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Sinner ha vinto un altro Slam, e ci sembra normale
09 set 2024
09 set 2024
È quello che fanno i campioni: normalizzare risultati eccezionali.
(foto)
Foto IMAGO / ABACAPRESS
(foto) Foto IMAGO / ABACAPRESS
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La seconda di servizio nel tennis è un colpo fondamentale. Anche più importante della prima di servizio nel valutare un giocatore, che per forza di cose non potrà sempre avere a disposizione la prima di servizio. Rafa Nadal, per dirne uno, ha basato molti dei suoi successi sull’avere una seconda di servizio solida e veloce, una seconda prima di fatto ma che raramente lo portava a doppi falli.

C’è chi invece come Nick Kyrgios ha sempre preferito sparare tutte le sue cartucce anche con la seconda di servizio e la sua carriera in generale. Da una prima parte da talento in erba fino alla sua seconda possibilità del 2023, morta in finale con Novak Djokovic e poi nei quarti dello US Open contro il buono ma non eccezionale Karen Khachanov, con vista sulla finale contro un ancora inesperto Carlos Alcaraz. Un doppio fallo che ha avuto come destinazione tanto tempo libero per potersi dedicare al commento tecnico da frat bro, a fare battute sessiste su X-fu-Twitter e accusare di doping il numero uno del mondo.

Il numero uno del mondo, proprio lui, non ha avuto a disposizione la prima di servizio per un po’ di mesi quest’anno. Con la testa poco libera e qualche acciacco aveva avuto qualche mese di (relativa) magra, gestendosi come si lavora una seconda di servizio quando il campo è lento e le braccia ti sembrano sempre più pesanti. E nemmeno durante tutta la trasferta americana, nonostante il sospiro di sollievo dell’innocenza, ha dato l’impressione di aver ritrovato la sua prima di servizio.

Quanti campioni abbiamo visto vincere un torneo non mostrando il loro miglior tennis? I sospetti ricadono sui soliti Tre, ma nella storia del tennis sono tanti. E se l’Australian Open 2024 per Jannik Sinner era lo Slam dell’ascesa, lo US Open 2024 è stato lo Slam della conferma, del poter vincere anche quando non puoi mai “permetterti di perdere”. L’uscita prematura di Alcaraz e Djokovic aveva consegnato a Sinner, Zverev e Medvedev l’onore e l’onere di vincere lo US Open. E se Sinner-Medvedev nei quarti aveva il sapore di una finale anticipata, Zverev aveva un sentiero piuttosto agevole verso la finale.

L’epilogo ha confermato lo status dei tre giocatori in questo 2024. Zverev come sempre incapace di controllare le sue emozioni dentro (e fuori) dal campo è stato buttato fuori da un volitivo Taylor Fritz senza troppe cerimonie. Sinner invece ha avuto la meglio su Medvedev in una partita non eccezionale, sporca, in cui l'italiano ha messo solo il 53% di prime in campo ma ha vinto il 64% di punti con la seconda, una manifestazione di forza dopo la sconfitta bruciante di Wimbledon. Tra Jack Draper in semifinale e uno tra Fritz e Tiafoe in finale per Sinner non c’era altro possibile risultato se non la vittoria, l’alternativa era un fallimento. Non poco per un ragazzo di 23 anni e che usciva da mesi mentalmente molto complicati.

La finale con Fritz è stata anche un po’ noiosa. Già dai primi minuti erano chiari i binari tattici del match, con Sinner a comandare lo scambio da fondocampo a velocità altissime e Fritz a provare a stare dietro all’italiano. L’americano è un buon tennista, migliorato tanto negli ultimi anni e che ora ha raggiunto anche una buona completezza in tutti i fondamentali. È anche giusto però considerarlo come uno dei finalisti Slam meno prestigiosi degli ultimi anni. Inferiore probabilmente anche al Casper Ruud formato 2022, capace di fare finale sia su terra che su cemento, e che offrì una resistenza decente ad Alcaraz.

Quando sullo stesso circuito metti una Ferrari di Formula 1 e una velocissima macchina da strada l’unico modo per l’altra di vincere è che il motore della Ferrari si rompa. Sinner non ha neanche offerto una delle sue migliori prestazioni in finale, con una prima di servizio balbettante e in certi momenti anche sotto il 40%. Il solito second serve è stato abbastanza però per domare la resistenza di Fritz, costretto ad andare a tutta su ogni colpo giocando un tennis per lui insostenibile. L’americano ha un gioco potente ma molto lineare, troppo lineare per giocare con un tennista che se prende ritmo è semplicemente ingiocabile da fondocampo.

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Nasce così uno Slam “normale”, vinto dal numero uno perdendo due set in tutto il torneo e rispettando ogni pronostico parato davanti. Il secondo Slam vinto come se fosse una seconda di servizio, dopo che all’Australian Open aveva mostrato la sua prima, la versione più scintillante e dominante. Uno Slam che serve anche a chiudere finalmente tutti i discorsi inutili sul presunto “vero” numero uno del mondo, con il vantaggio di Sinner nella classifica mondiale nella Race che assume dimensioni gargantuesche. 3000 punti di distanza da Zverev nella Race to Turin e addirittura 4105 nella classifica ATP, di fatto anche il titolo di numero uno di fine anno è in cassaforte.

