Simone Pafundi ha giocato appena cinque minuti di un'amichevole tra Albania e Italia. Un'amichevole particolarmente anonima, visto che si è giocata a ridosso del Mondiale tra due squadre che non vi parteciperanno. Eppure, anche solo in quei cinque minuti, guardando Pafundi giocare è difficile non lasciarsi prendere dall’entusiasmo. Ad Alberto Rimedio, per esempio, sono bastati un paio di minuti per tirare in causa Leo Messi - «Certo, poi ci sono mille gol di differenza tra l’uno e l’altro» si è affrettato a precisare, come per spegnere il suo stesso entusiasmo.
Pafundi era entrato all’89’ al posto di Giacomo Raspadori, uno dei nostri migliori giovani. Tra Raspadori e Pafundi ci sono però sei anni di differenza; per capirci, gli stessi che ci sono tra Raspadori e Bernardeschi - che ci sembrano appartenere a due periodi diversi della nostra vita. Questo giusto per capire quanto è giovane Pafundi. Un altro modo per capire l'anomalia della sua età è ancora più semplice: è il più giovane esordiente della storia della Nazionale. Per essere più precisi: il più giovane esordiente dell’ultimo secolo, per trovarne di più giovani bisogna andare a prima della Prima Guerra Mondiale. Si possono fare altri giochini: Pafundi è nato un anno dopo YouTube, due anni dopo Facebook e solo pochi mesi prima che l’Italia vincesse il suo ultimo Mondiale. Quando Grosso ha calciato l’ultimo rigore nella finale di Berlino contro la Francia, Pafundi aveva poco più di tre mesi.
È un giocatore nuovo di zecca per il nostro immaginario. Così nuovo che quando è sbucato il suo nome tra la lista delle convocazioni di Roberto Mancini non ci siamo nemmeno stupiti. Non sapevamo proprio chi fosse, cioè pensavamo a un errore. Nelle chat di Whatsapp rimbalzavano commenti semplici: “chi cazzo è Pafundi”? Una reazione simile a quella che avevamo avuto quando, a settembre 2018, Mancini convocò Nicolò Zaniolo (e noi allora scrivemmo l’articolo “Da dove diavolo spunta fuori Nicolò Zaniolo”).
Questa sorpresa è stata quella di chi, in questi anni, non è stato dietro al treno dell’hype che precede Simone Pafundi. Già nel 2019, o nel 2020, circolavano leggendarie cronache dai campionati primavera di questo ragazzino che metteva in ginocchio i coetanei. Si citano le parole di Angelo Trevisan, responsabile del settore giovanile dell’Udinese, che lo descrive con le parole che si riservano ai profeti: «Vede spazi e tempi di gioco che a volte i suoi compagni non capiscono. È capace di intuire anticipatamente cosa succederà nell’azione che si sta svolgendo».
Qualche mese dopo su Twitter uscivano suoi video rubati clandestinamente da campi periferici dove giocano ragazzini nemmeno pre-adolescenti. Su questi campi Pafundi attraversa lo spazio che lo separa dalla porta come se giocasse da solo, usando compagni e avversari vicini come birilli da aggirare. Chi ha sentito il suo nome chiede informazioni a chi lo ha visto da vicino. Se a un dirigente dell’Udinese, tipo Carnevale, gli si chiede di Pafundi, lui risponde: «Ha il piedino di Diego. È un talento straordinario soprattutto nella testa, quando arriva la palla già sa cosa fare. È un ragazzino napoletano del 2006, uno scugnizzo». In realtà Pafundi non è di Napoli ma di Monfalcone, Friuli, dove è nato da genitori napoletani. Il cognome “Pafundi” in realtà è albanese e significa “infinito”. A 8 anni gioca un’amichevole col Monfalcone contro giocatori dell’Udinese di due anni più grandi e a quanto pare crea il panico. L’Udinese, com’è naturale, decide di portarlo nella sua squadra esordienti. La sua è una classica storia di predestinazione; è uno che ha giocato sempre sotto età, con avversari che sono più grandi di lui anagraficamente ma anche fisicamente. Pafundi è uno di quei giocatori piccoli che a meno di vent’anni sembrano davvero dei bambini. In Primavera ci arriva a 15 anni e fa 6 gol e 7 assist in 16 partite. È stato già paragonato a: Messi, Di Natale, Baggio, Del Piero, Maradona. Daniele Adani lo ha definito “Il Messi italiano”. (Il tipo di definizione che potete leggere come volete: in fondo se siete fortunati avrete un Messi anche nelle vostre partite di calciotto, cioè un attaccante basso, mancino e molto tecnico).
