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La resa dei conti tra Bekele e Kipchoge
01 ago 2024
01 ago 2024
A Parigi un ultimo duello tra le due leggende della maratona.
(copertina)
IMAGO / PanoramiC
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Nel suo saggio The Evolution of Marathon Running, scritto a quattro mani con Dennis Bramble, Lieberman sottolinea come «sulle distanze lunghe l’uomo sarebbe in grado di battere tutti gli altri mammiferi, compresi i cavalli. (…) Il risultato è che i mezzofondisti sono i veri dominatori dell’universo, mentre i velocisti sono dei miseri fallimenti».

Lo scrive Rick Broadbent, nella sua biografia di Emil Zátopek, pubblicata in Italia da 66thand2nd. Se lui e il professor Daniel Lieberman hanno ragione, il 10 agosto a Parigi si sfideranno i due uomini che nel ventunesimo secolo hanno dominato l’universo più di tutti. Il keniano Eliud Kipchoge, prossimo ai quarant’anni, inseguirà il terzo oro consecutivo nella maratona, impresa mai riuscita a nessuno. Dovrà scontrarsi, tra gli altri, col suo fantasma dei Natali passati: l’etiope Kenenisa Bekele, 42 anni, reduce dall’ennesima resurrezione. Un ultimo duello, a metà tra la resa dei conti e il canto del cigno. Nella loro città del destino, dove tutto è iniziato oltre vent’anni fa.

Prologo

Parigi, 31 agosto 2003. L’Europa si sta lasciando alle spalle l’estate più calda della sua storia, con migliaia di morti in Francia e in Italia. Gli Stati Uniti hanno da poco invaso l’Iraq, ad Harvard Mark Zuckerberg e i suoi colleghi devono ancora inventare Facebook.

Nella capitale francese, allo stadio di Saint-Denis, ci sono i Mondiali di atletica. L’Italia festeggia la vittoria nell’asta di Giuseppe Gibilisco, tra gli azzurri c’è Fiona May di ritorno dalla maternità. Nei 100 metri le regole della falsa partenza sono cambiate: ne fa le spese tra gli altri il giovane giamaicano Asafa Powell, festeggia il nevisiano Kim Collins. È assente un diciassettenne giamaicano che poche settimane prima, in 20”13, ha migliorato per la seconda volta in pochi mesi il primato mondiale under 18 dei 200 metri: si chiama Usain Bolt.

In un Mondiale di transizione, il 31 agosto va in scena una delle più belle finali dei 5.000 metri di tutti i tempi. Alla linea di partenza ci sono un fuoriclasse, un astro emergente e un giovane talento. Il quasi ventinovenne marocchino Hicham El Guerrouj, il più grande miler vivente nonostante gli fosse sempre sfuggito l’oro olimpico, ha appena conquistato il quarto titolo iridato di fila sui 1.500 metri di cui è primatista mondiale. Punta alla doppietta 1.500-5.000: l’ultimo che ce l’ha fatta, proprio a Parigi, è stato il finlandese Paavo Nurmi all’Olimpiade del 1924.

L’etiope Kenenisa Bekele, 21 anni, pochi giorni prima ha sconfitto sui 10.000 la leggenda Haile Gebrselassie, in quello che aveva l’aria di un passaggio di consegne tra l’eroe nazionale e l’erede designato. La speranza del Kenya, in un Mondiale sottotono, è il diciottenne Eliud Kipchoge: a Losanna, a marzo, ha vinto i Mondiali juniores. A giugno, ai Bislett Games di Oslo, Kipchoge è arrivato terzo in 12’52”61, alle spalle del connazionale Sammy Kipteker e del vincitore Kenenisa Bekele. Ha fatto il record del mondo under 20. El Guerrouj è il più forte in volata: sull’ultimo rettilineo perde raramente anche nei 1.500, sui 5.000 dovrebbe essere inattaccabile. Bekele ha un ultimo giro fenomenale e può contare sulla presenza di altri due etiopi. Kipchoge è il terzo incomodo.

Allo sparo Bekele parte fortissimo e allunga il gruppo, il primo chilometro è chiuso a ritmi da record del mondo: 2’31”9. Poi abbassa lievemente l’andatura, ma continua a martellare. Con i suoi 165 centimetri è il più basso tra gli atleti di testa, ma compensa con una frequenza di corsa impressionante. El Guerrouj ha lo stile di corsa più elegante, Kipchoge a differenza dei favoriti non si porta dietro la stanchezza delle finali di 1.500 e 10.000. Il secondo chilometro è chiuso in 2’35”, il terzo in 2’37”.

