Quando sabato sera la Coppa d’Africa 2023 ha preso il via all’Olympic Stadium Ebimpé di Abidjan, capitale de facto della Costa d’Avorio, nessuno dei presenti - e forse neppure dei giocatori in campo - ha potuto scrollarsi di dosso un certo senso di surreale. Non per il 2-0 con cui la Nazionale di casa ha piegato la Guinea-Bissau, tutt’altro che sorprendente, bensì per il significato intrinseco di questa edizione del torneo. E per il contesto: un mastodontico impianto da oltre 60mila posti, nuovo di zecca. Il fiore all’occhiello dell’intero continente, in una serata che ha restituito un suo ritratto estremamente veritiero, contraddizioni e problematiche incluse.
Il fatto che per la prima volta dopo quarant’anni la sede della Coupe d'Afrique des Nations sia la Costa d’Avorio non era affatto scontato, anzi. Tanto da un punto di vista sportivo, come testimonia il (solito) ping pong di assegnazioni dell’evento, quanto per il suo valore sociale, identitario e geopolitico, definito dall’ultimo mezzo secolo di storia del Paese.
La Françafrique
Dopo la fine del colonialismo, la Costa d’Avorio è stata per 40 anni nelle mani di Félix Houphouët-Boigny, leader del Parti Démocratique e di un governo che ha assunto nel tempo una connotazione sempre più personalistica. A partire dal 1960, e soprattutto dal falso colpo di stato inscenato nel ’63 per accentuare la repressione dell’opposizione e l’accentramento dei poteri, la storia del Paese è stata legata a doppio filo a quella del suo presidente. "Finché morte non vi separi", si dice in altre occasioni: tanto che si è dovuta effettivamente attenderne la scomparsa, nel 1993, perché il contraddittorio potesse tornare sulla scena politica ivoriana.
Tra le altre cose, Houphouët-Boigny era anche un grande appassionato di calcio. Negli anni ’70, ad esempio, ha spedito in Brasile venti studenti promettenti per carpire i suoi segreti, aprendo un canale che porterà alla nascita del Maracana, lo street soccer ivoriano. E non è un caso che l’odierna Supercoppa locale sia intitolata proprio allo storico presidente.
Houphouët-Boigny ha garantito per decenni un livello invidiabile di prosperità. In ambito internazionale, però, ha trasformato Abidjan nella quintessenza della cosiddetta Françafrique. Con questa espressione, ripresa negli anni ‘90 dal giornalista e attivista François-Xavier Verschave, viene indicato quel sistema di potere tramite cui la Francia ha mantenuto a lungo il predominio su buona parte dell’Africa occidentale; un sistema che secondo diversi intellettuali perdura ancora oggi, e che ha fatto della Costa d’Avorio la testa di ponte per le politiche francesi in questa parte del continente, sabotando regimi sgraditi a Parigi e garantendo a Houphouët-Boigny il supporto della ex-madrepatria per restare al potere.
Questo legame è diventato esplicito durante il suo funerale, a cui hanno partecipato il presidente francese François Mitterrand, il primo ministro Édouard Balladur e l’alto funzionario Jacques Foccart (ideatore della Françafrique, secondo alcuni). Quel giorno il sistema di potere incentrato sulla sua figura crollava definitivamente, due anni dopo la fine della sovrastruttura dei due blocchi della Guerra Fredda.
All’inizio degli anni 2000 la Costa d’Avorio, guidata dell’ex oppositore di Houphouët-Boigny, Laurent Gbagbo, era un Paese in bancarotta e in cerca di una propria identità. La morte del presidente aveva riacceso il separatismo nelle regioni del nord (musulmano) e del sud (cristiano), mentre la classe dirigente guidata dal presidente Bédié lanciava nel contesto politico interno il concetto di ivorianità, teso a sottolineare la differenza tra i “veri ivoriani” (tendenzialmente del sud, cristiani e francofoni) e quelli figli della migrazione (del nord e musulmani). Un concetto che, seppur messo alla berlina nel dibattito pubblico, ha lasciato un solco profondo nel Paese, contribuendo ad alimentare le tensioni che hanno portato alle due guerre civili di inizio millennio.
Contraddizioni e violenze
Il caos è iniziato nel 2002, quando Guillaume Soro, con un’operazione militare durata pochi mesi, ha preso il controllo di tutta la regione settentrionale della Costa d’Avorio, alla testa dell’alleanza delle “Forze Nuove”, una coalizione di movimenti ribelli. Erano gli anni in cui il Paese, considerato precedentemente uno dei più ricchi dell’Africa occidentale, crollava in tutti gli indici di sviluppo umano; in cui la Francia dispiegava un contingente armato di quattromila uomini per interporsi tra nord e sud; e in cui anche l’ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) schierava un proprio contingente nel tentativo di mediare tra le parti.
