Il monte Gariwang ha tutti gli occhi del circo bianco su di sé. Sono un paio d’anni che la Coppa del mondo di sci alpino fa una capatina in Corea del Sud per prepararsi al grande evento: le Olimpiadi invernali del 2018. I Giochi tornano in Asia per la prima volta dopo Nagano 1998 e per creare le piste da sci necessarie, nella contea di Jeongseon, sono stati sradicati ventitré ettari di bosco.
Sofia Goggia non arriva all’appuntamento olimpico da favorita solo perché c’è Lindsey Vonn. L’americana ha vinto gli ultimi due eventi di discesa libera a Garmisch, ma la condizione di Goggia è in crescita: a metà gennaio vince due libere di fila (non succedeva da Isolde Kostner nel ‘99), a Bad Kleinkirchheim e Cortina. Arrivata in Corea, Goggia dice di avere ben presente di quale colore vuole la medaglia in discesa. Prima però compete in altre due discipline, slalom gigante e supergigante: nella prima non brilla, nella seconda commette un errore dopo un salto. In entrambe le gare è undicesima, ma nel super-G ha «provato sensazioni di autenticità che non sentivo da tempo, ero un tutt’uno con gli sci».
Nella discesa libera di quattro giorni dopo, scende col pettorale numero 5. Alla partenza fanno -8.5° e alla prima porta Goggia già sfiora i 100 km/h. Dopo ogni salto è reattiva e precisa, aggredisce le curve più ampie rimanendo leggera sulla neve. Appena può porta le racchette sui fianchi e le mani davanti al volto alla ricerca di una posizione aerodinamica. Non fa una prima parte di gara perfetta, ma rifila più di mezzo secondo a Tina Weirather e si porta al comando. Vonn parte poco dopo, ma è dietro. Lara Gut, Federica Brignone e Nadia Fanchini non terminano la gara: solo Ragnhild Mowinckel impensierisce il primato, arrivando a nove centesimi nonostante un pettorale molto più alto. Quello di Goggia è il primo oro olimpico in discesa per un’italiana.
Un mese dopo, ad Åre, Goggia arriva seconda dietro Vonn, ma tanto le basta per aggiudicarsi la prima Coppa del mondo di discesa. È evidente ormai a tutti: la sciatrice più veloce del mondo - come scrive lei stessa su Instagram - viene da Bergamo, ha una forte R moscia e una gran voglia di lasciare il segno.
Avere le idee chiare, a dieci anni.
«Se non sai fare la polenta, ta se nisün»
Quando Sofia Goggia si presenta, anziché elencare i record e le vittorie, parte sempre da casa sua: Bergamo Alta. La famiglia Goggia (papà Ezio è ingegnere e artista a tempo perso, mamma Giuliana insegna lettere e il fratello Tommaso fa l’ingegnere informatico) viene da qui e nei weekend sfrutta l’appartamentino del nonno materno Antonio a Foppolo. Nel piccolo comune dell’alta Val Brembana c’è tutto ciò che Sofia desidera: piste innevate.
Sciando qui, tra Foppolo, Carona e San Simone, Tommaso Goggia fa bruciare di invidia la sorellina, più piccola di tre anni: «Ho pianto tutto un inverno e mia mamma, esausta, l’inverno dopo ha detto ok vai a sciare» racconta divertita Sofia. Lì incontra Nicola, il primo maestro dello sci club Clan2, da cui apprende per dieci anni. Man mano che cresce, passa a squadre più strutturate e importanti della provincia di Bergamo. Tutti quelli che l’hanno vista crescere parlano di una bambina fuori dal comune: «Nei tanti viaggi in pullmino che caratterizzavano la nostra attività, mi giravo spesso a controllare gli altri, che spesso dormivano o scherzavano. Lei, quando non riusciva a sedersi davanti, si metteva in piedi alle nostre spalle ad ascoltare tutti i nostri commenti tecnici» ricorda Ettore Sironi, maestro di sci bergamasco.
