
Sull’uno pari e palla break per Sinner, nel quarto set, il tennista italiano colpisce di rovescio su una seconda piuttosto morbida di Carlos Alcaraz. Un lungolinea perfetto che muore a pochi centimetri dalla riga interna e su cui nemmeno le gambe frullanti dello spagnolo possono arrivare. Una partita di tennis è fatta di molti punti ed è difficile sceglierne uno veramente decisivo, ma con sereno distacco potremmo dire che è stata quella risposta lungolinea il punto che ha più avvicinato la coppa dorata di Wimbledon nelle mani di Jannik Sinner.
35 giorni fa un rovescio molto simile era uscito di pochissimi centimetri, l’occasione forse più clamorosa dei tre championship point salvati da Alcaraz nella finale del Roland Garros. Ieri un rovescio vincente in risposta ha dato l’allungo decisivo nel quarto set, e ci ricorda come il tennis sia uno sport molto crudele ma che tende a premiare chi prova a domarlo con più coraggio. D’altronde proprio sul centrale del Roland Garros campeggia una frase che lo stesso aviatore francese scrisse sull’ala del suo aereo: “la vittoria appartiene al più tenace”; e sicuramente in questo pomeriggio londinese a Sinner la tenacia non è mancata.
Credere che le cose siano state sempre così, però, sarebbe ingenuo, e anzi nel primo set proprio le scorie del Roland Garros sembravano spargersi sull’erba dei Championships. Il numero uno del mondo parte bene e si porta meritatamente avanti di un break, sfruttando l’incostanza con la prima di servizio (chiuderà con il 53%, un dato molto basso) di Alcaraz e sostanzialmente dominando tutti gli scambi corti. Una costante che si ripeterà per tutta la partita. Il campione in carica, però, vive una delle sue fiammate e si riprende il break dopo uno scambio pazzesco, partito da un chop di dritto federeriano che manda in tilt Sinner, che chiude molto male l’ottavo game.
Al netto del break, già da qualche game l’italiano, nonostante il vantaggio, era stranamente “gesticoloso”, nervoso, poco lucido nelle scelte - specie quando si trattava di dover decidere le direzioni in chiusura. Sinner si ritrova a dover servire per restare nel set, e sulla palla break ai vantaggi spara un dritto a velocità supersonica. Vincente con il 99% dei tennisti, lo spagnolo in allungo ci arriva e trova una palla corta che stupisce persino Sinner. Il solito copione: dito all’orecchio, pubblico in visibilio, set vinto e gasamento per il campione in carica, che prende la sua forza proprio da momenti del genere, che sembrano renderlo sempre più forte.
La tenacia di Sinner, però, si vede all'inizio del secondo set, ed è fondamentale nell’indirizzare la finale di Wimbledon. Nonostante l’evidente nervosismo, Sinner riesce a riorganizzarsi e sfrutta un momento di vuoto di Alcaraz con la prima per trovare un break preziosissimo in avvio. In realtà, se andiamo a vedere il primo set, probabilmente chi aveva giocato meglio era stato proprio Sinner, ma se è per questo anche al Roland Garros i due set e mezzo di vantaggio erano stati meritati. E un break fa tanto in una finale scorbutica, molto meno spettacolare di quella del Roland Garros - anche se retta da un equilibrio maggiore.
Una fiammata a fine primo set da parte di Alcaraz, con la già citata difesa da superuomo, e una fiammata da parte di Sinner per chiudere quella stessa difesa, nel primo game del secondo set, con due dritti mostruosi. Per il resto si è trattato di una partita nervosa, giocata a sprazzi, decisa più dall'alta percentuale di rischio con la seconda di servizio, che dalla brillantezza degli scambi.
Si parla tanto del passato, del serve&volley sui verdi campi dei Championships, in quel periodo lo spettacolo era persino più spezzettato, ma anche più coerente. La velocità del tennis moderno stona forse maggiormente su una superficie che è stata consapevolmente rallentata? I rimbalzi unici dell’erba restano, oltre al fatto che continua a premiare il gioco offensivo - per questo parlare di terba è esagerato - ma è pur vero che, con le velocità espresse dal tennis moderno, una superficie su cui la palla schizza così tanto perde in spettacolarità, tra l’efficacia superiore del servizio che ci regalano partite come Sinner-Shelton, oppure battaglie di forza bruta come Sinner-Alcaraz.
