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Social Watch! Lewis Hamilton
13 dic 2016
Lewis Hamilton è il Michael Jordan della F1, anche grazie ai suoi profili social.
(articolo)
14 min
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«Ha la velocità di Senna, l’aggressività di Schumacher, il talento naturale di Ronnie Peterson e il glamour di James Hunt / Penso sia il miglior campione del Mondo [che abbiamo in griglia]: è capace di raggiungere il maggior numero di persone al mondo». Testi e musiche sono rispettivamente di Roger Benoit, esperto inviato di Blick, e Bernie Ecclestone, capo del circus della Formula 1. L’oggetto del discorso è Lewis Hamilton, che a 31 anni ha ormai raggiunto il suo prime assoluto. Sky Sport si è chiesta se il pilota della Mercedes sia al suo meglio di sempre, mentre lui continua a infrangere record.

Tuttavia, Hamilton è forse il pilota che più negli ultimi anni ha attirato l’attenzione per il suo stile di vita, anche più di un curriculum comunque straordinariamente vincente. Per i suoi amici, per l’etichetta di “primo pilota nero della storia”, per un modo di gestire la Formula 1 molto diverso da molti suoi colleghi.

A qualcuno basta il suo super-ingaggio da poco più di 40 milioni di euro l’anno, il jet privato e gli eventi mondani a cui partecipa per giudicare la sua immagine da ricco womanizer, ma la verità è che forse Lewis Hamilton non è mai stato solo come in questo momento della sua vita.

E soprattutto, sembra esserne felice.

Il marchio Lewis Hamilton

In tribuna per la Copa América con Neymar e Justin Bieber.

Che il pilota anglo-caraibico potesse essere una star al di fuori della pista lo si era già capito nel 2006, quando la McLaren ha annunciato che Hamilton avrebbe fatto compagnia a Fernando Alonso nella line-up per la stagione 2007. Nonostante lo spagnolo fosse reduce da due titoli Mondiali consecutivi con la Renault, l’attenzione per Hamilton è stata ampia fin dall’inizio.

All’inizio attirava l’attenzione soprattutto per essere il primo pilota nero a correre in una stagione di Formula 1: Hamilton è originario di Grenada, dalla quale i suoi nonni sono partiti alla volta del Regno Unito negli anni ’50. Poi è stato il turno del padre-manager onnipresente, Anthony Hamilton. Infine, il fatto di essere troppo giovane per guidare una McLaren (22 anni: oggi si riderebbe di fronte a Verstappen). C’è voluto insomma diverso tempo per riconoscere che la cosa più interessante di Hamilton fosse il suo talento, nonostante ottimi risultati fin da subito.

Dieci anni dopo, l’attenzione su Hamilton si è trasformata. Non solo ha vinto tre Mondiali, ma ha gestito sapientemente la sua immagine pubblica, firmando con la XIX Entertainment, l’agenzia pubblicitaria di Simon Fuller, poi abbandonata nel 2014. Del resto, l’intraprendenza e la sicurezza sono due doti che non gli sono mai mancate, fin da piccolo.

Un esempio recente è anche quanto accaduto a Suzuka, dove Hamilton, invitato a rispondere alla tradizionale conferenza stampa pre-gara, si è divertito con i filtri di Snapchat. Se i suoi colleghi hanno ignorato la cosa o sono addirittura stati al gioco, i media hanno etichetto il suo comportamento come “poco professionale”. Hamilton ha cercato di rispondere con tranquillità su Twitter (persino fornendo spunti per riformare la conferenza stampa).

Poi, però, se l’è presa con i media dopo le qualifiche: «Vedo che sorridete: tra un minuto non lo farete più. Non risponderò alle vostre domande: con il massimo rispetto, molti di voi mi hanno sostenuto, ma altri stanno cercando di trarre vantaggio da questa situazione. Se vi ho mancato di rispetto, non era mia intenzione: era solo un gioco. Ma quanto è stato diffuso a livello mondiale è stato più vergognoso. Non ho intenzione di venire più qui per queste cose: godetevi il resto del week-end». Perché con Hamilton è così: se è al centro dell’attenzione per una polemica, è capace di rivoltare la situazione e diventare il gestore di quest’onda mediatica.

I risultati si vedono proprio negli ultimi due anni, dove sono cresciute ulteriormente le cifre dei suoi social da sempre impressionanti, specie per un pilota di Formula 1. Nessuno dei suoi colleghi sono alla sua altezza e anzi, spesso preferiscono un’alternativa più tranquilla.

Qui Hamilton in un colloquio del maggio scorso a Zeigeist Minds, associato a Google. Non si nascondono: «I leader del nostro tempo». Il frame è subito chiaro: grazie al suo talento da pilota e al suo background, Hamilton è un’immagine da seguire e ammirare.

