Nonostante le tre sconfitte arrivate con Napoli, Juventus e Roma (e quella di ieri in coppa con l'Eintracht) la stagione della Lazio non si può certo dire già compromessa, ma è comprensibile il malumore della tifoseria nei confronti di una squadra che non ha ancora raccolto neanche un punto in tutti gli scontri diretti in campionato. Soprattutto, è comprensibile la preoccupazione per una Lazio che non sembra più la letale macchina verticale messa a punto da Simone Inzaghi nella scorsa stagione. Non più, cioè, una squadra capace di produrre una grande quantità di occasioni da gol, tale che compensasse le carenze difensive.
Dopo un mercato che ne ha confermato interamente l’assetto titolare (se vogliamo considerare il Felipe Anderson della passata stagione come un panchinaro qualsiasi, nonostante avesse risolto diverse partite) ad esclusione del centrale difensivo de Vrij finito all’Inter a parametro zero, la Lazio ha mantenuto invariato anche l’atteggiamento tattico e i principi di gioco. Per questo, dato che le cose non stanno comunque girando, è lecito mettere in discussione le performance dei suoi uomini di maggior qualità, sempre decisivi nel 2017/18: Luis Alberto e Sergej Milinkovic-Savic.
Sono stati loro la principale fonte di gioco della stagione precedente: il primo grazie alle sue doti di rifinitura e visione sulla trequarti, il secondo creando superiorità numerica attraverso la vittoria di duelli individuali, sia aerei sia palla a terra, grazie a una fisicità prorompente abbinata a una tecnica fuori dal comune nello stretto.
Nella scorsa stagione, oltre allo sfruttamento delle loro doti nell’ultimo terzo di campo, i due sono stati degli sbocchi fondamentali nello sviluppo di un gioco che altrimenti faceva fatica a verticalizzare con fluidità, e i movimenti ad attaccare la profondità di Immobile si sono dimostrati la perfetta aggiunta per stressare le difese avversarie. La Lazio ’17/’18 accettava di allungarsi pur di allungare anche l’avversario, per poi verticalizzare una volta venutosi a creare lo spazio adeguato, sfruttando anche le doti tecniche e di visione di Leiva o De Vrij, e la consapevolezza di avere a disposizione due leganti ugualmente efficienti come, appunto, Milinkovic-Savic e Luis Alberto.
Cosa non sta funzionando quest’anno
Per capire qualcosa di più sul calo di rendimento dei singoli giocatori possiamo dare un’occhiata alle statistiche avanzate. Nei seguenti, grafici sono riportati i valori medi sui 90 minuti di Expected Goals, tiri, gol, passaggi chiave, assist e Expected Assist.
I numeri di Milinkovic-Savic…
…e quelli di Luis Alberto
Dal confronto coi numeri della scorsa stagione, sempre tenendo presente il campione statistico ridotto, si può dire che per ora:
- entrambi stanno tirando di più
- ma il numero di Expected Goals dei due è pressoché invariato
- gli Expected Assist di Milinkovic-Savic hanno subìto una leggera flessione, mentre quelli di Luis Alberto sono più che raddoppiati, indice della creazione di occasioni mediamente più pericolose
- il numero di key passes prodotti è in calo per entrambi; soprattutto Luis Alberto da questi non ha ricavato ancora nemmeno un assist, mentre lo scorso anno arrivò a 19 tra campionato e Europa League
In sostanza, la cosa più interessante è la vistosa riduzione del coinvolgimento di Luis Alberto nello sviluppo del gioco. Lo spagnolo tocca un minor numero di palloni nelle fasi antecedenti alla rifinitura: 71,3 tocchi ogni 90 minuti l’anno scorso, contro i 61 tocchi palla p90 di questo inizio di stagione. Anche la media realizzativa di SMS, però, è in netto calo, e questo nonostante una quantità media simile di xG a disposizione.