Il rischio è così insito nel gioco di entrambi che si possono accettare anche momenti di deragliamento. Sulla terra battuta, più che sul cemento, ormai è rimasta preponderante la componente tattica del tennis, esacerbata dalla lentezza della superficie. Sicuramente quando ci giocano artisti come lo stesso Alcaraz, Musetti (semifinalista l’anno scorso) e Dimitrov o Fognini, le variazioni hanno un ruolo importante sull'erba. Basti pensare a come Musetti l’anno scorso avesse portato a spasso nei quarti Taylor Fritz, semifinalista quest’anno, a suon di tagli e manipolazioni della palla, ma per questa tipologia di tennista non solo è difficile arrivare all’ultimo livello, ma è a rischio la sopravvivenza stessa nell’ecosistema del tennis moderno.
Forse questo è un punto su cui Alcaraz può recriminare: aver usato poco il suo bagaglio di variazioni, come se temesse di venir travolto dal ritmo da fondo di Sinner. Questo vantaggio - in termini di tocco e ritmi diversi, rispetto a Sinner - non si è visto nelle ultime due finali di Alcaraz. Al Roland Garros il suo recupero è arrivato almeno in parte per demeriti di Sinner, ma soprattutto per momenti di onnipotenza assoluta, legati comunque all’espressione più brutale del suo tennis che non alle variazioni di palla.
Certe differenze restano, certo, ma nei suoi pattern di gioco vincenti con Sinner ha contato più la maggiore efficacia nella tenuta della diagonale sinistra, soprattutto in top, piuttosto che nell’uso della foglia di fico delle variazioni.
Nella finale di Wimbledon la palla corta è stata usata poco e male da Alcaraz, attirando raramente Sinner nei pressi della rete, se non quando era l’italiano stesso a decidere di andare. Tutti i tagli di Alcaraz, tranne quando ha deciso di cambiare con dei chop di dritto controintuitivi, sono stati gestiti senza troppi patemi da Sinner. A rete, Carlos ha fatto i suoi soliti ricami, ma col progredire della partita sembrava attaccare con sempre meno costrutto, in particolare nel quarto set in cui saliva a rete in situazioni negative e si ritrovava a dover gestire volée impossibili giocate praticamente a metà campo.
Per stessa ammissione di Alcaraz, durante e dopo la partita non aveva chiaro cosa fare per uscire dal dominio negli scambi corti da parte di Sinner. Riusciva a incidere nello scambio solo passando da difesa ad attacco in quelli lunghi, che comunque su questa superficie restano rari. Chiaramente il tennis di Sinner ha giocato un ruolo in questa confusione: il ritmo infernale imposto da Jannik impedisce di prendere il comando dello scambio.
A ben guardare, col senno di poi, ci sono stati alcuni segni del destino che potevano far immaginare questo incredibile successo. A cominciare dall'infortunio spezzacuore di Grigor Dimitrov mentre era in buona posizione per vincere, e il sesto game del quarto e decisivo set. Oppure tutte quelle seconde di servizio giocate da Sinner nei pressi della riga esterna, nell’unico game in cui Alcaraz ha avuto palla break per rientrare nel quarto set.
Proprio il servizio, che era stato il tallone d’Achille della sfida di Parigi, ieri è stato il fattore che ha fatto la differenza tra i due. Un solido 63% di prime per Sinner, che ha trovato il primo ace solo nel terzo set ma che complessivamente è stato estremamente più continuo del suo rivale - una testimonianza del fatto che gli ace siano ormai una statistica poco significativa. Sinner ha commesso solo due doppi falli, pur prendendosi tanti rischi sulle seconde di servizio - necessari in questo stadio evolutivo del tennis, con ribattitori di questo livello.
Forse Alcaraz non era stato aiutato a entrare alla giusta intensità dalla semifinale con Fritz, uno dei peggiori risponditori nella top-20. Nelle sfide tra Sinner e Alcaraz le percentuali tendono a scendere per il rispetto che uno dà alla risposta dell’altro, e in questo Sinner, rispetto al Roland Garros, ha fatto la voce grossa, conquistandosi anche così tante opportunità vincenti sia in maniera diretta che con il +1 dopo il servizio.
E ora? A fare il gioco dei se - ah, se solo Sinner avesse messo dentro quella risposta al Roland Garros, ora sarebbe a uno US Open dal Grande Slam, e ci sarebbe anche arrivato riposato - dovremmo pensare anche a come sarebbe andata se il pettorale destro di Dimitrov non avesse ceduto sul più bello.