Il periodo dell’adolescenza assomiglia a quello di tante giovani promesse dello sport, fatto di rinunce a serate fuori con amici per essere pronte ad affrontare il weekend di gare. Guardandosi indietro, Goggia afferma di non essersi mai data alternative («se non fossi diventata una sciatrice sarei diventata comunque una sciatrice. Unica possibilità»), mentre il rapporto tra la sua famiglia e lo sport è ambivalente. Da una parte è un bene perché la aiuta a staccare («quando vado con mio papà a Bergamo magari ci chiudiamo nel suo atelier di pittura e mettiamo un vinile di Schubert»), dall’altra non le ha giovato «una sorta di incompetenza nella preparazione della vita sportiva».
Per dire invece del contesto in cui è realmente cresciuta, e che appena può frequenta ancora, Sofia adora andare nella baita di famiglia in Valle d’Aosta, sopra Cogne, a 2241 metri. Di questo posticino, senza elettricità né acqua corrente, Goggia parlerebbe per ore perché lì trova l’essenziale. Stare a contatto con famiglia e natura, col cane Belle, lavarsi nel torrente, fare la polenta: se sei di Bergamo e non la sai fare, «ta se nisün», non sei nessuno.
«Un fantasma tremolante»
Nel frattempo, i progressi in pista sono notevoli e la sfortuna inizia a prenderla di mira. Nel marzo 2009 domina i Campionati italiani aspiranti vincendo slalom speciale, combinata, slalom gigante e supergigante, ma in allenamento si fa male al ginocchio per la prima volta. Nella stagione 2010/11, quella di debutto in Coppa Europa (il circuito sotto la Coppa del mondo, usato dai giovani per fare esperienza), si fa male nuovamente al ginocchio alla primissima gara, il gigante di Kvitfjell in Norvegia. È costretta a saltare tutto l’inverno e per la sua prima vittoria in Coppa Europa deve attendere il giorno di San Valentino del 2012: a Sella Nevea, in provincia di Udine, Goggia vince la combinata, gara composta da due manche, una di discesa libera (la disciplina più veloce) e una di slalom speciale (la più tecnica).
Un mese dopo, quando è leader della classifica generale di Coppa Europa, cade nella seconda manche del gigante di Andalo, si stira i collaterali di entrambe le ginocchia e si frattura il piatto tibiale. Non può completare una stagione che la vede comunque sul podio tutto italiano della generale: vince Lisa Agerer, seconda Enrica Cipriani e terza Goggia.
Da destra a sinistra: Agerer, Goggia e Cipriani festeggiano la tripletta italiana nel supergigante di Sella Nevea nel febbraio 2012. Di queste tre, solo Goggia è ancora in attività.
Il mondo si accorge per la prima volta di Sofia Goggia il 5 febbraio 2013. In Coppa del mondo ha partecipato solo a quattro giganti, terminandone zero. Ma ai Mondiali di Schladming viene convocata lo stesso e finisce quarta nel supergigante, dietro solo alle migliori sciatrici della loro generazione (Maze, Gut-Behrami, Mancuso). Nei video di allora tiene un profilo basso, è impacciata nelle risposte, dice di avere poche aspettative e lo sanno tutti come funziona con le discipline veloci, bisogna fare esperienza su certe piste di Coppa del mondo.
In futuro rivelerà che in questo periodo si sente talmente sicura di se stessa da aver confidato a un suo allenatore di essere la discesista più forte al mondo. Fino a quel momento in Coppa del mondo di discesa libera ha collezionato un 46° posto e un DNF. Fine. Può mettersi in luce, però, a Lake Louise, nel Canada occidentale. È il 7 dicembre 2013 e alla partenza fanno -35°. Goggia è fin troppo carica.
Racconta lei stessa: «Affronto la doppia che immette sul salto, il Coache’s Corner, con una linea tagliata e stretta in entrata e arrivo sul dente del salto con molto spigolo. Troppo spigolo. Oltrepasso il limite, ma non me ne accorgo. Mi ritrovo in aria. Eseguo il movimento di chiusura dopo il dente ma al posto di seguire la “naturale parabola” di discesa del salto, la mia “gittata” continua a proseguire orizzontalmente. E il terreno sotto di me, inevitabilmente continua a essere in discesa. Il mio salto è alto, troppo. Merda, mi dico. In una frazione di secondo atterro dall’altezza di un piano di scale.
Riesco a reggere all’impatto rimanendo in piedi sulle mie gambe, ma quella sinistra dallo sforzo si iperestende e il ginocchio ruota tutto all’interno; lo sci mi prende all’improvviso, mi spigola, cado».
