Una volta completato con successo l’atterraggio del suo quinto e ultimo salto, probabilmente, Shaun White già lo sapeva. E prima ancora che la sua corsa si arrestasse si è strappato di dosso la maschera, incanalando in un urlo tutta la rabbia, l’adrenalina e la gioia che gli erano rimaste in corpo.
C’è voluto più di un minuto, poi, perché i giudici mettessero nero su bianco l’ennesima pagina di storia firmata dallo snowboarder californiano, facendolo esplodere in un pianto liberatorio: 97.75, due punti e mezzo al di sopra lo score del giapponese Hirano Ayumu – campione degli ultimi X Games e medaglia d’argento per la seconda Olimpiade consecutiva.
A fare la differenza tra White e Hirano, con i piatti della bilancia occupati da due run eccellenti e tecnicamente molto simili, è stata anche la tempistica: in una competizione dove la classifica è determinata dal più alto fra i tre singoli punteggi ottenuti nelle run finali, il giapponese ha espresso il suo apice nella seconda, prendendosi temporaneamente la testa della classifica grazie alla chiusura di un doppio 1440 – una manovra che prevede quattro evoluzioni aeree da 360 gradi. E quando il 19enne nato a Murakami è caduto nella sua terza ed ultima run, fallendo il tentativo di migliorare ulteriormente il suo punteggio, restavano solo due caselle da riempire sul tabellone: quelle dell’australiano Scott James e quella di Shaun White.
Due 1440 in back-to-back, all’interno della stessa run, White non li aveva mai completati. Anzi, non li aveva nemmeno mai provati, perché troppo pericolosi. Lo scorso ottobre, mentre si allenava in Nuova Zelanda, la mancata chiusura di un 1440 gli era costata sessantadue punti di sutura tra fronte, naso e labbro. Un infortunio grave, oltre che esteticamente inquietante, che a caldo lo scombussolò a tal punto da fargli prendere in considerazione ogni possibile ipotesi — anche quella più sconvolgente.
«Non volevo più sentirmi così. È stato orribile, non mi ero mai infortunato in questo modo. Quando cadi di solito ti limiti a qualche graffio, a una storta, non arrivi mai a chiederti che diavolo sia successo mentre ti guardi allo specchio, o se tornerai ad avere l’aspetto di prima», dichiarò a riguardo.
A PyeongChang, però, White sapeva di non avere scelta: doveva completare con successo quella combinazione per battere Hirano, per dimenticare la Nuova Zelanda e per entrare nella storia.
Primo salto: frontside double cork 1440.
Secondo salto: cab double cork 1440.
Terzo salto: frontside 540.
Quarto salto: double McTwist 1260.
Quinto salto: frontside double cork 1260.
La chiusura ideale di una finale dalla sceneggiatura perfetta – con buona pace di Hirano e James. Una sequenza da brividi. E soprattutto, il terzo oro Olimpico della sua magnifica carriera.
Nell’ordine: la prima run di Scotty James da 92 punti, la prima di Shaun White da 94.25, la seconda di Hirano Ayumu da 95.25, la caduta di White nella sua seconda run, e la run da 97.25 che gli è valsa la vittoria.
Una medaglia con così tante facce che è quasi impossibile metterle tutte sotto la giusta luce. Con la vittoria di PyeongChang 2018, per esempio, White è diventato il primo snowboarder della storia a mettersi al collo tre titoli Olimpici, nonché il Campione Olimpico numero 100 per gli Stati Uniti ai Giochi Invernali – un traguardo precedentemente raggiunto solo dalla Norvegia.
O ancora: questo successo mette il sigillo su uno storico sweep a Stelle e Strisce completato da Red Gerard e Jamie Anderson, saliti sul gradino più alto del podio nello slopestyle, e da Chloe Kim, vincitrice nell’halfpipe femminile.
Una medaglia che nella vasta bacheca di Shaun va a far compagnia a quelle vinte a Torino 2006 e Vancouver 2010 – quando i capelli rosso fuoco gli arrivavano oltre le spalle e ancora gradiva essere chiamato “Flying Tomato” – ma che temporalmente viene dopo al fallimento di Sochi 2014, dove mancò il podio sia nell’halfpipe che nello slopestyle, e dove — ben prima dell’incidente in Nuova Zelanda — prese in considerazione una prima volta l’idea del ritiro. Difficile immaginarselo uscire di scena da perdente.
