Dopo un’ora e dieci minuti di quasi niente, la pazienza del pubblico di San Siro era stata messa a dura prova. D’accordo, il calcio non deve essere solo uno spettacolo, ma anche un rito, una specie di cerimonia di cui accettiamo anche le parti noiose (raro rispetto ad altri sport). Ma ci deve essere comunque una ragione che vada oltre la passione stessa, la fedeltà, per spingere i tifosi fuori dalle loro case, a sedersi al freddo, no?
Anche per chi resta a casa, bisognerà pur offrirgli qualcosa per pagare abbonamenti sempre più cari, e poi resistere alla tentazione dell’ennesima scrollata del feed o dell’ennesima serie crime. Il risultato è importante, ma non può essere davvero l’unica cosa che conta, altrimenti il calcio si riduce a un tabellino da consultare velocemente il lunedì mattina - come, per inciso, faceva mio nonno sfogliando veloce le pagine del giornale al bar: non esattamente un modello di tifoso.
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In ogni caso, a venti minuti scarsi dalla fine della partita la pazienza degli spettatori di Milan-Juventus stava per venire meno da un momento all’altro. Eppure una flebile speranza che qualcosa potesse sul serio accadere si riaccende quando Locatelli sbaglia un cambio di gioco da sinistra a destra per Coinceção, passando la palla a Pulisic. La Juventus in quel momento aveva cinque uomini nell’area di rigore milanista e ci sarebbe la possibilità di giocare una transizione bruciante sul lato sinistro del campo, di quelle che hanno fatto la fortuna del Milan negli anni passati.
Il pubblico di San Siro ha un leggero sussulto, chi dorme viene svegliato dal vicino di posto come si fa con la propria moglie o il marito che si addormenta davanti a una serie TV e sta arrivando un momento importante. Pulisic parte palla al piede, è appena entrato in campo, è fresco, e Coinceção fatica a recuperarlo. Quando arriva sulla trequarti Theo Hernandez gli taglia davanti mentre Leao si allarga in fascia; non c’è Morata, che si era abbassato a difendere al limite dell’area e quando l’azione è diventata offensiva non ce l’ha fatta a scattare in avanti.
Le energie di Pulisic, fisiche e mentali, sembrano esaurirsi, passa la palla a Leao e fa una specie di movimento in profondità. Leao la controlla con calma, alza la testa e ignora Reijnders che sul lato opposto del campo si stava buttando in area alle spalle di Gatti. Leao la passa all’indietro a Fofana, Reijnders alza le braccia al cielo e a quel punto la Juventus è rientrata negli ultimi trenta metri di campo con tutti e dieci i suoi uomini di campo.
San Siro protesta con un coro di voci disordinate che in comune hanno solo il fastidio per l’ennesimo spreco. Chi era stato svegliato prova a riaddormentarsi, ma ormai i sogni sono svaniti, anche con gli occhi chiusi non riesce a vedere altro che passaggi dal terzino al centrale di difesa, dal centrale al portiere, e così via.
Da quel momento in poi ogni passaggio all’indietro o in orizzontale verrà sottolineato da mugugni e qualche fischio, ogni passaggio sarà un passaggio di troppo, una provocazione. L’arbitro fa giocare un minuto in più rispetto ai tre di recupero concessi e quando fischia la fine San Siro si lamenta come un animale ferito. Come 75mila animali feriti. Sono fischi liberatori, di chi semplicemente non ce la faceva più.
«Non sono difensore di questo», commenta Fonseca a fine partita, dicendo di capire i fischi di tifosi. Ambrosini ha sottolineato la mancanza di «energia», chiedendo come se lo spiegasse. «È stata una partita molto molto tattica», ha risposto Fonseca. «È stata una partita senza rischi da ambo le parti». Poi ha aggiunto che ok, la Juventus difende bene, ma il Milan ha sprecato anche le opportunità avute attaccando velocemente. In quei casi: «Non prendiamo il rischio, o abbiamo preso delle decisioni che non sono state buone».