È caduta altre mille volte. Si è infortunata altre mille volte. Questa è diversa. Appena rientra in Italia, la risonanza magnetica conferma il suo presagio: crociato, collaterale e menisco del ginocchio sinistro sono andati. «Mi sento morta dentro e non so se tornerò. Forse, mai più».
Comincia il periodo più buio nella sua vita. Ha tanti dubbi sul suo futuro, la passione viscerale per lo sci si affievolisce, vuole restare sola per giornate intere. In Oro bianco Gianmario Bonzi e Dario Ricci scrivono che nell’aprile 2014 Goggia avverte Marco Viale, allenatore tutt’ora in Nazionale, di non aspettarsi di rivederla di nuovo col gruppo. Da gennaio 2014, Goggia si trasferisce a Mantova per essere più vicina al centro riabilitativo di Bagnolo San Vito nel quale già in passato aveva recuperato da svariate operazioni. Si consegna nelle mani del prof. Roberto Galli, un secondo padre per lei.
Goggia è molto introspettiva e questa parte della sua vita è un pugno nello stomaco anche per la lucidità e la ricchezza di dettagli con cui lei riesce a descriverla. Nel bilocale in cui vive sola, si sveglia spesso di soprassalto: la caduta di Lake Louise le fa venire gli incubi. Si chiede perché continuare a cercare la felicità in uno sport che finora, a parte qualche risultato, le ha dato tanta sofferenza. Le viti nel ginocchio fanno male, passa le giornate tra fisioterapia e piscina, ha ematomi ovunque ma deve stabilizzare l’articolazione. Si definisce «un fantasma tremolante, un lontano ricordo dei tempi che furono», parla apertamente di depressione e fase evolutiva, paragonandosi ai serpenti che cambiano pelle per sopravvivere.
Non è retorica spicciola definire questo come un momento make it or break it, dal quale o si esce più forti o si deve rompere il giocattolo. Quando sua madre va a trovarla nell’appartamentino di Mantova, lo trova a soqquadro. Sofia le confessa lo stato di malessere in cui vive da settimane su una panchina di Piazza Virgiliana, in una città che è difficile non immaginare fredda e nebbiosa.
Cambiamenti e consacrazioni
Non sappiamo cosa l’abbia riportata sulla neve: «Non potrei mai dare me stessa in pasto al blog della Red Bull». Tiene le parti più intime di sé per sé. Sono pensieri che scrive sul suo diario; l’oggetto-ricordo a cui è più legata, infatti, è il diarietto che aveva scritto in Corea durante le Olimpiadi.
Di certo sugli sci è tornata. Nel giugno 2014 va sul ghiacciaio dello Stubai, nel Tirolo austriaco, per allenarsi con le compagne di squadra Elena Curtoni e Francesca Marsaglia. Il responsabile della velocità, Alberto Ghezze, ne struttura le doti da gigantista, ne affina la tecnica; le viene affidato il giovane e talentuoso skiman Federico Brunelli. E ancora: viene scelta (lei dice così) da un pastore australiano che chiama Belle e di cui si innamora presto. Va in vacanza in Turchia, studia il tedesco, e lo usa per annunciare la caccia a un camoscio con un fucile molto grosso.
A Ushuaia, Terra del fuoco argentina, prepara il ritorno in pista. Cerca di consolidare una sciata che la sospinga al massimo in gare ufficiali. Il lavoro sulla tecnica in slalom gigante porta i suoi frutti: arriva sesta a Courchevel, col secondo miglior tempo assoluto nella seconda manche, un risultato all’apparenza insignificante ma che le dà fiducia. Lo definisce un punto di arrivo di un certo percorso e un punto di partenza di un altro, quello che sta per portarla sul tetto del mondo.
Il podio del gigante di Killington, dal bronzo all’oro: Goggia, Loeseth, Worley. Credits: Atomic-Gepa.