Quasi quattro milioni di seguaci su Facebook, sul quale sfida Neymar taggando Cristiano Ronaldo e Justin Bieber e generando un traffico globale non ricostruibile. Praticamente lo stesso numero su Twitter, con tanto di hashtag personalizzato #TeamLH e numero di followers di gran lunga superiore all’account ufficiale della F1. Poco più di tre milioni su Instagram, 200mila su Google+ (che è un’impresa, considerando l’inutilità di Google+ in sé…), un proprio account YouTube, Snapchat e persino uno spazio su Weibo, il Twitter cinese.

Lewis Hamilton, con le dovute proporzioni, sta facendo per la F1 ciò che Michael Jordan ha fatto per la NBA. È la F1 che oggi soffrirebbe un eventuale addio di Hamilton, non il contrario. L’uomo più grande della stessa organizzazione che l’ha lanciato.

Il principale social di Hamilton è Instagram, dove ha costruito una narrativa continua dal suo passaggio in Mercedes. Twitter e Snapchat hanno una loro originalità (anche se con il primo si è trovato al centro di diversecontroversie), mentre Facebook fa solo da cassa di risonanza per il traffico prodotto altrove.

Da Woking a Brackley

Nonostante l’attenzione da sempre ricevuta da parte dei media, qual è il momento nel quale Hamilton prende questa costante pressione e la trasforma, modellandola a suo vantaggio? Molto è dovuto al passaggio dalla McLaren-Mercedes alla Mercedes, annunciato nel settembre 2012. Hamilton lascia il nido – ha firmato con la casa di Woking nel 1997 (e dal suo addio la McLaren non ha più vinto una gara in F1) – e rimane “in famiglia”, ma passando alla parte tedesca.

A Stoccarda non ha solo vinto due Mondiali, ma ha anche modificato la sua immagine, allargandola a dismisura fuori dalla pista. Prima di quel passaggio, i suoi social sembravano strumenti messi lì per ufficialità formale, ma niente più. Le sue partecipazioni agli eventi sono diventate più frequenti, internet ha cominciato a riempirsi di sue foto e dichiarazioni (il 75% dei post su Instagram risale agli ultimi due anni). Quasi sentisse il bisogno di condividere davvero tutto con la propria comunità online, troppo solo nel mondo fisico. Ma può dirsi “solo” un uomo che ha viaggiato in tutto il mondo e che (forse) ha provato ogni tipo d’esperienza?

Un’intenzione che forse era già presente nelle sue parole d’addio alla McLaren: «Per me è tempo di provare una nuova sfida e sono eccitato per questo nuovo capitolo della mia vita. Insieme alla Mercedes possiamo crescere ed essere all’altezza di questa sfida».

È cambiato anche lo stile: addio alla testa rasata, alla barba appena accennata e ai filtri eccessivi su Instagram; dentro il bianco e nero, il capello biondo, i completi.

Orgoglio black per il riscatto

Il background nero e caraibico si è trasformato da debolezza a punto di partenza necessario per capire l’universo Hamilton. Non più burden dei primi tempi nei motori, con il padre a lavorare con lui per avere un kart sul quale farlo correre, ma punto d’orgoglio dal quale partire per ogni considerazione sul personaggio.

«Act up if you feel me, I was born not to make it but I did, the tribulations of a ghetto kid, Still I Rise». Pura la citazione di 2PaC, con tanto di tatuaggio gigante sulla schiena. Ma non mancano le menzioni a Martin Luther King.

Ci sono immagini o post (come quello sotto) che sembrano il classico messaggio da seminario motivazionale. Anche se dette da Lewis Hamilton cose di questo tipo suonano per forza di cose più vere.

«Credi in te stesso. (Mohammed) Ali diceva di soffrire sul momento, ma di vivere il resto della vita come un campione. Io lo farò, tu?». Hamilton non starebbe male a organizzare seminari di leadership una volta ritiratosi.

Hamilton non ha mai perso un’occasione per ricordare a tutti il colore della sua pelle, anche un po’ a sproposito. Come quando a Montecarlo cercò di giustificare una penalità nei suoi confronti, ritenuta ingiusta dal pilota, con una motivazione razzista: «Perché mi hanno dato la penalità? Forse perché sono nero (risata). Almeno questo è quello che Ali G direbbe».

Una semplice occhiata al suo profilo Twitter dimostra l’importanza che Hamilton dà al colore della sua pelle nella costruzione della sua immagine.

La foto a Grenada come immagine del profilo di uno dei social più importanti: un segnale neanche troppo sottile, specie se in relazione alle foto classiche dei colleghi a Montecarlo (su uno yacht) e a New York.