Sinner magari avrebbe anche potuto vincere al quinto set, è vero, ma con un impegno fisico maggiore, soprattutto al gomito indolenzito, che avrebbe potuto condizionarlo per il resto del torneo. Mai come questa volta vale il detto che "con i se e i ma, la storia non si fa". Quel che ci resta è che Sinner sarà sicuramente il numero uno del mondo per gli US Open, oltre ad essere sceso a “soli” 1500 punti circa dalla vetta di Carlos Alcaraz nella Race. Soprattutto, questa di Wimbledon è la prima vittoria di Sinner contro Alcaraz in due anni, e la dimostrazione di come il tennista italiano sia riuscito a reagire alla crudelissima sconfitta del Roland Garros.
È evidente che, almeno per ora, a tutti gli altri tennisti è riservato un ruolo di protagonisti secondari in questa storia. Perfino Novak Djokovic, giustificato dai suoi 38 anni di età, sembra relegato al ruolo che aveva Andre Agassi durante l’inizio della rivalità Federer-Nadal: il grande campione che va ammirato per come gioca alla sua età, ma che non può seriamente impensierire i suoi più giovani avversari. In questo caso Djokovic è stato in grado di battere Alcaraz all’Australian Open, oltre a fare un’ottima partita al Roland Garros con Sinner, ma per sua stessa ammissione non riesce ad arrivare fisicamente al top nelle fasi finali di uno Slam. E ora come ora vincere uno Slam, a meno di avvenimenti strani, implica battere come minimo uno tra Sinner e Alcaraz in semifinale o finale, se non entrambi.
Tutti gli altri, tra limiti tecnici e mentali non sembrano in grado di poterli impensierire nei tornei più importanti, e la generazione della metà degli anni ‘90, tra Zverev, Medvedev e Tsitsipas, vive per vari motivi un periodo di crisi che contribuisce all’impoverimento della concorrenza dei numeri uno e due del mondo. In attesa che tra i tanti giovani talentuosi come Joao Fonseca, Jakub Mensik e addirittura qualcuno di più giovane, arrivi qualcuno in grado di fare un salto tale da poter competere con Sinner e Alcaraz.
Questa per Alcaraz è la prima finale persa in carriera, resta solo Federer ad aver vinto le prime sei giocate, e sia Sinner che Alcaraz a 24 anni non ancora compiuti sono a un solo Slam dal prendersi il Career Grand Slam. I due si sono anche divisi gli ultimi sette Slam, il record (come riportato da @TennisMyLife) è di Nadal e Federer, che tra il 2005 e il 2007 si divisero undici Slam, nell’ennesimo parallelismo tra quel periodo della storia del tennis e questo.
Allo US Open Sinner si presenterà con i favori del pronostico su una superficie in cui a livello Slam non perde da prima della sua vertiginosa esplosione. E il tennista italiano in questo momento detiene 3 Slam su 4, una cosa riuscita solo a Rod Laver, Agassi, Federer e Djokovic, a testimonianza della salda presa sulla prima posizione.
Chiaramente Jannik Sinner è anche il primo italiano nella storia del tennis a vincere Wimbledon, il torneo più prestigioso ma anche quello meno foriero di vittorie per l’Italia. Quando Paolo Bertolucci a fine partita ha invocato Gianni Clerici, Rino Tommasi, Roberto Lombardi e Mario Belardinelli, tutto il tennis italiano sembrava aver trovato una sua conclusione nelle braccia alzate al cielo di Jannik Sinner sul Centrale di Wimbledon. Loro, che sicuramente avrebbero voluto vedere un italiano diventare membro del club più prestigioso del mondo e del loro torneo più amato.
L’ironia della sorte ha voluto che mentre in gran parte d’Italia si spandeva la pioggia, nella piovosa Londra splendeva il sole sull’impresa che più di tutte ha consacrato Sinner nell’Olimpo dello sport italiano e del tennis in generale. Sembrerà strano, dopo quattro Slam, ma se c’è un torneo che incarna nel nostro immaginario cos’è il tennis sono i prati verdi di Wimbledon, una stagione su erba che ormai è cortissima ma che resta l’epitome del tennis. E d’ora in poi quando ci immagineremo quei prati ci sarà anche un italiano, che alza la coppa che dal 1877 rappresenta il tennis.
Qualcosa che quando Clerici e Tommasi commentavano era solo un bel sogno, ieri è finalmente diventata realtà. “Non ho paura di morire, ho paura che da morto non saprò chi ha vinto Wimbledon quell'anno”, diceva Rino Tommasi. Speriamo che qualcuno quest’anno sia riuscito a farglielo sapere.