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Come ha fatto Mihajlovic a rivoltare il Bologna
05 giu 2019
Un manuale di come si salva una squadra subentrando in corsa.
(articolo)
9 min
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A Bologna nell’arco di dieci mesi sono drasticamente cambiate le luci che circondano la squadra. Il presidente Joey Saputo da anni dice di voler portare il Bologna in Europa, ma ha spesso limitato le spese e ceduto i migliori giocatori senza sostituirli con altri all’altezza. L’ultima volta è successo un'estate fa con le partenze di Verdi e Di Francesco, i due talenti offensivi più brillanti della rosa, finiti uno al Napoli, l’altro al Sassuolo.

Anche la scelta di un tecnico dalle idee conservative come Filippo Inzaghi sembrava certificare un progetto dalle basse pretese, che per la prima volta da quando i rossoblù erano tornati in Serie A partiva tra le principali candidate per retrocedere.

E in effetti il Bologna ha navigato per una grossa porzione di campionato nelle ultime tre posizioni. Il 28 gennaio, dopo la pesante sconfitta per 0-4 contro il Frosinone al Dall’Ara, l’ex-tecnico del Milan ha però ricevuto la comunicazione dell’esonero e al suo posto è stato chiamato Sinisa Mihajlovic. Una decisione su cui era normale nutrire un certo scetticismo. Oggi Mihajlovic viene associato a panchine come quella della Roma o della Juventus, ma sei mesi fa era nel peggior momento della sua carriera. Prima era stato esonerato dal Torino, poi aveva vissuto una brutta storia di violazione dei suoi diritti contrattuali da parte della dirigenza dello Sporting Lisbona.

Oggi il clima attorno alla squadra è radicalmente cambiato. Il Bologna ha chiuso il campionato al decimo posto ed ha battuto il proprio record di punti da quando è tornato nel massimo campionato. Saputo ha alimentato i sogni dei tifosi affermando di voler «investire per un Bologna sempre nella parte sinistra della classifica: così, azzeccando la stagione, potremo lottare per l’Europa». Il presidente canadese sa come parlare alla folla, come certe abili personalità politiche in grado di manipolare l’emotività della folla per cadere sempre in piedi.

Nella sua gestione un po’ confusionaria, e di certo ricca di errori, va riconosciuto che il presidente è stato abile a scegliere l’allenatore giusto con cui sostituire Filippo Inzaghi in un momento estremamente teso e delicato.

I problemi del Bologna con Inzaghi

I problemi del Bologna con Inzaghi erano evidenti. In fase di non possesso la difesa a tre - che diventava a cinque con lo schiacciamento sulla linea degli esterni a tutta fascia - creava densità in zona centrale, ma era mal supportata da un centrocampo in difficoltà nelle corse all’indietro e generalmente poco atletico. Per questo motivo, poi, la linea mediana faticava a coprire il campo in ampiezza. Giocatori come Dzemaili o Svanberg andavano molto in difficoltà, vista la scarsa agilità negli scivolamenti orizzontali e la maggiore propensione a proporsi in fase di possesso. Nonostante il Bologna avesse una strategia conservativa, non era comunque una squadra che faceva dello scrupolo e dell’attenzione le sue migliori caratteristiche. I rossoblù hanno subito diversi gol dopo palle perse ed errori grossolani.

Il gol di Nainggolan durante Bologna-Inter fa emergere tutte le criticità legate agli spazi. Il capitano Dzemaili stringe verso il centro, ma in questo modo non vede Politano tutto solo alle sue spalle. Il "Ninja" poi si muove tra la linea difensiva e quella mediana, ma Poli se ne accorge troppo tardi per poter tamponare la falla che si era creata. I centrali, infine, sono particolarmente passivi, lasciando tempo al belga per calciare con forza e precisione.