Tirata a lucido dal nuovo preparatore atletico Matteo Artina, nel novembre 2016 centra il primo podio in Coppa del mondo, un terzo posto nel gigante di Killington. Goggia sa bene come continua il circuito americano: Lake Louise, a tre anni di distanza dal terribile infortunio. Si sente una persona nuova, ha abbandonato «la vecchia pelle di una Goggia spaccona ed esuberante, che avverto ora come un demone». Scende sporca ma decisa, sempre all’attacco. Nella seconda parte, la sua capacità di far scorrere gli sci la porta al comando. Quando vede accendersi la luce verde di fianco al suo tempo, si mette le mani sul viso. Poi le alza sopra la testa, festante. Impiega qualche secondo a realizzare, si accascia per terra dalla gioia, urla e piange di gioia «perché ho avuto paura e l’ho affrontata, con coraggio».
Subito dopo di lei scende Ilka Stuhec, l’unica in grado di batterla quel giorno. Il secondo posto a Lake Louise è però la definitiva conferma che Goggia è esplosa. Va nove volte sul podio prima di centrare, tra febbraio e marzo 2017, la prima medaglia ai Mondiali (a St. Moritz è terza in gigante) e le prime vittorie in Coppa del mondo, nello stesso weekend: il sabato vince in discesa davanti a Vonn e Stuhec, la domenica vince in supergigante di nuovo davanti all’americana e alla slovena. Sono risultati importanti perché avvengono sulla pista di Jeongseon, in Corea del Sud, dove l’anno dopo si terranno le Olimpiadi.
All’hotel Baeren di St. Moritz, mentre festeggia il bronzo mondiale, Goggia è presa d’assalto da fotografi e giornalisti. Apre con maldestria una bottiglia di champagne, ne beve un sorso e ci scherza su asciugandosi la bocca. Mostra la medaglia, cerca di capire quale fotografo la sta chiamando, accenna due passi di danza quando parte il ritornello di The Best di Tina Turner. A riprenderla con lo smartphone anche Manuela Moelgg, una delle più forti sciatrici senza vittorie in Coppa del mondo. È nuovamente immersa, suo malgrado, in quello che lei chiamail vortice: è consapevole di aver ottenuto in una sola stagione i risultati che un discreto sciatore sogna per tutta una carriera, ma il cambiamento le sembra troppo radicale. Non aveva mai fatto neanche un podio prima di Killington e cinque mesi dopo è la grande speranza italiana per le Olimpiadi.
Sono quei Giochi a renderla un’icona nazionale. Ne è sicuro Marco Castro, giornalista di Eurosport: «Quel giorno, a PyeongChang, è semplicemente epocale. Solo Zeno Colò, 66 anni prima, ha vinto l’oro olimpico per l’Italia in discesa libera. La disciplina più spettacolare, più esigente, più estrema. Come Sofia. Entra a 120 km/h nel gotha dello sport italiano, raccogliendo un testimone dal valore immenso. Quello di Lindsey Vonn, la più grande velocista di tutti i tempi, che battuta al traguardo cerca Goggia con lo sguardo e sorridente le rivolge un cenno con il dito, come a dire: la più forte di tutte ora sei tu».
Il podio di discesa libera alle Olimpiadi coreane: Goggia, Mowinckel, Vonn. Credits: Coni News.
Andare avanti per contrasti forti
La pagina Wikipedia inglese di Sofia Goggia ha una sezione dedicata agli infortuni. Ogni volta che cade, ogni volta che inforca, si teme per il peggio. In gigante alle Olimpiadi con uno sci passa molto vicino alla porta e le torna a far male il ginocchio. «Ero tutta indolenzita sotto le mani del fisioterapista, ma a un certo punto gli ho detto: “da adesso in poi, basta lamentarsi, anche Svindal zoppica ma vince lo stesso”».
Goggia si fa male spesso e sul serio, roba che non basta sopportare il dolore: la stagione 2018/19 è compromessa da una lesione del malleolo peroneale destro, il 2019/20 è archiviato da una caduta nel supergigante di Garmisch in cui si frattura il radio del braccio sinistro. Poche settimane dopo, la stagione - senza Olimpiadi né Mondiali, pecora nera che si presenta una volta ogni quattro anni - viene interrotta dalla pandemia.
Il lockdown ha costretto Sofia, che di solito spende circa 250 giorni l’anno in giro per il mondo con gli sci in spalla, a godersi casa nuova, sistemata grazie al premio olimpico. Non vive più coi genitori, ma non se n’è andata da Bergamo Alta. In una passeggiata con Xavier Jacobelli, direttore del Corriere dello Sport, dimostra di conoscere ogni angolo di Bergamo: il Senterù, via Lavanderio, Marco dell’edicola Colle Aperto, la pasticceria La Marianna, il liceo classico Paolo Sarpi, il monastero di Astino, Beppe del Baretto San Vigilio.