L’impressione del pubblico non è solo validata da Fonseca - a cui si può rimproverare tutto tranne un’onestà di base che sarebbe bello trovare in altri allenatori, e che forse è alla base del modo sempre un po’ irrispettoso con cui viene trattato: anche in questo caso, a quanti altri allenatori avrebbero cominciato l’intervista chiedendogli dei fischi dei tifosi? - ma anche dai semplici dati statistici.
Non era solo un’impressione: le combinazioni di passaggi più frequenti nel Milan sono state, nell’ordine, quelle da Gabbia per Maignan; da Maignan per Gabbia; da Gabbia per Thiaw: da Thiaw per Maignan (i dati sono di Statsbomb). Nella Juventus: Gatti per Cambiaso e Kalulu per Gatti sono stati di gran lunga i percorsi più utilizzati per mantenere il possesso.
A fine partita il Milan ha accumulato appena 0.25 Expected Goals, con un solo tiro nello specchio (il colpo di testa debole, al 94esimo minuto, di Theo Hernandez); la Juventus poco di più, 0.43xG, quasi tutto con due occasioni: quella al settimo minuto in cui Francisco Coinceção che ha colpito malissimo un cross di Cambiaso, e quella a inizio secondo tempo in cui Cambiaso è entrato in area e ha calciato su Thiaw.
Ma a generare la noia è stato, come sempre, un mix di atteggiamento offensivo e difensivo. In avanti è mancato magari il coraggio delle iniziativa individuale, in favore di un possesso “di controllo”, ma ha contribuito anche l’atteggiamento prudente senza palla, la mancanza di pressione che non ha provato a contestare quello stesso controllo.
Le mappe della pressione di Milan e Juve sono piuttosto indicative di come entrambe le squadre abbiano provato a recuperare palla sulle fasce e a ridosso della metà campo (grafici StatsBomb).
Se confrontiamo gli xG fatti e subiti dalle prime sette in classifica in Italia e in Inghilterra, si nota che mentre da noi ben tre squadre hanno concesso meno di 10 xG (Juve, Lazio e Napoli), in Inghilterra lo ha fatto solo il Liverpool. Escluse Atalanta e Inter le altre cinque squadre in cima alla classifica della Serie A hanno tutte generato meno xG delle prime sette inglesi, ad esclusione di Arsenal e Nottingham Forest.
Federico Martucci scriveva, proprio dopo il pareggio con otto gol tra Inter e Juventus, di come la Serie A sia l’unico campionato - confrontato a Liga, Bundesliga, Premier League e Ligue 1 - dove nelle partite tra le prime 7 in classifica si segnano meno gol e si generano meno xG (ovvero meno occasioni percilose). Negli altri campionati, il dato degli xG e quello dei gol si alzano, invece di scendere. Martucci collegava questa nostra peculiarità a un’altra simile: il numero sorprendentemente basso di dribbling. Ha senso: il dribbling è l’aspetto del gioco in cui si rischia di più, in cui la percentuale di errore, anche per dribblatori eccezionali, raramente scende sotto il 40%.
Inter-Juventus 4-4 era stata una strana eccezione, soprattutto considerando il fatto che la Juventus fino a quel momento aveva subito un solo gol in campionato (su rigore, oltretutto). Dopo quella partita ne ha subiti altri due contro il Parma, si pensava fosse la conseguenza dell’infortunio di Bremer, che sicuramente ha influito, ma adesso che nell’ultimo mese ha subito un solo gol (in Champions, contro il Lille) le cose sembrano tornate a posto. La Juventus è la squadra con più clean sheet in Europa, già 10 da inizio stagione.
Contro il Milan, la squadra di Thiago Motta è scesa in campo con McKennie e Koopmeiners sulla linea più avanzata, e Kephren Thuram e Locatelli subito dietro. Sugli esterni c’erano due giocatori che vogliono la palla sui piedi per rientrare sul proprio piede forte - Yildiz e Coinceção - cosa che ha tolto profondità alla Juventus e possibili cross dal fondo.
