Ricordi l’ultima volta in cui ti sei imbattuto in uno sport di cui non conoscevi nulla? Non avevi mai visto una partita di quella disciplina, non ne conoscevi le regole, non sapevi il nome degli atleti più importanti. Ho la sensazione che scoprire qualcosa di totalmente nuovo nello sport sia sempre più difficile. Anche perché spesso la sua fruizione è vissuta come un’abitudine, più che come una ricerca di novità. Abbiamo più voglia di essere sorpresi quando guardiamo le Olimpiadi. Anche le pagine dei quotidiani, solitamente prese d’assalto dalle notizie sul calcio, per un mese estivo ogni quattro anni si dedicano con intensità a canottaggio, tiro a segno, triathlon, taekwondo. Forse è proprio nel mondo olimpico e paralimpico che si può cercare l’inatteso.
Non sapevo nulla del goalball. Si tratta di uno dei pochi sport paralimpici che non deriva direttamente da uno sport tradizionale, e questa è un'informazione importante da tenere presente. Il tennis in carrozzina traduce la disciplina di Djokovic nel contesto di persone con un deficit motorio; il goalball, invece, è stato inventato in prima battuta per coinvolgere persone che hanno problemi alla vista. È nato come attività funzionale alla riabilitazione dei veterani della Seconda guerra mondiale, fino ad essere incluso tra gli sport paralimpici negli anni ‘80.
Le disabilità visive hanno gradi d’intensità diversi, ed è attorno a queste sfumature che ruota la competizione. Nel goalball gli atleti vengono suddivisi secondo tre etichette: B1 (cecità totale) e B2 o B3 (ipovedenti). Le differenti condizioni degli atleti, che potrebbero causare dei vantaggi a chi ha deficit meno gravi, vengono equiparate tramite maschere oscuranti, posizionate sugli occhi di tutti i giocatori.
Sul campo indoor da goalball si schierano tre giocatori per squadra, a difesa di una porta larga 9 metri e alta 1 metro e 30. I giocatori si muovono nella propria metà campo, aiutati da riferimenti come i pali e la traversa della porta e alcune strisce tattili posizionate sul pavimento. Hanno l’obiettivo di segnare un gol, lanciando con le mani un pallone che ha al suo interno dei sonagli; non potendo utilizzare la vista, per intercettare i tiri della squadra avversaria si affidano all’udito, cercando di intuire la traiettoria del pallone e di intercettarlo con qualunque parte del corpo, rendendo la propria figura più ingombrante possibile. Per questo la maggior parte degli atleti scende in campo con protezioni per ginocchia e gomiti: nelle palestre e nei palazzetti, durante le partite di goalball, ci si tuffa. Per trasformare l’azione difensiva in offensiva si possono impiegare al massimo dieci secondi. Il gioco è diviso in due tempi da dodici minuti ciascuno.
Se non conosci il goalball, ed è probabile che sia così, non avrai mai sentito il nome di Sevda Altunoluk. Forse il modo più semplice per introdurla è usare le parole con cui si è descritta in alcune interviste: «la migliore giocatrice di goalball al mondo».
Altunoluk è nata in Turchia. Ha iniziato a perdere la vista quando era una bambina. «Mi sedevo in fondo alla classe e non riuscivo a vedere bene. Le mie condizioni sono peggiorate, avevo paura di come sarebbero andate le cose» ha detto al sito del quotidiano turco Milliyet. «Poi ho scoperto una scuola per non vedenti ad Ankara. Lì ho incontrato persone nuove. Ho iniziato ad abituarmi al mio problema di vista, passando del tempo con loro».
Questa scuola porta il nome di Mithat Enç, un educatore esperto di riabilitazione dei bambini con disabilità a cui le istituzioni turche, negli anni ‘50, affidarono il compito di creare un istituto per ipovedenti. Enç era rimasto cieco in gioventù. In un documento di inizio anni ‘50 sosteneva che il lavoro per le persone cieche in Turchia iniziava ad essere incoraggiante. La storia di Altunoluk sembra esserne una conferma. Altunoluk gioca in una squadra di goalball di Ankara, il Yenimahalle Belediyesi Spor Kulübü, ed è la capitana della nazionale turca. Il suo dominio sul gioco è evidente già solo osservando i dati più semplici: ai Mondiali del 2022, disputati in Portogallo e vinti dalla Turchia, ha segnato 57 gol in 10 partite, mentre alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 ha segnato da sola più reti di ogni singola nazionale partecipante al torneo (46 gol in 7 partite, che hanno contributo all’oro paralimpico turco nella disciplina).