Solo due anni fa, nel punto cruciale di un duello per il Mondiale tutto in casa Mercedes, Hamilton ricordò a Rosberg tutta la differenza di heritage che passava tra i due: «Vengo da Stevenage e ho vissuto sul divano di casa mia a fianco a mio padre. Nico, invece, è cresciuto a Montecarlo tra jet, alberghi e tutto questo genere di cose: per questo l’ambizione è differente».

Forse proprio per questo, oltre che per il suo ego, raramente vedrete Hamilton scomporsi in un omaggio verso qualcun altro. I sacrifici fatti e i risultati ottenuti forse l’hanno convinto che solo in casi straordinari ci si spende in complimenti, come quando ha pubblicato una foto di Alex Zanardi dopo l’ennesimo oro alle Paralimpiadi di Rio.

In visita a Grenada: «Gran parte della mia famiglia è qui». In posa, tutto pronto per esser condiviso con il mondo e rafforzare che l’idea che, sì, si può partire da un’isola caraibica e diventare uno dei piloti più forti.

Tutto questo senza dimenticare la sua fede religiosa, che ha sempre accompagnato la sua vita, le dichiarazioni e le comparse nel circus. Anche di fronte all’ultimo ritiro in Malesia, con Rosberg avanti di una gara in classifica, l’inglese ha ricordato: «La delusione è indescrivibile, ma credo che Dio non ti dia mai più di quello che puoi gestire».

Non può mancare l’hashtag #godisthegreatest.

Stile

Hamilton però è un uomo dalle forti contraddizioni, e a una fede granitica corrisponde una certa frivolezza quando si tratta di godersi i piaceri del jet-set. Un circo senza sosta, che l’ha visto elevarsi al ruolo di pilota conosciuto in tutto il mondo, ma anche assiduo frequentatore di celebrità, festival, sfilate di moda e persino comparsa nei film. Che si tratti di doppiare un personaggio disegnato apposta per lui in Cars 2 o di osservare la sfilata di Ben Stiller e Owen Wilson nel seguito di Zoolander in una scena girata a Roma, poco importa.

Giusto qualche copertina negli ultimi anni. Compreso l’estero: Francia, Spagna, Sudafrica, Olanda, etc.

Il picco di questa celebrità è segnata da alcuni passaggi. Se per chi frequenta assiduamente la F1 certe foto non dicano nulla, di certo nel mondo USA vedere Lewis Hamilton accanto a Taylor Swift fa un altro effetto. Così com’è stato strano osservare Justin Bieber quasi sul podio di Monaco a sorseggiare champagne sul circuito più famoso nella storia della Formula 1.

La lista comprende: Ed Sheeran, Mary J. Blige, Naomi Campbell, Chris Martin, Magic Johnson e Samuel L. Jackson a una partita dei Lakers, Nicki Minaj, Irina Shayk, Pharrell Williams. Ah, ovviamente Kayne West, con tanto di sponsorizzazione presidenziale per il 2020.

L’hype è arrivato talmente in alto che persino negli USA – terra solitamente ostile all’evangelizzazione per la Formula 1 – considerano Hamilton un personaggio degno di una comparsata in uno dei tanti talk show americani. Ma non uno qualsiasi, bensì Jimmy Kimmel. Dove l’argomento principale non sono tanto le vittorie in pista, quanto il fatto che Hamilton ha un jet, alimentando una certa immagine sul personaggio.

In tutto questo, anche Hamilton sembra attento a cosa seguire. Come Internet: non solo attento ai social, ma anche alle mode della rete. Come il dabbing dopo la vittoria nell’ultimo GP di Ungheria.

Non solo Formula 1

Oltre alla moltitudine di celebrità delle quali si circonda, Lewis Hamilton sembra avere altri amori nei quali immergersi. La Formula 1 è solo una piccola parte di quello che riempie la sua vita: gli interessi sono diversi e nei campi più disparati.

La moto che l’Augusta ha messo in circolazione con l’aiuto del pilota della Mercedes. E in fondo non ha mai celato la passione per le moto.

Solo restando allo sport, il calcio non può mancare nel background di un inglese: tifoso dell’Arsenal, ha avuto un confronto personale anche con Thierry Henry. Se invece ci spostassimo al mondo americano (così venerato da Hamilton), il pilota della Mercedes è rimasto attratto dalla MLB e anche dal mondo NBA, specie con Drake di mezzo a Toronto.

Ma c’è soprattutto un altro amore nella vita di Lewis Hamilton: la musica. Oltre a frequentare di persona diversi cantanti famosi, dimostra una certa dimestichezza con la chitarra e il pianoforte: dal duetto con Jenson Button sulle note degli Oasis ai tempi della McLaren al karaoke hip-hop in un locale di New York. E intanto è programmata anche l’uscita di un suo album a breve.

Intanto, si è buttato sul R’n’B e ha già rilasciato un paio di anni fa un duetto con Ana Lou che anticipava le velleità canore.