Certo, l’assenza per affaticamento di Vlahovic (unita agli infortuni più seri di Milik e Nico Gonzalez) e quella di Cabal (che ha riportato Cambiaso a giocare terzino), giustifica in parte una formazione così conservativa, ma davvero non c’erano altre opzioni a disposizione? Timothy Weah (3 gol e un 1 assist nell’ultimo mese) è entrato a dieci minuti dal termine, Mbangula nel recupero.
Ma la Juventus aveva 6 punti di vantaggio e giocava fuori casa, ed ha comunque prodotto di più. Che scusa aveva, invece, il Milan? Se mancava la voglia di prendersi rischi, perché Fonseca ha fatto un solo cambio prima dell’84esimo minuto (appunto, Pulisic per Loftus-Cheek), lasciando a Chuckwueze le briciole di una partita già finita e Okafor (e Camarda, che contro il Cagliari aveva fatto partire dall’inizio) in panchina?
Insomma, chi è che deve prendersi dei rischi: i giocatori o gli allenatori? E soprattutto: noi spettatori vogliamo davvero che le nostre squadre - e quelle avversarie, quelle che guardiamo da “neutrali” - prendano dei rischi? Dopo il sorprendente 4-4 tra Inter e Juve non sono mancate le reazioni indignate per un risultato che per qualcuno è più il sintomo di impreparazione difensiva che talento nell'ultimo quarto di campo.
Dopo la partita con la Roma, Antonio Conte si è detto «molto soddisfatto» dalla prestazione della sua squadra. Lo studio lo ha trattato con i guanti e anche quando Stramaccioni ha lasciato trapelare un po’ di insoddisfazione sul gioco offensivo del Napoli, lo ha fatto girando in modo positivo la sua domanda. Dopo aver sottolineato la «solidità» del Napoli chiedendo a Conte come vuole far migliorare ulteriormente la sua squadra.
Conte ha risposto in modo vago ma forse centrando il punto, sottolineando che loro lavorano soprattutto la fase offensiva (excusatio non petita, accusatio manifesta), passando poi a lodare le qualità a disposizione della Roma che negli ultimi venti minuti aveva creato qualche apprensione di troppo. La Roma, in realtà, stava vivendo forse il suo momento più difficile in una stagione già molto complicata, con un nuovo allenatore chiamato come un idraulico a mezzanotte per tamponare una perdita che rischia di allagare la casa.
Claudio Ranieri pensava a limitare i danni: ha cambiato modulo dopo un tempo, passando a una linea a 5 difensiva e togliendo un centrocampista esterno; ha finito la partita con due sostituti poco utilizzati da quelli che lo hanno preceduto (Abdoulhamid e addirittura Samuel Dahl, un terzino, in posizione di mezzala), mentre Paulo Dybala, il giocatore più creativo e influente della squadra, è entrato a tre minuti dalla fine, e Soulé è rimasto seduto in panchina.
Anche qui le giustificazioni non mancano: la Roma affrontava la squadra potenzialmente prima in classifica, fuori casa. Ma davvero non poteva provare a fare qualcosa in più? Pur considerando la scarsa pressione del Napoli, la Roma non sapeva cosa fare della palla a parte cercare la propria punta col lancio lungo e, di fatto, ha avuto una sola occasione, il colpo di testa di Dovbyk su una punizione battuta dalla trequarti da Angelino, accumulando appena 0.33xG.
Il Napoli ha fatto un pochino meglio, con 1.37xG e due tiri in porta. Ha dominato tre quarti di partita, questo sì, ma se si esclude l’azione del gol di Lukaku (0.59xG, praticamente la metà del totale) ha avuto solo un’altra occasione al primo minuto, con un cross per Kvaratskhelia, non certo uno specialista di testa. Anche con l’Inter (1-1) il Napoli aveva prodotto 0.84 xG ma, togliendo il gol di McTominay (0.58 xG) il risultato è di appena 0.26 xG. In questo senso, più che la qualità della Roma, quello che ha fatto chiudere la partita in avanti alla Roma è sembrato l'atteggiamento del Napoli stesso, che dopo il gol, a dieci minuti dall'inizio del secondo tempo, non ha avuto occasioni per più di mezz'ora, fino al colpo di testa di Folorunsho a pochi minuti dalla fine.