Si fa avanti Kipchoge. Mette la freccia quando mancano duemila metri e conduce per un giro e mezzo, ma il ritmo continua a calare. Bekele, che non vuole arrivare appaiato all’ultimo rettilineo con El Guerrouj, torna avanti di prepotenza. Dà un breve strappo e poco prima del terzultimo giro rallenta, si allarga, fa segno al marocchino di passare. El Guerrouj non ci pensa neanche. Si ritrova in testa, vicino alla corda, col ritmo crollato mentre Bekele e Kipchoge si allargano. È di nuovo il keniano a prendere l’iniziativa: il quarto chilometro è il più lento, 2’43”. I tre si studiano, tornano sotto i comprimari etiopi e keniani e finalmente, a 800 metri dalla fine, si muove El Guerrouj. In mezzo all’ovazione dello stadio, in gran parte schierato con lui, il marocchino parte in progressione. Dietro Bekele cerca di non lasciargli spazio.

El Guerrouj sgretola il gruppo, ma non affonda il colpo. Al suono della campana Kipchoge si allarga per saltare il connazionale Abraham Chebii, poi supera Bekele e gli si rimette alle calcagna. A 200 metri il marocchino ha staccato leggermente gli inseguitori. Sembra fatta, ma Kipchoge e Bekele rientrano all’imbocco del rettilineo. Gli ultimi 100 metri sono un testa a testa drammatico, gomito a gomito, tra El Guerrouj e Kipchoge, con Bekele mezzo passo indietro. Vince il keniano, 12’52”79: tra lui ed El Guerrouj ci sono 4 centesimi, 33 quelli su Bekele.

La gara si chiude col record dei campionati, l’ha spuntata il pretendente con meno chance. Chiunque l’abbia vista non ha dubbi: Broadbent ha ragione, i mezzofondisti sono i veri dominatori dell’universo.

La finale di Parigi 2003.

Vent’anni dopo

Nel 1845 Alexandre Dumas scrisse Vent’anni dopo. I quattro moschettieri si ritrovano in un mondo cambiato: Richelieu e Luigi XIII sono stati sostituiti da Mazzarino e Luigi XIV, d’Artagnan e Porthos si ritrovano dall’altra parte della barricata rispetto ad Athos e Aramis.

Bekele e Kipchoge non sono mai stati dalla stessa parte, ma dal loro primo confronto è cambiato anche il mondo intorno. La Francia ha alternato quattro presidenti, sono nati i social network e le piattaforme di streaming, la maratona e la corsa in generale sono diventati fenomeni non proprio di massa ma rivolti a un’ampia platea di praticanti.

Dalla sera di Parigi 2003 è trascorsa oltre metà della loro vita, passata a dominare la scena mondiale dai 5.000 metri ai 42,195 chilometri. Se già all’epoca dimostravano più anni della carta d’identità, ora sono due uomini a fine carriera. Si sono alternati nel dominio mondiale come in una staffetta: nessuno dei due può brillare senza che l’altro soccomba.

Di Kipchoge, il più grande maratoneta degli ultimi sessant’anni – difficile e inutile definire se sia stato più grande lui o l’etiope Abebe Bikila – sappiamo molto, perché negli ultimi dieci anni è stato il re quasi incontrastato della gara olimpica per eccellenza. Per un ripasso è sempre valido questo articolo.

In sintesi: Kipchoge ha corso venti maratone e ne ha vinte 16. Ha vinto due ori olimpici di fila, entrando in un club di cui fanno parte tre atleti: lui, Bikila e il tedesco dell’est Waldemar Cierpinski, che nel 1976 e nel 1980 fu agevolato da due boicottaggi olimpici, il primo dei quali coinvolse le maggiori potenze africane dell’atletica. È stato il primo uomo a sfondare il muro delle due ore sulla distanza della maratona, per quanto non in una maratona vera. Ha migliorato due volte il record mondiale, portandolo prima a 2:01’39” e poi a 2:01’09”.

Kipchoge non è né famoso né celebrato quanto dovrebbe: nemmeno compare in questa classifica dei 100 più grandi atleti del ventunesimo secolo stilata da Espn. La sua assenza dice molto anche sulla rilevanza di graduatorie simili. Tuttavia Kipchoge, pur non essendo arrivato al grandissimo pubblico come Bolt, è noto tra chi, anche marginalmente, si interessa al mondo dell’atletica. E tra i corridori amatoriali, quelli che poi comprano le scarpe, è riconosciuto come il fenomeno epocale che è. Il suo profilo Instagram conta 2,6 milioni di follower.