Nella finale di Tokyo 2020, contro gli Stati Uniti, segna tutti i nove gol della sua nazionale. Il risultato è sullo 0-0 e la Turchia gioca un’azione offensiva. Una voce che esce dagli altoparlanti chiede ai tifosi sugli spalti di rispettare il silenzio. Ogni rumore può togliere concentrazione alla difesa, che deve bloccare un pallone pesante e veloce senza poterne osservare il movimento.
Altunoluk è sull’esterno destro. La sua tecnica di tiro è elaborata: prima di iniziare il movimento che la porterà a segnare il primo gol tocca la traversa con la mano sinistra, per prendere confidenza con la sua posizione nello spazio. Porta la sfera blu da 1.25 kg verso il basso, trattenendola solo con la mano destra, come se dovesse fare strike su un campo da bowling. Le sue movenze poi diventano improvvisamente quelle di una lanciatrice del disco: Altunoluk fa una piroetta su sé stessa e sfrutta la forza centrifuga, sferrando il pallone verso la porta avversaria dall’alto verso il basso, così che possa rimbalzare sul terreno di gioco per rendere più infida la sua traiettoria - le regole del goalball prevedono che, per avere un tiro valido, la palla debba rimbalzare prima nella propria metà campo, poi in quella avversaria. Il tiro viene intercettato dai piedi di un’avversaria, ma la palla rotola in porta. Uno degli speaker che commentano la finale in diretta ricorda una verità semplice: «la domanda è sempre stata una: gli Stati Uniti possono difendersi con successo da Sevda Altonuluk?». Lei esulta facendo un cuore con le dita.
I suoi tiri rimbombano nel palazzetto, squarciano il silenzio come un tuono notturno. Rimbalzano con violenza a poca distanza dalla porta avversaria, costringendo le difensori a fare delle acrobazie per impedire al pallone di entrare in rete. Quando vengono intercettati, i palloni che escono dalle sue mani schizzano in tutte le direzioni, ad alta velocità. Diventano incontrollabili. A una manciata di secondi dall’inizio del secondo tempo della semifinale mondiale 2022, contro Israele, Altunoluk sferra un tiro potente, con una parabola arcuata. La palla è diretta, in diagonale, verso il lato destro. La numero 6 israeliana stende le gambe e con un ginocchio impatta la palla, che si impenna sopra la traversa come se si trattasse di un pallone da spiaggia leggerissimo e trasportato dal vento, non di un corpo rotondo che pesa più di un chilo. La stessa giocatrice si alza rapidamente in piedi, tocca la palla fortunosamente con un polpaccio, poi la sposta con il piede destro. L’azione difensiva si conclude, pericolo sventato. Per qualche istante, nei pressi della porta di Israele, ha regnato il caos più totale: i tiri di Altunoluk generano subbuglio.
Sorprendente come questo pallone non sia entrato in porta
Pur avendo una tecnica raffinata, ciò che balza all’occhio nei gesti tecnici di Altunoluk è la forza fisica. Alcuni suoi gol sembrano inevitabili, i suoi tiri sono troppo veloci e spioventi per essere fermati da persone che devono affrontare un minaccioso nemico senza poterlo guardare. Mentre altre giocatrici cercano pazientemente il corridoio più propizio in cui far serpeggiare la palla per poter segnare, Altunoluk piega la realtà al suo volere: in alcuni casi segna dopo che i suoi tiri vengono deviati o toccati dalle avversarie, perché la marcia del pallone verso la porta è troppo impetuosa per poter essere interrotta.