Nel 2007, finalmente, le "Forze Nuove" e il governo raggiungevano gli accordi di pace, firmati in Burkina Faso: Soro primo ministro, Gbagbo presidente, in attesa di tornare alle urne tre anni più tardi. Quando si sono tenute le elezioni presidenziali nel 2010, però, la guerra è ripresa: Gbagbo ha rifiutato di riconoscere la vittoria di Alassane Ouattara, l’attuale presidente, che è stato marginalizzato proprio grazie al concetto di ivorianità, essendo musulmano. Sono stati necessari una lunga serie di scontri, l’impiego di mercenari della Liberia e lo sforzo combinato di Soro e dell’ONU perché Ouattara riuscisse a vedere legittimata la propria vittoria.
Dieci anni fa, insomma, l’idea che Abidjan potesse ospitare l’avvenimento sportivo più importante del continente era impensabile. Oggi però la Costa d’Avorio è un Paese completamente diverso: dinamico e ambizioso, ma su cui incombono diversi interrogativi. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che sarà una delle dieci economie più prospere del 2024, grazie anche alla nascente industria petrolifera, e nel frattempo il Paese si gode una rinascita sportiva e culturale a suon di Afrobeats. Tale processo, però, non è andato di pari passo con l’emancipazione auspicata dal popolo ivoriano. E così, sabato sera le luci dell’Olympic Stadium Ebimpé si sono accese su un Paese con un’età media di 17.9 anni, in cui i giovani tollerano poco l’amministrazione di un governo troppo anziano (Ouattara ha 82 anni), a torto o a ragione percepito come troppo remissivo nei confronti della Francia (un sentimento molto diffuso in tutto il continente).
I rapporti tra nord e sud, poi, restano conflittuali. Non vicini alla violenza armata, ma comunque caratterizzati da risentimento reciproco e inaspriti dalla vecchia questione dell’ivorianità, non del tutto archiviata nel dibattito pubblico. E mentre la maggior parte della popolazione rimane ben distante dai benefici del boom economico, sullo sfondo di tutte queste contraddizioni c’è il timore che la violenza armata che sconvolge il vicino Burkina Faso si riversi sul Paese e che la Costa d’Avorio piombi di nuovo nel caos. I campanelli d’allarme non mancano in tal senso: in questi mesi la disinformazione contro il governo (in alcuni casi veicolata dalla Russia) si sta facendo strada, e l’ex primo ministro Soro recentemente ha fatto visita ai golpisti filorussi di Niger e Burkina Faso. Un delicato crocevia nella storia della Costa d’Avorio, insomma, che nel frattempo sta abbracciando la trentaquattresima edizione della Coppa d’Africa, tornata ad Abidjan dopo tanto tempo, a coronamento di un percorso tortuoso anche per gli standard della confederazione africana di calcio (CAF).
Il viaggio della Coppa d’Africa 2023
“La Coppa d’Africa si giocherà nel 2019 in Camerun, nel 2021 in Costa d’Avorio e nel 2023 in Guinea”. Lo aveva annunciato dieci anni fa Issa Hayatou, storico presidente della CAF. Il programma delineato nel meeting del Cairo, che era già una rivisitazione di quello originario (scombinato dalla rinuncia del Marocco, causa Ebola, ad ospitare l’edizione del 2015), era però destinato a una lunga serie di revisioni. L'idea, mai realizzata finora, era quella di giocare nei mesi di pausa dei campionati europei.
Il rimpallo di quelle tre assegnazioni è iniziato con il trasloco dal Camerun all’Egitto per l’edizione 2019, dovuto all’instabilità politica di Yaoundé e alla mancanza di garanzie sugli impianti. Poi c'è stata la restituzione del torneo alla federazione camerunense per il 2021 e il conseguente slittamento di sei mesi per evitare la stagione delle piogge (insieme ad alcune criticità relative alla pandemia). Infine è arrivata la conferma della Costa d’Avorio per l’edizione seguente, in programma nell’estate 2023, anzi qualche mese più tardi. Quindi ancora nel pieno delle competizioni europee, per via delle solite ragioni climatiche e forse anche in funzione di un miglior incastro con il calendario FIFA, stravolto dagli ultimi Mondiali in Qatar.