Lui, nato con una malformazione congenita che lo costrinse a due operazioni al cuore prima dell’anno di età, e capace di ammassare sin da giovanissimo una quantità spaventosa di riconoscimenti – tra cui 10 ESPY Award e 18 medaglie agli X Games invernali. Lui non se ne sarebbe mai andato così. Passata la delusione di Sochi 2014, White ha quindi canalizzato ogni sua energia su PyeongChang 2018: ha chiuso allo slopestyle, ha preso parte a una manciata di gare di Coppa del Mondo, ed è andato a meritarsi la partecipazione Olimpica al Toyota US Gran Prix lo scorso 13 gennaio. Il resto è storia.
«Verrebbe da pensare che quella sconfitta potesse essere la fine di tutto, invece ne è stato l’inizio. Invece di lasciare che mi distruggesse, mi sono chiesto: cosa voglio fare adesso? Ed è così che è iniziato tutto».
Oggi, a 31 anni, Shaun White è il più vecchio snowboarder ad aver mai partecipato ad una gara Olimpica di halfpipe, e in quelle poche ed enigmatiche dichiarazioni in cui l’argomento è stato affrontato, non ha mai chiuso la porta ad un’eventuale partecipazione ai prossimi Giochi Olimpici Invernali di Pechino nel 2022.
Il tempo per fare tutte le valutazioni necessarie non gli mancherà, così come non gli mancheranno le attività collaterali a cui dedicarsi, qualora dovesse decidere di slacciarsi definitivamente gli scarponi: un numero imprecisato di linee di abbigliamento; un gruppo musicale di discreto successo; la quota di maggioranza di Air + Style, un festival nato nel 1994 che coniuga musica e snowboard facendo tappa annualmente a Los Angeles, Pechino e Vienna; nonché un numero imprecisato di sponsorizzazioni e partnership commerciali che di certo non verrebbero scalfite da un suo eventuale ritiro. Così come non erano state scalfite dalle accuse di molestie sessuali e inadempienze contrattuali mossegli nel 2016 da Lena Zawaideh, ex batterista dei Bad Things – la band fondata nel 2012 da White, dalla stessa Zawaideh e dal chitarrista Anthony Sanudo.
Alla conferenza stampa post-gara le domande sulle accuse passate non hanno tardato ad arrivare. E il meccanismo di protezione dell’ufficio stampa si è mosso in maniera quasi istantanea, non senza evitare ulteriori polemiche.
La chiusura della causa civile, che ha visto le due parti raggiungere un accordo riservato nel maggio 2017, non ha impedito che la crescente attenzione verso il tema delle molestie e l’avvicinarsi dei Giochi Olimpici hanno fatto in modo che il tema tornasse a galla nelle ultime settimane, e che il lascito di White – che già prima dell’oro di PyeongChang era considerato il miglior snowboarder di sempre – venisse rimesso in discussione.
Il vero interrogativo a cui trovare risposta in tempi più brevi, però, è un altro: la disciplina dello skateboard è ufficialmente entrata a far parte del programma Olimpico di Tokyo 2020 e il prossimo grande obiettivo di White potrebbe essere quello di diventare il sesto atleta di sempre capace di vincere una medaglia Olimpica sia ai Giochi Estivi che a quelli Invernali. Una doppietta riuscita, per ora, solo all’americano Eddie Eagan – unico a vincere l’oro in entrambe le occasioni – al norvegese Jacob Tullin Thams, alla tedesca Christa Luding-Rothenburger, alla canadese Clara Hughes e alla statunitense Lauryn Williams.
Perché quello che spesso sfugge a spettatori occasionali e analisti troppo sintetici è che la prima tavola cavalcata da White correva su quattro ruote, e che la sua carriera fu lanciata in principio da Tony Hawk – il più grande skateboarder di tutti i tempi – che scoprì Shaun all’età di soli 9 anni, alimentandone il talento e portandolo a vincere, tra le altre cose, cinque medaglie nel vert agli X Games, inclusi gli ori del 2007 e del 2011.