Ma quali sono i tiri più efficaci nel goalball? Altunoluk sembra prediligere quello che viene chiamato bounce shot, un tiro che ha una curvatura accentuata. Eppure il flat shot, in cui la parabola si appiattisce, è molto comune soprattutto tra le squadre femminili. Un documento dell’Università tecnica di Monaco, dedicato ad uno studio sull’efficienza dei tiri nel goalball, ha rivelato che nelle partite femminili un bounce shot ha molte più probabilità di tramutarsi in un gol rispetto ad un flat shot; questo valore cresce ulteriormente in caso di rotazione del busto durante il movimento di tiro. Nel paper si spiega che un’atleta in grado di eseguire un bounce-rotation shot di successo deve avere “tecnica e forza sopra la media”; è un gesto tecnico che richiede abilità non comuni, di cui Altunoluk è dotata.
Un’atleta che ha un ruolo così centrale nei successi della sua squadra genera una stretta convivenza tra la dimensione individuale e quella collettiva dello sport. In molte sue dichiarazioni si percepisce la volontà di Altunoluk di essere un punto di riferimento per la comunità delle persone disabili, di tracciare un esempio virtuoso che possa essere seguito da altri e altre. «Gli atleti che hanno un deficit mi hanno preso come modello, posso avere un’influenza su di loro» ha detto in un’intervista al sito del Comitato Paralimpico Internazionale, aggiungendo: «Sono contenta se i miei risultati possono essere una luce nel buio per i miei colleghi con disabilità».
Altunoluk è stata anche inserita nella lista di BBC dedicata alle donne più influenti del 2021. «Per noi [ipovedenti] è molto importante avere successo, perché partiamo con uno svantaggio» dice nel breve video sul canale YouTube della rete televisiva britannica. Nelle sue parole la vittoria e il talento diventano fonti di emancipazione, possibilità per superare difficoltà più accentuate rispetto alle persone non disabili. «Partiamo con un risultato di 1-0 a sfavore, ma ci aggrappiamo alla vita» ha detto in un’altra occasione.
Questo è il modo che Altunoluk ha scelto per raccontare la sua esperienza. Descrivere la vita di una persona con disabilità come un’oscurità da illuminare o come un’esperienza di svantaggio è una brutta abitudine che la nostra società ci insegna quotidianamente ad adottare: questo capita per esempio quando leggiamo che una persona è “costretta in sedia a rotelle” o che “combatte contro la disabilità”. Sono formule mortificanti, perché la disabilità non rende la vita meno appetibile - e se ciò succede è perché le città, le infrastrutture, la burocrazia in cui siamo immersi escludono sistematicamente chi ne ha una.
Il suo linguaggio è quello della rivalsa e del riscatto, come se avesse assorbito lo sguardo a cui la società abitua le persone disabili: se ti impegni puoi farcela, anche se parti da una condizione complicata. Nei disability studies questa narrazione è stata descritta con l’espressione “super-crip”, riferita a un soggetto con disabilità che, grazie a un talento eccezionale, riesce a compensare il suo deficit e a vivere un’esistenza di successo. Un racconto di questo tipo pone l’accento sul “nonostante”: puoi affermarti “anche se” hai avuto un destino sfortunato. Ed è proprio in questo senso che la retorica del super-crip mostra le sue debolezze: la disabilità non è una sfortuna in quanto tale, le persone disabili con una vita comune non devono “meritarsi” spazio e importanza, ma ne hanno diritto, proprio come tutti gli altri esseri umani.
Sevda Altunoluk, sorella minore di Sevda, è una giocatrice di goalball meno talentuosa. Siede in panchina durante la finale dei Mondiali del 2022. Anche lei ha un deficit visivo e gioca nella selezione turca. A circa due minuti dalla fine del match contro la Corea del Sud, con il risultato di 8-4 che rende la Turchia virtualmente già campione, entra per la prima volta in campo. Fino a quel momento aveva atteso. Esegue qualche tiro, fa una bella parata. Con poco meno di due secondi sul cronometro, l’ultimo tiro della partita è suo: è un bounce-rotation shot, forte e centrale. La palla entra in porta mentre l’incontro finisce, ma il gol non viene convalidato. Va bene così, la Turchia ha vinto. Le due sorelle si abbracciano, mentre una bandiera della Nazionale le avvolge.