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Il miglior portiere italiano (degli ultimi due mesi)
28 feb 2022
Intervista a Wladimiro Falcone, che sta stupendo con la Sampdoria.
(articolo)
14 min
(copertina)
Foto di Danilo Vigo / IPA/Fotogramma
(copertina) Foto di Danilo Vigo / IPA/Fotogramma
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«La Samp è la mia seconda famiglia» mi dice Wladimiro Falcone mentre parliamo via Skype dopo il suo allenamento. È seduto su una panchina all’aperto, a Bogliasco c’è il sole e si vede che sta bene, è sereno. Negli ultimi due mesi è stato il miglior portiere della Serie A, statistiche alla mano. Nelle sette partite giocate fin qui ha subito appena cinque gol, in una squadra che in media ne prendeva quasi due a partita. E, infatti, secondo i dati di Statbomb, in base alla qualità dei tiri ricevuti (i PSxG) di gol ne avrebbe dovuti subire nove. Nessun portiere ha un saldo migliore di lui in Serie A (+4,2 per essere precisi).

Certo, il campione non è ampio, e le cose possono cambiare rapidamente per un portiere, ma la bontà delle prestazioni di Falcone sono sotto gli occhi di chiunque abbia visto una sua partita o se lo sia trovato come avversario della propria squadra del cuore. Gli chiedo come giudica questo momento di forma, se se lo aspettava almeno lui, visto che da fuori era difficile ipotizzare che un secondo portiere senza esperienza in Serie A potesse arrivare all’improvviso e mettere insieme prestazioni da top nel ruolo. Falcone non mi dice sì o no, mi parla di fiducia, una fiducia acquisita con l'allenamento: «Vedo che i miei compagni si sentono sicuri quando sto in porta con loro. Sai fai la partitella e mi fanno la battuta, “contro di te in porta perdiamo…”, però c’è sempre un fondo di verità».

Lui che due anni fa era il terzo portiere della Sampdoria e diceva che la sua partita «era l’allenamento», che sicuramente sognava un’occasione del genere, ma che sapeva bene come non fosse scontata. Falcone ha dovuto aspettare i 26 anni per arrivare a difendere i pali della Sampdoria, alla dodicesima stagione in blucerchiato. A Genova ci è arrivato che di anni ne aveva appena quattordici dalla Vigor Perconti, una delle migliaia di scuole calcio presenti a Roma; si è fatto subito notare vincendo lo scudetto con gli allievi, un risultato non banale per una società che ne può contare appena tre (uno appunto con gli allievi, uno con la Primavera e uno con la prima squadra). Grazie a quei risultati era entrato anche nel giro delle nazionali giovanili e forse si aspettava che la porta dei grandi fosse a un passo. Invece è iniziato un giro di prestiti intervallati da periodi come terzo portiere a Genova. Realtà periferiche e difficili come Savona, Como, Livorno, Bassano Virtus, Gavorrano, Lucchese.

«Ci sono stati diversi momenti in cui ho pensato di non farcela, di non arrivarci più in Serie A» mi dice parlando di quelle esperienze. Non deve essere stato facile venire a patti col contesto, accettare che il suo posto era lì e non alla Sampdoria: «Da quando sono arrivato tutti i preparatori mi dicevano sempre che avevo grandi qualità, che ero forte. Però c’è stato un momento, mi sembra a Bassano… Avevo 22-23 anni e non giocavo in C. Lì mi sono detto: “ok forse il sogno della Serie A è sfumato, cerco di ritagliarmi i miei spazi qui, in Serie C”». E i suoi spazi se li ritaglia, come alla Lucchese, quando è decisivo per la salvezza della squadra in una stagione tribolata a livello societario.

Gli chiedo cosa ci si porta in Serie A di quegli anni e la sua risposta non è scontata. Il livello tecnico è diverso, dice, e cambiando il livello cambia anche il modo di parare, di prepararsi agli avversari, ma l’aspetto mentale, che per un portiere è fondamentale, non cambia molto. Se alla Sampdoria le pressioni arrivano dal posto, una piazza storica per cui, ad esempio, la retrocessione sarebbe un disastro, in C arrivano dalla realtà in cui ci si è calati: «Magari trovi compagni di 34-35 anni che stanno disputando le ultime stagioni, con le famiglie e i figli e io ad appena 20 anni mi trovavo ad avere delle responsabilità nei loro confronti. Se io non faccio bene il mio lavoro e la squadra retrocede poi per loro non è scontato essere pagati, avere un altro contratto… i soldi in Serie C non sono come quelli in A».