Bekele è uno spettro, una specie di Titanic tornato a galla per queste Olimpiadi quando ormai lo si riteneva in pensione dopo anni passati a collezionare per lo più comparsate in favor di sponsor. Il suo profilo Instagram conta 200mila follower, un ventitreesimo di quelli di Kipchoge. Nessuno di chi segue l’atletica da meno di dieci anni lo conosce. E per chi si interessa alla corsa su strada, il suo nome può dire qualcosa ma non più di quanto lo faccia quello di molti altri buoni o ottimi interpreti della specialità.

In questa disparità c’entrano anche le inclinazioni personali. Kipchoge è un buon comunicatore e una sorta di modello: nessun runner si illude di poter raggiungere i suoi risultati, ma lui appare come il massimo esponente e l’ispirazione di quell’ampia comunità trasversale di corridori che preparano un paio di maratone all’anno per il gusto di farlo. È un ruolo che va al di là di record e medaglie.

Bekele è molto meno accessibile per il grande pubblico. Quando parla non dice cose particolarmente brillanti o simpatiche: nel 2022, una settimana dopo che Kipchoge aveva migliorato per la seconda volta il primato mondiale della maratona, si è definito il più grande corridore di tutti i tempi.

Forse non lo è, ma per sostenerlo ha ragioni valide quanto quelle di Kipchoge. Bekele è stato uno dei più grandi di ogni epoca, solo che il suo prime è passato tanti anni fa. L’ultimo suo titolo mondiale risale al 2009, l’ultima vittoria olimpica a Pechino 2008. I social non erano pervasivi come oggi e, almeno a livello mediatico, per l’atletica leggera esisteva solo Bolt.

Questo non cambia il fatto che Bekele, nel primo decennio del ventunesimo secolo, sia stato il dominatore delle sue discipline. Negli anni migliori è stato pressoché ingiocabile per quasi qualunque avversario, come il giamaicano. Ha vinto tre ori olimpici e cinque mondiali, avrebbe potuto fare meglio ma a Helsinki 2005 e Osaka 2007 preferì concentrarsi solo sui 10.000 metri. Ha detenuto per sedici anni il primato mondiale dei 5.000 (è tuttora primatista indoor) e dei 10.000. È stato con ogni probabilità il più forte di sempre nel cross, la corsa campestre: tra prove brevi e lunghe in mezzo al fango ha ottenuto undici titoli mondiali individuali, a cui vanno aggiunte le prove di squadra.

Mo Farah, il britannico di origine somala che ha dominato la scena dopo di lui, ha vinto leggermente di più, ma non ha dovuto affrontare avversari formidabili come quelli di Bekele: El Guerrouj, Kipchoge, il keniano-americano Bernard Lagat nei suoi anni migliori. Quasi tutti – il marocchino fa eccezione, ma i due si sono solo sfiorati – sono usciti con le ossa rotte in gran parte degli scontri diretti.

I ruoli tra l’etiope e il keniano si sono invertiti quando i due si sono trasferiti dalla pista alla strada: Kipchoge è diventato Kipchoge, Bekele è rimasto in ombra. Ha alternato prestazioni monumentali a delusioni cocenti. Ha dato l’impressione di essere sulla via del ritiro, poi è riemerso tra fine 2023 e inizio 2024 con due buone maratone: non le ha vinte, ma ha convinto l’Etiopia a staccargli un biglietto per Parigi, a 12 anni dall’ultima partecipazione olimpica. E a ventuno dallo scontro che aprì una nuova era nella corsa.

Kipchoge a Rio.

Atto primo: la gioventù tra pista e fango

Bekele esordisce alle Olimpiadi ad Atene 2004. Qualche mese prima, a marzo, ha partecipato ai Mondiali di campestre a Bruxelles ottenendo la terza doppietta consecutiva tra cross corto e lungo, impreziosita da due titoli a squadre. Tra maggio e giugno ha migliorato i record mondiali di 5.000 (12’37”35) e 10.000, sottraendoli al connazionale Gebrselassie. E in Grecia conferma che ormai l’etiope più forte è lui.

Vince agevolmente i 10.000, poi torna in pista per i 5.000: ci sono anche Kipchoge ed El Guerrouj, in una riedizione della finale di un anno prima. Il keniano è a sua volta all’esordio olimpico, dopo essere arrivato quarto ai Mondiali di campestre in cui ha pagato il tentativo di mettere i bastoni tra le ruote a Bekele nella prova lunga. Il marocchino invece ha appena rotto la sua maledizione sui 1.500.

È una gara molto meno spettacolare di quella parigina, lenta, con Bekele e Kipchoge a studiarsi in testa. El Guerrouj è in riserva ma può restare nascosto nel gruppo, visti i ritmi estremamente bassi. E alla fine, quando Bekele scatta per l’ultimo giro, si mette alle spalle dell’etiope, che lo porta all’ultimo rettilineo in carrozza. Lì il marocchino scappa via: Bekele è secondo, Kipchoge di bronzo. È l’ultima gara di El Guerrouj, che ha ripetuto la doppietta di Nurmi dopo ottant’anni.