Contro il Milan, a San Siro, la squadra di Conte ha vinto 0-2, generando però appena 0.79 xG. L’unica occasione di rilievo è stata quella del vantaggio di Lukaku dopo pochi minuti (0.27 xG), un’azione personale del centravanti che parte da trequarti di campo e resiste al ritorno del difensore, le altre hanno avuto basso valore, compreso il tiro da lontano di Kvara (0.04 xG). Ma è bastato comunque a fare meglio del Milan, che in tutta la partita è arrivato a 0.69 xG.
Insomma il Napoli, che quando attacca lo fa bene, per carità, è una squadra che si accontenta. Che prova a controllare la partita riducendo i rischi, soprattutto nei big match, proprio come fanno quasi tutte le altre squadre italiane. Sia chiaro, non è un’accusa al gioco di Conte, o di Fonseca, di Motta, quanto una constatazione di come stanno le cose in Serie A. Parlando nello specifico di Conte, anzi, è un atteggiamento che non solo sta venendo premiato dai risultati, ma che si spiega anche con l’inizio di un nuovo progetto dopo una stagione terribile in cui più o meno questa stessa squadra è finita al decimo posto.
In un campionato dove quasi tutte le squadre la pensano alla stessa maniera, riducendo il ritmo con e senza palla, rinunciando alla pressione e persino alle transizioni - con alcune lodevoli eccezioni come Atalanta, Lazio, Bologna, ma anche Fiorentina, Parma, Empoli - si può persino provare a vincere il campionato senza fare molto più di così.
È interessante il fatto che quando Stramaccioni parla dell’azione di Di Lorenzo sottolineando come sembrasse una situazione studiata, con Politano largo ad attrarre Angelino, Conte dica di non voler scendere nei particolari perché «non voglio che qualcuno cominci a prendere delle misure». Non è paranoia, semmai Conte non nasconde questa mentalità delle contromisure, del limitare l’avversario prima di tutto, che in effetti sembra governare il calcio italiano.
È un tema di cui ormai discutiamo ogni settimana e in cui il nostro dibattito sembra essersi incastrato in una ricorsività asfissiante. Ci lamentiamo dello scarso spettacolo ma ci lamentiamo anche degli errori che accompagnano lo spettacolo stesso (perché molti errori non sono gratuiti, ma forzati da una giocata avversaria). Ci lamentiamo che mancano i numeri dieci, i dribblatori, ma poi critichiamo quelli che perdono palla, che provano la giocata quando avrebbero lo scarico vicino.
Diciamo che c’è meno tecnica di una volta, ma quando poi qualcuno fa qualcosa di notevole ce la prendiamo con le difese, diciamo che non ci sono più i marcatori di una volta.
Gli allenatori vorrebbero vincere dominando la partita ma soprattutto controllandola, gestendone i diversi momenti senza mai perdere l’equilibrio o allungandosi. Non si pressa per togliere palla ma per spingere all’errore o al lancio lungo, si copre il centro per indirizzare il possesso verso le fasce, ci si abbassa in linee compatte, magari con il buon vecchio 4-4-2, poi però c’è troppo campo da risalire.
Si cerca il gol che possa giustificare un baricentro medio-basso, per allungare il campo in attacco e accorciarlo in difesa, ma se poi quel gol non arriva, o magari arriva quello degli avversari, si resta senza piano B, a parte tenere palla nella metà campo avversario e provare a crossare.
Qualcuno dice ancora che lo 0-0 è il risultato perfetto, poi però fischiamo quando vediamo partite come Milan-Juventus.