Il lavoro grosso, in questo periodo, Sofia ha dovuto farlo su se stessa, per arrivare a dire «io esisto a prescindere». Trova la calma grazie alla meditazione, ma a lungo andare si accorge che è «come se nascondessi parte di me con questa pratica, come se procrastinassi il lavoro che devo fare su me stessa». Sugli sci ha un talento naturale immenso, che per essere espresso al meglio deve andare di pari passo con la stabilità mentale. «Il mio rilanciare sempre era propositivo, ma anche mosso da un senso di angoscia esistenziale. Io poi sono una che sopporta di tutto: mi sono rotta un braccio e non ho fatto una piega, posso sobbarcarmi una mole di sofferenza e lavoro pazzeschi». È una caratteristica degli atleti devoti al proprio sport quella di pensare al proprio corpo come uno strumento: a proposito dell’infortunio al braccio e del non fare una piega, quattro mesi dopo essersi sbriciolata l’avambraccio cadendo su neve ghiacciata Goggia assicura che «una placca e qualche vite» sistemeranno tutto.
Sofia non si realizza sugli sci, anzi, è tanto altro: al liceo, per esempio, si appassiona a John Keats, ascolta musica da Fedez a Beethoven, viaggia tantissimo anche al di fuori degli obblighi sciistici, apprezza Van Gogh, suona il piano («mi dà un vantaggio: coordinare due mani che toccano a velocità diversa tasti differenti allena la mia capacità mnemonica e cognitiva») e, pur simpatizzando Atalanta, tifa la Juve. E oggi riconosce, con un candore folgorante, che «la fame per tutto, per le gare, per la competizione, è quella che mi ha portata a vincere ma anche a schiantarmi, perché io ho sempre delegato il senso e il diritto della mia esistenza alla riuscita nello sport: da un lato meriti di esistere, dall’altro ti distrugge» dice in un’intervista data a Silvia Guerriero di SportWeek nel novembre 2020.
Due psicologi, Lucia Bocchi e Giuseppe Vercelli, l’hanno aiutata a «lavorare a un livello più profondo. Ho rimodellato delle falle emozionali con le quali tutti noi cresciamo. Per disossare scleri mentali radicati sto facendo questo percorso ed è positivo. Quando raggiungo il mio livello di serenità e di benessere vado più veloce e il mio rendimento sale».
L’intervista di Guerriero ha il grande merito di non interrompere il flusso di coscienza dell’atleta, anche se Goggia passa da un argomento all’altro come in una diagonale di discesa libera. Nella sua spontaneità, nel suo modo di fare quasi paesano (qui un amico d’infanzia la definisce «una persona meravigliosa ma proprio bergamasca»), Goggia è di una profondità spiazzante: «Io sono così, sono sempre andata avanti per contrasti forti».
Ricominciare, di nuovo
Quando torna a sciare, sul ghiacciaio dello Stelvio e a Cervinia, per preparare la stagione 2020/21, si avvolge in un mantello di «stabilità mista a leggerezza» che da tempo le mancava. Parlando di come abbia quasi dimenticato com’è che si fa, a gareggiare sugli sci, ritiene «incredibile come l’essere umano ci metta così poco a distruggere qualcosa che ha creato con così tanta fatica nel tempo. Sono in fase di costruzione dopo aver fatto una cosa a metà tra terra bruciata e tabula rasa».
Goggia riparte anche da un nuovo skiman: Federico Brunelli abbandona il circo bianco e prende il suo posto il bergamasco Barnaba “Babi” Greppi, che già preparava sci Atomic per Lara Gut-Behrami. L’azienda austriaca propone a Goggia tanti skimen diversi, ma lei si impunta e fa assumere quello che considera, oltre che l’uomo che le prepara gli attrezzi con cui si lancia a 120 km/h, un vecchio amico.