Inoltre, possiamo notare il netto aumento dei tiri di entrambi, ma è un dato che da solo può significare poco, per questo va considerato in un contesto tutto sommato uguale a quello dello scorso anno: la Lazio ha prodotto 15.71 tiri a partita, contro i 15.57 della stagione passata, sostanzialmente la stessa quantità. Quindi, se SMS e LA tirano di più possiamo immaginare sia per un’esasperata ricerca del gol, o per un eccessivo affidamento dell’intera squadra sulla loro capacità di finalizzare. Probabilmente sono vere entrambe le cose.
La monotonia può portare sterilità
Come accennato, l’atteggiamento tattico della Lazio è rimasto immutato da un anno all’altro: con de Vrij sotituito da Acerbi, il 3-5-1-1 di Inzaghi continua ad avere un approccio prevalentemente attendista e predilige, in fase di possesso, costruire le azioni dal basso per poter pescare quanto più avanti possibile i propri jolly offensivi, tenendoli alti anche in buona parte delle fasi di non possesso così da averli come riferimento nelle transizioni offensive.
La tendenza a ricercare l’attacco lungo, stirando al massimo le distanze tra le linee avversarie, porta la Lazio ad allungarsi a sua volta. Per questo, ad esempio, la squadra di Inzaghi è vulnerabile quando deve difendere una transizione avversaria (vedere per credere il gol del 3-1 dell'Eintracht, anche se la Lazio era già ridotta in 10 uomini) quando cioè i meccanismi di gegenpressing non riescono nel recupero immediato. Un rischio che lo scorso anno veniva accettato senza troppi patemi, visto che comunque la produzione offensiva soddisfava le aspettative dell’allenatore sia in termini qualitativi che quantitativi.
Quest’anno però qualcosa davanti non funziona e nell’ultimo derby di Roma abbiamo avuto la conferma delle difficoltà della Lazio ad attaccare posizionalmente, contro una squadra che accetta di liberare le corsie esterne pur di compattarsi in difesa della zona centrale davanti alla propria area. Quando, cioè, la Lazio non può attaccare in un campo lungo. In queste fasi Inzaghi chiede ai suoi laterali di alzarsi simultaneamente per fornire ampiezza e mettere in difficoltà l’avversario sulle scalate, mentre Sergej e Alberto cercano di generare superiorità numerica tra le linee, ricevendo sovente spalle alla porta e trovandosi imbottigliati in spazi troppo stretti.
Sempre nella partita contro la squadra di Di Francesco, i tempi di gioco per cercare la triangolazione con l’esterno vengono messi in crisi dalle corrette letture difensive dell’avversario, che uscendo in aggressione sul destinatario della verticalizzazione può rallentarne la giocata o conquistare il possesso (qui ad esempio vediamo Santon annullare il serbo).
La Lazio, però, sta soffrendo più del previsto anche contro quelle squadre che, seppur più deboli sulla carta, cercano di mantenere il possesso del pallone stando attenti a farsi trovare pronte per le transizioni difensive. L’Empoli, ad esempio, quando perdeva palla era attento a portare subito degli uomini vicino alle due principali fonti laziali, tentando di ripiegare il più velocemente possibile proprio per giungere ad una fase di difesa posizionale.
In questa ripartenza SMS e Luis Alberto sono accompagnati da un marcatore. Marusic non è abbastanza sicuro per portare avanti l’offensiva e perde il tempo di gioco scaricando su Parolo, che troverà poi Milinkovic libero quando la difesa avversaria è ormai schierata.
In questo caso invece Alberto riesce a ricevere, seppur defilato. Avrebbe uno scarico facile su Milinkovic, ma si fa ingolosire eccessivamente dalla corsa in profondità di Immobile e sceglie una verticalizzazione con percentuali di riuscita prossime allo zero.
Per perseguire con efficacia costante i principi di gioco di Inzaghi è necessario portare su il pallone nel minor tempo possibile, ed è chiaro che quando si riducono i tempi a disposizione la possibilità di sbagliare scelta o esecuzione è più elevata.
