dibattuto. Ma è anche una persona come tante, un calciatore ricco e magari viziato, superficiale, sicuramente poco acculturato e istruito come tanti calciatori sono. Però aveva un talento eccezionale, che per un attimo, quando si è affacciato al professionismo, lo ha fatto sentire più forte di tutto e tutti. Un talento che non è stato quasi per niente sviluppato: il Mario Balotelli maturo vale molto meno del Mario Balotelli diciannovenne che faceva le linguacce.

 

Oggi Balotelli è un attaccante che non ama spostarsi dalla fascia centrale di campo, che viene incontro alla palla e spesso da fermo tira da posizioni di campo impensabili anche per i migliori. I tiri di Balotelli (5.5 ogni 90’, di cui 3 da fuori area) sono quel che resta del suo talento, un monumento all’idea di giocatore capace di decidere la partita con un colpo solo. Contro il Verona non è stato utile ai fini del risultato (il Brescia ha perso 2-1) ma il suo tiro ha viaggiato verso l’incrocio dei pali con l’ineluttabilità di una palla da baseball, una palla curva di Sandy Koufax (uno dei migliori lanciatori della storia della MLB).

 

Un attimo di pace in cui Balotelli si è riconciliato con il mondo. Seguito da un’esultanza a testa bassa, che è tutto quello che i tifosi italiani sembrano disposti a concedergli, ormai.

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