È un’annata particolare per Goggia e per tutti gli altri sciatori italiani: per la prima volta dopo Bormio/Santa Caterina 2005, i Mondiali tornano in Italia. Peraltro in una delle sedi più prestigiose del circuito femminile, Cortina d’Ampezzo. Goggia sull’Olimpia delle Tofane ha sia vinto sia rischiato di farsi molto male, ha conquistato qui il primo pettorale rosso (indica il primato nella classifica di specialità) ed è un posto in cui adora passare del tempo.
È molto carica, ovviamente: delle prime cinque discese libere di Coppa del mondo, ne vince quattro. Comincia dalla Val d'Isère, dove la premiano con un vitellino, Ambrosi, che affida all’agriturismo suo primo sponsor. Nella seconda discesa, a St. Anton, dà quasi un secondo a tutte e ammette di aver pensato subito che sarà difficile batterla. Vince anche in due giorni di fila a Crans Montana, in condizioni ostiche per motivi diversi: di vento il primo giorno, di scarsa visibilità il secondo. «Sembrava di scendere nello yogurt» scherza Goggia, che guardando avanti a sé non aveva nessun contrasto cromatico.
Centra tante top-10 senza andare a podio nelle altre discipline, ma ha un ultimo supergigante a Garmisch per affinare ulteriormente la condizione. È il 31 gennaio 2021 e nel primo super-G bavarese ha chiuso quarta. La seconda gara viene posticipata al 1° febbraio: un nebbione ha avvolto il monte Kreuzeck e sulla Kandahar, la pista delle Olimpiadi del 1936 e dei Mondiali 2011, non si vede nulla. Nel rientrare al parterre dopo il rinvio della gara, scendendo come una turista per la pista, con lo zaino pesante in spalla, Goggia trova un cumulo di neve bagnata. La gamba si accartoccia lì, il ginocchio destro si torce. Trauma distorsivo.
Il più stupido degli infortuni le toglie la possibilità di partecipare ai Mondiali di casa. Il mondo le crolla ancora addosso. Nel momento in cui capisce che la sua stagione sarebbe finita, mentre una motoslitta la sta portando a valle, prova «nostalgia delle cose che se ne vanno». Commentando questa foto, scattata a San Vigilio di Marebbe mentre guarda Shiffrin allenarsi sulla pista Erta, Goggia dice che «quando sei morta dentro, hai bisogno di guardare lontano perché nell’immediato sai che è tutto nero».
Durante un’intervista con Flavio Vanetti del Corriere della Sera, non smette di piangere. Le ha fatto tanto piacere, comunque, l’in bocca al lupo di un suo fan, Sergio Mattarella, e ricomincia a frequentare Mantova per la riabilitazione. Non riesce a tornare nemmeno per finire la Coppa del mondo, ma grazie ai risultati conquistati prima dei Mondiali - e all’annullamento della tappa finale di Lenzerheide - vince comunque la sua seconda coppetta, la sfera di cristallo che si aggiudicano i vincitori delle classifiche generali di specialità (la discesa libera, nel suo caso).
«Ho vinto la coppa di specialità gareggiando mezza stagione. Sofia è stata fortunata, hanno detto. Mica vero: la fortuna è stata delle altre a non avermi tra i piedi ai Mondiali di Cortina». Credits: Agence Zoom.
La regina della velocità
«La g’ha l’età de la Maresana» scherza il suo skiman Babi Greppi. Si riferisce a un detto bergamasco: il colle della Maresana, in provincia di Bergamo, è dove passeggiano tanti anziani nei weekend. A 29 anni compiuti, Goggia è consapevole di avviarsi verso la Maresana, ma ha ancora diversi obiettivi da raggiungere. «Da una parte voglio trovare un equilibrio, dall’altra voglio vincere, e sono disposta a tutto per riuscirci».
Andando avanti per contrasti forti, sa di avere ginocchia da cinquantenne ma di essere all’apice della carriera: «Credo di aver sciato meno di una Marta Bassino che ha quattro anni meno di me». A proposito di Bassino, è interessante che Goggia, se potesse, le ruberebbe «la risolutezza e la calma con cui vive la vita. Perché si vede che lei dentro di sé non ha grandissimi conflitti. Io invece sono un mare a forza 9 sempre».