Bekele torna in Etiopia con un oro, un argento e la sensazione di aver buttato via una chance per la doppietta. Riprende ad allenarsi, ma l’inizio del 2005 si apre con una tragedia che gli cambia la vita. Il 4 gennaio Alem Techale, la sua fidanzata e promessa del mezzofondo etiope, si accascia al suolo mentre si allenano insieme. Muore sull’auto di Bekele, durante il trasporto in ospedale. Dovevano sposarsi a maggio.

L’etiope a marzo è comunque a Saint Galmier, in Francia, per difendere i due titoli mondiali di campestre. Li vince, probabilmente con una delle più grandi prove di carattere della sua carriera. Conquista in rimonta il titolo del cross corto: «Lei è nel mio cuore», dice dopo aver tagliato il traguardo. «La gioia nella vita arriva spesso, ma un dolore di questo livello è qualcosa che si incontra molto raramente. Quindi venire a questa competizione, dove mi sono fatto conoscere per la prima volta, e vincere dopo aver perso Alem è una vittoria molto significativa per me». Sulla gara lunga Kipchoge si lancia di nuovo al suo inseguimento e poi salta in aria, chiudendo quinto.

Per quell’anno i due non si incontrano più. Bekele migliora nuovamente il primato mondiale dei 10.000, portandolo a 26’17”53, e conquista il titolo iridato sulla stessa distanza ai Mondiali di Helsinki, confermando quanto fatto a Parigi e Atene. Ma non corre i 5.000, nonostante il primato mondiale stagionale, per risparmiare le energie: vuole preservarsi per Pechino 2008, quando avrà 26 anni. Lascia un’autostrada aperta a Kipchoge. Il keniano, però, perde l’occasione e chiude quarto in una gara lentissima decisa allo sprint.

Il duello successivo si svolge al chiuso, a Mosca, per i Mondiali dei 3.000 metri indoor. Kipchoge prova a staccare Bekele per quattro quinti della gara, poi l’etiope parte a 600 metri dalla fine e vince. Alle sue spalle il keniano viene superato per l’argento da Saif Saaeed Shaheen: un ex connazionale diventato qatarino e uno dei più forti siepisti della sua generazione, a lungo primatista mondiale.

Il dominio assoluto negli scontri diretti continua: Bekele vince i 5.000 di Roma, con Kipchoge sesto, e a Londra viene sorpreso dal keniano naturalizzato americano Bernard Lagat, finendo comunque davanti a Kipchoge. Poi vince a Zurigo e a Bruxelles. Nel 2007 vince, per la terza volta consecutiva, il titolo sui 10.000 metri. Sui 5.000, in una gara lentissima, Lagat sconfigge Kipchoge.

Arriva il 2008 e, con lui, le Olimpiadi di Pechino. È il momento più alto della carriera di Bekele, che ormai domina come vuole. Corre i 10.000 da capitano e punta di diamante dell’Etiopia, nonostante in pista ci sia anche Gebrselassie all’ultima Olimpiade: il suo predecessore è il primatista mondiale della maratona, ma ha preferito presentarsi in pista. Bekele controlla tutti per i primi 24 giri, poi inserisce il turbo negli ultimi 400 metri. Vince col record olimpico, 27’01”17.

Si presenta anche sui 5.000, dove la concorrenza è più agguerrita. C’è il campione mondiale Lagat e c’è Kipchoge. Quella gara è forse il capolavoro di Bekele. Dopo una partenza lenta, i tre etiopi (oltre a Bekele ci sono suo fratello Tariku e Abreham Cherkos) prendono il comando delle operazioni. Passano ai 3.000 in 8 minuti, poi Bekele avvia una progressione con pochi eguali nella storia dell’atletica. A furia di giri chiusi intorno al minuto, demolisce i suoi sei inseguitori uno dopo l’altro. Lagat, l’avversario più temibile, alza bandiera bianca al terzultimo giro. Restano tre keniani, poi uno: Kipchoge. Ma Bekele alla campana dell’ultimo giro cambia ancora ritmo e va a vincere in solitaria, rifilandogli cinque secondi. Termina in 12’57”82, un altro record olimpico. Ha corso gli ultimi duemila metri in 4’57”, mettendo a segno i due chilometri finali più veloci di sempre.