A maggio 2021 diventa il primo 2006 a essere convocato in Serie A. Poco dopo Mancini lo chiama nello stage dedicato ai giovani più promettenti. L’Udinese gli fa firmare il primo contratto da professionista fino al 2024. Durante l’estate scende in campo in qualche amichevole con la squadra di Sottil. Il giorno dopo sui gruppo carbonari di Telegram circolano video di highlights individuali scrutati soppesando ogni singolo dettaglio di ogni singola giocata. Vi incollo sotto il video, se volete ripetere l’esercizio, e capire qualcosa di più sul talento di Pafundi. Potete scegliere l’azione che preferite. Quella in cui vince un duello corpo a corpo con un avversario decisamente più grosso di lui, usando solo con maggiore maestria il proprio bacino. Il modo in cui la palla gli rimane sotto al piede su un passaggio che lo aveva colto in controtempo, la rapidità con cui sposta poi il pallone. In generale, la calma che trasmette, quando la palla gli arriva, la naturalezza con cui orienta il corpo per il primo controllo. La purezza dei suoi fondamentali tecnici, così rara in un paese che guarda con sospetto alla tecnica come l’Italia.
Questo tipo di cose le abbiamo potute vedere anche nei quattro palloni che ha toccato nei quattro minuti di recupero giocati con la maglia della Nazionale. Non voglio farla troppo grossa per una manciata di minuti di gioco, di una partita in cui per giunta dovremmo soprattutto parlare della classe di Vincenzo Grifo. Siccome però mi sembra di aver attirato il vostro interesse a sufficienza, scommetto che ora volete altro Simone Pafundi. Di video su di lui su internet se ne trovano già a sufficienza, con titoli roboanti tipo “A pure class player” o “Why top team wants Simone Pafundi”.
Eccovi dodici minuti di Pafundi che domina il calcio giovanile.
Cosa ci interessa e ci appassiona tanto, di un giovane ragazzino che comincia a giocare a calcio tra i grandi? Un semplice desiderio consumistico di novità? La rassicurazione che la vita si ripeta come rinnovamento? Oppure la sensazione atavica, vagamente materna/paterna, di vedere un cucciolo della nostra specie muovere i primi passi in un contesto competitivo, un tantino goffo come uno che sta ancora ancora prendendo confidenza col proprio corpo? Di sicuro Pafundi ha tutte le cose che ci entusiasmano di un giovane che esordisce con la maglia della Nazionale. È difficile non emozionarsi un pochino a vederlo correre e toccare il pallone. E lo dico sapendo che questo dice poco o nulla sulle possibilità di successo di Pafundi.
Pafundi è mancino, ha il baricentro basso e muove le anche con quella particolare gravità che hanno i mancini tecnici che giocano a calcio. Quei mancini che sai già che sposteranno il pallone con l’esterno alla loro sinistra, ma non potrai farci assolutamente nulla, perché hanno una frequenza di passo diversa, abbinata al fatto che la palla gli rimane appiccicata al piede. Nella primavera dell'Udinese parte spesso da trequartista centrale di un 4-4-1-1. Riceve spesso in zone interne, anche se defilato sulla destra, e dopo il suo primo controllo il campo pare inclinarsi dalla parte opposta. È rapido ma non veloce, tiene molto palla, ma sempre con la testa alta. A differenza della maggior parte dei talenti italiani emersi negli ultimi anni, usa quasi esclusivamente la tecnica per superare gli avversari, o anche solo per aprire spazi per sé e i compagni. Insomma, Pafundi è un giocatore diverso per come tocca il pallone e per come usa il corpo, con una coordinazione tecnica e motoria che hanno solo quelli nati con un talento speciale. Ma è diverso ovviamente anche per come lo calcia, il pallone. La dolcezza con cui lo colpisce con l’interno del piede è quella che hanno i piedi mancini più tecnici. Nelle poche partite con l’Under-17 ha giocato un livello illegale, tanto che Mancini forse lo ha convocato per non vederlo maciullare i suoi pari età: 4 gol e 2 assist in 3 partite. Questi gol, col sinistro, sono arrivati in tutti i modi. Tiri di interno da sinistra a destra, tiri secchi che partono saettanti verso gli angoli. Persino uno scavetto sul portiere con una parte del piede che solo i calciatori più tecnici sanno usare.