Una conflittualità di diverso genere si è creata anche nella squadra: la rivalità Goggia-Brignone è nota da anni e nessuna delle due ha fatto molto per nasconderla. Da un anno Federica Brignone, forse più completa ma con picchi di talento meno abbaglianti di Goggia, si allena separatamente col fratello Davide. Il tridente Bassino-Goggia-Brignone è diventato duo: «Ci abbiamo un po’ smenato perché è stato un punto di riferimento in meno. Dall’altro lato a volte il clima è leggermente più disteso» dice Goggia nel supplemento della Gazzetta dello Sport del 15 dicembre 2021.
Sofia di recente ha gettato acqua sul fuoco dicendo che la rivalità con Brignone è stata in parte montata. Anche perché le vittorie sono il miglior palliativo e la Nazionale femminile negli ultimi anni sta vincendo tantissimo: medaglie olimpiche, iridate, sferette (oltre a quelle già citate di Goggia in discesa, Marta Bassino è stata la miglior gigantista della scorsa stagione) e la sfera di cristallo (Brignone ha vinto la classifica generale due anni fa, prima italiana a riuscirci).
Quest’anno l’asso pigliatutto è di nuovo Goggia. A Lake Louise, che ha sempre un significato particolare per lei, ha vinto entrambe le discese libere, di cui la prima con l’inaudito vantaggio di quasi un secondo e mezzo. Il terzo giorno ha completato lo sweep canadese con la vittoria in super-G: «Ho sciato in modo ordinario, normale. Nulla di che. Però sono stata brava a sfruttare il terreno, che poi è il mio vero talento».
Nei due super-G di St. Moritz (seconda e sesta) fa tanti punti e si inizia a chiacchierare. Nell’anno in cui andò più vicino a competere per la sfera di cristallo, quella grande, quella assegnata a chi prende più punti in tutte le specialità, quindi alla sciatrice più completa e forte del mondo, furono 19 le gare tecniche (slalom e gigante) e 15 le gare veloci (super-G e discesa), più tre combinate. Una specialista della velocità come Goggia può contare quest’anno su una perfetta parità: saranno nove - cancellazioni permettendo - le gare per ciascuna delle quattro discipline principali.
Poi vince due volte sulla pista dedicata a Henri Oreiller e Jean-Claude Killy in Val d’Isère e per la prima volta si mette al comando della classifica generale di Coppa del mondo. Si continua a chiacchierare. Le credibili contendenti al titolo overall sono tre: Mikaela Shiffrin, americana già tre volte vincitrice, forse la più forte in nessuna specialità ma temibile in tutte tranne la discesa; Petra Vlhova, slovacca e campionessa in carica, la slalomista più forte; Sofia Goggia, inarrivabile in discesa, ottima in super-G, ondivaga in gigante. La bergamasca tiene un profilo basso, consapevole che Shiffrin è la grande favorita, non ne parla. Ma questa è la stagione dei record per Goggia: ha raggiunto il suo idolo Deborah Compagnoni a quota 16 vittorie in Coppa del mondo, con cinque vittorie in una sola annata ha già eguagliato il record femminile italiano, ha vinto tutte e sette le ultime discese libere a cui ha preso parte.
Nel frattempo le viene affidato il ruolo di portabandiera alle Olimpiadi di Pechino 2022, inizia ad essere accostata ai grandi sportivi italiani di sempre. Su Repubblica del 2 gennaio 2022 Paolo Condò traccia un parallelo tra Goggia e Valentino Rossi, accomunati dalla «velocità da rompicollo, o meglio la capacità di ragionare in quelli che per noi sono istanti e per i campioni “tempi Matrix” (copyright David Foster Wallace), una specie di realtà rallentata. Se lo sai fare con la leggerezza d’animo di Valentino, ma anche di Sofia, quella è arte».
Non so se leggerezza d’animo è la locuzione migliore per descrivere l’animo buono e irrequieto di Sofia, persona impossibile da riassumere in poche parole. Goggia stessa autorizza, in un’altra stupenda intervista concessa a Silvia Guerriero di SportWeek nel dicembre 2021, un ritratto che le è stato fatto da chissà chi e in chissà quale contesto, ma che coniuga il fantasma tremolante e la regina della velocità: «Sofia rappresenta chi annaspa, inciampa, resiste, non si abbatte e tutto quello che ha lo conquista lottando per ogni singolo centimetro, per ogni singolo centesimo. È la fallibilità dell’uomo e contemporaneamente la sua capacità di superare il fallimento».