Nel 2009 il canovaccio è lo stesso: Bekele vince agevolmente i 10.000 metri, poi deve soffrire fino in fondo per sconfiggere Lagat in volata. Kipchoge chiude quinto. A quel punto l’etiope ha vinto sei 10.000 consecutivi tra Mondiali e Olimpiadi e nell’ultimo biennio ha doppiato coi 5.000. Non conquisterà mai più un titolo in pista.

I 5.000 di Pechino.

Atto secondo: la cesura

Kipchoge ha vinto il suo ultimo Mondiale a 18 anni, a Parigi nel 2003. Bekele a 27, a Berlino nel 2009. Ovviamente, nel 2011, non possono saperlo e si presentano entrambi a Daegu. Il primo a scendere in pista è Bekele, sui 10.000: si ritira e decide di non partecipare ai 5.000. Sulla distanza più breve Kipchoge non fa meglio che settimo, nella prima affermazione ai Mondiali del britannico Mo Farah, già argento sui 10.000.

È iniziata una nuova era, ma loro cercano di rintuzzarla. Si ritrovano a Bruxelles, a settembre 2011, nello stesso stadio in cui, sei anni prima, Bekele ha migliorato il primato mondiale dei 10.000. L’etiope rivince in 26’42”16, il keniano chiude quinto in 26’52”27. Per Bekele è l’ultima illusione. Gli infortuni cominciano a presentargli il conto. A gennaio 2012 entrambi parteciparono a una campestre a Edimburgo: Kipchoge la chiude terzo, Bekele è undicesimo in una disciplina che ha dominato senza avversari o quasi per anni. A maggio si rivedono in Diamond League, al meeting a Doha. Sui 3.000 metri Kipchoge batte Bekele per la prima volta dal 2003, ma è secondo dietro al connazionale Augustine Kiprono Choge. L’etiope è settimo, peggior piazzamento su pista da oltre dieci anni.

La sentenza arriva il 6 luglio 2012. E il teatro non può che essere Parigi. Kipchoge arriva ancora davanti a Bekele nella tappa francese della Diamond League. Ma è ottavo, quarto dei keniani. E Bekele è nono, quinto degli etiopi. Kipchoge tenta di conquistare la convocazione olimpica correndo i trials keniani, stavolta sui 10.000, ma finisce settimo. Segue i Giochi di Londra in televisione.

Bekele, malconcio per gli infortuni, va in Inghilterra a difendere il titolo dei 10.000. Partecipa a una gara lentissima, ma stavolta a scattare nel giro finale è Mo Farah, che vince il suo primo oro a cinque cerchi. Dietro di lui c’è l’americano Galen Rupp. Terzo Bekele, ma è il fratello Tariku. Kenenisa è quarto, nella sua ultima grande competizione su pista.

I 10.000 di Londra

Atto terzo: sulla strada

Kipchoge intanto ha già voltato pagina. A settembre 2012 esordisce in mezza maratona a Lille: è terzo, ma il suo tempo di 59’25” è uno dei migliori di sempre fatti segnare da un esordiente. Ai Mondiali, un mese dopo, chiude sesto. Ormai la via è tracciata e nel 2013 arriva il debutto in maratona.

Ad Amburgo, al primo tentativo, Kipchoge vince seminando gli avversari in 2:05’30”. È aprile e Bekele sta rifinendo la preparazione per i suoi ultimi 5.000 e 10.000, ormai in pista è solo l’ombra del cannibale di un tempo. Il keniano fa un’altra maratona: a Berlino è secondo in 2:04’05”, dietro al connazionale Wilson Kipsang che in 2:03’23” migliora il record del mondo. È la prima partecipazione a una Major (si definiscono così le maratone di Berlino, Londra, Tokyo, New York, Boston e Chicago) e, per sette anni, resta la sua ultima sconfitta: nel 2015 avvia una serie di dieci vittorie di fila che gli danno, sulla strada, lo stesso status di dominatore che era stato di Bekele in pista e nei prati.

Nel 2014 Kipchoge domina a Rotterdam e vince la sua prima Major, a Chicago. Negli Usa incontra Bekele, che pochi mesi prima ha debuttato a Parigi vincendo in 2:05’03”: un risultato clamoroso, per un esordiente. A Chicago, però, l’etiope deve accontentarsi del quarto posto, a 1’40” dal keniano.

La forbice si amplia nel 2015, quando Kipchoge conquista anche Londra e Berlino e Bekele, che nel frattempo ha iniziato a farsi seguire dal tecnico italiano Renato Canova, prova solo la maratona di Dubai ritirandosi intorno al trentesimo chilometro per vari problemi fisici.