Un incessante aggiustare e riprogrammare, insomma, che alla fine ha accontentato tutti tranne la Guinea, cui la CAF ha negato l’assegnazione per il 2025 in favore del Marocco. Nel 2027, invece, la competizione si dividerà tra Kenya, Tanzania e Uganda, ma come dire: mai dire mai. Alla fine stiamo parlando di un evento che dal 2013 in avanti ha avuto luogo esattamente zero volte nella Nazione originariamente designata.
La cerimonia d’apertura dell’edizione corrente, come anticipato, si è svolta nell’Olympic Stadium Ebimpé. Un gioiello costato oltre 300 milioni di dollari, progettato su misura e realizzato dalla Beijing Construction Engineering, che ci racconta un’altra faccia della nuova Abidjan. Ovvero la fervida era che stanno vivendo i suoi rapporti con Pechino, radicati in una cooperazione decennale, che però comincia ad essere percepita come (neo)colonialista anche in Africa. Sulla rotta della nuova via della seta, al secolo Belt-and-Road Initiative (a cui la Costa d’Avorio ha aderito nel 2017), una valanga di investimenti è confluita dal gigante asiatico verso il continente: quasi due miliardi di dollari negli ultimi tre anni, l’86% dei quali in Africa occidentale, con la Costa d’Avorio come terzo beneficiario. Capitali che hanno creato nuovi sbocchi commerciali e accresciuto l’influenza globale (politica ed economica) di Pechino.
Forte di tale sostegno, Abidjan - che si affaccia sull’Oceano Atlantico - si è affermata come uno dei porti principali della regione; ha decuplicato le esportazioni di materie prime (soprattutto il pescato del Golfo di Guinea) verso il mercato cinese, le cui dimensioni rappresentano un’enorme opportunità per un’economia in rampa di lancio come quella ivoriana; ha dato impulso allo sviluppo dell’industria petrolifera, gettando le basi per una vertiginosa crescita nel futuro prossimo; e non ultimo, ha edificato o modernizzato un’ampia gamma di infrastrutture in vista della Coppa d’Africa (tre stadi nuovi e due ristrutturati, strade, linee ferroviarie, trasporti pubblici, hotel, centri commerciali e polifunzionali). Quest'ultimo caso di scuola, tutt’altro che isolato, di quella che viene definita stadium diplomacy.
E così, la Costa d’Avorio e le altre 23 Nazionali partecipanti hanno inaugurato nei giorni scorsi la volata che porta alla finale dell’11 febbraio, ovviamente sul campo dell’Olympic Stadium Ebimpé. Le prossime settimane, comunque vada la competizione, saranno una festa e quasi una liberazione per un Paese diviso dalla violenza. Per qualche giorno tutti, in Costa d'Avorio, si aggrapperanno alla speranza che gli "Elefanti" guidati dal CT Jean-Louis Gasset possano raggiungere la terza stella (e un montepremi niente male).
Il sogno degli Elefanti
Come detto, la selezione ivoriana ha iniziato il suo cammino col piede giusto. Certo, con una prestazione non entusiasmante sul piano del gioco espresso e delle occasioni concesse a una modesta Guinea-Bissau, ma, si sa, nelle competizioni per Nazionali conta solo il risultato. La Costa d'Avorio ci è riuscita da subito, orientando il girone (completato da Nigeria e Guinea Equatoriale) con tre punti preziosi, e mitigando così anche la pressione tipicamente riservata ai padroni di casa. Per rompere il ghiaccio sono bastati quattro minuti e una sequenza che ha messo in risalto due dei punti di forza di questa squadra: la riaggressione nella metà campo avversaria, da cui nasce l’errore in costruzione della difesa guineense, e il talento del centrocampo ivoriano, tratteggiato dal fantastico gol di Seko Fofana su suggerimento di Franck Kessié.
L’azione con cui Fofana ha sbloccato la gara, ricordando tutto il suo valore a chi se ne fosse scordato dopo il trasferimento in Arabia Saudita: l’attacco immediato dello spazio dopo il recupero, la fisicità nella protezione della palla, l’elegante serie di tocchi nello stretto contro due avversari, la preparazione e l’esplosione del tiro sul secondo palo.