La svolta per Falcone, l’«exploit» come lo definisce lui, è l’ultima stagione a Cosenza in Serie B. Per molti è stato il miglior portiere della categoria - e i numeri sono dalla sua parte - anche se non è bastato per la salvezza. Quando torna a Genova la situazione non è però poi molto diversa dal solito: la Sampdoria ha puntato molto su Audero, pagato 20 milioni nel 2019 e di fatto l’acquisto più oneroso della storia del club, e il titolare è lui. Falcone vuole giocare e chiede di essere mandato in prestito «magari in una squadra di B che lottasse per la promozione, perché comunque sapevo che qui c’era Emil, un ottimo portiere». La Sampdoria però tentenna e si arriva solo all’ultimo giorno di mercato con la possibilità concreta di una nuova destinazione per Falcone, uno scambio con Provedel dello Spezia, che però «salta all’ultimo per dettagli tecnici».

È la prima sliding doors - d'altra parte stiamo parlando di porte e portieri - della stagione di Falcone, che rimane a Genova «cercando di allenarmi al 100%, aspettando la mia occasione». D’Aversa lo fa esordire in Coppa Italia contro il Torino, in un’alternanza di portieri non così atipica ma che Falcone non aveva mai sperimentato, una scelta che magari è casuale ma che anticipa quello che sarebbe accaduto dopo. In quella partita la Sampdoria vince e Falcone compie almeno un grande intervento su Zaza. Pochi giorni dopo dovrebbe tornare in panchina in campionato contro la Roma, ma Audero è vittima di un piccolo infortunio alla coscia e tocca a lui. Romano, romanista, gli amici in curva all’Olimpico per vederlo giocare contro la loro squadra: «Mi ricordo che al momento in cui me l'hanno detto quasi non ci volevo credere, ho fatto l'allenamento ero praticamente imbambolato, non riuscivo a muovermi».

Falcone aveva già due presenze in A, ma erano state poco più di un contentino arrivato alla fine della stagione 2018/19, con la squadra salva e senza obiettivi. Contro la Roma è la prima “vera” partita in campionato con la Sampdoria, in un momento difficile per la squadra tra l’arresto di Ferrero e una zona retrocessione sempre più vicina. «Una volta che l'arbitro ha fischiato non ho pensato al contesto, alla classifica, alla Roma, non ho pensato a niente, solo fare il meglio possibile», e il meglio è un doppio intervento, prima su un tiro insidioso di Zaniolo, poi sul tap-in ravvicinato di Felix, allungando il braccio mentre è ancora steso a terra, «per fortuna è andata bene» aggiunge.

I primi di gennaio risulta positivo al coronavirus, un intoppo che blocca il suo passaggio, già fatto, alla Spal. Un’altra porta girevole. Rimane a Genova, ma torna in panchina. Contro il Napoli, però, Audero si fa male di nuovo, tocca a lui di nuovo: porte girevoli. La partita successiva con il Torino è esemplificativa dello scarto tra il suo momento di forma e quello della Sampdoria di D’Aversa. Dopo 12 minuti è già stato autore di un’uscita fondamentale su Sanabria e di due parate non banali. Dopo un’altra mezz’ora esegue una parata assurda, uno di quegli interventi che ti fanno pensare che i portieri non siano esseri umani come noi, ma qualcosa di più vicino agli animali che vedi nei documentari, guidati da istinti e riflessi inspiegabili. Il tiro dall’angolo sinistro dell’area di rigore di Brekalo è deviato all’ultimo da Askildsen, la palla si alza ma - in qualche modo - anche il braccio di Falcone, che devia sopra la traversa.

Gli chiedo come vengono fuori queste parate, se c’è un modo per arrivare preparati a una cosa così. Mi dice che a Bogliasco - dove si allena la Sampdoria - lavorano coi deviatori, strumenti che praticamente riproducono gli imprevisti, «un tuo compagno che te la tocca all'ultimo, una palla che passa in mezzo alle gambe, tutte queste cose qua». Ma basta? «Le puoi allenare, ma fino a un certo punto, credo che ce lo devi avere anche dentro quell’istinto che ti faccia fare quel tipo di parata». Contro il Torino sono dieci le sue parate, un numero che alcuni portieri effettuano nell’arco di 5 o 6 partite, ma non basta. La Sampdoria perde 2-1 e l’allenatore viene esonerato.