L’eccessivo bisogno di appoggiarsi ai due rifinitori principali, che anche ad occhio non sembrano passare un momento di forma particolarmente brillante, può essere anche causa di rilassamento nei comprimari, e della scarsa intraprendenza che servirebbe per risolvere situazioni in cui l’appoggio verso il compagno più dotato non è agevole. Quei giocatori più carismatici che non vengono influenzati da questa tendenza, come ad esempio Lulic, espongono comunque i loro limiti tecnici nei momenti clou.
Situazione di attacco posizionale. Nonostante lo scaglionamento complessivo imperfetto, Caceres può scegliere se verticalizzare corto su SMS o lungo, cambiando il lato verso Lulic, ma l’esitazione lo costringerà ad un retropassaggio.
Questa difficoltà nel diversificare la propria manovra offensiva contro squadre che la costringono ad un possesso palla consolidato nelle zone avanzate, abbinata all’insicurezza nell’esecuzione i gesti tecnici e tattici individuali, può essere considerata una causa credibile del periodo poco convincente della Lazio.
Cosa può fare Inzaghi?
Sul lungo periodo le qualità tecniche di Luis Alberto e Milinkovic-Savic dovrebbero tornare ad emergere, colmando il gap produttivo rispetto alla tendenza della scorsa stagione, tuttavia starebbe anche a Inzaghi magari assumersi qualche rischio in più, modificando alcuni dei capisaldi del suo gioco al fine di disimpegnare le sue due stelle, in questo momento di poca lucidità, dall’onere di essere la risorsa offensiva principale. Potrebbe provare a dare, così, maggior coraggio anche al resto della squadra, tornando magari al sistema ultra collaudato una volta riguadagnate fiducia e sicurezza.
Per inserire più qualità negli undici titolari, e utilizzare ad esempio un giocatore dinamico e creativo come Joaquin Correa (senza togliere Luis Alberto come ha fatto Inzaghi in Europa League, o senza spingere l'argentino sulla fascia come fatto in campionato) potrebbe essere necessario ricorrere ad una rimodulazione tattica. Ci sarebbe anche la possibilità di rilanciare un altro acquisto passato relativamente in sordina, Badelj, che potrebbe rivelarsi utile sia nello sviluppo del gioco che nel contrastare gli atavici problemi di gestione delle transizioni difensive, magari in un sistema che preveda il simultaneo impiego di Leiva. Con il doppio mediano a supporto della costruzione bassa ci sarebbe un’ulteriore alternativa per la risalita del campo, che porterebbe a una diminuzione dei lanci lunghi, (considerando che la visione e la raffinatezza di Acerbi, seppur buone, non sono al livello di quelle di De Vrij).
L’utilizzo dei 3 centrali difensivi sembra comunque essere la scelta più consona per la composizione di questa rosa, ricca di tornanti di spinta e quantità ma che possono andare in difficoltà se schierati da terzini puri. In questo senso occorrerà capire chi tra Luiz Felipe, Wallace, Caceres, Bastos e Radu fornisce più garanzie per dare solidità al pacchetto centrale vicino ad Acerbi, con il primo tra i giocatori citati apparso nettamente superiore agli altri finora. Il che significa anche, però, che Inzaghi non può (senza modificare radicalmente la struttura della sua squadra) ripiegare nel modulo più semplice e più usato in questi anni per risolvere i problemi descritti sopra, cioè un 4-2-3-1 che garantirebbe senz'altro più equilibrio e riferimenti più sicuri sulla trequarti.
Ma il problema principale resta che gli avversari della Lazio, soprattutto in campionato, ormai conoscono molto bene pregi e difetti del sistema di gioco di Simone Inzaghi e per questo tentano di averne la meglio sia difendendo bassi e lasciando il pallino del gioco, sia tenendo palla e adattando i propri ripiegamenti difensivi ai movimenti laziali. Alzare la qualità complessiva dell’undici titolare può essere un buon viatico per Simone Inzaghi, ma bisognerà però mettere da parte un po’ di rigidità (in termini tattici e di scelta degli uomini) aspettando che i suoi migliori interpreti tornino a brillare, anche per dimostrare di essere un allenatore in continua crescita.