Con la palla tra i piedi, poi, mancava un vero e proprio meccanismo di risalita del campo - soprattutto a causa dell’assenza di difensori abili con i piedi - e per questo la soluzione più utilizzata erano i lanci lunghi per il riferimento offensivo (Santander o Falcinelli). La creazione di occasioni è stata così affidata al veterano Rodrigo Palacio e alle corse in verticale delle mezzali quando il campo si apriva per le transizioni. Il risultato era un Bologna che segnava poco e subiva molto, teneva la palla per un pugno di secondi prima di perderla per mancanza di idee e non aveva l’intensità adeguata per giocare un calcio d’attesa.

Cosa ha migliorato Mihajlovic

Sinisa Mihajlovic, quindi, si è trovato in una situazione piuttosto complessa. Le sue idee, però, sono state chiare dall’inizio, in linea con la figura di un allenatore sicuro di sé e dei propri princìpi. Dopo l’esordio vincente contro l’Inter, il tecnico ha voluto sottolineare la visione che avrebbe provato a imporre. «Quando andiamo in campo giochiamo per vincere le partite, non per non perderle. Se sei coraggioso in campo può anche essere che riesci a vincere con l'Inter a San Siro». Mihajlovic si è quindi subito appellato alle qualità più astratte che servono a una squadra per salvarsi: audacia, intraprendenza e aggressività.

Ma già contro i nerazzurri la squadra ha mostrato alcuni aspetti più concretamente tattici, che poi sarebbero appartenuti alla squadra nella seconda parte del campionato. Il Bologna è stato proattivo nel pressare l’avversario, coinvolgendo anche i giocatori più avanzati. La linea di difesa nel frattempo rimaneva relativamente alta, anche grazie alle intuizioni in anticipo dei centrali (in particolare Lyanco ha dimostrato di avere buoni spunti in questo fondamentale con 1.8 intercetti per 90 minuti). Un sistema di pressing non troppo organizzato, insomma, e che si appoggiava sopratutto all'intraprendenza dei singoli interpreti, alla loro forza di volontà e al tempismo nelle uscite.

Alle fasi più aggressive poi si sono avvicendati momenti di gioco in cui il Bologna si assestava in una struttura posizionale, legata alla densità nella propria metà campo. Il Bologna era a proprio agio quando poteva abbassare il baricentro e aspettare lo sviluppo dell’azione vicino alla propria area di rigore.

In fase di costruzione invece i rossoblù - pur avendo centrali di difesa non così disastrosi coi piedi come Danilo e Lyanco in difesa (rispettivamente 0.3 e 0.2 passaggi chiave per 90 minuti) - difficilmente sono riusciti a trovare con continuità una rete di passaggi in grado di permettergli una risalita del campo palla al piede. Per questo - in linea con ciò che succedeva durante la gestione di Inzaghi - spesso il Bologna si è impegnato nella ricerca dei centimetri di Santander o di quelli di Dijks in posizione laterale; in questo senso Soriano e Palacio si sono resi utili attaccando la profondità e muovendosi senza palla, allungando le linee difensive avversarie.

Mihajlovic, però, ha migliorato subito la capacità di riaggressione della squadra. Il Bologna quindi ha compensato le proprie lacune col pallone con una maggiore intensità senza. La riconquista del pallone nel terzo di campo più avanzato è diventato uno dei maggiori fattori offensivi dei rossoblù: con Mihajlovic il Bologna ha fatto registrare 1,67 xG a partita - contro un valore medio inferiore a 1 relativo alle ventuno partite in cui Inzaghi era alla guida della squadra - posizionandosi al quarto posto in questa graduatoria, dietro solo a Inter, Atalanta e Napoli.

Un’altra mossa di Mihajlovic è stata quella di mettere al centro del progetto alcuni giocatori di talento ma che sembravano spenti: Pulgar ad esempio è cresciuto tanto durante la sua gestione (6 gol segnati nel girone di ritorno, di cui 5 su rigore) - oltre a 2.3 passaggi chiave per novanta minuti - senza contare il contributo di Sansone e sopratutto Soriano, arrivati durante il mercato di gennaio e che hanno impreziosito il valore della rosa.