D’Aversa aveva sempre parlato bene di Falcone, tenendolo in considerazione. L’arrivo di Giampaolo - che aveva già allenato Audero nella precedente e positiva esperienza in blucerchiato - può voler dire tornare indietro, ripartire da zero. Con lo Spezia gioca ancora lui, perché Audero non è al ancora meglio, ma poi - mi racconta - è convinto di tornare in panchina contro il Sassuolo: «Nessuno mi ha detto nulla e allora dentro di me ho pensato: “vabbè, torno a fare il secondo, è giusto che torni Emil”». Invece Giampaolo lo conferma tra i pali e lui conferma il suo momento di forma. Gioca bene col Sassuolo, nove parate di cui almeno due o tre molto difficili che vengono nascoste da una vittoria rotonda per 4-0, e benissimo nella partita che lo mette in mostra agli occhi del grande pubblico, quella a San Siro contro il Milan, dove però arriva una sconfitta di misura.

Gli chiedo se un portiere come lui, che deve affermarsi, guadagnarsi il posto, può astrarsi dal risultato, essere contento della prestazione anche nella sconfitta: «a metà» mi risponde «Certo, aver fatto quella partita col Milan, a Milano, non poteva lasciarmi del tutto scontento. Quella partita mi ha lasciato la consapevolezza del mio livello, poter stare in campo contro una grande che sta lottando per lo scudetto e starci bene. Però ecco, non puoi essere davvero felice».

È il momento in cui il dualismo con Audero si ribalta - dopo quella partita Giampaolo dirà che «Falcone è stato molto bravo, freddo, sicuro, nella vita esiste la meritocrazia, se uno fa bene è giusto che venga ripagato con la fiducia». Ma com’è il rapporto tra i due? Nei vari passaggi dell’intervista Falcone parla benissimo del suo compagno, dentro e fuori dal campo. Certo, sarebbe semplice prenderle come parole di cortesia, ma Falcone sembra genuino. Sarà l’accento romano, in quell’inflessione simpatica, da amicone, del romano: «Abbiamo un ottimo rapporto, lo stimo tantissimo» mi dice, lavorano insieme, migliorano insieme. La competizione tra portieri è un mondo a parte, difficile da capire se non ci sei dentro. Sempre insieme ma rivali per un posto, un ruolo dove il turnover non esiste veramente. Falcone la vive con serenità: «Emil è un grande portiere [...] Sono partito da secondo, ora sto giocando e voglio godermi il momento. Però so che la società aveva puntato su di lui... sarò contento anche se non dovessi finire il campionato da titolare», ma non nasconde le sue ambizioni: «L’anno prossimo spero di iniziare da titolare, magari fare tutta la stagione da titolare, fare bene, sempre naturalmente con la Samp a cui sono molto legato e a cui devo tanto».

Stasera sarà sempre lui a difendere i pali della Sampdoria contro l’Atalanta, negli ultimi anni uno degli attacchi più devastanti della Serie A. Gli chiedo come ci si prepara ad affrontare un’avversaria in grado di portare minacce da tutti i lati del campo, anche grazie alle doti balistiche di alcuni suoi tiratori come Malinovskyi e Boga. «Il mister ci dà delle indicazioni: a Boga gli piace più aprirla, a Malinovskyi molto più chiuderla (e poche ore dopo lo farà alla grande contro l’Olympiakos, nda)». In allenamento si sottopongono ai tiri di Daniele Battara, aiuto del preparatore Lorieri e figlio di Massimo Battara preparatore dei portieri della Nazionale di Mancini, che «ha un sinistro micidiale. Ci alleniamo molto con lui, come tiro potrebbe stare tranquillamente in Serie A, per cui ogni volta lo malediciamo».

Falcone è alto quasi due metri, ma tra i pali mostra una rapidità strabiliante. Una qualità che lo rende un para rigori eccezionale. Ne ha parati nella semifinale e nella finale scudetto con gli Allievi della Sampdoria, nei play-out di Serie C, parando tre rigori al Bisceglie nella decisiva lotteria e poi a Cosenza, dove la scorsa stagione ha parato ben 8 rigori tra campionato e Coppa Italia. «Li paravo già da piccolo alla Vigor Perconti. Oggi vedo i video, ci sono mille app che ti dicono le preferenze del tiratore, dove gli piace più tirarlo, dove ha tirato l’ultimo, se lo alza, se lo tiene basso. Questo aiuta tantissimo, poi però io sono convito che il rigore lo decidi all’ultimo, hai quella sensazione dentro di te che ti fa decidere».

Gli chiedo se questa reattività sia la sua miglior qualità, lui però mi dice che la cosa che preferisce è uscire sulle palle alte: «È quello che aiuta di più i difensori, me lo dicono sempre. Sì, è bello fare il miracolo, però il miracolo lo può fare chiunque, anche il portiere di prima categoria la domenica può toglierla da sotto l’incrocio. Però quello che dà sicurezza alla squadra è l’uscita, farti trovare pronto. Io quando faccio un’uscita alta, mi viene ne viene in mente una sabato con l’Empoli, è quello che mi fa godere di più rispetto a una parata».