Le due stelle del centrocampo verde-arancio hanno sfiorato il bis poco più tardi, quando Kessié ha innescato nuovamente il destro di Fofana, da cui è partito un altro siluro che però si è stampato sulla traversa. La Costa d’Avorio insomma ha messo in mostra fin da subito la qualità di un reparto che può contare anche su Ibrahim Sangaré (Nottingham Forest), e che si può legittimamente considerare tra i più attrezzati, almeno sulla carta, dell’intera competizione. Forse il più completo in assoluto, considerando il poliedrico mix di doti fisiche e tecniche garantito dal terzetto in mediana. È soprattutto la loro presenza a rendere la Nazionale di Gasset - al debutto come CT, dopo una vita nell’ombra di Laurent Blanc - una delle favorite per la vittoria finale, pur non partendo in prima fila (riservata dalle agenzie di scommesse a Marocco, Senegal ed Egitto, seguite a ruota da Nigeria, Costa d’Avorio, Camerun e Algeria).
Non è la Nazionale degli anni d’oro, di Didier Drogba e Yaya Touré, ma è un gruppo che può permettersi di puntare in alto, presentandosi con una discreta esperienza in campo internazionale e una rassicurante profondità della rosa; e, ovviamente, con il fattore campo dalla propria parte, in una competizione che storicamente ha premiato spesso (11 volte su 33 edizioni) i padroni di casa.
Oltre alla mediana, di cui si è già parlato, il 4-3-3 degli ivoriani (che nel debutto si trasformava spesso in un 4-2-4 in fase di possesso, con Fofana avanzato) culmina in un reparto offensivo con diverse alternative di qualità, ma che desta qualche sospetto. Simon Adingra (Brighton) e Sébastien Haller (Borussia Dortmund) sono in condizioni fisiche precarie e hanno seguito dagli spalti la gara d’esordio, in cui il tridente è stato composto - con una disposizione variegata nel corso del primo tempo - da Jonathan Bamba (Celta Vigo), Jérémie Boga (Nizza, ex Atalanta) e Jean-Philippe Krasso (Stoccarda). Proprio quest’ultimo ha messo la firma sulla rete del definitivo 2-0, facendosi perdonare una chance sprecata nella prima frazione.
Dopo Fofana, anche quello segnato da Krasso è un gol molto bello e difficile, pur con la complicità dell’intera difesa guineense.
Sarà interessante seguire nelle prossime settimane gli sviluppi nelle scelte di Gasset in questo reparto. Oltre ai malconci Adingra e Haller, infatti, nella prima uscita sono rimasti fuori dall’undici titolare anche Karim Konaté (punta del Salisburgo), Nicolas Pépé (ala del Trabzonspor) e Christian Kouamé (Fiorentina), ma le gerarchie sembrano ancora in via di definizione.
Al centro della difesa, invece, Ousmane Diomande (Sporting Lisbona), Evan Ndicka (Roma) e Odilon Kossounou (Bayer Leverkusen) si giocano le maglie da titolari, con i primi due partiti dall’inizio contro la Guinea-Bissau; porta presidiata da Yahia Fofana (Angers), e corsie affidate a Wilfried Singo (Monaco, ex Torino), Ghislain Konan (Al-Fayha) e Serge Aurier (Nottingham Forest), senza escludere un possibile passaggio alla difesa a tre, a cui si potrebbero adattare anche i terzini.
Con queste premesse la selezione di Gasset si presenta a uno degli scontri più attesi della fase a gironi, il big match in programma stasera contro la Nigeria. Una sfida che profuma di tradizione calcistica africana, che ricorda svariati momenti significativi per entrambe, e che per Osimhen, Lookman e compagni ha assunto particolare importanza dopo il pareggio al debutto contro la Guinea Equatoriale.
Allargando lo sguardo, l’obiettivo della Costa d’Avorio non può che essere lo spicchio rosso al centro del bersaglio. Salire sul tetto del continente per la terza volta, dopo i trionfi del 1992 e 2015, questa volta davanti alla propria gente. Per avvicinarsi alla meta, innanzitutto, si dovrà fare decisamente più strada che nell’ultima Coppa d’Africa giocata in casa (eliminazione al primo turno), ma anche rispetto all’ultima comparsa nel torneo, ventiquattro mesi fa (ottavi di finale); possibilmente, meglio anche delle spedizioni del 2021 e 2019 (quarti), e senz’altro del flop di sei anni fa (zero vittorie, ultimo posto nel girone).
Ad Abidjan sembra ieri, eppure sono passati otto anni dall’indimenticabile (e interminabile) lotteria dei rigori che ha deciso la finale del 2015. Quella vittoria contro il Ghana è impressa indelebilmente nella memoria di Max Gradel e Serge Aurier, i due reduci attualmente in squadra, ma non solo: rappresenta un momento di felicità collettiva e un’oasi di spensieratezza di cui ogni ivoriano conserva il ricordo, con gelosia e una certa nostalgia. Gli elefanti d’altronde non dimenticano niente, no?