Molto famoso, incredibilmente solo

Nonostante sia al centro di uno dei circus più sfarzosi a livello sportivo, abbia un contratto con un salario che un uomo normale non guadagnerebbe in dieci vite e sia al centro dell’attenzione dei media, Lewis Hamilton sembra una persona molto sola.

Il suo carattere, tanto spigoloso sulla pista quanto affabile e divertito fuori, non gli ha attirato grandi simpatie. Tutti vogliono circondarsi di Hamilton, ma pochi vogliono avere a che fare umanamente con lui. Dall’inizio della sua avventura in Formula 1, Hamilton ha avuto appena quattro compagni di squadra: Alonso, Kovalainen, Button e Rosberg. Nessuno di questi quattro sembra esser al momento un suo vero amico, neanche il tedesco, con il quale ha condiviso l’infanzia e buona parte dell’adolescenza, oltre al box della Mercedes nelle ultime quattro stagioni. Tutto è sacrificabile sull’altare della vittoria, anche un rapporto in atto da anni.

Ed è strano, perché se la F1 appare un po’ vecchia dall’esterno, lontana dai social, Hamilton manda l’immagine opposta. Se si vedono nel circus amicizie o anche rivalità divertenti (guardate tutti gli scambi social di Massa e Ricciardo, per fare un esempio), l’anglo-caraibico è fuori da tutto questo. Per lui la F1 è una passione-lavoro, gli altri sono dei semplici colleghi. Niente di più.

Un episodio che dice molto in tal senso è quello che ha coinvolto Adrian Sutil: l’ex pilota della Force India è stato forse uno dei veri pochi “amici” di Hamilton in F1, ma nel marzo 2011 rimane coinvolto in un fatto di cronaca ormai dimenticato. Dopo la vittoria nel GP di Cina, Sutil aggredisce l’allora co-proprietario della Lotus, Eric Lux, con un bicchiere di champagne, ferendo al collo il dirigente del team di Enstone.

In quella discoteca di Shanghai, finisce il rapporto tra i due. Hamilton non testimonierà in favore dell’amico, dichiarando di non ricordare i dettagli della rissa: Sutil si becca una condanna con la condizionale a 18 mesi di carcere, poi mitigata in una multa da 170mila sterline. E il pilota tedesco ha dovuto saltare anche una stagione in F1. Quando gli viene chiesto di Hamilton, Sutil non è andato per il sottile: «Lewis è un codardo. Persino suo padre mi ha augurato buona fortuna al processo con un sms; da lui niente. Ha persino cambiato il suo numero: lo incontro nei box, ma sono contento di aver capito che persona sia».

La lacuna umana è colmata da una grande e diffusa presenza dei suoi cani: sui social, nelle vacanze, persino ai GP. Roscoe e Coco sono costantemente accanto a lui, tanto da esser più presenti sulla rete di qualsiasi altro esser canino al mondo. Una passione animale che va dal gradiente quotidiano “cane” a quello esotico della “tigre bianca”, felino raramente a disposizione. Hamilton, alla fine dei conti, condivide il suo letto con il cane.

I cani hanno preso il posto della persona con cui ha vissuto il rapporto più pubblicizzato della sua vita: Nicole Schwerzinger, leader delle Pussycat Dolls. Una storia andata avanti per anni e conclusa poco dopo il primo titolo Mondiale con la Mercedes, a quanto pare per le difficoltà nel gestire una vita insieme con i tanti impegni dei due tra corse e mondo musicale. Forse la convinzione definitiva che la solitudine sia la strada migliore da seguire, senz’altro la più comoda.

Viene in mente quanto detto da Hamilton recentemente: «Quando ero più giovane, se disputavo una brutta corsa, ero molto duro con me stesso. Ricordo delle volte in cui non ho lasciato l’hotel per tre-quattro giorni: non volevo parlare con nessuno. Quando però succede, devi cercare di trovare il buono di quella situazione, imparare dai tuoi errori: non importa cadi, l’importante è rialzarti e diventare più forte».

Questo per dire quanto il pilota della Mercedes si goda la propria solitudine dorata: «Voglio essere più bravo che posso, ma anche se la mia forma durasse solo altri due anni, darò tutto ciò che posso. Anche se mi fermassi ora, ho avuto un fantastico viaggio: non cambierei nulla, perché oggi sono qui grazie a quello che ho vissuto, al di là dei miei record».

La competizione conta, ma non troppo. Qualcuno l’aveva paragonato a Tiger Woods, ma Lewis Hamilton sembra aver sviluppato una certa repulsione verso l’universo che gli ha dato tanto e continua a nutrirne l’ego. Hamilton in un certo senso sembra poter davvero fare a meno di tutto questo, se solo potesse. Quando smetterà probabilmente lo vedremo lontano dalla pista, con i suoi cani, a godersi la solitudine che ha coltivato silenziosamente in tutti questi anni.

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