Il 2016 è l’anno della consacrazione di Kipchoge. Il keniano stravince a Londra, in 2:03’05”, con Bekele terzo a circa tre minuti e mezzo. Poi va a vincere le Olimpiadi di Rio de Janeiro, che Bekele guarda in televisione: la nazionale etiope lo ha escluso sia dalla maratona sia dai 10.000, su cui lui avrebbe voluto ripiegare.

Ma la stagione non è finita. A Berlino Bekele si trova all’inseguimento di Kipsang, l’ex primatista mondiale che tre anni prima, nella capitale tedesca, aveva sconfitto persino Kipchoge. Al trentacinquesimo chilometro è in ritardo di cinque secondi, ma riesce a ricucire il distacco sul keniano. Poi, a poco più di un chilometro dalla fine, scappa via. Ferma il cronometro sul 2:03’03”, mancando il record del mondo di sei secondi. «È stato fantastico» dice «Sono molto felice di aver battuto il record etiope di Haile Gebrselassie, ma sono anche un po' deluso perché non ho battuto il record mondiale. Però spero di poter tornare per avere una seconda possibilità». Le lancette, per un attimo, tornano indietro di oltre dieci anni. Se Kipchoge è il campione olimpico, Bekele ha appena fatto segnare un tempo da capogiro, ridicolizzando le scelte dei selezionatori etiopi.

La posta in palio, in un decennio, è salita. Il mondo della corsa su strada sta crescendo a ritmi da capogiro, piovono investimenti e soprattutto arrivano le superscarpe che iniziano a rivoluzionare il mondo dell’atletica. È partita anche la corsa alla Luna: la ricerca della prima maratona sotto le due ore. Kipchoge è il volto più importante del progetto Breaking 2 della Nike, che nel 2017 lo porterà al primo tentativo a Monza chiuso a 25 secondi dall’obiettivo. Adidas punta sull’allora primatista mondiale Dennis Kimetto. E poi c’è il progetto Sub2, portato avanti dal professore di Brighton Yannis Pitsiladis, in cui sono coinvolti diversi sponsor e anche Bekele.

Insomma, il 2017 si preannuncia come un nuovo testa a testa tra due fenomeni. Ma le parabole hanno ormai preso segni opposti. A inizio anno Bekele tenta di battere il primato mondiale a Dubai, ma cade in partenza e si ritira di nuovo come due anni prima. Si ritira anche qualche mese dopo, a Berlino, in una gara dominata da Kipchoge. In mezzo, a Londra, è stato secondo alle spalle del keniano Samuel Wanjiru.

Il solco è sempre più ampio. Nel 2018, ancora nella capitale inglese, Kipchoge stravince una maratona che Bekele conclude solo quattro minuti più tardi, in 2:08’53”, in ottava posizione. Pochi mesi dopo, a Berlino, il keniano distrugge il record del mondo: 2:01’39”, l’inseguitore più vicino arriva a oltre quattro minuti e mezzo. Rispetto al vecchio tempo di Kimetto, Kipchoge ha abbassato il limite di 1’18”: quasi due secondi al chilometro. Bekele prova a replicare ad Amsterdam, ma in preda ai dolori alla schiena si ritira a due chilometri dal traguardo.

Per molti osservatori, la sua carriera sembra finita. Non per l’etiope, che risorge un anno dopo, per la seconda volta a Berlino. È il 29 settembre 2019 quando Bekele ferma il cronometro a 2:01’41”. Ha mancato il record mondiale di Kipchoge di appena due secondi. Il keniano, che in primavera ha rivinto a Londra, risponde poche settimane dopo: il 12 ottobre 2019, al Prater di Vienna, diventa il primo uomo nella storia a correre la distanza di una maratona sotto le due ore. Ferma il cronometro a 1:59’40”.

E così, come il 2017, il 2020 è di nuovo la stagione destinata allo scontro finale. Presumibilmente alle Olimpiadi di Tokyo, che però saltano per il Covid. L’attesa si sposta sulla maratona di Londra, riprogrammata in autunno. Vengono invitati entrambi, dovrebbe essere la ‘corsa del secolo’. Ma due giorni prima della gara Bekele si tira indietro, di nuovo piegato dagli infortuni. I riflettori si concentrano su Kipchoge, che però crolla al 37esimo chilometro e finisce ottavo nella sua prima sconfitta in sette anni. Gli si era tappato l’orecchio, spiega poi.

Solo un incidente di percorso, prima di un’altra stagione trionfale culminata nell’Olimpiade di Tokyo. A Sapporo, sede della maratona olimpica, Kipchoge vince il secondo oro consecutivo, staccando il più diretto inseguitore di 1’20”: una distanza siderale, in una gara tattica. Anche stavolta, la federazione etiope ha deciso di lasciare a casa Bekele. E in questo caso non è arrivata nemmeno Berlino a consolarlo: in Germania l’etiope è quarto e, un mese e mezzo dopo, è sesto a New York. Il 2022 vede Kipchoge portare il limite mondiale a 2:01’09”, ancora a Berlino, mentre Bekele a Londra non va oltre il quinto posto.