Dettagli che magari a noi sfuggono, ma non a Giampaolo, che dopo la vittoria con l’Empoli ha sottolineato proprio la sicurezza che Falcone dà alla difesa con le sue uscite alte, oltre le parate. Il discorso vira su un altro aspetto che oggi è fondamentale per un portiere, il gioco con i piedi. «Questa è sempre stata una mia debolezza, con i piedi devo migliorare tantissimo. Ora però sono più tranquillo: a 20 anni quando mi arrivava la palla dietro ero terrorizzato, magari ero da solo e invece la buttavo giù il più lungo possibile, oggi la gioco». Gli chiedo come sono cambiate le richieste da D’Aversa a Giampaolo: «al mister piace giocare da dietro, però quando è arrivato la prima cosa che ci ha detto è che dovevamo fare punti, non importa come, giocare bene o male, l’importante era salvarsi il prima possibile. In allenamenti ci da due o tre concetti per organizzare il possesso partendo dal portiere, concetti che è anche bello seguire, però se siamo chiusi non rischiamo niente».

Mi spiega come deve leggere la situazione quando riceve palla, cosa deve fare se si abbassa il difensore, oppure se magari si allarga il terzino e a scendere è il centrocampista, «solo a quel punto, se non c’è la giocata, lancio». Me lo spiega con tranquillità, come fosse facile, alla fine, avere questo tipo di responsabilità in una squadra di Serie A, così, all’improvviso. E forse è la tranquillità nell’accettare questo percorso atipico ad avergli reso facile passare da 0 a 100 in un attimo. Un atteggiamento che conserva fin da piccolo («L'ho sempre definito un romano atipico, perché è tranquillo e freddo» ha detto di lui il suo primo allenatore alla Samp), ma che non è immune dal grande palcoscenico: «Anche se prima della partita la sento tantissimo la tensione, ho un giramento di stomaco assurdo, poi una volta che entro in campo mi tranquillizzo, cerco di dare sicurezza alla squadra».

(Jonathan Moscrop/Getty Images)

Atipico non solo nel percorso, ma anche come calciatore. Quando parliamo dei suoi interessi, mi racconta che gli piace molto viaggiare «ma non sono il classico calciatore che può andare in vacanza ad Ibiza o a Mykonos, non è la vacanza che fa per me [...]. Scoprire altre culture è una cosa che veramente mi appassiona, mi piace tantissimo». Parlando d'estate, gli chiedo come si vive - da portiere - l’impresa eccezionale di Donnarumma, diventato l’eroe italiano proprio con quello che Falcone sa fare meglio: «Ero contentissimo da italiano, e poi lui è un fenomeno, a 16 anni titolare nel Milan, come fai a provare invidia? Ho solo da imparare da lui, anche se è giovane». Eppure, tra colleghi, l’invidia esiste, come mi conferma: «A volte capita, però, vedi un portiere e dici “cavolo, ma come fa quello a stare lì”, ma è il tuo pensiero, che non sia abbastanza forte per stare dove merita. Io sono molto sereno a riguardo, penso a me, però mi è capitato di pensarlo». Se Donnarumma è il presente, il punto di riferimento di Falcone è Buffon: «Per me è il portiere più forte della storia. Lo guardavo, certo, però non mi sono mai ispirato a lui perché è stato - anzi lo è tutt’ora - una leggenda». Un portiere che segue molto invece è Courtois, «mi ci rivedo, come modo di parare e anche come statura, mi piace molto e lo studio».

Prima di salutarlo mi tolgo la curiosità e gli chiedo del nome, Wladimiro. Mi dice che è il nome del nonno, venuto a mancare quando lui aveva appena un anno. «Ne vado molto, ma molto, orgoglioso», è commosso si vede, «quando dovevo nascere già stava male e si sapeva che non ce l’avrebbe fatta e il suo desiderio era avere un nipote maschio che si chiamasse come lui. Me lo sono goduto un anno solo, ma di quello che mi dicono in famiglia so che sarebbe stato fiero di me». Forse tardi, sicuramente con caparbietà, Falcone si è preso il suo posto. «Sto sfruttando la mia occasione» mi dice a un certo punto, come se fosse una cosa scontata, ma nel calcio ad alti livelli non lo è mai. La serenità con cui sta in campo è contagiosa. Sta facendo bene alla Sampdoria e al suo futuro, che oggi appare luminoso. E dopo 12 anni di attesa e lavoro tutto questo non può che essere meritato.

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