In primavera segna su punizione con una facilità imbarazzante, e dopo serpentine ai limiti dell’area che fanno tremare le gambe ai difensori. Poi serve assist di prima senza guardare, alla Totti, pronto a evocare un account twitter intitolare “Stop that Pafundi”. O anche assist in cui immagina tracce di passaggio impensabili fino a un secondo prima.
Naturalmente su un giocatore come Pafundi bisogna fare tutte le premesse del caso, e cioè che stiamo parlando di uno che non è solo giovane, ma che non ha praticamente ancora messo piede nel calcio professionistico. Per questo rimane comunque misteriosa la mossa di Mancini di chiamarlo in Nazionale ancora prima che possa giocare nella sua squadra per club. Un ribaltamento logico curioso. È un mossa mediatica? Oppure, più razionalmente, il tentativo di inserimento nelle dinamiche di gruppo quei talenti di cui si conosce già la profondità? Un procedimento già seguito con Raspadori (con successo) o con Zaniolo (con meno successo).
D’altra parte le convocazioni del CT italiano sono sempre discutibili, in un modo o nell’altro. Quelle di Mancini sono spesso controintuitive: porta giocatori a malapena professionisti, minorenni, ma poi non ne porta altri che magari stanno avendo grandi stagioni in Serie A (come Udogie, Okoli, Baschirotto o Baldanzi). D’altra parte ci si lamenta spesso che non proviamo i giovani, e altrettanto spesso che non proviamo i giovani con potenzialità tecniche. Pafundi è quel tipo di giocatore.
Nel passaggio tra il calcio giovanile e quello professionistico Pafundi dovrà scendere a compromessi con un'intensità, atletica e mentale, diversa. Dovrà essere in grado di reggere l’impatto fisico, ma soprattutto giocare a una velocità mentale tale da far brillare la sua tecnica e rendere ininfluenti i suoi limiti. Pafundi potrebbe non diventare mai davvero un calciatore di alto livello, e non è escluso che quei quattro palloni toccati con l’Albania rimangano i suoi ultimi in Nazionale. La storia è piena di talenti precoci caduti in disgrazia, non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo. Di certo, però, se Pafundi non dovesse riuscire ad affermarsi, almeno al livello a cui speriamo, non sarà per i suoi limiti fisici.
Tra i commenti che si leggono in giro, almeno fra quelli non entusiasti del suo esordio, c’è il fatto che sarebbe alto meno di un metro e settanta. La sua statura getterebbe un’ombra sulle sue potenzialità future. Posto che a 16 anni ha ancora alcuni anni di crescita davanti a sé, sono commenti che denunciano la diffidenza del nostro calcio verso i calciatori poco prestanti. Una diffidenza che pure dovrebbe esserci passata, dopo aver vinto un Europeo con Insigne e Verratti titolari. Pafundi appartiene a quel filone del calcio italiano, raro, che in fondo somiglia poco al nostro gusto e alla nostra estetica calcistica. Un filone che contiene giocatori come Zola, Morfeo, Cassano. Tra gli ultimi arrivati possiamo metterci anche Tommaso Baldanzi, che non è stato convocato da Mancini forse per lasciarlo all’Under-20 per il Torneo 8 nazioni.
Nei prossimi anni Pafundi verrà investito forse della speranza di diventare il numero 10 di una Nazionale che da anni ne è orfana. La cultura del calcio italiana è basata su una forte idea di pragmatismo e resistenza mentale, e anche per questo ha sempre affidato le proprie speranze a un Fantasista, a un Trequartista (parole che esistono solo in italiano) il compito di mettere fantasia là dove c’è solo solidità, accendere la luce mentre gli altri si difendono nell’ombra. Il numero dieci è stato spesso l’unico a cui, nel nostro calcio, è stata permessa l’irregolarità, l’indisciplina. Pafundi per ora è solo l’idea, ma ci eccita proprio perché in lui vediamo la possibilità di un calciatore a cui affidare questo tipo di speranze e fantasie.