Che il secondo Slam arrivi dopo mesi complicati assume ancora più valore se si pensa al dove è arrivato, lo US Open. A Flushing Meadows negli ultimi anni si sono consumati scalpi importanti, dal Regicidio di Djokovic nel 2021 all’uscita di Alcaraz quest’anno. Lo US Open nel tennis moderno, complice il calendario congestionato, è sempre più “l’Afghanistan” degli Slam, il luogo dove muoiono gli Imperi.

E se è vero che Djokovic e Alcaraz hanno avuto le Olimpiadi, Sinner non ha avuto un avvicinamento ottimale allo US Open. Un problema gli ha fatto saltare Parigi che gli ha permesso di allenarsi solo in prossimità di Montreal, oltre ad aver avuto in generale un chilometraggio di partite elevatissimo nel 2024.

Non è un’impresa in senso assoluto, e sicuramente non è stato uno Slam malevolo in relazione al tabellone, come pure era accaduto ad Alcaraz a Wimbledon ed accadrà spesso a chi è tra le prime quattro teste di serie in uno Slam. La facilità dei campioni è proprio quella di rendere scontati gli Slam, come se fossero soltanto qualcosa da timbrare. E la reazione di Sinner alla vittoria è quella che più ci aspetteremmo da lui. Sobria e misurata, con tanto di bacio timido e tenero con la tennista e fidanzata Anna Kalinskaya nel suo box. Come se non fosse successo granché.

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Il 2024 degli Slam si chiude quindi con un bilancio che dimostra ancora una volta come il tennis sia uno sport brutale. Novak Djokovic da un anno in cui ha vinto tre Slam è passato a zero, abdicando il suo ruolo di monarca assoluto e favorito numero uno di ogni torneo a cui prende parte. Un’annata in cui ha trovato il tanto agognato oro olimpico, ma in cui a livello ATP ha raggiunto una finale sola e persa in maniera nettissima contro Alcaraz, su uno dei suoi “giardini” preferiti.

Il piatto piange anche per i tennisti degli anni ‘90, che sono arrivati a pezzi all’appuntamento che la storia ha dato loro per prendersi il tennis. Nonostante l’abdicazione di Djokovic e la resa di Nadal quest’anno a prendersi i quattro Slam sono stati un 2001 e un 2003, che a momenti alterni hanno inflitto sconfitte durissime negli Slam alla Next Gen. Il più titolato a livello Slam, Medvedev, sembra aver perso quel quid al servizio che lo aveva spinto al numero uno, e sembra sinistramente avviato verso i sondaggi sul più forte di sempre ad aver vinto un solo Slam.

Tsitsipas si è perso a livello tecnico e psicologico, mentre Zverev è sempre al top ma continua a sciogliersi nel momento che conta. Due nuove perle nella sua collana di rimpianti: il quarto e quinto set della finale del Roland Garros e la sfida con Fritz allo US Open. Gli altri meno quotati e strombazzati come Fritz e Ruud continuano a collezionare risultati, ma sembrano tecnicamente o mentalmente non al livello necessario per poter portare a casa uno Slam nei prossimi anni, a meno di esplosioni improvvise.

Sembriamo avviarci verso un’epoca diarchica, con Sinner e Alcaraz a contendersi gli Slam con un certo margine sulla concorrenza, e ad essere destinati alla vittoria se uno dei due cade prima di incontrare l’altro. Un po’ una ripetizione del circuito ATP della prima era Federer - Nadal, in cui dal 2005 al 2010 vinsero 21 Slam su 24 disputati fino all’avvento di Novak Djokovic prima e Andy Murray poi.

Al tennis però piace cambiare, e giova ricordare come fino a un anno e mezzo fa molta gente metteva Holger Rune sopra a Sinner e neanche tre anni fa Zverev affermava che i nuovi Big3 erano lui, Djokovic e Medvedev. Quindi mai dare niente per scontato in uno sport del genere. Ci sono dei candidati nella Nextissima Gen come Jakub Mensik e il giovanissimo Joao Fonseca, paragonato in Brasile proprio a Sinner, che promettono di diventare dei top player di calibro Slam, ma la montagna da scalare è ancora alta.

Conta il presente, e nel presente i numeri sono dalla parte di Sinner. Il successo americano rappresenta la vittoria numero 55 in stagione per una percentuale di vittorie del 91,6%, che oggi lo metterebbe in un club ristretto che vede solo otto tennisti capaci di andare oltre il 90% di vittorie con un minimo di 25 partite disputate. Ora per Sinner ci saranno due settimane di riposo con il probabile ritorno in campo a Shanghai. Pare che sarà insieme alla squadra di Davis a Bologna pur senza giocare.

L’assenza all’ATP500 di Pechino comporterebbe 500 punti in meno in classifica, ma il margine è talmente ampio e il finale di stagione talmente pieno di tornei che è meglio prendersi un riposo corposo. Curiosamente è proprio da Pechino che è partita la rincorsa al numero uno del mondo e ai due Slam ora in bacheca, con “post-puke Sinner” che è entrato nell’iconografia memetica del tennis recente.

Per Sinner sarà anche la parte di stagione più favorevole a livello di caratteristiche, con il cemento indoor e le ATP Finals in casa davanti al pubblico di Torino. Senza dimenticare le finali di Coppa Davis, dove l’Italia in caso si presenta da favorita numero uno per la sua terza insalatiera.

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