Il giocatore che si è fatto più notare in questo senso però è stato sicuramente Riccardo Orsolini. Dopo la grande annata con l’Ascoli in Serie B ormai due anni fa, aveva interrotto parzialmente la sua crescita nella scorsa stagione a Bergamo a causa dello stile di gioco imposto da Gasperini, non perfettamente aderente alle sue caratteristiche, e della concorrenza nel reparto offensivo dei nerazzurri. A gennaio dello scorso anno Orsolini era stato spedito in Emilia dalla Juventus, proprietaria del cartellino, dove ha trovato un contesto meno ambizioso e più congeniale alla fase della carriera che sta vivendo.

Dopo alcuni mesi in cui era difficile capire la sua utilità e la collocazione in campo - con Inzaghi ha giocato anche mezzala - è con Mihajlovic che Orsolini è diventato davvero importante: con il tecnico serbo, il numero 7 ha giocato più di 1100 minuti in 16 partite, poco meno del doppio di quelli giocati durante il breve regno di Pippo Inzaghi (691 minuti in 22 partite) considerando un campione decisamente più limitato.

Orsolini è stato schierato sulla fascia destra di un 4-3-3 o 4-2-3-1 (che in fase difensiva si trasformava con una linea di centrocampo a 4) e in quella zona del campo ha messo in mostra la sua capacità di creare superiorità attraverso un dribbling fisico e atletico, oltre all’abilità nella protezione della palla e l’incisività negli ultimi metri di campo. Orsolini ha dimostrato buone doti come rifinitore (3 assist con Mihajlovic, 5 in totale durante la stagione di Serie A) e ottime capacità da finalizzatore (3.9 xG dall’arrivo del nuovo allenatore, concretizzati in 6 gol).

Il gol di Orsolini contro il Torino, decisivo per consolidare il 1-3 finale dei rossoblù. In questa azione c’è anche tanto della filosofia di Mihajlovic: il Bologna recupera palla attraverso l’aggressività, si affida a Palacio per la gestione del contropiede e finalizza con il talento del numero 7. Negli ultimi giorni, Orsolini è stato acquistato a titolo definitivo dagli emiliani per 15 milioni di euro.

Il calcio di Mihajlovic

Tutto sommato quello di Mihajlovic non può certo essere descritto come un calcio rivoluzionario, ma di certo è metodico, ordinato e presenta alcune colonne portanti come la solidità difensiva, l’intensità e la concentrazione lungo tutto l’arco dei novanta minuti. Un livello di attenzione mentale che ha dato i suoi frutti in fase difensiva: con Mihajlovic il Bologna ha subito 1,10 xG a partita, un valore decisamente inferiore all’1,54 del periodo Inzaghi.

Il tecnico serbo si è impegnato anche a creare un gruppo unito: dopo la sconfitta di Udine a inizio marzo - che ha contrassegnato il momento più difficile dei suoi mesi sulla panchina del Bologna, dove alle buone prestazioni non riuscivano a fare seguito i risultati - ai giocatori sono stati fatti vedere due film, “Alexander” e “Il volo della fenice”, per comprendere l’importanza del gruppo e della comunicazione al suo interno. Si può credere o meno in queste pratiche che si riferiscono più ad aspetti psicologici che prettamente sportivi, ma dopo quella partita i rossoblù hanno guadagnato 19 punti (frutto di sei vittorie, un pareggio e una sconfitta) nei successivi 8 incontri, avvicinandosi a una salvezza raggiunta matematicamente solo alla penultima giornata.

Nel frattempo Joey Saputo per festeggiare il successo della permanenza in Serie A ha scalato a piedi l’ascesa del santuario di San Luca, situato su un colle che si affaccia sulla città, recentemente anche teatro di una tappa del Giro d’Italia. Perché un bravo politico deve sapere comunicare anche attraverso le immagini, e quella di un uomo che scala una ripida salita rappresenta bene la faticosissima salvezza del Bologna.

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