E si arriva al 2023. Bekele torna nella capitale inglese e, come spesso gli è successo, si ritira. Ma sei giorni prima Kipchoge, a Boston, è andato in crisi ed è arrivato sesto, a tre minuti e mezzo da Evans Chebet. A settembre il keniano si ritrova a Berlino, dove vince in solitaria. Poche settimane e il mondo cambia. A Chicago un keniano di 15 anni più giovane, Kelvin Kiptum, fa il record del mondo della maratona: 2:00’35”. È la terza volta che corre questa distanza ed è alla terza vittoria, nemmeno Kipchoge ha avuto questo ruolino di marcia all’inizio della carriera su strada. Prima di Chicago ha stravinto a Londra, mentre Bekele si ritirava. Come tanti anni prima, all’etiope e al keniano arriva un messaggio chiaro: la loro era è agli sgoccioli.

Il tempo di Kiptum, però, finisce ancora prima. Muore l’11 febbraio 2024, in un incidente autostradale. In tre gare ha lasciato un segno indelebile: ha corso la prima, la terza e la settima maratona più veloci di sempre. Era destinato a scendere sotto le due ore in una maratona vera, c’erano pochi dubbi.

Nel 2024 Kipchoge ha corso una sola maratona: a Tokyo è stato decimo, il suo risultato peggiore di sempre sulla distanza. Bekele, mentre alla porta di Kipchoge si affacciavano i timori di crepuscolo, è riemerso. A fine 2023 ha corso la maratona di Valencia in 2:04’19”, arrivando quarto, e poi si è migliorato a Londra, in 2:04’15”, secondo alle spalle del keniano Alexander Mutiso. Non aveva mai corso così bene due eventi di fila, che per altro gli sono valsi la maggior prestazione di sempre per un over 40 sulla maratona. E le prestazioni hanno convinto gli etiopi: a Parigi ci sarà anche lui.

Kipchoge a Sapporo.

L’ultimo ballo

Le traiettorie di Bekele e Kipchoge sono state una l’opposto dell’altra. Con un punto in comune: tolti loro due, mai qualcuno nella storia della corsa ha saputo esprimere un livello così alto per così tanti anni. Dal 2003 a oggi si sono misurati in 21 scontri diretti: Bekele è arrivato davanti in 13 occasioni, Kipchoge in otto. Bekele conduce 10-3 nelle gare su pista, 1-0 nelle indoor e 2-1 nelle campestri. Kipchoge è sul 4-0 nella maratona. L’etiope ha battuto il keniano 13 volte su 14 tra il 2003 e il 2011, ma negli ultimi dodici anni non è mai riuscito ad arrivargli davanti.

A Parigi ci arrivano entrambi lontani dagli anni migliori. I tre primati mondiali che hanno detenuto gli sono stati strappati. Bekele ha perso quelli di 5.000 e 10.000 per mano dell’ugandese Joshua Cheptegei, che nel 2020 ha corso i 5.000 in 12’35”36 e i 10.000 in 26’11”00. Per strappare quello scettro all’etiope ci sono voluti sedici anni, una nuova generazione di superscarpe e l’invenzione della lepre luminosa, le lucine lungo il cordolo che segnalano la linea da tenere per il record.

Kipchoge sembra aver imboccato il viale del tramonto, Bekele è un gatto aggrappato all’ultimo brandello della sua nona vita. Certo l’etiope ha vissuto un anno in ripresa, ma la carta d’identità gli dà 42 anni. In gara a Parigi, dopo la morte di Kiptum, ci saranno i keniani Benson Kipruto, Timothy Kiplagat e Alexander Munyao, oltre all’etiope Deresa Geleta e al francese Morhad Amdouni: tutti quelli che precedono Bekele nelle liste dei migliori tempi di quest’anno. Ci sarà anche l’etiope Sisay Lemma, che precede Kipchoge nelle graduatorie 2023.

E così, a scorrere la lista dei partenti, è difficile individuare un favorito. Diversi danno Kipchoge vincente, ma come abbiamo visto il keniano ha perso nettamente due delle ultime tre maratone che ha corso. La gara di Tokyo è stata preoccupante e ne ha persino messo a rischio il pass olimpico. I selezionatori keniani avrebbero potuto scegliere qualcun altro al suo posto: solo nel 2024 ci sono 15 connazionali che hanno fatto meglio di Kipchoge e guarderanno l’Olimpiade dal divano di casa.

Kipchoge però ha raccontato che, quando ha corso quella gara, non dormiva da tre giorni: sui social si era diffusa la teoria complottistica per cui lui sarebbe coinvolto nella morte di Kiptum. Ci hanno creduto anche molti amici e compagni di allenamento. Lui e la sua famiglia hanno ricevuto varie minacce alla loro incolumità. «Ho imparato che l'amicizia non può essere per sempre», ha detto alla Bbc. «Penso che sia una sfortuna che sia successo proprio quando sto festeggiando più di 20 anni di attività sportiva. Quello che è successo mi ha spinto a non fidarmi di nessuno. Non mi fiderò nemmeno della mia ombra».

Kipchoge sarà alla partenza. La federazione keniana sa come la maratona olimpica non abbia nulla a che vedere con le altre: il cronometro conta zero, non ci sono lepri né ingaggi o premi stratosferici. Si corre per vincere. Molti maratoneti capaci di fare tempi mirabolanti nelle maratone principali si squagliano quando in palio c’è la medaglia. Oppure nemmeno si presentano al via. Lui ha già ampiamente dimostrato di saper correre anche per le medaglie, senza lepri disposte a portarlo in carrozza per oltre metà gara. Vale lo stesso per Bekele, che decine di volte ha lottato per un titolo in pista o nel cross.

Il percorso della maratona olimpica di Parigi è durissimo. Ispirato alla Marcia delle donne su Versailles del 5 e 6 ottobre 1789, la manifestazione che costrinse Luigi XVI a ratificare la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, prevede un dislivello di 438 metri in salita e 436 in discesa. Le rampe significative sono tre, la terza è un piccolo Mortirolo: 600 metri al 13,5% intorno al ventottesimo chilometro, a due terzi di gara, seguiti da una picchiata insidiosa perché muscolarmente molto impegnativa. Il tratto dal chilometro 28 al 32, che già è delicato a prescindere, sembra disegnato apposta per far saltare in aria la gara, con l’affondamento di diversi pretendenti.

Forse il Bekele di vent’anni fa sarebbe andato a nozze con un’altimetria del genere. Quello attuale è piagato da oltre un decennio di infortuni muscolari: eccetto la mediocre prova di New York, ha sempre preferito le maratone piatte e filanti. A favore suo e di Kipchoge c’è il fatto che un disegno simile condurrà tutti a miti consigli: sarà difficile che qualcuno imponga un ritmo folle fin dal primo metro e questo può favorirli. Loro ci credono. Kipchoge, due volte campione olimpico, è alla quinta Olimpiade e se riuscisse nell’impresa diventerebbe il primo nella storia in grado di fare una tripletta. Una medaglia ai Giochi, variando i colori, l’ha sempre vinta. Bekele sente di non aver ancora espresso il suo potenziale in maratona a causa degli infortuni.

Negli ultimi vent’anni i ragazzini di Parigi 2003 hanno guadagnato molti soldi. Entrambi hanno intrapreso attività imprenditoriali e continuano ad avere sponsor importanti, Bekele dall’anno scorso è seguito dal brand cinese Anta. Hanno messo su famiglia: hanno tre figli ciascuno, a cui hanno garantito una vita agiata che loro, nei primi anni, non hanno avuto. Kipchoge, che aveva perso il padre in tenerissima età, puntava solo a prendere un aereo per l’Europa. Bekele, come tutti in Etiopia, ha dovuto sconfiggere la concorrenza di migliaia di connazionali. Tra loro c’era anche qualche familiare.

Hanno vinto e ottenuto tutto, ma per la maggior parte dell’anno si allenano due volte al giorno, conducono una vita spartana fatta di privazioni, percorrono ogni settimana 200 chilometri o più, bendano gli infortuni in aumento, cercano di adeguare un corpo logorato alle necessità. Una fila di sacrifici che li mantiene appesi al vertice mondiale, anche se non guardano più tutti dall’alto in basso.

Bekele e Kipchoge non gareggiano contro da sei anni, dopo una vita passata a darsi battaglia. Se non ci saranno intoppi dell’ultimo secondo tireranno le somme su sogni, esperienze e sacrifici a Parigi, dove si rivelarono al mondo oltre vent’anni fa e dove, nel 2012, capirono che la loro epoca su pista era finita. È possibile che nessuno dei due lotti per la vittoria, ma comunque vada potrebbe (dovrebbe) essere l’ultimo confronto ad altissimo livello tra i due più grandi corridori di questo secolo, da sempre condannati a misurarsi l’uno sui trionfi dell’altro. L’ultimo valzer, con un coltello nascosto dietro la schiena.

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